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5851  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / Marcello Foa. Berlino, tutto chiarito. Anzi, no inserito:: Dicembre 29, 2016, 12:07:54 am

Berlino, tutto chiarito. Anzi, no
Mosse di un terrorista che ha pianificato la sua salvezza o di un uomo improvvisamente disperato? Analisi di alcune colossali incongruenze [Marcello Foa]
Di Marcello Foa.

Ora appare tutto chiaro: sappiamo chi ha compiuto la strage di Berlino e sappiamo che non può più nuocere, grazie alla professionalità e al sangue freddo dei poliziotti italiani. Appare, ma lo è davvero?

Come sapete, il mio filtro interpretativo è rappresentato dalla comunicazione: analizzando le notizie che escono sui media si possono cogliere incongruenze, buchi nella narrazione, talvolta vere e proprie contraddizioni. Anche questa volta non tutto quadra.

Innanzitutto, l'eroica resistenza dell'autista polacco. Ricordate?
Cito il Corriere della Sera:

    Una lotta fino all'ultimo respiro per evitare la strage. L'autista polacco era ancora vivo quando il tir ha investito la folla tra le bancarelle del mercatino di Natale: avrebbe tentato di tutto per deviare il camion. Lukasz Urban «ha combattuto fino all'ultimo» con l'attentatore nella cabina del suo tir per scongiurare la carneficina di Berlino, rivela la Bild, citando fonti investigative. «Ci deve essere stata una lotta», ha riferito uno degli inquirenti al tabloid tedesco. Il terrorista «ha colpito più volte con un coltello» il 37enne polacco a cui aveva rubato il tir. Il camionista «si sarebbe aggrappato al volante» cercando di deviare il veicolo: voleva impedire in tutti i modi al mezzo di schiantarsi tra le bancherelle. Sarebbe dunque stato «ancora in vita, nella cabina, al momento in cui il mezzo ha investito la folla». Poi quando il tir si è fermato, l'attentatore lo avrebbe ucciso con un colpo di pistola e sarebbe scappato, secondo la ricostruzione della Bild.

Notate bene che a passare la notizia alla Bild, sono imprecisate fonti investigative, secondo le leggi dello spin. La ricostruzione, però, appare dubbia. Se L'autista, un omone che pesava 120 chili, si fosse davvero aggrappato al volante, il Tir avrebbe sbandato o perlomeno avrebbe proceduto a zig zag. Invece non c'è nessuna testimonianza in tal senso e dall'unico filmato a disposizione si vede il Tir che procede dritto e ad alta velocità, schiantandosi sulle bancarelle. Inoltre è difficile immaginare come un terrorista posso lottare furiosamente con un autista nerboruto, colpendolo più volte a coltellate, e contemporaneamente guidare un Tir mantenendolo in strada. Amri era decisamente un superuomo oppure non è andata come ce l'hanno raccontata.


L'autista è stato senza dubbio ucciso al termine di una violenta colluttazione ma ovviamente prima dell'attentato. E l'ipotesi più probabile, come ho scritto dalle prime ore, è che Amri non abbia architettato questa operazione da solo. Ipotesi che ora viene formulata anche dagli inquirenti: "Non era un lupo solitario", cito ancora il Corriere della Sera.

La seconda colossale anomalia riguarda il ritrovamento a bordo del documento di identità di Amri. Anzi, come rivela lo Spiegel, del portafogli e dello smartphone. Deve essere stato un personaggio davvero curioso questo Amri, uno di quei precisini, metodici, che quando dirottano un Tir, dopo aver ucciso a coltellate un autista da 120 kg, si sfila dalla giacca il portafoglio e il cellulare e li appoggia in cabina in un posto sicuro. O magari prima di ucciderlo.

D'altronde è normale che uno jihadista ben addestrato vada a fare attentati portando con sé un documento di identità. E vero per di più! Un terrorista che, badate bene, non è un kamikaze ma un uomo che dopo aver compiuto la strage voleva darsi alla fuga. E' logico, ne converrete, che, avendo preparato per tempo l'attentato, non abbia pensato di procurarsi un documento falso. Ed è altrettanto logico che abbia lasciato quello vero nella cabina. Ma forse siamo noi che non capiamo: visti i precedenti di Charlie Hebdo e Nizza, evidentemente i manuali del terrore dell'Isis consigliano ai propri adepti di lasciare nei cruscotti di auto e camion almeno un documento di identità. E poi scappare. Per provare l'ebbrezza di essere l'oggetto di una caccia all'uomo da parte delle teste di cuoio di mezza Europa. Evidentemente il Califfo Al Baghdadi vuole così.

La terza incongruenza riguarda il "filmato" di Amri: il Corriere della Sera scrive che probabilmente è stato girato durante la fuga. Falso: è stato registrato nei giorni precedenti, come scrivono correttamente La Stampa e La Repubblica.

Ma al di là di questa gaffe, in realtà non è un videotestamento né risulta essere particolarmente significativo. Appare, piuttosto, come una scontata farneticazione di un aspirante jihadista; più una bravata che l'annuncio di una strage, visti i criteri comunicativi dell'Isis che non perde occasione per impressionare, spettacolarmente, il pubblico. E, ancora una volta, bisogna chiedersi: chi l'ha diffuso?

Mi fermo qui e formulo alcune domande.

La prima: perché uno spin doctor tedesco si è inventato la storia, molto suggestiva, dell'eroica resistenza dell'autista "che ha cercato di evitare la strage", passandola alla Bild?

La seconda: siamo sicuri che Amri abbia fatto tutto da solo? La risposta per me è scontata ed è un chiaro no. Aveva dei complici.

La terza è la più delicata: è così assurdo pensare che gli "amici" di Amri abbiano volutamente tradito il proprio uomo, facendo in modo che le responsabilità cadessero solo su di lui? Insomma, che l'abbiano "bruciato" facendo trovare il suo portafogli e il suo cellulare? No non è assurdo. E peraltro spiegherebbe la strana fuga di Amri: da Berlino a Chambery poi a Torino poi a Milano e infine a Sesto San Giovanni, muovendosi in treno senza documento d'identità.

Non sono le mosse di un terrorista che ha pianificato la propria salvezza, sembrano piuttosto quelle di un uomo improvvisamente disperato che cerca un amico di cui fidarsi dopo aver scoperto di essere stato abbandonato dalla sua "rete".

Fonte: http://blog.ilgiornale.it/foa/2016/12/24/amri-quei-tre-misteri-che-nessuno-chiarisce/#.
Pubblicato da Franco Romanò a 00:08

Da - http://2011oraequi.blogspot.it/2016/12/sullattentato-di-berlino.html?spref=tw
5852  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / Nicola Mirenzi. Erri De Luca, intervista: "I politici non si approprino di Gesù, inserito:: Dicembre 29, 2016, 12:03:24 am
Erri De Luca, intervista: "I politici non si approprino di Gesù, lui non voleva il potere per cui loro si dannano"

L'Huffington Post
Di Nicola Mirenzi
Pubblicato: 25/12/2016 13:27 CET Aggiornato: 25/12/2016 13:27 CET

In principio, è una contraddizione: "Cristo è incompatibile coi poteri del mondo, con le ricchezze accumulate, con i privilegi". Eppure, la celebrazione della sua nascita non procura scuotimenti. È un rito pacificato, assorbito dalla routine delle luci, degli alberi addobbati, delle offerte luccicanti di comete in vetrina: "Dall'imperatore Costantino in poi – racconta Erri De Luca all'Huffington Post – i poteri hanno liberamente interpretato il Cristo, censurando gli aspetti sconvenienti ai loro interessi. Lui non voleva il potere fasullo di un'ora di supremazia, di primato sugli altri, di acclamazione a furor di popolo. Non voleva quel potere per il quale si dannano i politici e i potenti di ogni età".
Scrittore, laico, ex militante della sinistra estrema, studioso dei libri sacri: Erri De Luca non festeggia il Natale da vari anni, "da quando è morta mia madre", dice, perché per lui è una "festa collegata alla sua presenza".

Sente, anche da laico, lo scandalo dell'apparizione di Cristo nel mondo?
È rimasto lo stesso scandalo di prima: l'incarnazione di una divinità che attraversa tutti gli stadi dell'esperienza fisica, dalla nascita alla morte. Non scandalo, ma esempio resta la sua condotta processuale di fronte al tribunale romano. Non rinnega, né sfuma le sue convinzioni e la sua missione. È condannato per questo. Un oscuro prefetto di Roma, tale Ponzio Pilato, suicida sotto l'imperatore Caligola, è diventato indegnamente celebre per aver presieduto al dibattimento.

Chi è Gesù Cristo per lei?
Nella mia gioventù politica si prendeva in considerazione Che Guevara, simbolo di un'epoca che aveva smesso di offrire l'altra guancia all'offesa. Beati gli ultimi, la più politica frase di Cristo, andava praticata nel nostro tempo, non era rinviabile. Gli ultimi dovevano essere beati subito. Ho conosciuto in quel tempo qualche realizzazione del genere.

Cristo non aveva nulla da suggerire alla vostra contestazione?
In Gerusalemme, in quella Pasqua della sua cattura, aveva in pugno un popolo che lo acclamò al suo ingresso sulla cavalcatura regale e lo seguì nel Tempio a sgomberare i mercanti. Ma lui non volle essere capo di una rivolta contro l'occupazione militare straniera. Aveva una missione che doveva compiersi sul patibolo romano. La mia gioventù politica preferiva i combattenti.

Ma Cristo diceva: "Sono venuto a portare non pace, ma spada" (Matteo 10,34). Era un combattente.
Rinunciò a scatenare una rivolta in più in quella terra che oppose il più ostinato contrasto all'impero romano. Per secoli il monoteismo ebraico si è scontrato in armi con il politeismo di Roma, con la pretesa di divinità del suo imperatore. Di croci a migliaia erano state riempite le alture e le valli, con i corpi degli oppositori, perseguitati per la loro resistenza. Cristo voleva rinnovare le radici della fede nel Dio unico e solo. Era un messaggio interamente ebraico, incomprensibile ai romani. Non si rivolgeva al loro potere. Pretendeva di ignorarlo.

L'idea di amarsi gli uni gli altri è inconciliabile con la nuova ragione del mondo, quella di competere gli uni contro gli altri?
Amare il proprio vicino è un precetto che risale al Levitico, Libro Terzo dell'Antico Testamento. Cristo lo interpreta approfondendo la fraternità fino al sacrificio, perché amare è un'esperienza sovversiva, procura insurrezione interna in chi lo prova. Competere invece dura poco, il concorrente finisce presto fuori concorso. Cristo è incompatibile coi poteri del mondo. Date a Cesare quello che è di Cesare: dategli la tassa che esige, la moneta con il suo profilo inciso, perché è tutto quello che gli spetta, un pezzo di metallo che presto avrà un modesto valore numismatico.

Se non nell'al di là, che paradiso si può promettere in terra?
La terra, il pianeta, è un prodigio del sole, un posto di meraviglie impossibili da enumerare. La nostra presenza di recente lo va degradando a Purgatorio, con reparti di Inferno. Siamo contemporanei delle più intense e assortite intossicazioni sconosciute, diffuse dal sistema di sviluppo, che gode per questa nobile funzione di piena impunità. Prima di questo avvento moderno, la terra era il Paradiso della vita animale e vegetale. Dove altro cercarlo? Ancora qui, ancora adesso, e in nessun aldilà.

Non si rischia di ridurne l'alterità e il contrasto avvicinandolo troppo a noi?
La spada alla quale si riferiva prima, citando Matteo, non è la guerra, quella c'era già e non servivano supplementi. Leggo invece l'estrazione di una spada simbolica, che assegna i meriti e pareggia i torti, la spada di un'autorità morale che produca conversioni e ravvedimenti. Da questo punto di vista Papa Francesco è la spada sguainata di una chiesa nuova.

Francesco è andato a Lampedusa, dove arrivano i migranti, predicando di stare dalla loro parte. Molti italiani impoveriti, però, si riconoscono nelle parole: "Prima noi".
Prima veniamo noi è un ragionamento che proclama l'evidenza: ovvio che prima vengono i residenti, i nativi, infatti sono loro i primi che possono andare a raccogliere il pomodoro, assistere agli anziani, tenere piccoli esercizi commerciali aperti ventiquattr'ore. Dopo di che, in loro assenza, rifiuto, rinuncia, arriva la supplenza dei secondi. Si tratta di supplenti, non di usurpatori di posti. Non è razzismo dire: "Prima noi". È accanimento su qualunque soggetto più debole, in condizione di inferiorità. Il razzismo è ripudio di razza anche se fornita di censo. Da noi invece l'emigrato arabo è sospetto, l'emirato arabo è invece riverito nel più servile dei modi.

La sinistra – dalla cui storia lei viene – potrebbe imparare qualcosa da Cristo?
Vanno in Chiesa la domenica, mi sembra, gli ultimi capi di governo a guida PD. Quello che serve alla sinistra è dare sostanza di azione alla trinità laica espressa dalla Rivoluzione Francese: libertà, uguaglianza, fraternità. Su questo si misura o abdica una forza progressista.

C'è qualcosa anche da dis-imparare da Cristo e dal cristianesimo?
Ognuno ha imparato da Cristo, senza riuscire a ripetere la lezione, scordandola, balbettandola, contraddicendola nel momento della verifica. Proveniamo da una lunga tradizione che porta il suo nome e che ha dovuto molte volte scusarsi di averlo nominato invano. Io disimparo per inadeguatezza, per disattenzione, per un mucchio di deficit, che in latino vuol dire ciò che manca. Resto un lettore di storie sacre, perché quei libri hanno innalzato la forza della parola a strumento di creazione. "E disse": è il verbo più frequente della divinità dell'Antico Testamento. La parola è l'azione più significativa della vita di Cristo.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/12/25/erri-de-luca-gesu_n_13850064.html?utm_hp_ref=italy
5853  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / ADRIANO SOFRI - Fra prevenzione e chirurgia inserito:: Dicembre 29, 2016, 12:01:14 am
Opinioni
Adriano Sofri   
24 dicembre 2016

Fra prevenzione e chirurgia

C’è un tempo della chirurgia: nella notte milanese, nella Siria e nell’Iraq del Califfato, e purtroppo in tanti altri angoli d’agguato. E c’è un tempo della prevenzione, della comprensione, del confronto.

Ci sono persone che anche di fronte a crimini atroci come il massacro di Berlino e l’assassinio del bravo camionista polacco non rinunciano a interrogarsi sulle «nostre colpe»: le colpe di un occidente che ha nella sua storia antica e recente colonialismo, razzismo, guerre d’interesse… Bisogna rallegrarsi che esistano persone così, a condizione di riconoscere l’equivoco in cui incorre la loro interrogazione. C’è un tempo in cui un invasato affiliato a qualunque fanatismo e armato di qualunque arma, kalashnikov o coltello o aereo o camion, vi si para di fronte per ubriacarsi del vostro e del suo martirio.

Qualunque storia ve l’abbia portato di fronte, c’è una cosa sola da fare, con ogni mezzo: fermarlo. Ucciderlo, anche, prima che continui a uccidere, per dirlo con le parole intere. È successo nella strada di notte di Sesto San Giovanni. È così per un invasato ed è così anche per un intero esercito di invasati che si fa Stato e rende abitudine collettiva e disciplinata l’impulso alla ferocia che può impadronirsi di un individuo, e si compiace di uccidere all’ingrosso e darne spettacolo e farne la chiave del proprio reclutamento. L’intero sedicente Stato Islamico in Siria e in Iraq ci sta di fronte come lo scellerato Anis Amri nella notte milanese. Allo Stato Islamico si è consentito di imperversare per anni senza che l’equivalente di una brava pattuglia di polizia andasse a fermarlo. In questa incredibile inerzia l’equivoco sul tempo dell’interrogazione sulle «nostre colpe» ha avuto il suo peso.

L’equivoco è micidiale. Ma non è meno micidiale il suo contrario. Il suo contrario è il rifiuto a misurarsi con la strada che ci ha portato di fronte questi nemici giurati. Non intendo spiegare il fanatismo assassino con la povertà o l’ignoranza o le ingiustizie sociali. Non solo perché i campioni del fanatismo assassino sono spesso benestanti e saputi e spregiatori della giustizia, a partire dall’iniquità più abietta, la soggezione delle donne. Ma soprattutto perché la spiegazione “sociale” diventa facilmente giustificazione, e cancella la parte ultima di libertà e di responsabilità che non può essere negata neanche al più povero e ignorante degli assassini.

La differenza somiglia a quella fra la medicina preventiva e la chirurgia. C’è un tempo della chirurgia: nella notte milanese, nella Siria e nell’Iraq del Califfato, e purtroppo in tanti altri angoli d’agguato. E c’è un tempo della prevenzione, della comprensione, del confronto. Il nostro spicchio di mondo si è rassegnato a contrapporsi fra pietà e spietatezza, fra inerzia e azione, rese esclusive e nemiche. Come una medicina fatta solo di sale chirurgiche, o solo di medici di famiglia.

Anis Amri è morto e la sua storia, piuttosto la sua fedina penale, viene raccontata come un itinerario che annunciasse inesorabilmente fin dallo sbarco a Lampedusa il mercatino natalizio di Berlino. Non è così. Non è così nemmeno nelle fiamme che appiccò ai centri di accoglienza, nemmeno nella minaccia: «Ti taglio la testa», proferita contro un compagno di galera «cristiano».

Quel «Ti taglio la testa» suona oggi come un anticipo di Califfato: troppa grazia. Solo di recente si è cominciato a discutere seriamente delle carceri come culla di «radicalizzazione» islamista. Fino a poco fa erano rare le carceri in cui fra le persone addette alla custodia e alla risocializzazione figurasse uno solo che parlasse e ascoltasse l’arabo. Eppure era chiaro che nelle galere si giocava una partita delicatissima.

Permettetemi di ricorrere alla mia personale esperienza, e di citare alcune delle cose che scrissi innumerevoli volte da lì. Così, per esempio, quindici anni fa: «Ormai la maggioranza dei miei coinquilini /in carcere/ sono stranieri, maghrebini i più. Giovanissimi quasi tutti. Sono arrivati da clandestini, gli piaceva l’Europa, la vita europea. Una volta arrivati hanno trovato la droga, da spacciare e da consumare, le due cose insieme. Lo spaccio è fra i famosi lavori degradati che gli italiani non vogliono fare più… Vengono in galera per questo, i ragazzi maghrebini; tranne qualche algerino più all’antica, che fa il borseggiatore. L’islam per loro è una certezza assente, rinviata a un’età più matura. Non si sognerebbero nemmeno di non credere in Allah, o di bestemmiarlo; ma non si sognano nemmeno di pregarlo le cinque volte, tranne pochissimi. Benché l’Italia che sognarono sia ora la galera, non si rassegnano a non sognarla più; e a fratelli e sorelle scrivono che abitano in Italia –non è una bugia. Fanno il tifo per le squadre italiane, a volte già prima di arrivare: per l’Inter, la Juventus, il Milan, la Fiorentina. Lo fanno anche più degli italiani. Il tifo calcistico è la più facile, e forse l’unica accoglienza che l’Italia offre loro.

Sono extracomunitari e irregolari, ma almeno interisti e juventini. Perfino al campionato del mondo oscillano fra la loro nazionale, se c’è, e quella italiana. Sono pronti a quel patriottismo dei nuovi arrivati che l’America seppe promuovere così sagacemente. Se ci fosse una chiamata alle armi, si arruolerebbero per primi e correrebbero alle frontiere. Si potrebbe prendersi qualche cura di loro, non per bontà (non è facile esser buoni, succede a pochi) ma perché in fondo sono spesso il fiore della gioventù dei loro paesi, e ci farebbero comodo. Per fare i lavori che noi non vogliamo più (non solo lo spaccio) e anche per fare il nostro gioco presso il mondo nemico. Degli stranieri che vengono da noi non si può pensare davvero che non vengano affatto. Allora possono succedere tre cose, in sostanza. Che una maggioranza fra loro venga, si trovi un suo posto, si porti la sua famiglia, si tenga i suoi costumi, e viva pacificamente fra noi, senza pretendere esoneri dalle nostre leggi, senza che noi ci illudiamo troppo di assimilarli alla nostra cultura. Che una minoranza fra loro si radichi fa noi, sia aperta e curiosa della nostra cultura, ne apprezzi le cose migliori, e se ne faccia ambasciatrice a casa sua: e quei ragazzi coi quali vivo qui dentro sarebbero spesso candidati idonei a questo proposito. Che un’altra minoranza viva fra noi coltivando un ripudio e un odio per il nostro modo di vita, e si faccia avanguardia militante della guerra islamista contro la nostra parte di mondo. In generale, noi non ci mostriamo interessati a questi possibili esiti. I nostri comportamenti ‘spontanei’ congiurano contro di noi».

Scrivevo così, per esempio, più di quindici anni fa. Oggi è diventato tutto più difficile, ma non ha smesso di essere vero.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/fra-prevenzione-e-chirurgia/

5854  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / Marco Esposito - Le troppe bugie della destra su Sesto San Giovanni inserito:: Dicembre 28, 2016, 11:59:52 pm
Marco Esposito   
· 27 dicembre 2016

Le troppe bugie della destra su Sesto San Giovanni

L’uccisione del killer di Berlino ha risvegliato i peggiori istinti della destra contro una comunità in cui invece l’integrazione sta funzionando

Dopo l’uccisione del killer di Berlino avvenuto a Sesto San Giovanni, il centrodestra ha dato prova del peggio di sé nel tentativo mal riuscito di cavalcare la paura e l’insicurezza in modo grezzo e strumentale.

A partire da dichiarazioni sulla nostra città rappresentata come “covo del terrorismo” fino ad arrivare alla presenza del candidato sindaco del centrodestra Roberto Di Stefano alla trasmissione Dalla vostra parte su Rete Quattro, nella quale si è finto un cittadino che attacca l’amministrazione e una volta smascherato dall’onorevole Simona Malpezzi, ha abbandonato frettolosamente la diretta.

Si sono susseguite anche dichiarazioni volgari sul Centro culturale islamico in costruzione e sul fatto che Sesto San Giovanni sarebbe la testa di ponte del terrorismo internazionale. Rigettiamo con forza queste dichiarazioni, che hanno il solo obiettivo di esasperare un clima di comprensibile incertezza a causa di uno scenario complesso che non ci può vedere esenti dal rischio di attentati.

A Sesto San Giovanni rivendichiamo un modello di integrazione positiva che vede le comunità sul nostro territorio pienamente coinvolte nel pieno rispetto dei diritti e dei doveri dei cittadini. In questo contesto lavora anche la comunità islamica sestese che si sta costruendo, a proprie spese e dopo aver seguito tutto l’iter amministrativo necessario, un Centro culturale aperto alla città, con aree aperte e fruibili per tutti: sono previste ad esempio una biblioteca e altri spazi di condivisione. All’interno del centro culturale ci sarà anche un luogo di culto per le persone di fede musulmana che raccoglierà circa cinquecento persone. Dunque uno spazio ben diverso da quello raccontato negli ultimi giorni.

La Lega Nord non ci ha risparmiato nemmeno la presenza del segretario Matteo Salvini, che seguito dalle sue pochissime truppe cammellate – com’è possibile vedere in foto – è planato su Sesto San Giovanni con invettive razziste e senza conoscere la storia della nostra città Medaglia d’oro alla Resistenza e capace di cercare, ogni giorno, soluzioni ai problemi del presente, coinvolgendo con responsabilità il proprio tessuto sociale.

Siamo orgogliosi del lavoro svolto dalle forze dell’ordine che, attraverso il loro capillare presidio sul territorio, hanno ucciso un terrorista internazionale che ha percorso indisturbato mezza Europa e di quello dell’amministrazione comunale che insieme ai partiti di maggioranza, continua a raccogliere la sfida di un modello di integrazione nel pieno rispetto delle leggi vigenti del nostro Paese.

*l’autore è segretario del Pd di Sesto San Giovanni

Da - http://www.unita.tv/opinioni/sesto-san-giovanni-immigrati-terrorismo-salvini-bugie/
5855  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / Davide RICCA. Il vento non si ferma con un patto correntizio inserito:: Dicembre 28, 2016, 11:58:25 pm

Il vento non si ferma con un patto correntizio
Pubblicato: 27/12/2016 15:52 CET Aggiornato: 1 ora fa

Non è così complicato rintracciare nel centrosinistra degli ultimi venti anni, o poco più, il percorso attorno al quale si è mosso chi ha spinto sul significato forte e di rottura che le riforme avrebbero potuto rappresentare per il cambiamento del Paese. Un percorso che ha visto, prima in Romano Prodi e ora in Matteo Renzi, le sue icone e principali figure di riferimento.

Un sottile filo rosso di coerenza che, attraversando l'Ulivo e le sue evoluzioni e involuzioni, si è spinto fino a noi, e le cui tracce possono essere scorse nel movimento nato e sviluppatosi attorno alla Leopolda.

Oggi come ieri, però, la strada del cambiamento sembra interrompersi bruscamente. Dico "sembra" perché chi dava per sconfitto Prodi si è dovuto ricredere alle elezioni europee del '99, e così succederà a chi oggi dà per sconfitto Renzi.

È anche vero che chi credeva che la traiettoria rinnovatrice di Renzi fosse inesorabile e consolidata, e chi vi scrive è tra quelli, oggi si interroga sul perché di una sconfitta così netta. Una sconfitta che, a differenza di quella di Romano Prodi del '98, non è avvenuta semplicemente dentro logiche e manovre di palazzo, ma ha avuto luogo in campo aperto, nella vittoria netta del "No" durante l'ultima consultazione referendaria. Una sconfitta ancora più bruciante se si pensa che proprio all'interno del movimento referendario, da Segni in avanti, ha avuto origine il percorso riformatore del centrosinistra italiano.

Sarebbe troppo facile dare la colpa a Massimo D'Alema, anche se la tentazione c'è tutta. È vero che quando c'è da interrompere o far fallire il percorso delle riforme lui è sempre presente: la caduta di Prodi, il fallimento della commissione bicamerale, il No all'ultimo referendum. Come sempre D'Alema ha cercato di massimizzare il risultato, contribuendo alla sconfitta del proprio avversario interno. Per lui è sempre stato più semplice azzoppare i competitor del proprio schieramento (Prodi, Veltroni, Renzi) piuttosto che sconfiggere quelli del campo avverso: cosa, infatti, che non gli è mai riuscita.

Ma no, la colpa questa volta non è di D'Alema, il tema è un altro. Voglio concentrarmi su tutti coloro che hanno votato No perché delusi dalla "mancata rottamazione". Non so se convincerli sarebbe servito a recuperare più di 2 milioni di voti, ma di certo per comprendere la trasformazione e l'involuzione temporanea della parabola di Renzi bisogna passare da qui.
Sono in tanti, infatti, che rimproverano all'ex presidente del Consiglio di non aver fatto abbastanza, di non aver rottamato i vecchi arnesi della politica, di avere fatto troppi accordi. Era inutile nei giorni della campagna referendaria replicare. L'onda montava e Renzi era il male da abbattere: "il compromesso" il suo peccato.

Ci troviamo di fronte a una sorta di eterogenesi dei fini. Hanno votato "No", e quindi per la conservazione dello status quo, molti che imputano a Renzi di non "avere cambiato tutto". Inutile spiegar loro che ora i costi della politica, la lentezza del percorso legislativo, i politici di professione sono temi che sono usciti dall'agenda politica dell'"adesso" per nascondersi in quella del "poi".

Renzi ha aperto molti spazi nel mercato del lavoro, ha avviato un'azione riformista pari solo a quella del primo governo Prodi, ha generato opportunità, ma va ammesso che Renzi non è riuscito a svuotare il vaso dei cosiddetti diritti acquisiti, della politica subalterna alla magistratura, dell'intoccabilità e inviolabilità dei corpi intermedi.

È del tutto inutile provare a dare opportunità a chi non ce l'ha, principalmente ai giovani, se gli spazi sono tutti occupati e inaccessibili. Troppa disparità tra i pensionati del retributivo che continuano a bivaccare sui sacrifici di quelli del contributivo. Il primo governo Renzi non è riuscito a sanare le ingiustizie di quel tradimento generazionale. Non a caso pare che proprio i più giovani siano tra coloro che hanno contribuito alla vittoria del No. Dicevamo, appunto, l'eterogenesi dei fini.

Eppure l'ex sindaco di Firenze è stato perfettamente coerente con i propri principi. Ha governato nella convinzione delle giustezza delle idee cardine del proprio mandato congressuale e, come promesso, non ha organizzato una propria corrente nel partito; altra cosa che lo rende molto simile a Romano Prodi. Già, molti di quei No "delusi da Renzi" ricordino che non esiste una corrente di stretta osservanza renziana organizzata, ne esistono altre che hanno sì sostenuto il giovane di Rignano, ma non una sua. Gli stessi gruppi parlamentari sono figli della segreteria Bersani, non di certo di quella Renzi. E guarda te che caso, neanche Prodi controllava i gruppi parlamentari.

Il tempo in politica non è una variabile indipendente, le cose vengono dimenticate troppo presto e anche la quantità di riforme fatte in così poco tempo rischia di far perdere quale sia stata la portata del governo Renzi per il Paese. Risultato?

- Oggi abbiamo un segretario senza corrente, come abbiamo potuto notare durante l'ultima Assemblea Nazionale.

- Oggi abbiamo un segretario senza gruppi parlamentari, e lo vedremo dalla difficoltà con cui si riuscirà, se si riuscirà, ad andare ad elezioni in un breve lasso di tempo.

- Oggi abbiamo un segretario solo, contro il 60% del Paese, e in molti continuano a dire che il restante 40% non è suo.

- Potremmo quasi dire che oggi abbiamo un segretario isolato dalla sua coerenza.

Tanto tempo fa scrivevo di prendere molto sul serio il programma di Renzi. Di certo in questo modo ora non riconquisterò dei "No" al "Sì", ormai è scaduto il tempo massimo. Resto, però, convinto che il vento non si ferma con le mani e neanche con delle tattiche o dei patti interni, più o meno intelligenti, siglati al Nazareno.

Prodi dopo il 1998 fece un proprio partito, ma non c'era il Pd. Oggi "i democratici" esistono, ma il Pd sembra ancora quello della fusione a freddo tra le correnti. È dalla riforma del partito che si deve partire. Dalla vocazione maggioritaria, non solo esterna, ma anche interna. E ci vorrà tempo. Ci vorrà un congresso che apra ai molti che ancora non si riconosco in questo Pd, ai molti che hanno votato Sì e che devono trovar casa in un partito che si candida ostinatamente a governare e non semplicemente a rappresentare. Se non succederà questi andranno altrove.

Da - http://www.huffingtonpost.it/davide-ricca/il-vento-non-si-ferma-con-un-patto-correntizio_b_13859676.html?utm_source=Alert-blogger&utm_medium=email&utm_campaign=Email%2BNotifications
5856  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / VALENTINA CONTE Lavoro: si cambia, per scongiurare il referendum sul Jobs Act. inserito:: Dicembre 28, 2016, 11:48:58 pm
Lavoro: si cambia, per scongiurare il referendum sul Jobs Act.
E sui voucher più vincoli e multe
Allo studio dell'esecutivo le ipotesi per evitare la consultazione referendaria.
E da gennaio addio all'indennità di mobilità: 185 mila a rischio

Di VALENTINA CONTE
27 dicembre 2016

ROMA -  Abbassare i tetti, aumentare controlli e sanzioni. Il governo è pronto a una stretta sui voucher, i ticket da dieci euro lordi nati per pagare i lavoretti, diventati dopo la liberalizzazione normativa il simbolo della nuova precarietà e della protesta contro le politiche del lavoro dell'esecutivo Renzi. I margini per intervenire non sono molti, a meno di smontare lo strumento. Ma qualcosa si deve pur fare, ragionano a Palazzo Chigi.

La ripresa non decolla, i disoccupati non schiodano da quota tre milioni, mentre i buoni lavoro si impennano a 121 milioni venduti in ottobre, nuovo record. Non solo. Dal primo gennaio vanno in archivio l'indennità di mobilità, la cassa integrazione in deroga e pure la Discoll, l'ammortizzatore per i collaboratori. Reti importanti di protezione, specie la prima. Che la Naspi, il sussidio unico, potrebbe non soppiantare del tutto, di fronte ai licenziamenti collettivi del settore industriale. Il mercato del lavoro ha dunque bisogno di un segnale urgente. Prima che siano le urne a darlo, con i tre referendum promossi dalla Cgil (ritorno all'articolo 18, abolizione dei voucher, corresponsabilità negli appalti) e sulla cui ammissibilità si esprimerà la Corte Costituzionale.

La parola d'ordine a Palazzo Chigi in queste ore è "attendere". Aspettare cioè il primo (imminente) monitoraggio sulla tracciabilità dei ticket. E la decisione della Consulta dell'11 gennaio. Le tabelle Inps vengono giudicate essenziali per capire se l'obbligo (da ottobre) per il datore di lavoro di mandare l'sms o la mail un'ora prima di impiegare il voucherista funziona da deterrente o no. Senza il conforto di numeri calanti, il ministro del Lavoro Poletti si dice pronto a "rideterminare dal punto di vista normativo il confine del loro uso". Ma sarà solo la pronuncia della Corte a stabilire quanto in profondità incidere. Di fronte all'ammissibilità di tutti i quesiti, la questione dei voucher sembrerà poca cosa rispetto alla possibilità che crolli l'intero Jobs Act. Ma se, come pronostica il governo, dovesse passare solo la richiesta di abolire i voucher, a quel punto una modifica sui ticket diverrebbe obbligata. Si vedrà come. Riportando il tetto massimo di introiti per il lavoratore a 5 mila euro (da 7 mila) o più basso. Inasprendo i controlli mirati, per stanare i datori che rimpiazzano i contratti con i buoni. Aumentando le sanzioni pecuniarie. Soluzioni tutte plausibili, ma bifronti (rischio impennata del nero) se non ben calibrate.

La fine della mobilità - prevista dalla Fornero e confermata dal Jobs Act - viene vista con allarme dai sindacati. La Uil calcola in 185 mila i lavoratori attualmente in mobilità che nel 2017 non entreranno nella lista speciale che da 25 anni consente ricollocazioni agevolate. Insieme allo strumento, spariscono infatti pure gli sconti contributivi riservati alle imprese che assumono lavoratori in mobilità. Cosa ne sarà di loro? "Riceveranno la Naspi, più generosa nella maggioranza dei casi della mobilità", assicura Stefano Sacchi, presidente Inapp, l'ex Isfol. "Le aziende poi risparmieranno sul costo del lavoro, perché non dovranno più versare lo 0,30% per la mobilità, circa 600 milioni". Ma "alle imprese a quel punto converrà licenziare sempre, così risparmiano pure sul ticket per la cassa integrazione, nel frattempo raddoppiato: è un meccanismo infernale", avverte Guglielmo Loy, segretario confederale Uil. Ci sarebbe l'assegno di ricollocazione che scatta dopo quattro mesi di Naspi. "Le prime 30 mila lettere partiranno a gennaio", conferma Maurizio Del Conte, presidente dell'Anpal, l'agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro. "Entro il 2017 puntiamo a contattare tutti i lavoratori - circa 900 mila - con i requisiti. Le politiche attive sono l'unico modo per scongiurare impatti negativi dalla fine della mobilità".
Gli sgravi contributivi per far ripartire le assunzioni nel Sud

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27 dicembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/economia/2016/12/27/news/voucher_mossa_del_governo_ci_saranno_piu_vincoli_e_multe-154911868/?ref=HRER3-1
5857  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Stefano Minnucci Dopo Mps e Sud, Gentiloni rilancia il tema della ricostruzione inserito:: Dicembre 28, 2016, 11:44:08 pm
Focus
Stefano Minnucci  -  @StefanoMinnucci
24 dicembre 2016

Dopo Mps e Sud, Gentiloni rilancia il tema della ricostruzione

Il premier nelle zone del terremoto: “Incredibile gioco di squadra”. Nei primi giorni di attività il governo sta confermando tutte le priorità indicate al Parlamento

“Mentre prendiamo l’impegno a tenere in cima alla nostra agenda il tema ricostruzione dobbiamo anche essere molto ottimisti dopo aver fatto questa visita questa mattina, perché ho visto un gioco di squadra incredibile tra tutte le istituzioni coinvolte”. Così il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni in visita nelle zone colpite dal sisma: Amatrice, Norcia e San Ginesio. “Si lavora insieme, le forze armate, la Protezione civile, i volontari, i Vigili del fuoco, il personale sanitario, le Regioni. C’è un gioco di squadra all’italiana di cui dobbiamo essere orgogliosi”.

Nei primi giorni della sua attività, il governo sta confermando una alla volta tutte le priorità indicate al Parlamento, sulle quali ha ottenuto la fiducia delle Camere. Il premier, nel suo pragmatico discorso del 13 dicembre, aveva parlato di precise urgenze a cui far fronte: banche, Sud, sisma e lavoro. Va dato atto al nuovo esecutivo che in dieci giorni ha affrontato prima la vicenda di Monte dei Paschi di Siena, dando il via libera a un decreto che porterà un po’ di calma all’intero sistema creditizio italiano, poi (ieri) ha varato un decreto dedicato al rilancio e alla tutela sociale e sanitaria del Sud, con particolare attenzione all’area di Taranto.

E oggi, vigilia di Natale, ha visitato le zone del sisma per stare vicino alle popolazioni colpite, assicurando che le risorse per la ricostruzione ci sono e ringraziando tutte le istituzioni. “Non dobbiamo limitarci a riparare i danni – ha spiegato il premier –, a dare assistenza alle persone in difficoltà, a ripristinare i servizi essenziali con le scuole prima di tutto, ma dobbiamo pensare al futuro, immaginare che questa ricostruzione sia capace di valorizzare le vocazioni dei nostri territori”.

È ancora troppo presto per provare a fare un bilancio sull’azione di governo, questo è chiaro. È come se ci trovassimo ancora sulla scia del suo insediamento. Ma allo stesso tempo non si può nascondere la sua spinta propulsiva, a dispetto di quanto affermavano inizialmente alcuni osservatori. Si potrà infatti discutere sulla durata dell’incarico, ma non si potrà certo negare la sua concretezza nel prendere di petto le varie impellenze in questa complicata fase iniziale.

Da - http://www.unita.tv/focus/dopo-mps-e-sud-gentiloni-rilancia-il-tema-della-ricostruzione/
5858  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Renzi e “l’accozzaglia”, oggi. I numeri e la politica inserito:: Dicembre 28, 2016, 11:42:37 pm
Renzi e “l’accozzaglia”, oggi. I numeri e la politica
Il voto referendario sembra dunque aver congelato gli schieramenti in campo: e il suo risultato ha confermato nelle proprie convinzioni la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica

Il referendum del 4 dicembre ha davvero rivoluzionato il paesaggio politico italiano, rilanciando la corsa del Movimento 5 stelle verso il governo e lesionando gravemente la figura e il potenziale elettorale di Matteo Renzi? Nonostante le analisi – o gli auspici – di qualche frettoloso commentatore, sembrerebbe proprio di no.

“Sorprende un poco, anzi, non poco, questo sondaggio – scriveva Ilvo Diamanti ieri su Repubblica commentando l’ultimo sondaggio Demos –, perché, dai dati delle interviste, non sembra sia cambiato molto, nell’orientamento degli elettori. Verso il governo, verso i partiti, verso lo stesso Renzi. Nonostante le grandi polemiche e le mobilitazioni che, negli ultimi mesi, hanno opposto il ‘fronte del Sì’ e il ‘fronte del No’, le stime di voto non mostrano cambiamenti significativi rispetto alle settimane prima del referendum. Il Pd – malgrado la ‘sconfitta personale’ del leader – risulta stabile, primo partito, appena sopra il 30%. Seguito dal M5S, quasi 2 punti sotto. In calo di poco più di un punto”. Neppure il gradimento di Renzi ha subito scosse: anzi, secondo i dati raccolti da Diamanti sarebbe addirittura salito di un punto, al 44%, mentre Beppe Grillo resta lontano al 31%.

Il voto referendario sembra dunque aver congelato gli schieramenti in campo: e il suo risultato ha confermato nelle proprie convinzioni la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica. Vista da punto di vista di Renzi, la situazione è senz’altro di grande interesse. A leggere i giornali e a guardare i talk show, infatti, l’ex presidente del Consiglio appare circondato da una generale ostilità, la sua parabola politica si sarebbe già ingloriosamente conclusa, e le possibilità di ritorno sulla scena sarebbero assai limitate. Al contrario, lo studio di Diamanti dimostra che il consenso di Renzi è rimasto intatto e che il suo partito gode della fiducia di poco meno di un terzo dell’elettorato.

L’idea di abbattere il renzismo per via referendaria, accarezzata tanto da Grillo e dalla Lega quanto dalla minoranza del Pd, sembra dunque rivelarsi illusoria. Renzi ha perso consenso nel corso dell’ultimo anno e mezzo – e infatti ha perso il referendum –, ma lo “zoccolo duro” di cui dispone, probabilmente galvanizzato proprio dalla sconfitta, lo colloca tuttora al centro del paesaggio politico. In queste condizioni, e tanto più se si dovesse votare con una legge di impianto proporzionale, la prossima legislatura ricomincerebbe là dove si è interrotta: con una forza politicamente omogenea, guidata da un leader riconosciuto, che gode del consenso della maggioranza relativa dell’elettorato, e un’“accozzaglia” numericamente forte ma politicamente debolissima e strutturalmente incapace di offrire un’alternativa di governo.

Da - http://www.unita.tv/focus/renzi-e-laccozzaglia-dopo-il-referendum-numeri-alla-mano-2/
5859  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / MAURIZIO MOLINARI Addio all’anno rivoluzionario Che cosa è successo nel 2016 inserito:: Dicembre 28, 2016, 11:40:19 pm
Addio all’anno rivoluzionario   
Che cosa è successo nel 2016

Pubblicato il 25/12/2016
Maurizio Molinari

Con il 2016 si chiude un anno rivoluzionario che ha visto la Storia accelerare al punto da mettere a dura prova la nostra capacità di comprenderla ma rendendo più avvincente la possibilità di descriverla. I cambiamenti sono stati a tutto campo. 

Sul fronte della politica l’Unione Europea per la prima volta ha perso una nazione - la Gran Bretagna - per volontà dichiarata dei suoi elettori, gli Stati Uniti hanno eletto presidente Donald J. Trump ovvero un tycoon estraneo ad ogni partito politico e quasi il 70 per cento degli italiani ha colto l’occasione di un referendum per esprimere in maniera schiacciante scontento nei confronti del governo innescando un cambio di premier: si tratta di tre frutti del crescente scontento del ceto medio nelle democrazie avanzate dovuto a impoverimento, disagi e carenza di protezione sociale. Sul fronte della sicurezza gli attacchi dei jihadisti nelle città dell’Occidente - da Nizza a Bruxelles fino a Orlando - testimoniano la violenza spietata di un movimento terroristico che punta a colpire noi per conquistare il potere nel mondo arabo-musulmano. Spingendo alla fuga verso l’Europa una massa di migranti in cerca di pace e prosperità. 

Il dramma di Aleppo, l’ecatombe in Siria e le fosse comuni disseminate dall’Iraq alla Libia descrivono l’immensità del dolore che i jihadisti riversano sul mondo dell’Islam nel tentativo di sottomettere oltre un miliardo di anime ad un dispotismo oscurantista. 

Sul fronte dei costumi collettivi il trionfo dei PokemonGo, la folla che cammina sull’acqua grazie alle invenzioni di Christo e la passione per il turismo spaziale suggeriscono come l’innovazione sta per raggiungere l’immaginazione. E bisogna guardare all’orizzonte della scienza per comprendere quanto lontano possiamo arrivare: l’agricoltura verticale capace di produrre raccolti indipendentemente dalle stagioni, la protezione legale in America degli investimenti privati sui corpi celesti, i piani per l’esplorazione cosmica oltre il Sistema Solare, l’uso di grandi telescopi per studiare il comportamento degli abitanti delle megalopoli e la ricostruzione hi-tech degli organi umani fuori del corpo per poter sconfiggere le malattie ancora incurabili suggeriscono come la creatività dell’uomo sta raggiungendo frontiere che sfidano la fantasia. Negli ultimi 12 mesi abbiamo raccontato fatti, storie, retroscena ed emozioni di questo anno rivoluzionario grazie ad una conversazione costante con i nostri lettori - sulle piattaforme digitali, sulla carta come in incontri faccia a faccia, nei quartieri e sul territorio - perché quando la Storia accelera l’interazione fra chi scrive e chi legge aumenta, diventa più intensa e consente di raccontare meglio ciò che ci avviene intorno. Quando si tratta di tragedie naturali come i terremoti che hanno flagellato l’Italia Centrale e le alluvioni che hanno colpito il Nord-Ovest ma anche quando la sfida è raccontare le imprese degli eroi olimpici o dei protagonisti del grande intrattenimento. 

Sono queste ragioni a spiegare perché il 2016 è stato tanto intenso quanto istantaneo: ha cambiato le nostre vite in maniera tale da spingerci a guardare in avanti con indubbia curiosità a cosa ci riserverà il 2017.

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Da - http://www.lastampa.it/2016/12/25/cultura/opinioni/editoriali/addio-allanno-rivoluzionario-jcLkXjvoNC6ege3jTDEhjP/pagina.html
5860  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Anna Rita Leonardi - Il mio Pd faccia tesoro degli errori inserito:: Dicembre 28, 2016, 11:38:10 pm
Anna Rita Leonardi - @AnnaLeonardi1
· 27 dicembre 2016

Il mio Pd faccia tesoro degli errori
Si recuperi il senso di fare politica fra la gente

Questo 2016 ci ha messo a dura prova, sotto tutti i punti di vista.
Molte volte abbiamo pensato di arrenderci, ma ogni volta abbiamo capito che rialzarsi era l’unica cosa che volevamo.
Ce l’abbiamo fatto, ce la faremo sempre.

Ma ad ogni nuovo inizio corrisponde una ripartenza; e per ripartite bisogna fissarsi degli obiettivi.

Per l’anno nuovo, vorrei che ognuno di noi vivesse i rapporti umani con gioia e serenità. Nessuna sopraffazione né superiorità di sorta, solo lunghi sorrisi e freddi saluti quando serve.
Vorrei che ogni bambino, donna o ragazzo che lotta per la vita, trovasse qui accoglienza e pace, senza doversi sentire mortificato dagli xenofobi di turno o dai mentitori professionali.

Vorrei che la politica, tutta, si concentrasse solo su idee e proposte per il Paese, e che tutti i movimenti ed i partiti che fondano il loro consenso elettorale su odio e violenza, capiscano che lo scontro politico e l’insulto non possono coesistere in un mondo che ha bisogno di pace.

Vorrei che il mio Partito Democratico facesse tesoro degli errori commessi e delle cose buone fatte. Vorrei che riprendesse in mano il senso di fare politica tra la gente, e che smettesse di affidarsi a baroni e notabili che, specialmente al Sud, hanno da sempre fatto solo i propri interessi. Si cresce non se si cambia faccia e nome ai problemi, ma se si comprende l’errore e lo si supera con intelligenza.

L’Italia ha un patrimonio enorme di risorse umane, ed è a loro che dobbiamo restituire il sorriso e la voglia di fare.
Perché sia davvero un anno nuovo, e non il remake di un brutto film già visto troppe volte.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/il-mio-pd-faccia-tesoro-degli-errori/
5861  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Federica FANTOZZI. - Scalfarotto: “Norme di civiltà, con il bicameralismo ... inserito:: Dicembre 28, 2016, 11:35:58 pm
Interviste

Federica Fantozzi - @federicafan
· 27 dicembre 2016

Scalfarotto: “Norme di civiltà, con il bicameralismo sono a rischio”

Il sottosegretario alle Riforme e poi allo Sviluppo Economico con il governo Renzi: “Io sono pessimista, si impantaneranno, sull’omofobia non ci sono i numeri”

Ivan Scalfarotto, ex manager oggi politico a tempo pieno, in prima linea per i diritti Lgbt, è stato sottosegretario alle Riforme con il governo Renzi e poi allo Sviluppo Economico.

Ius soli, tortura, processo penale, cognome materno, omofobia. Leggi importanti su cui questo spicchio di legislatura deve imporre uno sprint se non vuole che finiscano nel nulla…

«La cosa particolare di queste leggi è che nel sistema disegnato dalla riforma costituzionale sarebbero state sicuramente varate. Invece sono un’eredità del bicameralismo paritario che ci terremo. Sono leggi “scomode”, di visione, di modernizzazione vera del Paese. Incidono sulle interazioni sociali, sulla vita e quotidianità delle persone».

Ovvero sono leggi di civiltà.
«E serve una vera leadership per approvarle. Noi abbiamo sofferto nelle ultime legislature perché alla Camera si riusciva a trasformare le intenzioni in fatti concreti, mentre al Senato la maggioranza era molto più debole. Almeno dal governo Prodi del 2006 che era appeso a un solo voto. Così Palazzo Madama è diventato il luogo dei compromessi, il porto delle nebbie».

Il governo di Prodi ha rappresentato anche il primo tentativo serio per portare a casa una legge sulle unioni civili. Ci fu lo scontro tra il premier “cattolico adulto” e il cardinal Ruini. Si tentò con i Dico e i Pacs. Oggi le Unioni Civili sono legge. Un miracolo?

«Sì. Un’eccezione. Intanto, sono state approvate prima dal Senato. Una volta riuscito quell’obiettivo, alla Camera sono passate facilmente. Montecitorio fa grandi salti in avanti, purtroppo Palazzo Madama spesso non segue. E poi le Unioni Civili sono state approvate con la fiducia. Grazie alla caparbietà di Renzi, al grandissimo lavoro di Zanda e Cirinnà, e a condizioni politiche favorevoli. Un mix di circostanze che al momento non vedo replicabile».

Lei è pessimista sul cammino delle leggi ancora in cantiere?
«Sì, si impantaneranno tutte. Non ci sono i numeri. Nei due anni ai Rapporti con il Parlamento con il ministro Boschi ho imparato una grande lezione: non si possono fare le leggi se non ci sono i voti. Adesso ci sono i voti sull’omofobia? No».

La vittoria del Sì al referendum avrebbe cambiato le cose in maniera radicale?
«Certo, ecco perché ho sostenuto in modo appassionato il referendum. Finalmente avremmo avuto un sistema in cui queste leggi sarebbero diventate la normalità e non un braccio di ferro. In prima lettura, passò un emendamento alla legge Boschi che manteneva il bicameralismo paritario su famiglia e salute e noi ci opponemmo con forza».

Qual era la ratio?
«Era una proposta della Lega, a scrutinio segreto, che poi modificammo alla Camera. La ratio era che volevano rendere il Senato non Camera delle autonomie bensì di garanzia. Ma finora è stato piuttosto una ragnatela che ha bloccato moltissimi provvedimenti».

Neppure una delle leggi in fieri vedrà la luce?
«Forse la riforma della procedura penale ce la farà. Forse una legge passerà. Ma se si considerano il tempo a disposizione e gli assetti politici, credo che sarà molto difficile. Peccato. Per modernizzare l’Italia servirebbe davvero un procedimento legislativo più snello».

Secondo lei, la legislatura dovrebbe arrivare fino alla fine per varare queste leggi oppure le dà per perse comunque?
«Io sostengo che sia meglio votare il prima possibile, tanto queste leggi non si faranno comuque. Il referendum ci ha detto cosa non vogliono gli italiani, non cosa vogliono. A quale progetto politico vogliono affidarsi? La lettura prevalente è che abbiano bocciato il governo Renzi, io credo che questa lettura debba essere vagliata dal voto».

Anche lei crede che di riforme costituzionali non si riparlerà per decenni?
«Sì, oggi non sono proponibili. Eliminare il bicameralismo o il Cnel? Ma se gli italiani hanno detto che li vogliono».

Da - http://www.unita.tv/interviste/scalfarotto-norme-di-civilta-con-il-bicameralismo-sono-a-rischio/
5862  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Luigi Di Gregorio Rottamato dal “clima di emozione” inserito:: Dicembre 28, 2016, 11:33:48 pm
Rottamato dal “clima di emozione”

Luigi Di Gregorio
27 dicembre 2016

“Sulla riforma costituzionale mi gioco tutto”. Con queste parole, ripetute più volte, Matteo Renzi ha condannato il suo governo a una fine anticipata, legata all’esito del referendum del 4 dicembre.

“L’Italicum lo copieranno in tutta Europa”. Oggi quella legge elettorale attende un giudizio – per molti negativo – della Corte costituzionale ed è già stata ampiamente messa in discussione da tutte le forze politiche, anche all’interno del partito dell’ex premier.

“Il jobs act non si tocca. Non si può dire: ragazzi abbiamo scherzato”. Pare, invece, che il governo Gentiloni stia lavorando a diverse modifiche all’impianto normativo per evitare che l’eventuale referendum abrogativo faccia a pezzi la riforma e dia un altro colpo “mortale” al Pd.

Cosa è successo? Che cosa ha trasformato, in pochissimo tempo, Renzi da rottamatore “smart” e di successo in una specie di perdente seriale? Molti dicono: “è la realtà che ha condannato Renzi”. Ora però, mi chiedo: quale realtà può aver bocciato una riforma costituzionale mai partita? E una legge elettorale mai utilizzata? Sul jobs act, poi, ci sono numeri e pareri discordanti. Io ho sempre pensato che sarebbe stato condannato da un’altra realtà (la stessa che condanna qualunque leader politico oggi, in Italia e nel mondo): la realtà mediaticamente determinata che produce il clima d’opinione.

Molto semplicemente, Renzi è passato da rottamatore vincente a rottamato perdente perché la sua immagine si è logorata in 3 anni di governo. Nessuno è in grado di sopravvivere, oggi, a 3 anni di governo senza perdere fiducia, credibilità e appeal sul popolo. Perché le opposizioni hanno “carta bianca” per sintonizzarsi con i nostri desiderata e perché i media cavalcano ogni notizia sensazionalistica (anche quando notizia non è) per venderci informazioni. E, solitamente, le cose positive non fanno notizia. Il tutto condito dalla crescita costante della post-truth society e della “bolla dei filtri”: un pezzo ampio della popolazione crede ormai a ciò a cui vuole credere (va oltre il vero e il falso, siamo al “così è, se mi piace”) e continua a (dis)informarsi in una bolla mediatica “su misura”, confezionata dagli algoritmi del web che a furia di personalizzare le nostre ricerche non fanno altro che chiuderci in un mondo pseudo-informativo fatto apposta per le nostre preferenze e non per risolvere i nostri dubbi e soddisfare la nostra curiosità. Se una verità non ci piace, spesso finiamo per convincerci ancora di più del suo contrario. Si chiama “backfire effect” in psicologia cognitiva, non mi dite che non avete ampie prove di questo atteggiamento…

In questo trionfo di bias cognitivi e in questa alluvione di stimoli, anche parlare di “opinione” sembra un eufemismo. Più che clima di opinione, infatti, sarebbe il caso di parlare di “clima di emozione”. Nessuna opinione maggioritaria pro-riforme costituzionali, pro-legge elettorale majority assuring, pro-riforma del mercato del lavoro può diventare nell’arco di pochissimo tempo indiscutibilmente minoritaria. Se lo è diventata è perché più che un’opinione sulle politiche del governo è un insieme di emozioni legate a una persona, Matteo Renzi.

Se prima tutto ciò che toccava diventava oro, oggi tutto ciò che ha toccato diventa un rottame. Questo fenomeno non può essere spiegato “razionalmente”, non può, cioè, essere un’opinione su opzioni di policy. È un’emozione, una sensazione generalizzata che ha cambiato verso. Come direbbe colui il quale ha cavalcato la prima ondata per crescere ed è rimasto inabissato sotto l’onda di ritorno.

“Volete il potere attraverso l’immagine? Allora perirete di ritorno di immagine”. Così scriveva Bourdieu diversi anni fa e oggi questo fenomeno sembra ancora più evidente. Vale per Renzi, ma vale per tutti. Chiunque ambisca a governare, è bene che sappia a cosa va incontro.

Da - http://www.glistatigenerali.com/governo_partiti-politici/rottamato-dal-clima-di-emozione/
5863  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Rudy Francesco CALVO. - La vocazione maggioritaria è davvero finita? inserito:: Dicembre 24, 2016, 08:56:38 pm

Opinioni

Rudy Francesco Calvo    - @rudyfc
· 22 dicembre 2016

La vocazione maggioritaria è davvero finita?

Proporzionale o no, solo un partito in grado di parlare a una fetta ampia di elettori può fermare i populismi e attuare le riforme che servono al Paese. Sarà questo un punto al centro del prossimo congresso

La vittoria del No al referendum costituzionale dello scorso 4 dicembre ha avuto come reazione immediata la riesumazione di vecchi istinti proporzionalisti, mai sopiti in certi ambienti trasversali alle forze politiche e presenti anche all’interno dello stesso Pd. Una strada che Matteo Renzi ha immediatamente cercato di sbarrare, riproponendo come base di discussione per il varo della nuova legge elettorale il vecchio Mattarellum, lo stesso che inaugurò la Seconda Repubblica a impronta maggioritaria. Fin qui, sembra assistere a un episodio di Ritorno al futuro.

Sia che il tentativo del leader dem abbia successo, sia che le prossime elezioni vengano celebrate con la legge che uscirà dalla sentenza della Consulta sull’Italicum, è evidente che una fase si è chiusa. Di questo è consapevole lo stesso Renzi e a questo sono costretti a rassegnarsi – in attesa di tempi migliori – anche i più convinti sostenitori del maggioritario. Torneranno le coalizioni, le alleanze (forse perfino quelle decise solo dopo il voto, con gli elettori che andranno alle urne ignari di quello che accadrà), torneranno cespugli e partitini in grado di condizionare con il loro pugno di parlamentari le scelte delle forze maggiori. Era davvero questa la richiesta dei 19,4 milioni di elettori del No? Difficile dirlo (e anche crederlo), certo è questo quello che hanno ottenuto. Contenti loro.

La domanda per chi ha sostenuto dall’inizio (e con sincerità) il progetto del Pd è piuttosto un’altra: ha ancora senso un partito a vocazione maggioritaria? Cioè, può il Partito democratico ambire ancora, in questo contesto, a rappresentare una porzione ampia di elettori, a far convivere al proprio interno linee politiche diverse ma convergenti, a coltivare un dialogo con tutte le forze produttive del Paese? O deve piuttosto rassegnarsi a ritrovare una propria constituency più ristretta (lo “zoccolo duro”) e a rappresentarne le istanze, appaltando ad altri il dialogo con il resto degli elettori di orientamento riformista? Sarà questo probabilmente il discrimine tra i candidati che si presenteranno al prossimo congresso.

Il tema è tutt’altro che teorico a ha molto a che vedere con l’organizzazione che il partito vuole darsi, con il programma che presenterà alle prossime elezioni, con la stessa classe dirigente e con le candidature che saranno messe in campo. Detto fuori dai denti, anche con la possibilità che si verifichi una scissione alla sinistra del Pd.

Nel contesto che abbiamo descritto, difendere la vocazione maggioritaria significa anche dare la possibilità ai Democratici di rappresentare il perno di un sistema politico che altrimenti rischia di finire alla mercé delle forze populiste, siano esse rappresentate dal disfattismo inconcludente dei Cinquestelle o dalla destra intollerante di Salvini. Per salvare il Paese da questa deriva, il Pd non può rischiare di ridursi a una forza marginale del 20-25%, costretta a fare i conti con alleanze eterogenee e ricattatorie, ma deve proseguire nella ricerca di un dialogo con quel 40,8% di elettori che lo votarono nel 2014 (con il sistema proporzionale delle Europee) e con quei 13,4 milioni di italiani che, scegliendo il Sì al referendum, hanno voluto manifestare la propria volontà di cambiare nel profondo l’Italia e le sue istituzioni.

Perché l’altro aspetto al quale i Democratici non possono rinunciare è questo: la spinta al cambiamento. Essa è infatti una condizione indispensabile per battere il populismo e per impedire che una nuova centralità del Pd si trasformi in centralismo, in quell’immobilismo da Prima Repubblica che ne snaturerebbe il progetto politico e non farebbe certo il bene di un Paese, che ha ancora bisogno di riforme profonde.

Da questi principi può ripartire la ricostruzione del Pd, della sua organizzazione al centro e in periferia, di una classe dirigente diffusa, della sua piattaforma programmatica, delle regole interne di convivenza. Se Renzi si impegnerà e riuscirà meglio di quanto fatto finora in questa impresa non facile e se troverà a sostenerlo in questo un partito plurale ma leale, non dilaniato dalle correnti e dai personalismi, potrà tornare a palazzo Chigi con l’ambizione di proseguire il proprio lavoro di riforma e non solo per gestire difficili equilibri parlamentari e contrattare le virgole di ogni provvedimento.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/pd-congresso-vocazione-maggioritaria-renzi/
5864  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / Arlecchino. Da FB ... Una élite di prescelti da noi, inserito:: Dicembre 24, 2016, 08:54:46 pm
Una élite di prescelti da noi, partecipati da noi, attraverso nostri rappresentanti da noi scelti, è la Democrazia.
Ma per funzionare esige una continua consapevole presenza di noi, tutti, su ciò che si deve fare e far fare dai prescelti.
Sembra una operazione complessa, ma più semplice (se la si vuole) che quella di farci estrarre il cervello e metterlo nelle mani di fanfaroni (e peggio) per farlo diventare pancia. Ciaooo

Da FB del 23/12/2016 su l’élite
5865  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / Arlecchino. Da FB ... Io uso molto Buona Vita, oppure Buone Festività... inserito:: Dicembre 24, 2016, 08:54:00 pm
A.    Io uso molto Buona Vita, oppure Buone Festività, cancello i post eccessivi (come numero) di Francesco. Ma da laico che usa al meglio il libero arbitrio ogni giorno prego per i miei vivi e i miei morti. A quelli che spiegheranno a quale categoria appartengo dico: ciaoooo

Da FB del 24/12/2016

Indagati unitevi, in "attesa" di chiarimenti.
Condannati in fondo a destra, in "attesa" di sentenze definitive (mi raccomando non disturbateli).
E l'Italia?
Se ne fregano ... intanto alzano polveroni (Referendum compresi).
Poi si vedrà.

Semplici Cittadini FB del 24/12/2016
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