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 inserito:: Aprile 13, 2024, 07:01:24 pm 
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Che formichina Mfe, i ricavi scendono e i profitti salgono. Ma con la tv che muore tagliare i costi non basta

di Fabio Pavesi
 
Cologno è tra i gruppi tv più redditizi di tutta Europa. Merito del taglio dei costi, visto che il trend dei ricavi è in calo. Ma una strategia basata sul contenimento dei costi non produce effetti positivi all’infinito.
E c’è quello spinoso dossier Prosieben

Ultim'ora News
| Eredità Berlusconi, potenziale interesse di Pier Silvio per Villa Grande a Roma
Il luogo comune, quasi un mantra che circola ormai da qualche anno, recita che «la televisione generalista è morta». Ma a chi ne ha già decretato la fine andrebbero mostrati i conti dell’ex Mediaset (oggi Mfe), che si appresta a chiudere il 2023 con profitti netti ben sopra i 200 milioni di euro.
Il bilancio sarà diffuso il prossimo 17 aprile, ma l’amministratore delegato Pier Silvio Berlusconi nei giorni scorsi in un’intervista al Corriere della Sera ha anticipato che gli utili saranno superiori ai 217 milioni con cui era stato archiviato il bilancio del 2022.

Continuare a produrre profitti rilevanti, con una redditività operativa, come vedremo, sopra l’11% dei ricavi non è da tutti e dice che nel caso di Mfe la televisione generalista non è affatto passata a miglior vita.
Certo, il contesto non è dei migliori: l’assedio degli Ott e in genere delle tv a pagamento di colossi come Netflix, Disney e Paramount erode il mercato tradizionale e sottrae audience, ma per ora non decreta la fine di un modello di business.
Dal 2017 gli utili cumulati hanno superato il miliardo
Nel caso di Mfe il pieno di profitti del 2023 allunga una striscia positiva che dura dal 2017 (l’ultima perdita risale al 2016) e che ha visto cumulare utili per oltre un miliardo in sette anni. Il consenso degli analisti, in attesa dei conti che saranno pubblicati a metà mese, stima utili netti per oltre 220 milioni con ricavi per 2,8 miliardi e un ebit di 322 milioni.
Vista così, si confermerebbe una redditività operativa del gruppo (posseduto al 50% da Fininvest) sopra all’11%, un livello invidiabile per il settore in Europa e che Mfe riesce a garantire ormai da anni. E che neanche la pandemia ha scalfito.
I conti dei primi nove mesi 2023 indicavano ricavi per 1,86 miliardi, spinti anche da un ottimo terzo trimestre per la raccolta pubblicitaria, che ha segnato un +8% facendo probabilmente da traino per l’ultima parte dell’anno, tradizionalmente la più ricca per l’advertising televisivo. E il primo trimestre di quest’anno si sarebbe chiuso con una raccolta pubblicitaria in aumento di un ulteriore 5%.

•   Leggi anche: Mfe pronta a superare 217 milioni di utili nel 2023. In crescita la pubblicità a inizio 2024 e il titolo sale in borsa

Solo Discovery ha una redditività simile a quella di Mfe
Se si guarda allo stato di salute della tv in Italia, Mfe è un caso a sé. Il pachiderma Rai non fa testo, data la cronica inefficienza gestionale che porta la tv di Stato, che con il canone fa i due terzi dei suoi ricavi, a chiudere stancamente ogni bilancio annuale con un pareggio se non con perdite.
Il canale La7 di Urbano Cairo non ha mai insidiato il duopolio televisivo. La tv del patron di Rcs fattura ogni anno intorno ai 100 milioni e fatica a portare a casa un piccolo utile. L’unico canale che può vantare una redditività analoga a quella dell’ex Mediaset è Discovery, che ha fatto passi da gigante negli ultimi anni e che sta acquisendo sempre più primedonne (da Maurizio Crozza a Fabio Fazio) per i suoi programmi in prima serata che stanno erodendo punti di share alla concorrenza.
Semaforo rosso invece, con bilanci travolti dalle perdite, per la pay tv Sky. Per non parlare di Dazn, che ha scommesso sul calcio rimediando per ora solo buchi nei conti.
In Europa Mfe è tra i gruppi tv più redditizi

Dalla crisi delle emittenti si salva quindi l’ex Mediaset. Che tra l’altro, se si getta lo sguardo all’Europa, risulta tuttora il gruppo con una delle redditività più elevate. Mfe infatti vanta un ebit margin all’11,5%, più alto di due punti percentuali rispetto a quello del colosso Rtl. La Itv britannica si ferma a poco sotto il 9%. Una profittabilità operativa più elevata ce l’ha solo la francese Tf1, che realizza un ebit pari al 13% dei ricavi.

I guai di Prosieben
In coda alla classifica della profittabilità spunta Prosieben Sat1, il gruppo di cui Mfe è primo socio con il 28,8% del capitale e il 29,9% dei diritti di voto. La tv tedesca viene da un pessimo 2023: i ricavi sono scesi del 7,5% a 3,85 miliardi. Il margine industriale è sceso del 15%, con l’ebit in rosso e una perdita netta per 134 milioni. A contribuire all’ebit negativo sono stati ben 324 milioni di svalutazioni di attività. Tra l’altro il gruppo (in cui Mfe pur essendo primo azionista non ha lo stesso peso nella gestione) è indebitato per 1,5 miliardi con una leva di 2,7 volte. Prosieben è di fatto una conglomerata di attività: accanto all’entertainment classico gestisce business, come i dati, i video e il commerce, che poco hanno a che fare con la tv tradizionale. Tra l’altro si tratta di attività con redditività risicate. L’area commerce, ad esempio, ha chiuso il 2023 con un mol di 59 milioni su 844 milioni di ricavi. E non è un caso che Mfe sia di recente andata all’attacco proponendo lo spin off delle attività non core proprio per ripristinare livelli adeguati di profittabilità. Le stime del management per il 2024 non sono esaltanti. I ricavi di Prosieben sono attesi a 3,95 miliardi, con il margine lordo a 575 milioni. Nel 2023 a decretare la perdita netta sono stati oltre 300 milioni di svalutazioni di asset: per capire se il gruppo nel 2024 tornerà in utile occorrerà vedere se il ciclo delle svalutazioni sarà concluso o meno.

•   Leggi anche: Mfe, ecco perché non ci sarà guerra con Prosiebensat in assemblea. Ora c’è spazio per la collaborazione
Mfe vuole lo spin off e un cambio di rotta in Germania
Oggi Prosieben è il gruppo in Europa con le peggiori performance operative con un ebit margin al 3,5% contro l’11,5% di Mfe e il 10% della media degli altri competitor. Numeri che spiegano la volontà di Mfe di cambiare pelle a Prosieben. Tra l’altro si tratta di un investimento che pesa: acquisita una prima quota del 10% nel maggio del 2019 per 330 milioni, l’ex Mediaset ha poi continuato a comprare quote fino ai livelli attuali. Ma se nel 2019 Prosienben valeva in borsa oltre 3,3 miliardi, oggi la capitalizzazione si è ridotta a 1,6 miliardi. Quando Mfe entrò nel capitale, cinque anni fa, i titoli Prosieben valevano 15 euro, oggi sono fermi a 6,6 euro. Per Mfe l’avventura nella tv tedesca segna minusvalenze teoriche per quasi 300 milioni. Ecco perché un cambio di rotta è più che necessario. Si vedrà a fine aprile all’assemblea del gruppo, a cui Mfe ha proposto lo spin offe delle attività non core, se Cologno segnerà un punto a suo favore o inizerà un lungo braccio di ferro.


Il futuro è in chiaroscuro
Se Mfe conserva, come abbiamo visto, buona salute sotto l’aspetto della redditività, non si può certo dire che sia nel migliore dei mondi possibili. La tv generalista non è morta, ma di sicuro è avviata su un sentiero di declino. I ricavi da anni non crescono: tengono a fatica. La gestione tiene sotto controllo i costi, ma la tendenza del fatturato è discendente. Nel 2017 Mediaset fatturava oltre 3,5 miliardi con un ebit margin del 6,5%. Oggi i ricavi sono a 2,8 miliardi con un ebit margin salito all’11,5%. Segno di un’attenzione maniacale ai costi che ha fatto aumentare la profittabilità operativa pur con ricavi in calo. Ma una strategia basata sul contenimento dei costi non produce effetti positivi all’infinito.

La Spagna è molto più profittevole dell’Italia
Tra l’altro è la Spagna e non l’Italia la gallina dalle uova d’oro del gruppo guidato da Pier Silvio Berlusconi. Se si spacchettano i business geografici, ecco che nel 2022 Mediaset Espana, che fattura poco più del 30% dei ricavi complessivi, ha apportato oltre il 60% dell’utile operativo del gruppo. E nei primi 9 mesi del 2023 l’incidenza della Spagna sulla profittabilità operativa totale è salita ulteriormente. Il mercato italiano appare invece più difficile, anche se in Italia il gruppo Mfe continua ad avere il 40% dell’audience e una quota ancora più alta nella raccolta pubblicitaria. (riproduzione riservata)

•   Leggi anche: Non solo politica: i 27 anni in borsa della Mediaset- Mfe del Cav

Da - Milano Finanza - Numero 069 pag. 21 del 06/04/2024


 82 
 inserito:: Aprile 13, 2024, 06:53:45 pm 
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Economist, New York Times

Il bilancio della pandemia, quattro anni dopo

Di ELENA TEBANO


   Non c’è dimostrazione migliore di quanto le cose siano cambiate del fatto che il quarto anniversario della pandemia di Covid sia passato assolutamente in sordina. Ormai il 9 marzo del 2020, quando tutta l’Italia fu dichiarata «zona rossa», sembra lontanissimo. E del Covid non parliamo più, se non quando si tratta di istituire Commissioni per condannare l’operato dell’allora governo Conte II. Ma questo ha anche impedito di fare una seria riflessione a freddo sul bilancio della pandemia. Se ne occupano invece sia l'Economist, che continua a compilare il più aggiornato database sulle morti da Covid nel mondo, che il New York Times con un commento di David Wallace-Wells: entrambi smontano un po’ di luoghi comuni sulla pandemia.
Le morti ufficiali per Covid, un conteggio che si basa sui test effettivamente fatti nei vari Paesi, ammontano nel complesso a 7 milioni. L’Economist, però, analizzando le morti in eccesso (un indicatore usato per la prima volta al mondo in un articolo sul Corriere firmato da Claudio Cancelli e Luca Foresti), stima che i morti causati dalla pandemia — o direttamente per i virus, o per il virus come concausa, o perché il virus ha precluso l'accesso alle cure mediche per altre patologie — siano oltre quattro volte tanto, 28,5 milioni. «Questo numero — spiega il settimanale — rappresenta il divario tra il numero di persone morte in una determinata regione in un determinato periodo di tempo, indipendentemente dalla causa, e il numero di morti che ci si sarebbe aspettati se non si fosse verificata una particolare circostanza», in questo caso se non ci fosse stato l’epidemia di Covid.
Con questo metodo l'Economist stima che in Italia ci sia stato il 50% di morti in più di quelli registrati, tra 300 mila e 310 mila decessi complessivi (contro i 196.376 registrati ufficialmente). In base a questa stima il nostro Paese (vedi grafico sotto) rimane uno di quelli che hanno registrato un numero maggiore di vittime in rapporto alla popolazione. Da questi numeri si evince anche che la politica svedese, basata sull’assunzione di responsabilità dei cittadini invece che sui divieti, ha funzionato.
 
Dall'analisi dell’Economist emerge soprattutto un dato inaspettato: i Paesi che hanno avuto più vittime non sono quelli occidentali, a dimostrazione del fatto che l’efficienza dei sistemi sanitari e l'accesso al vaccino sono stati fattori fondamentali nel prevenire le morti per Covid.
«L’impatto più grave della pandemia non si è verificato negli Stati Uniti o in Gran Bretagna, ma nell’Europa dell’Est, una regione che presentava un mix catastrofico di invecchiamento della popolazione, sistemi sanitari deboli e governi centrali spesso incapaci o indifferenti. Di tutte le grandi nazioni del mondo, secondo questa analisi, la Russia è quella che se l’è cavata peggio» spiega David Wallace-Wells. Anche in India, che dichiara 533 mila morti ufficiali per Covid, la pandemia ha fatto strage: sempre secondo le stime dell’Economist, i morti sono stati tra i 2,8 e i 10 milioni, nel migliore dei casi 5 volte quelli dichiarati, nel peggiore 18 volte.
Se invece si analizzano le vittime over 65, si vede che l’Italia, l'Europa e il Nord America in rapporto alla popolazione ne hanno avute molte meno che gli altri Paesi (vedi il grafico sotto).
 
«Quando si controllano le differenze demografiche, la pandemia è stata più triste non nei “ricchi Stati falliti” dell’Anglosfera o in quelli a medio reddito dell’Europa dell’Est, ma nei Paesi più poveri del mondo, in particolare nell’Africa subsahariana, proprio come si sarebbe potuto prevedere all’inizio del 2020. Il più colpito è stato l’Uganda, che ha registrato un tasso di mortalità corretto per la demografia sette volte superiore a quello degli Stati Uniti. Quelli subito dopo più colpiti nella tabella dell’Economist sono lo Zambia, il Ciad, lo Zimbabwe e il Mozambico. Seguono altri due Paesi africani - Etiopia e Malawi - prima dei primi Paesi non africani, Bahrein e Afghanistan» scrive ancora il giornalista del New York Times. Sono Paesi con sistemi sanitari inesistenti e dove la campagna vaccinale è arrivata con anni di ritardo rispetto al Nord America o all’Europa. I morti africani sembravano meno solo perché in Africa ci sono meno 0ver 65 che in Europa.
Dall’analisi dell’Economist emerge infine che i vaccini, che pure hanno fatto vittime, nel complesso hanno difeso la popolazione da conseguenze molto peggiori.

Da - Il Punto del Corriere della Sera



 83 
 inserito:: Aprile 13, 2024, 06:46:12 pm 
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Gianni Gavioli
La ricerca della PACE DEVE essere per una Pace Attiva che deve coinvolgere le popolazioni delle varie Nazioni, non soltanto i vertici.
Perché la Pace Attiva non esclude la guerra!

Infatti, ai complici di Putin nella Federazione Russa, sarà necessario far saper che se Putin vuole la guerra mondiale, per l'Occidente Democratico sarà come se la Federazione l'avesse provocata, . . . la guerra.
Basta considerare stupidamente che il MASSACRO DELL'UCRAINA sia un a lite di condominio!!

D'ora in poi Coloro che invadono saranno invasi.
Per molti di noi, spero presto moltissimi, il riferimento per la Pace Mondiale nel NUOVO ORDINE MONDIALE sarà l'Umanità prima di tutto il resto.

IO su FB

 84 
 inserito:: Aprile 13, 2024, 06:42:31 pm 
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Pollo: “Mangiamo animali malati“, intervista a Enzo Spisni

Posta in arrivo

ggiannig <ggianni41@gmail.com>

a me

  da -  https://ilfattoalimentare.it/pollo-intervista-spisni.html
 

 85 
 inserito:: Aprile 13, 2024, 06:34:20 pm 
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Ecco perché mi auguro possa nascere un Progetto decennale, tra Intesa Olivo Policonico e O.P.O.N. (Opinione Pubblica Organizzata Nazionale) pensato e studiato tra la Gente e messo a punto con il contributo di un Gruppo di cittadini "Differenti".

Differenti perché unicamente impegnati nella "costruzione" del Progetto, senza lasciarsi coinvolgere o accettare l'interferenza degli attuali Partiti/particelle.

Nella certezza che dopo le elezioni Europee, in previsione delle prossime elezioni politiche si ricompongano, dopo le pulizie interne indispensabili e ormai irrinunciabili, in Parlamento un insieme di Partiti ben strutturati.

- Partiti politici ormai indispensabili per arrivare ad avere una Democrazia Autorevole, oggi troppo infiltrata da movimenti antiStato e minacciata da offensive illiberali già in atto, da parte di questo governo e i suoi inconsapevoli complici.
ggg

 86 
 inserito:: Aprile 13, 2024, 06:30:07 pm 
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Sinestesie letterarie  ·

Roberto Daprà  · sonSpdeorta9a1 ra298u rmte:4410l05m91zt7g2h8m7lha o81o a4afe  ·

“Un tempo sarebbe stato facile amarmi. Ero dolce. Credevo nelle promesse, nelle parole. Giustificavo tutto, anche il male che sentivo e non ammettevo. Mi prendevo la colpa, anche se non la capivo. Pur di non perdere chi amavo, sopportavo ogni mancanza, anche quando mancavo io e non sapevo più ritrovarmi. Abbracciavo senza chiedere nulla in cambio. Ero indifesa. Da proteggere. Da distruggere. Oggi è difficile amarmi, restarmi accanto. Rispettare i miei spazi, comprendere i miei silenzi, la mia indipendenza, il mio bisogno di vivere e di costruire usando solo le mie forze. Io che del mio equilibrio cercato, sofferto e trovato ne faccio un vanto da gridare al presente ogni giorno. Io che credo nell’Amore molto più di ieri. Amore che non ha nulla a che fare con le briciole, con l’arroganza, con l’assenza, con l’infedeltà. Oggi è difficile amare la donna che sono diventata. Dopo i sogni sfumati, le ali spezzate, le labbra spaccate. Sicura delle mani da stringere che vorrei e degli occhi che non vorrò più incrociare. È difficile. Forse è impossibile. Sicuramente è raro incontrare un’anima che ci ami oltre noi stessi, dove fingiamo di essere forti mentre imploriamo gli abbracci di chi possa amarci sapendoci fragili e imperfetti. Io dell’amore non so molto, forse. Non posso insegnarlo. Ma so che ha a che fare con il rispetto. E con le scelte che non s’impongono, ma si costruiscono. Insieme. Quando si diventa l’unica scelta e mai un’opzione tra tante. Alla persona che sono stata devo tanto, soprattutto scuse. Alla persona che sono, un promemoria: ricordati delle tue ali, ricordati di te.”

Gabriel Garcià Marquéz
 da “L’amore ai tempi del colera”


DA FB 8 APRILE 2024

 87 
 inserito:: Aprile 13, 2024, 06:24:57 pm 
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Fuga di notizie: ma i magistrati fanno sempre il loro dovere?
8 MARZO 2024

La domanda è rilanciata da due casi di attualità: quelli che riguardano Piercamillo Davigo, membro di Mani Pulite e Cafiero de Raho, ex procuratore nazionale antimafia
Antonio Polito / CorriereTv
Ma i magistrati che sono i custodi del segreto investigativo fanno tutto ciò che devono per combattere la piaga della fuga di notizie spesso penalmente non rilevanti o addirittura false? La domanda è rilanciata da due casi di attualità.
Piercamillo Davigo, membro del celebre pool di Mani Pulite e accanito moralizzatore, e stato condannato anche in appello a un anno e tre mesi per rivelazione di segreto d’ufficio, per aver cioè consegnato a più persone i verbali di un interrogatorio che era stato secretato e che poi si è rivelato contenere accuse non vere, infondate e calunniose. Mentre l’enorme mole di raccolte abusivamente da un finanziere in servizio presso la Procura nazionale antimafia sta sollevando dubbi sulla qualità dei controlli esercitati dal capo di quell’ufficio del tempo. Un magistrato, Cafiero de Raho, che oggi è parlamentare dei cinque Stelle. Il suo successore Melillo, ha dichiarato infatti in Parlamento di aver trovato al suo arrivo un ufficio in condizioni disastrose; ha parlato di ispezioni interne che hanno dato esiti sconfortanti. Insomma, di una struttura che non è adeguatamente protetta dagli spioni e dagli attacchi informatici. I i magistrati denunciano da tempo i rischi della giustizia spettacolo. E hanno ragione. Purché non ne siano gli attori.

DA
http://HTTPS://VIDEO.CORRIERE.IT/CRONACA/PALOMAR-ANTONIO-POLITO/FUGA-NOTIZIE-MA-MAGISTRATI-FANNO-SEMPRE-LORO-DOVERE/83294782-DD39-11EE-A6B7-58B42C5BFC2B?REFRESH_CE




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 inserito:: Aprile 13, 2024, 06:20:07 pm 
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Politica
11 Aprile 2024
La linea contraddittoria I liberali e gli anticapitalisti lavorano ai fianchi di un Pd che non sa più che cos’è
Mario Lavia
A due mesi dal voto, Schlein si ritrova con nuove incognite e liste ancora da compilare, ed è accerchiata dalla tripla offerta politica di Sinistra-Verdi con Santoro, Stati Uniti d’Europa di Bonino-Renzi e Azione

Probabilmente Elly Schlein non si aspettava un lavoro ai fianchi come quelli che si sta sviluppando da sinistra e da destra attorno al Partito democratico. E cioè una doppia (o meglio, tripla) offerta politica che potrebbe rosicchiare voti da ambo i lati: a sinistra, da parte della lista Sinistra-Verdi, magari aperta a Michele Santoro, e a destra, da Stati Uniti d’Europa e Azione. Tre liste che possono superare il quattro per cento e dunque faranno appello al voto utile per andare a Bruxelles.
La lista di sinistra potrebbe ulteriormente tingersi di “pacifismo” se Santoro – come appare possibile, se non addirittura probabile – non riuscirà a raccogliere le firme, impresa effettivamente non agevole. Forse Santoro ha sottovalutato le difficoltà organizzative ritenendo che bastasse la sua immagine rilanciata da La7 per riempire i moduli per la presentazione delle liste. Se non ce la dovesse fare, a quel punto Nicola Fratoianni potrebbe offrire “ospitalità” al noto giornalista. Il quale, probabilmente, manderebbe qualcuno degli attuali suoi candidati, rafforzando così una lista di sinistra e “pacifista” – gelida sull’Ucraina e anti-Israele – che potrebbe strappare al partito di Schlein quei voti che il Partito democratico, malgrado la presenza di Marco Tarquinio al Centro e Cecilia Strada al Nord Ovest (che almeno sull’Ucraina hanno la stessa posizione di Santoro e Fratoianni), non è in grado di trattenere.
Specularmente, sulla destra, la lista Bonino-Renzi-Psi-libdem (Stati Uniti d’Europa) e quella di Carlo Calenda (Azione, che ieri ha arruolato Federico Pizzarotti e Piercamillo Falasca, usciti da PiùEuropa perché ha scelto di allearsi con Matteo Renzi) potrebbero finire per essere strumenti di contestazione della linea movimentista di Schlein. Troppo di sinistra per questi, troppo poco di sinistra per quelli. La risultante di una linea contraddittoria potrebbe produrre il risultato non paradossale di scontentare di qua e di là.
È un piccolo assedio da tutti i lati portato da truppe ridotte al grande accampamento del Nazareno, già alle prese con i masnadieri di Giuseppe Conte che si incuneano nei problemi dei dem (come quelli di Bari e Torino). A due mesi dalla grande battaglia europea, e con le liste ancora da fare, le incognite per Elly Schlein si moltiplicano, e pure le ragioni per preoccuparsi.

Da - https://www.linkiesta.it/2024/04/pd-europee-stati-uniti-deuropa-azione-sinistra-verdi-schlein/

 89 
 inserito:: Aprile 13, 2024, 12:42:07 pm 
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Politica
11 Aprile 2024

La linea contraddittoria I liberali e gli anticapitalisti lavorano ai fianchi di un Pd che non sa più che cos’è
Mario Lavia

A due mesi dal voto, Schlein si ritrova con nuove incognite e liste ancora da compilare, ed è accerchiata dalla tripla offerta politica di Sinistra-Verdi con Santoro, Stati Uniti d’Europa di Bonino-Renzi e Azione

Probabilmente Elly Schlein non si aspettava un lavoro ai fianchi come quelli che si sta sviluppando da sinistra e da destra attorno al Partito democratico. E cioè una doppia (o meglio, tripla) offerta politica che potrebbe rosicchiare voti da ambo i lati: a sinistra, da parte della lista Sinistra-Verdi, magari aperta a Michele Santoro, e a destra, da Stati Uniti d’Europa e Azione. Tre liste che possono superare il quattro per cento e dunque faranno appello al voto utile per andare a Bruxelles.
La lista di sinistra potrebbe ulteriormente tingersi di “pacifismo” se Santoro – come appare possibile, se non addirittura probabile – non riuscirà a raccogliere le firme, impresa effettivamente non agevole. Forse Santoro ha sottovalutato le difficoltà organizzative ritenendo che bastasse la sua immagine rilanciata da La7 per riempire i moduli per la presentazione delle liste. Se non ce la dovesse fare, a quel punto Nicola Fratoianni potrebbe offrire “ospitalità” al noto giornalista. Il quale, probabilmente, manderebbe qualcuno degli attuali suoi candidati, rafforzando così una lista di sinistra e “pacifista” – gelida sull’Ucraina e anti-Israele – che potrebbe strappare al partito di Schlein quei voti che il Partito democratico, malgrado la presenza di Marco Tarquinio al Centro e Cecilia Strada al Nord Ovest (che almeno sull’Ucraina hanno la stessa posizione di Santoro e Fratoianni), non è in grado di trattenere.
Specularmente, sulla destra, la lista Bonino-Renzi-Psi-libdem (Stati Uniti d’Europa) e quella di Carlo Calenda (Azione, che ieri ha arruolato Federico Pizzarotti e Piercamillo Falasca, usciti da PiùEuropa perché ha scelto di allearsi con Matteo Renzi) potrebbero finire per essere strumenti di contestazione della linea movimentista di Schlein. Troppo di sinistra per questi, troppo poco di sinistra per quelli. La risultante di una linea contraddittoria potrebbe produrre il risultato non paradossale di scontentare di qua e di là.
È un piccolo assedio da tutti i lati portato da truppe ridotte al grande accampamento del Nazareno, già alle prese con i masnadieri di Giuseppe Conte che si incuneano nei problemi dei dem (come quelli di Bari e Torino). A due mesi dalla grande battaglia europea, e con le liste ancora da fare, le incognite per Elly Schlein si moltiplicano, e pure le ragioni per preoccuparsi.

Da - https://www.linkiesta.it/2024/04/pd-europee-stati-uniti-deuropa-azione-sinistra-verdi-schlein/

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 inserito:: Aprile 13, 2024, 12:29:59 pm 
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Economist, New York Times

Il bilancio della pandemia, quattro anni dopo

    di ELENA TEBANO

   Non c’è dimostrazione migliore di quanto le cose siano cambiate del fatto che il quarto anniversario della pandemia di Covid sia passato assolutamente in sordina. Ormai il 9 marzo del 2020, quando tutta l’Italia fu dichiarata «zona rossa», sembra lontanissimo. E del Covid non parliamo più, se non quando si tratta di istituire Commissioni per condannare l’operato dell’allora governo Conte II. Ma questo ha anche impedito di fare una seria riflessione a freddo sul bilancio della pandemia. Se ne occupano invece sia l'Economist, che continua a compilare il più aggiornato database sulle morti da Covid nel mondo, che il New York Times con un commento di David Wallace-Wells: entrambi smontano un po’ di luoghi comuni sulla pandemia.
Le morti ufficiali per Covid, un conteggio che si basa sui test effettivamente fatti nei vari Paesi, ammontano nel complesso a 7 milioni. L’Economist, però, analizzando le morti in eccesso (un indicatore usato per la prima volta al mondo in un articolo sul Corriere firmato da Claudio Cancelli e Luca Foresti), stima che i morti causati dalla pandemia — o direttamente per i virus, o per il virus come concausa, o perché il virus ha precluso l'accesso alle cure mediche per altre patologie — siano oltre quattro volte tanto, 28,5 milioni. «Questo numero — spiega il settimanale — rappresenta il divario tra il numero di persone morte in una determinata regione in un determinato periodo di tempo, indipendentemente dalla causa, e il numero di morti che ci si sarebbe aspettati se non si fosse verificata una particolare circostanza», in questo caso se non ci fosse stato l’epidemia di Covid.

Con questo metodo l'Economist stima che in Italia ci sia stato il 50% di morti in più di quelli registrati, tra 300 mila e 310 mila decessi complessivi (contro i 196.376 registrati ufficialmente). In base a questa stima il nostro Paese (vedi grafico sotto) rimane uno di quelli che hanno registrato un numero maggiore di vittime in rapporto alla popolazione. Da questi numeri si evince anche che la politica svedese, basata sull’assunzione di responsabilità dei cittadini invece che sui divieti, ha funzionato.
 
Dall'analisi dell’Economist emerge soprattutto un dato inaspettato: i Paesi che hanno avuto più vittime non sono quelli occidentali, a dimostrazione del fatto che l’efficienza dei sistemi sanitari e l'accesso al vaccino sono stati fattori fondamentali nel prevenire le morti per Covid.
«L’impatto più grave della pandemia non si è verificato negli Stati Uniti o in Gran Bretagna, ma nell’Europa dell’Est, una regione che presentava un mix catastrofico di invecchiamento della popolazione, sistemi sanitari deboli e governi centrali spesso incapaci o indifferenti. Di tutte le grandi nazioni del mondo, secondo questa analisi, la Russia è quella che se l’è cavata peggio» spiega David Wallace-Wells. Anche in India, che dichiara 533 mila morti ufficiali per Covid, la pandemia ha fatto strage: sempre secondo le stime dell’Economist, i morti sono stati tra i 2,8 e i 10 milioni, nel migliore dei casi 5 volte quelli dichiarati, nel peggiore 18 volte.

Se invece si analizzano le vittime over 65, si vede che l’Italia, l'Europa e il Nord America in rapporto alla popolazione ne hanno avute molte meno che gli altri Paesi (vedi il grafico sotto).
 
«Quando si controllano le differenze demografiche, la pandemia è stata più triste non nei “ricchi Stati falliti” dell’Anglosfera o in quelli a medio reddito dell’Europa dell’Est, ma nei Paesi più poveri del mondo, in particolare nell’Africa subsahariana, proprio come si sarebbe potuto prevedere all’inizio del 2020. Il più colpito è stato l’Uganda, che ha registrato un tasso di mortalità corretto per la demografia sette volte superiore a quello degli Stati Uniti. Quelli subito dopo più colpiti nella tabella dell’Economist sono lo Zambia, il Ciad, lo Zimbabwe e il Mozambico. Seguono altri due Paesi africani - Etiopia e Malawi - prima dei primi Paesi non africani, Bahrein e Afghanistan» scrive ancora il giornalista del New York Times. Sono Paesi con sistemi sanitari inesistenti e dove la campagna vaccinale è arrivata con anni di ritardo rispetto al Nord America o all’Europa. I morti africani sembravano meno solo perché in Africa ci sono meno 0ver 65 che in Europa.

Dall’analisi dell’Economist emerge infine che i vaccini, che pure hanno fatto vittime, nel complesso hanno difeso la popolazione da conseguenze molto peggiori.

Da - Il Punto del Corriere della Sera



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