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Autore Discussione: ANDREA BONANNI Spagna trionfa nelle urne il voto "contro"  (Letto 2263 volte)
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« inserito:: Dicembre 26, 2015, 11:17:24 pm »

Quell'onda che spazza l'Europa: così in Spagna trionfa nelle urne il voto "contro"
Il risultato non solo condanna la quarta potenza del Continente all’ingovernabilità, ma segna una ennesima sconfitta della politica.
È successo in Grecia, poi le fiammate di segno opposto in Polonia e Francia. Trema l’intero sistema

Di ANDREA BONANNI
21 dicembre 2015

MADRID - È il trionfo del voto contro. Più di metà degli spagnoli di sinistra ha votato contro il Psoe scegliendo Podemos. Più di un terzo degli spagnoli moderati ha votato contro il Ppe premiando Ciudadanos.

La Spagna non si è spostata a destra. Non si è neppure significativamente spostata a sinistra. Si è trasferita su un'orbita di malcontento popolare che non riesce a esprimere altro che se stesso. L'Europa guarda con preoccupazione al risultato che esce dalle urne iberiche. Non solo e non tanto perché sembra condannare la quarta potenza del Continente all'ingovernabilità. Ma perché segna un'ennesima sconfitta della politica. E il fallimento della politica mette in discussione la democrazia come sistema in grado di far convergere consenso e potere.

Rende difficile leggere quale sia la volontà dei cittadini alla luce delle categorie consolidate del pensiero sociale. Sposta la ricerca del consenso lungo sentieri che esulano dal merito delle questioni su cui occorre decidere. Già la Grecia, esattamente un anno fa, aveva segnato un trionfo del voto contro. La vittoria di un partito di sinistra non tradizionale come Syriza aveva portato alla formazione di una coalizione con la destra nazionalista. Poi alla rottura con l'Europa sancita da un referendum popolare. Infine ad una governance improntata alla tardiva accettazione di politiche e di valori apertamente in contraddizione con i programmi elettorali dei vincitori. Dove sta la democrazia in tutto questo?

A seguire ci sono state le due fiammate di segno opposto venute dalla Polonia e dalla Francia. A Varsavia una leadership moderata ed europea, che aveva governato bene e aveva garantito al Paese brillanti risultati economici, è stata spodestata per mettere al potere un partito catto-fascista che aveva già dato prove di governo fallimentari e che sta sovvertendo le istituzioni di garanzia democratica, come in Ungheria. In Francia l'anti-politica della Le Pen ha portato il Front National a divenire il primo partito, costringendo socialisti e conservatori ad una innaturale alleanza per fermarla al ballottaggio. Il risultato è che una forza politica arrivata prima in quasi tutte le regioni francesi non ne governa neppure una. Possiamo rallegrarcene. Tirare un sospiro di sollievo. Ma, anche qui, dove sta la democrazia?

Se nei cittadini europei cresce la tendenza a votare contro il partito che storicamente rappresenta la loro parte politica, senza tuttavia cambiare sostanzialmente opinione, le categorie della politica diventano illeggibili e la democrazia per conseguenza diventa ingovernabile. Certo, questo fenomeno mette chiaramente in evidenza l'inadeguatezza di intere classi dirigenti, che infatti rischiano di essere spazzate via dalle urne. Ma se il fenomeno è generalizzato a tutta l'Europa, il sospetto che il problema non possa essere ricondotto alle carenze di questa o quella leadership diventa più che legittimo.

Qualcuno, a Bruxelles, avanza l'ipotesi che questa epidemia dell'antipolitica, intesa come rifiuto dei partiti che tradizionalmente veicolano le idee di destra o di sinistra, progressiste o conservatrici, laiche o confessionali, sia in realtà un portato dell'irrilevanza che ormai contraddistingue la politica a livello nazionale. Giuste o sbagliate che siano, le grandi scelte di fondo che condizionano la nostra società e i nostri destini collettivi e personali ormai si fanno a livello europeo. La parabola della Grecia ne è la dimostrazione evidente. Se gli elettori non hanno la sensazione di poter determinare con il loro voto le sorti del proprio Paese, finiscono per utilizzare la scheda per esprimere la frustrazione verso una classe politica che finge di dirigere ma che ormai non dirige più nulla. Oppure rivolgono la loro rabbia verso l'Europa.

Questa lettura coglie probabilmente alcuni aspetti di verità. Ma, quale che sia la spiegazione del fenomeno, il terremoto politico che sta scuotendo i governi nazionali della Ue rischia di essere un sisma sistemico. E le mura che cominciano a tremare sotto le sue scosse non sono solo quelle della destra o della sinistra tradizionali. È l'edificio stesso della nostra democrazia che comincia ad essere in pericolo.

© Riproduzione riservata
21 dicembre 2015

Da - http://www.repubblica.it/esteri/2015/12/21/news/quell_onda_che_spazza_l_europa_cosi_in_spagna_trionfa_nelle_urne_il_voto_contro_-129898352/?ref=HRER2-1
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« Risposta #1 inserito:: Maggio 05, 2016, 12:32:42 pm »

Timmermans: "O si accoglie o si paga. Così la Commissione vuole il nuovo asilo nei Paesi d'Europa"

Il primo vice di Juncker: "Bene il migration compact ideato da Roma". Sulla fine dei visti per i turchi: "Non voltiamo le spalle ad Ankara"

Di ANDREA BONANNI
04 maggio 2016

BRUXELLES - Oggi la Commissione europea presenterà la sua proposta per la revisione degli accordi di Dublino sul diritto di asilo. Alla vigilia di questo appuntamento cruciale Frans Timmermans, primo vicepresidente della Commissione e responsabile per Giustizia, affari interni e rispetto dei diritti fondamentali, spiega quali sono gli orientamenti dell'esecutivo comunitario per far fronte all'emergenza immigrazione.

Quale sarà la filosofia della vostra proposta?
"La nostra idea è di proporre un meccanismo per cui, se un Paese è travolto dall'afflusso di rifugiati, scatta una solidarietà automatica e i richiedenti asilo sono ridistribuiti in tutta la Ue in base a quote predefinite".

Si dice che proporrete di sanzionare i Paesi che non rispetteranno la loro quota di assorbimento facendo loro pagare 250 mila euro per ogni rifugiato che non viene accolto. E' vero?
"La decisione non è ancora presa. Ma la nostra proposta sarà che chi non vuole o non può dimostrare solidarietà accogliendo la sua parte di rifugiati, aiuti i Paesi che dovranno ospitarli con un pacchetto finanziario che ne faciliti l'accoglienza".

Di solidarietà, in questa vicenda, finora se ne è vista poca...
"Perché siamo arrivati a questa crisi? Perché per anni non abbiamo ascoltato la Grecia e l'Italia quando chiedevano solidarietà agli altri europei. Questa situazione è andata avanti per molti anni. E alla fine l'Italia e la Grecia hanno detto: ok non ci aiutate e allora dobbiamo fare da soli. E hanno cominciato a non applicare le regole di Dublino. Fin dalle sue origini, il problema è una mancanza di solidarietà collettiva. Questo è il problema che dobbiamo risolvere, perché quando Dublino è stata concepita non si prevedeva che un Paese potesse essere travolto da un afflusso eccezionale di rifugiati. Qualsiasi cosa noi proponiamo deve risolvere quel problema di solidarietà, altrimenti meglio non fare proposte".

Ma il problema dell'Italia, più che i richiedenti asilo, sono i migranti irregolari... 
"La riforma di Dublino è solo un mattone di una costruzione molto più ampia. Per questo sono un deciso sostenitore dell'"migration compact", la proposta italiana per affrontare i flussi dall'Africa che inquadra il problema in un contesto molto più ampio. Abbiamo bisogno della Guardia di frontiera europea, per proteggere meglio i nostri confini esterni. E ancora, come dice bene la proposta italiana, dobbiamo avere una serie di accordi con i Paesi terzi i cui migranti non hanno diritto all'asilo politico e dunque devono essere rimpatriati. Se non riusciamo a distinguere chiaramente tra chi ha bisogno di protezione internazionale e chi no, e se questa distinzione non porta al rimpatrio di quanti non hanno diritto di asilo, qualsiasi cosa facciamo è destinata a fallire. Per questo sono d'accordo al cento per cento con Renzi quando dice che se non riusciamo i rimpatri, non riusciremo neppure a risolvere questo problema".

Farete qualcosa in questo senso?
"Juncker mi ha affidato il compito di mettere a punto, insieme con i miei colleghi, la risposta della Commissione alla proposta italiana, in modo che possiamo presentare il nostro piano in giugno, spiegando come intendiamo tradurre il "migration compact" italiano in politiche concrete".

L'Europa si farà carico dei rimpatri?
"La principale responsabilità dei rimpatri resta agli stati membri. Se occorrerà potremo aiutare i Paesi che ne hanno bisogno, come del resto abbiamo già fatto nel caso della Grecia. La Grecia non è comparabile con l'Italia, è chiaro. L'Italia ha strutture forti e le autorità controllano la situazione. Ma se ci fosse una situazione di necessità, con l'Italia sommersa da irregolari da rimpatriare, ovviamente l'aiuteremmo con tutti i mezzi a nostra disposizione".

Finora i soldi stanziati per gli accordi di rimpatrio con l'Africa, nell' "Eu-Africa fund", sono 1,8 miliardi, contro i sei miliardi stanziati per la sola Turchia. Non le sembra insufficiente?
"Ma l'insieme dei fondi che la Ue e gli stati membri destinano ogni anno allo sviluppo in Africa è molto più elevato. In totale si tratta di circa una ventina di miliardi. Dobbiamo rifocalizzare l'utilizzo di questi finanziamenti per far sì che tutti i Paesi beneficiari accettino il rimpatrio dei loro connazionali. La scelta è molto netta: o noi esportiamo stabilità in questi Paesi, oppure siamo destinati a importare instabilità. Il principio d'azione è lo stesso di quello usato con la Turchia, ma il modo in cui si applica è differente e deve essere studiato su misura per ciascun Paese."

Parlando di Turchia, oggi la Commissione proporrà il via libera alla liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi. Non vi sembra di essere un po' troppo morbidi nei confronti di Ankara?
"Per niente. La liberalizzazione dei visti è condizionata a parametri molto chiari che la Turchia deve soddisfare. Per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani, della libertà di stampa e dello stato di diritto, non vedremo certo progressi voltando le spalle alla Turchia. Il processo di adesione ci offe invece la possibilità di avere un dialogo su questi temi con le autorità turche".

Tornando alla questione dei rimpatri, perché la Commissione sta facendo pressione sull'Italia perché aumenti i propri centri chiusi dove detenere i migranti irregolari prima dell'espulsione?
"Se non si controllano i migranti che non hanno diritto di asilo e che devono essere rimpatriati, questi finiscono per scomparire e poi ricompaiono in altri stati membri. Bisogna trovare il modo di mantenere questa gente sotto controllo in modo da poterli rimpatriare. Questo naturalmente è più facile se il rimpatrio è fatto rapidamente. Quello che chiediamo all'Italia è strettamente collegato alla velocità con cui si riesce a rimpatriare gli irregolari nei loro Paesi di origine".

Ma rimpatriare la gente non è così semplice...
"Certo. E' un processo complicato. E una delle ragioni è la mancanza di cooperazione dei Paesi di origine. Per questo dobbiamo aumentare i nostri sforzi perché questi Paesi abbiano interesse a riprendere i migranti irregolari. Non possiamo solo forzarli o minacciarli. Dobbiamo offrire loro opportunità di sviluppo, come dice la proposta italiana".

Crede che le preoccupazioni dell'Austria su una possibile invasione di migranti attraverso il Brennero sia giustificata?
"Dobbiamo affrontare la questione in modo razionale. Al momento non ci sono indicazioni che esista un problema di flusso di migranti da risolvere.  Il nostro obiettivo è ripristinare Schengen entro la fine anno. Per questo possono essere necessari controlli alle frontiere sulla rotta balcanica, perché il controllo delle frontiere esterne in Grecia è ancora carente.  Ma quella situazione è assolutamente incomparabile con quella dell'Italia. Il paragone tra il Brennero e la rotta balcanica non è basato sui fatti, è basato sulle emozioni. Il nostro ruolo, come Commissione, è quello di basarci sui fatti, e qui i fatti non ci sono. Non vedo elementi a questo stadio che possano giustificare la chiusura del confine tra Austria e Italia.
 
© Riproduzione riservata
04 maggio 2016

Da - http://www.repubblica.it/economia/2016/05/04/news/timmermans-139050264/?ref=HRER2-1
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