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Autore Discussione: MARCO ALFIERI. Il Nord-Est è ancora il motore del cambiamento  (Letto 2580 volte)
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« inserito:: Febbraio 08, 2012, 11:58:04 am »

Economia

07/02/2012 - il caso

Il Nord-Est è ancora il motore del cambiamento

IL Triveneto ha perso sprint dal boom degli Anni 90 ma rimane l’area più dinamica

Nel nuovo saggio di Marini il profilo innovativo del laboratorio Italia

MARCO ALFIERI

Milano

Il Nord-Est è fra i territori più studiati d’Italia. Ma anche quello che suscita sentimenti contrapposti, diviso com’è fra sostenitori e detrattori..». Comincia così il nuovo libro di Daniele Marini, docente all’Università di Padova, direttore scientifico della Fondazione Nord Est, uno dei più attenti osservatori delle dinamiche di territorio al tempo della grande crisi. Uno tsunami ha spazzato via vecchie certezze, visioni di maniera e categorie con cui si era abituati ad osservare la società pulviscolare al lavoro del nord Italia.

Raccogliendo alcuni saggi originali e una serie di articoli giornalistici risistemati in modo organico, «Innovatori di confine. I percorsi del nuovo Nord Est» (Marsilio Editore), racconta il profilo cangiante di un territorio che resta nonostante tutto la locomotiva d’Italia. Certo molto meno sprint dei mitici anni ’90 del boom: capannoni, export e «schei» in una regione ex contadina passata in vent’anni dalla pellagra e dalla miseria nera al benessere diffuso. Ma sempre uno dei luoghi più dinamici e battistrada del Paese. Nella sua cavalcata Marini rilegge le ultime stagioni del Nord Est: la fine dell’espansione quantitativa, la tentazione della delocalizzazione, l’industria che cambia pelle incorporando maggior valore aggiunto e terziarizzandosi, l’erosione del territorio, i processi di internazionalizzazione, l’emersione della media impresa e il capitale sociale nordestino tra religione, scolarità, demografia e ruolo della classe dirigente locale.

Un bilancio? Dopo vent’anni di boom e di esposizione mediatica il Nord Est vive una sorta di impotente frustrazione: il suo ruolo nazionale non è ancora compiutamente valorizzato. Fatica a far pesare i propri interessi su larga scala. È un’area fra le più industrializzate d’Europa, ma paga lo scotto di un forte gap infrastrutturale: ad esempio l’Alta Velocità da Torino va a Milano, scende a Bologna fino a Firenze e Napoli ma si ferma alle soglie del Veneto. «Al policentrismo urbano del Nord Est fa pendant una classe dirigente diffusa, ma senza una rete che la colleghi», scrive l’autore. La sfida sarà «valorizzare le individualità in una logica di competizione cooperativa». Tanto più oggi che la nuova divisione planetaria del lavoro e la rotazione ad est dei commerci e del potere mondiale stressano alla radice la routine laburista dei distretti industriali tipici di questa terra. Per Marini diventati ormai veri e propri dis-larghi: «da una fisionomia organica, a una flessibile e adattiva; aperta alle relazioni, ma capaci di mantenere – innovando – le progettualità ideative sul territorio originario». Anche nelle trasformazioni, giustamente, si continua a guardare il Nord Est come un laboratorio. «Un ruolo di sperimentazione, di elaborazione economica e sociale: una sorta di avanguardia», scrive Marini. Lo è stato negli anni passati sul tema dell’autonomia territoriale, del federalismo e della sussidiarietà, sul tema del capitalismo diffuso e della vocazione dei Piccoli a proiettarsi sui mercati esteri. Persino sul tema dell’integrazione extracomunitaria. Sotto questo profilo, il Nord Est del terzo millennio possiede paradossalmente un vantaggio: l’essere in periferia. Perché il nuovo si genera lontano dal centro, ai margini e perché i confini «oltre ad avere lo scopo di separare, hanno anche il ruolo/destino di essere delle interfacce, di promuovere interazioni e scambi». Insomma luoghi in cui si materializzano processi di innovazione sociale ed economica, che successivamente si riverberano sull’intero Paese.

A patto di immaginarsi e progettarsi come un sistema territoriale intelligente. Forse questa è la vera sfida contenuta nel libro di Marini: fondere l’identità manifatturiera primordiale «assieme a quella ambientale, culturale e turistica». Passando cioè dall’illusione
dell’autosufficienza degli anni ‘90, quando l’economia tirava così tanto che ci si poteva permettere il lusso di fare a meno della politica, ad un progetto complessivo e maturo, meno ossessivo, in grado di contenere le diverse dimensioni peculiari dei suoi territori. «Un Nord Est qualitativo», lo chiama Marini. Per ripartire, trainare il Paese. E continuare a presidiare i mercati internazionali.

da - http://www3.lastampa.it/economia/sezioni/articolo/lstp/441502/
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