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7681  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / Jeremy CORBYN. VELTRONI idee superate per la sinistra degli anni 80. inserito:: Settembre 14, 2015, 06:53:31 pm
13 settembre 2015

Per Walter Veltroni le idee di Corbyn erano superate per la sinistra degli anni 80.
Esagerato.
Anche per quella degli anni 60.


Da - http://www.unita.tv/scintille/scintilla-13-settembre/
7682  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Federico FUBINI. La Fed e il dollaro Tassi & rialzi nel secolo cinese ... inserito:: Settembre 14, 2015, 06:51:22 pm
La Fed e il dollaro
Tassi & rialzi nel secolo cinese
Dietro le quinte della decisione


Di Federico Fubini

«Un cicchetto di whisky», per una Wall Street già su di giri. Così il presidente della Federal Reserve, Benjamin Strong, descrisse il taglio dei tassi del 1927. L’America non ne aveva bisogno, serviva solo a scoraggiare la fuga di capitali da Londra verso New York e a difendere la sterlina nel Gold Standard. Fu l’ultima volta in cui la Fed ammise pressioni dall’estero su di sé. L’ultima volta fino a mercoledì prossimo, perché oggi viviamo nel «secolo cinese». Fra due giorni si riunisce il Fomc, il Federal Open Market Committee che ha il potere di fissare le scelte della banca centrale americana. Il giorno dopo la presidente Janet Yellen dovrà comunicare la decisione più attesa da anni: un possibile aumento dei tassi d’interesse ai quali la Fed presta dollari alle banche in America. Sarebbe il primo rialzo dal 2006, dopo molti anni in cui il costo del denaro è rimasto attorno a zero: denaro quasi gratis in prestito a breve termine per aiutare il sistema finanziario e l’economia a superare la grande crisi e i suoi postumi. Ora però la disoccupazione negli Stati Uniti è calata al 5,1%, nel secondo trimestre 2015 la crescita è arrivata al 3,7% e quasi tutti ormai prevedono un aumento dei tassi subito oppure, al più tardi, a dicembre.

La Fed è alla vigilia della sua grande manovra per tornare alla normalità, ma potrebbe dover accettare l’idea che questa sarà un’operazione a sovranità (parzialmente) limitata. Come Strong, neanche Yellen può più ignorare le conseguenze sul resto del mondo della scelta più adatta all’economia americana. Nel ‘27 la Fed tenne i tassi più bassi del necessario per aiutare l’Europa a evitare una fuga di capitali. Quasi un secolo più tardi, la banca centrale americana rischia di riscoprire vincoli simili, ma stavolta legati alla Cina. Di fronte ai tremori dello yuan, e al potere della banca centrale di Pechino sul debito americano, la mano di Janet Yellen potrebbe rivelarsi meno libera di come la Fed l’ha sempre voluta. A matita leggera, da tempo Yellen aveva annotato settembre per l’avvio della sua stretta. Gli eventi dell’estate però sono arrivati a confondere i suoi piani: l’11 agosto la Banca del Popolo della Cina ha tentato una piccola svalutazione dello yuan, di cui ha subito perso il controllo di fronte all’enorme pressione degli investitori cinesi per portare i propri fondi fuori dal Paese. Gli indici di Shanghai sono crollati a ripetizione, la fuga di capitali e i crolli valutari si sono trasmessi a tutti i mercati emergenti e le autorità di Pechino sono dovute ricorrere alla repressione finanziaria più esplicita per riprendere in mano un tasso di cambio artificialmente tenuto troppo alto.

In un mese la banca centrale cinese ha speso fino a 200 miliardi di riserve per vendere dollari, comprare yuan e sostenerne così il valore. Sono dieci miliardi al giorno, solo per difendere un sistema che fino a poco fa funzionava gratis: tentare una piccola svalutazione in agosto è stato come annunciare in un teatro gremito che c’è un piccolo incendio. Tutti vogliono uscire. Per questo ora Pechino ha sbarrato le porte, impartendo alle banche indicazioni precise per impedire di esportare capitali.

Da settimane, la prospettiva di un aumento dei tassi della Fed e dunque dei rendimenti in dollari non fa che alzare la pressione. Ed è senz’altro sgradita a Pechino, come lo fu per Londra nel 1927. La banca centrale di Washington ha sempre precisato che agisce solo in base alle esigenze dell’economia americana, eppure il dollaro non è solo la moneta degli Stati Uniti. Il sistema globale del debito ne fa la moneta del mondo: fuori dagli Stati Uniti esistono oggi novemila miliardi di debiti denominati in dollari (escluse le banche) e i loro oneri verranno aggravati se la Fed alza i tassi. In questo fragile equilibrio la Cina ha un ruolo speciale, perché dispone di strumenti di pressione sulla Fed e implicitamente li sta già attivando.

La banca centrale di Pechino ha riserve per 1.270 miliardi di dollari in titoli del Tesoro americani e quasi altrettanto in titoli di agenzie pubbliche di Washington. Se ne vendesse in misura massiccia, potrebbe far perdere a Yellen il controllo degli effetti della sua politica monetaria e causare un forte rialzo dei tassi americani. Uno studio della Fed del 2012 stima che vendite per cento miliardi di dollari di titoli del Tesoro Usa da parte della banca centrale cinese, nell’immediato, farebbero balzare i tassi americani a cinque anni fino allo 0,60%: abbastanza da arrestare la ripresa negli Stati Uniti. Non sono solo teorie del complotto: un rapporto di Ing, una banca, nota che Pechino ha scelto di tenere depositati titoli americani per circa 200 miliardi a Euroclear, la piattaforma di Bruxelles da cui passa buona parte del trading in Europa. Naturalmente questa della Cina è una sorta di deterrenza nucleare: funziona solo finché il bottone rosso non viene davvero premuto. Dopo, sancirebbe anche l’autodistruzione di chi la pratica. Eppure ce n’è abbastanza da consigliare alla Fed il compromesso. Non è un caso se subito dopo i problemi in Cina in agosto, Bill Dudley della Fed di New York ha detto che l’idea di rialzo dei tassi a settembre era già «meno convincente».

Così Janet Yellen si trova a vivere in una sovranità monetaria potenzialmente limitata, come i suoi predecessori dell’anteguerra. Potrà riflettere che, allora, gli effetti non tardarono ad arrivare: un «cicchetto di whisky» nel ‘27, poi Grande Crash del ‘29.

14 settembre 2015 (modifica il 14 settembre 2015 | 11:20)
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Da - http://www.corriere.it/economia/15_settembre_14/tassi-rialzi-secolo-cinese-dietro-quinte-decisione-0b14f228-5ac0-11e5-8668-49f4f9e155ef.shtml
7683  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / Jeremy CORBYN, neo eletto leader laburista (NIENTE DI NUOVO NELLA SINISTRA)... inserito:: Settembre 14, 2015, 06:49:27 pm
L’opposizione a Downing Street
Gran Bretagna, Corbyn annuncia governo ombra: per la prima volta più donne che uomini nei posti chiave
Ma agli uomini gli incarichi più importanti: «cancelliere» sarà John McDonnell, altro esponente della sinistra laburista. «Interni» per il «rivale» Andy Burnham

Di Redazione Online

Jeremy Corbyn, neo eletto leader laburista in Gran Bretagna (leggi il ritratto CHI E’) ha annunciato i posti chiave del nuovo governo ombra affidando a John McDonnell, esponente della sinistra laburista grande alleato del neo leader, il ruolo di «cancelliere ombra». Ad Andy Burnham, che Corbyn sabato ha battuto nella sfida per la leadership del partito, è stato affidato il ruolo di ministro dell’Interno ombra, mentre Hilary Ben rimane agli Esteri. Ci sono comunque più donne che uomini (16 a 15) nel governo ombra di Corbyn, che risponde così alle accuse: «I ruoli come quello di cancelliere erano stati pensati in un’epoca in cui le donne non potevano nemmeno votare. Oggi i ruoli chiave del governo sono altri, come quelli all’educazione e alla salute».

Salute mentale e giovani
Il ruolo di segretario di Stato sarebbe stato rifiutato da alcuni candidati, tra cui la favorita Gloria de Piero, 42 anni, già ministro della parità e che ora va al ministero per Young People and Voter Registration. La posizione, alla fine, è andata a una donna: Angela Eagle, già ministro ombra per Ed Miliband. L’incarico, che le farà sostituire il leader durante i question time, sarebbe stato assegnato in un secondo momento, proprio per cercare di frenare le critiche, rivelano i siti britannici. «Unito e dinamico» sono però gli aggettivi scelti da Corbyn per descrivere il suo governo. C’è anche un ministro per la salute mentale, Luciana Berger.

Tra le critiche arrivate al nuovo leader laburista quelle di Janet Royall, che era alla guida del Labour alla Camera dei Lord quando era leader Ed Miliband, che ha espresso «preoccupazione e rammarico per l’assenza di donne alla guida del mio partito», cosa che ha definito «un passo indietro».

Scontro con Cameron sulla legge per gli scioperi
Intanto è già scontro tra il governo conservatore di David Cameron Corbyn. La ragione del contendere è la Union Bill, proposta di legge voluta fortemente dai Tory che introduce una serie di restrizioni al diritto di sciopero e proprio oggi approda in aula a Westminster. Molto dura la posizione di Corbyn, che ha parlato di «attacco ai lavoratori». Si apre quindi una sfida coi conservatori che ricorda quelle degli anni Ottanta tra l’allora premier Margaret Thatcher e l’opposizione Labour. Il leader dell’opposizione ha anche ricordato che fra gli stessi deputati conservatori c’è chi ha paragonato alcune parti della proposta di legge ai provvedimenti introdotti durante la dittatura franchista in Spagna.

14 settembre 2015 (modifica il 14 settembre 2015 | 18:07)
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Da - http://www.corriere.it/esteri/15_settembre_14/gran-bretagna-corbyn-annuncia-governo-ombra-ma-gia-bufera-niente-donne-posti-chiave-cc5144f4-5ada-11e5-8668-49f4f9e155ef.shtml
7684  Forum Pubblico / IL FORUMULIVISTA ARLECCHINO C'E' DAL 1995. Ma L'ULIVO OGGI E' SELVATICO OPPURE NON E'. / ARLECCHINO C'E'... e non è rassegnato. inserito:: Settembre 12, 2015, 09:10:57 am
Più sotto recupero alcuni post che misi qui nel passato ... anche aiutato dall'Admin.

ciaoooooo
7685  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / Franco VENTURINI Quale intervento È ancora possibile? La Siria, Assad e il ... inserito:: Settembre 11, 2015, 11:50:08 am
Quale intervento È ancora possibile?
La Siria, Assad e il Califfato
L’Italia non deve isolarsi


Di Franco Venturini

Nel prendere le distanze dalla prospettiva di bombardamenti francesi e britannici in Siria, Matteo Renzi ha confermato una consolidata posizione italiana ma ha dimenticato la Libia. Come ribadito di recente dal ministro degli Esteri Gentiloni, se i negoziati per far nascere un governo libico unitario dovessero fallire (o l’accordo si dimostrasse inefficace) l’Italia si aspetta che la coalizione anti Isis già operante in Siria e in Iraq sia estesa nei modi opportuni anche alla Libia, dove la presenza dell’Isis è stata abbondantemente accertata. Continua a pagina33 I n particolare potrebbero essere usati droni armati, di cui l’Italia non dispone, contro bersagli che l’intelligence ha da tempo individuato. Ma se l’Italia si dimostra a dir poco timida rispetto alla maggioranza degli alleati nella sua presenza in Iraq (abbiamo inviato quattro Tornado e due droni con compiti esclusivi di ricognizione, addestriamo i curdi), se non bombardiamo l’Isis né in Siria né in Iraq, quanto peso avrà domani la nostra eventuale richiesta di aiuto in Libia?

Eppure l’emergenza migranti passa per noi più dalla Libia che dalla Siria o dall’Iraq, e se i flussi ininterrotti mettono a dura prova la tenuta delle nostre strutture (e forse anche dei nostri equilibri socio-politici) dovrebbe essere la stabilizzazione della Libia la nostra priorità assoluta. Del resto l’acquisizione di crediti attraverso la partecipazione attiva è un meccanismo che ci è ben noto: da molti anni il rango internazionale dell’Italia è fortemente tributario delle nostre missioni militari all’estero.

Se poi i ventilati bombardamenti francesi o britannici in Siria siano destinati a cambiare alcunché, è discorso diverso e complesso. Siamo entrati nel quinto anno di guerra civile tra il regime di Assad e i suoi oppositori, la mattanza ha prodotto 250.000 morti e sette milioni di profughi (una piccola parte di loro arriva ora in Europa, ma la maggioranza è ancora in Libano e in Giordania), il Presidente controlla appena il venticinque per cento del territorio, ma nessuno considera imminente la vittoria militare di una delle parti.

Chi si pone la questione cruciale del «che fare?» davanti a un simile massacro farebbe bene a non accontentarsi di risposte facili e astratte. L’Occidente dovrebbe ricordare, per esempio, che nei primi due anni di guerra, quando era chiara a tutti la responsabilità soverchiante del regime e gli oppositori potevano in gran parte essere considerati amici o alleati, si decise di non intervenire perdendo poi progressivamente il controllo delle formazioni anti-Assad (a beneficio anche dell’Isis) . Persino quando fu superata la «linea rossa» del ricorso alle armi chimiche, nell’estate del 2013, Obama si lasciò convincere dai russi a richiamare le navi che secondo le sue stesse parole dovevano infliggere un duro castigo ad Assad. Le brutte esperienze dell’Iraq, dell’Afghanistan e della Libia post-2011 hanno sicuramente avuto un peso sulla paralisi occidentale. E ora è troppo tardi.

Dopo la nascita del Califfato, l’Isis non ha fatto che crescere e avvicinarsi ai suoi nuovi obbiettivi: Damasco e Bagdad. Gli unici che l’hanno efficacemente contenuto sono stati i Peshmerga curdi e le milizie sciite patrocinate dall’Iran. A terra. Ma dall’aria i bombardamenti della coalizione guidata dagli USA, tanto in Iraq quanto in Siria per chi partecipa, non sono andati oltre un risultato di parziale contenimento. Francesi e britannici non cambieranno di certo la situazione, così come rimarrà ambiguo il comportamento della Turchia (teoricamente anti-Isis ma in realtà anti-curdi) e Assad potrà continuare a contare sull’aiuto misurato dei russi (armi e consiglieri) e su quello diretto degli iraniani e dell’Hezbollah sciita libanese.

La guerra civile siriana è ormai una guerra per procura tra interessi opposti. Sciiti e sunniti si contendono la supremazia nel mondo islamico. La linea occidentale anti-Assad si scontra con il Cremlino che non vuole perdere né la sua influenza a Damasco né il porto mediterraneo di Tartus. E il risultato complessivo è che immaginare oggi in Siria quell’intervento militare terrestre possibile qualche anno fa può essere il frutto soltanto di una incontenibile retorica. Per l’Occidente in Siria ci sono soltanto nemici giurati, Isis e al Qaeda da una parte, forze di Assad dall’altra. I bombardamenti della coalizione colpiscono Isis e qaedisti identificati come il nemico numero uno, aiutando indirettamente Assad. Ma come se la caverebbero forze con «gli stivali sulla sabbia», tra i due schieramenti nemici?

Il tentativo di porre fine alla strage non può ormai che essere diplomatico. Affiancando, d’accordo con la Russia, l’Iran post-accordo nucleare e l’Arabia Saudita, una campagna aerea molto più energica contro l’Isis e un processo politico parallelo che preveda un cambio della guardia a Damasco con l’uscita dignitosa di Assad. A questo si sta lavorando, sapendo che si tratta dell’ultima spiaggia. L’alternativa è uno smembramento della Siria in zone disegnate dai Kalashnikov, e l’arrivo di nuove ondate di profughi in Europa.

fventurini500@gmail.com
9 settembre 2015 (modifica il 9 settembre 2015 | 08:05)
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Da - http://www.corriere.it/opinioni/15_settembre_09/siria-assad-califfato-l-italia-non-deve-isolarsi-6f1942ae-56b7-11e5-a580-09e833a7bdab.shtml
7686  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / ALDO CAZZULLO. Migranti, quella lezione tedesca per la destra di casa nostra inserito:: Settembre 11, 2015, 11:46:02 am
Migranti, quella lezione tedesca per la destra di casa nostra

Di Aldo Cazzullo

L’accoglienza dei profughi in Germania non è la scelta di un governo di sinistra. È la scelta del leader del centrodestra europeo, Angela Merkel. E l’organizzazione è gestita - nonostante qualche mugugno - dal governo bavarese, dominato da sempre dalla destra identitaria e dura del «toro» Strauss e di Stoiber. Ma la destra italiana, dov’è? È pronta a fare la propria parte, nelle regioni e nelle città che amministra, o è ferma alla propaganda? È per il modello tedesco, o per quello ungherese? L e immagini storiche dell’arrivo dei siriani a Monaco sono destinate a restare nella memoria per molte ragioni. Evocano un contrappasso della storia: i persecutori del secolo scorso che accolgono i perseguitati del nostro tempo. Sono anche il segno di un risveglio tardivo: per troppo tempo i Paesi più esposti al flusso migratorio - l’Italia, la Grecia, la stessa Turchia, che non fa parte dell’Ue ma ha retto finora il peso maggiore della crisi siriana - hanno chiesto invano agli altri Paesi europei di farsi carico di un’emergenza epocale. Se Berlino e Bruxelles si fossero mosse prima, si sarebbero evitati lutti ed esasperazioni. Ma lo scatto della Germania rappresenta per l’Italia una lezione politica.

La Merkel ha saputo fronteggiare la xenofobia che ha visto montare alla propria destra. Le immagini degli attacchi ai centri di accoglienza sono state decisive per indurla alla svolta di questi giorni tanto quanto le fotografie che hanno percosso la coscienza del mondo. I cristiano sociali della Baviera hanno fatto il resto.

E il conservatore Cameron per la prima volta non si chiama fuori. In Europa si affaccia, sia pure in ritardo, una destra della legalità e della responsabilità; ovviamente non disponibile ad accogliere chiunque, ma determinata a non respingere più chi fugge davvero dalla guerra. In Italia siamo ancora alla rissa, con Renzi che distingue tra esseri umani e bestie, Salvini che si sente chiamato in causa e gli dà del verme. E siamo alle diverse varianti del populismo, consolatorio o allarmista; al solito schema della sinistra buonista e della destra cattivista, dell’«accogliamoli tutti» e del «prendeteveli a casa vostra». Per fortuna, al di là di qualche scena di isteria dovuta più che altro alle carenze organizzative del governo e alle strumentalizzazioni politiche dell’opposizione, gli italiani si sono comportati in questi mesi con umanità, e nelle zone più esposte - a cominciare da Lampedusa - con una generosità di cui possiamo andare fieri. Adesso anche chi ha incarichi di governo deve fare altrettanto.

La solidarietà non può essere disgiunta dalla sicurezza; e sarebbe il caso che Renzi desse ai familiari dell’orribile delitto di Palagonia quella risposta - con i fatti più che con le frasi fatte - che sollecitano invano da giorni. Ma l’evolversi della situazione europea implica che pure la destra italiana, in particolare dove ha responsabilità di governo, esca dalle logiche consuete e batta un colpo. Cosa ne pensano i «moderati» della Lega, gli Zaia e i Maroni, che legittimamente aspirano a un ruolo nazionale? Che ne dicono i sindaci delle grandi città del Veneto, i leghisti Tosi e Bitonci e il veneziano Brugnaro, che in laguna (a parte le polemiche retrograde su omofobia e Gay Pride) sembra portare avanti un interessante esperimento post-ideologico? Il loro punto di riferimento è la Csu bavarese o la xenofobia del governo di Budapest? E Forza Italia discute solo delle proprie polemiche interne?

Con la Germania è giusto polemizzare, ma qualcosa ogni tanto sarebbe bene imparare. Oppure dobbiamo rassegnarci al fatto che la destra della legalità e della responsabilità non può passare le Alpi?

8 settembre 2015 (modifica il 8 settembre 2015 | 08:15)
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Da - http://www.corriere.it/esteri/15_settembre_08/migranti-quella-lezione-tedesca-la-destra-casa-nostra-c9fd0912-55ef-11e5-b0d4-d84dfde2e290.shtml
7687  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / MATTEO RENZI Taglio tasse casa, Renzi bocciato dal consigliere della Merkel ... inserito:: Settembre 11, 2015, 11:43:58 am
Taglio tasse casa, Renzi bocciato dal consigliere della Merkel: “Irragionevole. Ha paura dei suoi elettori?”
Lars Feld a ilfattoquotidiano.it: "Se il governo italiano persevera, è probabile che Bruxelles chieda nuovi tagli della spesa a copertura della cancellazione delle tasse.
Jobs act? Insufficiente"


Di F. Baraggino e G. Scacciavillani | 4 settembre 2015

Lars Feld, l’economista più influente della Germania, non ha dubbi. Mentre secondo Pier Carlo Padoan il funerale delle tasse sulla casa annunciato da Matteo Renzi per il prossimo dicembre si farà e sarà seguito dalla scomparsa di molte altre imposizioni fiscali, per l’ascoltatissimo consigliere di Angela Merkel, quella del premier italiano è una scelta irragionevole e molto probabilmente dettata da esigenze elettorali. E il motivo della sua valutazione non sta in un teutonico no alla violazione delle regole comunitarie, bensì nella semplice constatazione del fatto che la cancellazione di Imu, Tasi e affini non avrà alcun impatto sulla crescita italiana. E per di più potrebbe costarci nuovi tagli della spesa pubblica già fresca di poderose sforbiciate a colonne portanti del welfare come la sanità.

“Non credo che sia una scelta ragionevole. Penso che la pressione fiscale in Italia sia molto alta, ma se Renzi vuole spingere la crescita, deve migliorare le condizioni di investimento – spiega a ilfattoquotidiano.it il professore dell’Università di Friburgo nel corso di un’intervista a margine del Forum The European House Ambrosetti -. Questo significa che le tasse sugli utili delle imprese e quelle sui redditi individuali sono molto più importanti delle imposte sulla proprietà o delle tasse sulla casa. E vuol dire che se Renzi vuole attenuare la pressione fiscale, deve ragionare su altri tipi di tassazione, non su quelle sulla casa”.

Proprio come suggerisce Bruxelles e, va riconosciuto, come sarebbe effettivamente ragionevole nonché utile a spingere investimenti e consumi. Ma come mai allora il presidente del Consiglio italiano insiste nell’andare nella direzione opposta? “Non saprei. Forse ha paura che gli elettori sarebbero scontenti se le tasse sulla casa dovessero rimanere alte mentre vengono tagliate delle altre imposte”, commenta senza mezzi termini l’economista che siede nel Consiglio Tedesco degli Esperti Economici, ammettendo che la politica fiscale è sempre una “scelta politica“, dato che “c’è sempre una sorta di ridistribuzione in base alla tipologia di tasse sulle quali si decide di agire”.

Da Bruxelles, in ogni caso, è probabile che non arriveranno “conseguenze troppo pesanti”, a condizione chiaramente che il taglio delle tasse sulla casa non comporti uno “sforamento del tetto del 3% nel rapporto deficit/Pil. Quello che questa nuova scelta fiscale farà, è modificare le misure di prevenzione contenute nel patto di stabilità e crescita e le stime sulla capacità del Paese di ridurre il rapporto debito/Pil”. Naturale quindi ritenere che “la Commissione chiederà delle compensazioni, forse sul fronte dei tagli“. Cioè ulteriori coperture attraverso una riduzione della spesa pubblica. Un conto che potrebbe essere salato viste le cifre in gioco, nonostante gli effetti positivi sulla crescita della cancellazione di Tasi e Imu siano ancora tutti da dimostrare. “Non credo ci sarà alcun effetto sulla crescita. La speranza è che i consumi aumentino in seguito al taglio delle tasse sulla casa, ma non è il problema principale dell’economia italiana, che invece riguarda le condizioni di investimento troppo sfavorevoli per gli investitori e questo deve essere migliorato”.

Il riferimento è ancora una volta alle imposte sugli utili delle imprese “che in Italia sono alte in confronto al resto d’Europa e del mondo e che quindi andrebbero abbassate”. Ma non solo: “Ci sono cose oltre alle tasse che frenano gli investitori, principalmente le condizioni del mercato del lavoro “, aggiunge. Una doccia fredda per Renzi che non più tardi di 20 giorni fa nel corso della visita della Merkel all’Expo meneghina aveva tessuto le lodi della sua riforma del lavoro, sottolineando che i dati Inps sull’occupazione a tempo indeterminato “dimostrano come il Jobs Act stia funzionando molto bene”. Evidentemente Berlino, nonostante gli elogi espressi a Roma quando la riforma era appena stata approvata, non la pensa esattamente così.

Cosa non va nel Jobs act? “Innanzitutto manca l’implementazione: avete fatto la riforma, ma il sistema giuridico ha ancora un forte peso sul reale impatto della regolamentazione. Se per esempio si confrontano le leggi sul licenziamento e le decisioni dei tribunali sui licenziamenti individuali, non è cambiato molto. Il successo della riforma del lavoro italiana è legato alla riforma del sistema giuridico e non credo che questo possa essere raggiunto facilmente. Avrei preferito una riduzione dell’impatto delle decisioni del sistema giuridico sulla regolamentazione del mercato del lavoro”. Anche perché “avere una chiara indicazione su quanto ti costerà licenziare qualcuno è molto importante per chi investe”.

Quanto alla relazione tra le performance dei singoli Paesi Ue e le rispettive bilance commerciali, Feld nega che il surplus tedesco nell’export possa tradursi in un ostacolo per i partner europei. “Le bilance commerciali sono il risultato dalle decisioni individuali di consumatori e imprese dei singoli Paesi. Non appena le diverse economie diventeranno più competitive la bilancia cambierà. In particolare se guardiamo ai dati più recenti possiamo dire che la bilancia commerciale bilaterale tra la Germania e i partner della zona euro è cambiata diventando più equilibrata. Paese a parte è la Francia, non l’Italia. Quindi la bilancia commerciale non è più un problema nell’unione monetaria se non per i francesi. L’abbondante surplus che la Germania sta realizzando arriva da Paesi esterni alla Ue, principalmente dagli Usa, che stanno diventando il più importante partner commerciale al posto della Francia, e dall’altro lato dai Paesi emergenti come la Cina“. Insomma, niente illusioni: “Riequilibrare la bilancia commerciale tedesca attraverso uno stimolo della domanda interna non è al momento un obiettivo del governo di Angela Merkel”.

La parola d’ordine rimane sempre la stessa: competitività. Ma non si tratta di pianificare la produzione industriale o di sterzare sul mercato dei servizi. Feld si fida del mercato: “Sono un economista liberale, per questo sostengo che anche in Italia si debba semplicemente aiutare gli investitori e loro troveranno da soli i prodotti che vendono. Sono sempre rimasto impressionato dalla capacità delle imprese italiane di vendere prodotti di alta qualità all’estero nonostante le molte “restrizioni” che subiscono dal lato politico. Ma adesso le “restrizioni” per loro sono troppo forti, al punto che non saranno in grado di innovare come hanno fatto finora. Parliamoci chiaro: ormai molte aziende italiane investono all’estero. E una delle imprese leader, la Fiat, non è più un’azienda italiana”.

di F. Baraggino e G. Scacciavillani | 4 settembre 2015

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09/04/taglio-tasse-casa-renzi-bocciato-dal-consigliere-della-merkel-irragionevole-ha-paura-dei-suoi-elettori/2008430/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=newsletter-2015-09-05
7688  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Pier Luigi BATTISTA Cambi di fronte I paradossi dei partiti in politica estera inserito:: Settembre 11, 2015, 11:39:38 am
Cambi di fronte
I paradossi dei partiti in politica estera
Dopo la decisione di Angela Merkel di accogliere i siriani, la sinistra si è improvvisamente innamorata della destra europea, mentre la destra loda Putin.
E il Movimento 5 Stelle si trova d’accordo con il premier ungherese Orbán

Di Pierluigi Battista

A maggioranza variabile, anche in politica estera. La volubilità italiana è così spiccata che Angela Merkel, vituperata fino a pochi giorni fa come la crudeltà incarnata, bollata come la personificazione della perfidia, l’affamatrice della Grecia che solo l’audacia di Tsipras ha saputo contrastare, l’erede di Hitler che è capace di ottenere con lo strangolamento finanziario ciò che il predecessore non era riuscito a raggiungere con i carri armati e i campi di concentramento, oggi per la sinistra diventa una santa: Santa Angela dell’Accoglienza. La sinistra italiana si è improvvisamente innamorata della destra europea. Ma la destra italiana accusa con i suoi giornali la Merkel, la cui leadership nella destra europea è fuori discussione, di promuovere l’islamizzazione dell’Europa, come se i rifugiati che premono alle frontiere non scappassero dai decapitatori dello Stato islamico, oltre che dai massacri del macellaio Assad.

Alla destra che un tempo amava descriversi come portabandiera di una «rivoluzione liberale» piace anche l’ungherese Orbán (quello dei fili spinati e dei muri), che però fa la sua notevole figura, dimostrando così la sempre più accentuata volatilità delle nozioni tradizionali di destra e di sinistra, anche nel blog di Grillo. Dove però sono almeno coerenti. Il loro motto è semplice: stare con tutti quelli che hanno la Merkel, sia nella versione crudele che in quella buonista, come bersaglio principale. Per cui nei Cinque Stelle si sta con l’ultradestro Farage nel Parlamento europeo e contemporaneamente ci si reca ad Atene in pellegrinaggio con l’ultrasinistro Varoufakis. E con l’Isis? Trattare, secondo la lectio di Di Battista. E contro gli odiati sionisti di Israele e addirittura con le donne velate iraniane perché, come ha proclamato Grillo comodamente adagiato ai bordi di una piscina in Costa Smeralda, almeno non si acconciano in modo peccaminoso come fanno le occidentali. E ci si chiede con una certa preoccupazione cosa potrebbe essere la politica estera di un futuribile governo Cinque Stelle.

Il presidente francese Hollande è di sinistra e dice che contro l’Iss bisogna prepararsi ad azioni aeree più martellanti e incisive. Ma il governo di sinistra italiano si affretta a dire che no, giammai l’Italia parteciperà a raid aerei contro i tagliagole che costringono, insieme alle bombe di Assad sui civili, milioni di siriani a scappare dalle nostre parti. Sempre eccentrici. Sempre fuori collocazione. Con la sinistra che ama la destra e la destra che ama quelli che la destra europea non ama. Putin, per esempio. Fosse per la destra italiana la linea contro l’attacco della Russia all’Ucraina sarebbe facilissima: non fare niente e avanti senza esitazioni con i contratti. Naturalmente sono discutibili le sanzioni, e anche una certa fretta nell’allungare l’ombra della Nato a Est. Ma qui è un dogma l’amicizia indistruttibile tra Putin e Berlusconi. Piace l’uomo della tradizione, dell’autoritarismo, della grande potenza che riscopre se stessa e le proprie antiche radici. Per cui se la destra italiana oggi fosse al governo, la destra che un tempo era atlantica e atlantista, avremmo un’Italia che nello scontro tra gli Stati Uniti e la Russia non avrebbe esitazioni a stare con la Russia. Che poi la Russia, chissà come mai, non è neanche meta delle masse di profughi che da Budapest prendono immancabilmente la strada dell’Ovest anziché dell’Est. Forse è per questo che Putin piace tanto a Salvini: tiene lontani i profughi (però bisognerebbe dire al leader della Lega che apre anche una grande moschea a Mosca). L’Italia del caos in politica estera. Era così imprevedibile?

9 settembre 2015 (modifica il 9 settembre 2015 | 08:59)
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Da - http://www.corriere.it/opinioni/15_settembre_09/i-paradossi-partiti-politica-estera-d9da2de6-56bd-11e5-a580-09e833a7bdab.shtml
7689  Forum Pubblico / ITALIA VALORI e DISVALORI / Migranti o rifugiati? inserito:: Settembre 11, 2015, 11:36:17 am
7 set 2015
Migranti o rifugiati?
Quando le parole riflettono le politiche e decidono i destini

Da alcune settimane si è sviluppato un ampio dibattito sull'uso dei termini "migranti" e "rifugiati" da parte dei media nella descrizione della crisi umanitaria in corso in Europa. E' importante scegliere bene le parole, perché queste sempre più spesso riflettono scelte politiche ben precise.
L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha voluto esprimere la propria posizione, sulla base della Convenzione di Ginevra del 1951.

"Con quasi 60 milioni di persone costrette a lasciare le proprie case in tutto il mondo e le traversate in barca del Mediterraneo in prima pagina quasi ogni giorno, è sempre più comune vedere i termini “rifugiato” e “migrante” usati in maniera intercambiabile, sia tra i media che nei dibattiti. Ma tra le due parole c’è una differenza? E se c’è, è importante?

Sì, c'è una differenza e sì, è importante. I due termini hanno significati distinti e diversi e confonderli solleva problematiche per entrambe le popolazioni. Ecco perché:

I rifugiati sono persone in fuga da conflitti armati o persecuzioni. La loro situazione è spesso così pericolosa e così intollerabile che attraversano i confini nazionali per cercare protezione nei paesi vicini. Così facendo diventano internazionalmente riconosciuti come “rifugiati” che hanno accesso all'assistenza da parte degli Stati, di UNHCR e di altre organizzazioni. Viene loro riconosciuto questo status proprio perché sarebbe troppo pericoloso tornare a casa e hanno bisogno di trovare protezione altrove. Si tratta di persone per le quali il rifiuto della richiesta di asilo ha conseguenze potenzialmente mortali.

I rifugiati sono definiti e protetti dal diritto internazionale. La Convenzione del 1951 sui Rifugiati e il suo Protocollo del 1967, così come altri testi giuridici, per esempio la Convenzione dell’OUA sui Rifugiati del 1969, restano la pietra angolare della moderna protezione dei rifugiati. I principi giuridici che questi documenti sanciscono fanno da riferimento per innumerevoli altre leggi e pratiche internazionali, regionali e nazionali. La Convenzione del 1951 definisce chi è un rifugiato e delinea i diritti di base che gli Stati dovrebbero garantire ai rifugiati. Uno dei principi fondamentali stabiliti dal diritto internazionale è che i rifugiati non debbano essere espulsi o rimandati in contesti in cui la loro vita e la loro libertà sarebbero minacciate.

La protezione dei rifugiati ha molte forme. Tra queste c’è la sicurezza di non essere rimandati nei pericoli dai quali sono fuggiti; l'accesso a procedure di asilo che siano giuste ed efficienti; e misure volte a garantire che i diritti umani fondamentali siano rispettati, così da consentire loro di vivere con dignità e sicurezza mentre li si aiuta a trovare una soluzione a lungo termine. Gli Stati sono i primi responsabili di questa protezione. L'UNHCR lavora quindi a stretto contatto con i governi, consigliandoli e sostenendoli come opportuno affinché mettano in pratica le proprie responsabilità.

I migranti scelgono di spostarsi non a causa di una diretta minaccia di persecuzione o di morte, ma soprattutto per migliorare la propria vita attraverso il lavoro, o in alcuni casi per l'istruzione, per ricongiungersi con la propria famiglia o per altri motivi. A differenza dei rifugiati che non possono tornare a casa senza correre rischi, i migranti non hanno questo tipo di ostacolo al loro ritorno. Se scelgono di tornare a casa, continueranno a ricevere la protezione del loro governo.

Per i singoli governi, questa distinzione è importante. Gli Stati si occupano dei migranti rispettando le proprie leggi e processi di immigrazione. Gli Stati si occupano dei rifugiati avvalendosi delle norme di protezione dei rifugiati e delle norme di asilo che sono sancite sia dalle legislazioni nazionali che dal diritto internazionale. Gli Stati hanno specifiche responsabilità nei confronti di tutti coloro che richiedono asilo nel loro territorio o alle loro frontiere. L'UNHCR aiuta i paesi ad affrontare le proprie responsabilità in materia di asilo e protezione dei rifugiati.

La politica interviene in tali dibattiti sempre in un certo modo. Assimilare rifugiati e migranti può avere gravi conseguenze per la vita e la sicurezza dei rifugiati. Confondere i due termini svia l'attenzione dalle specifiche protezioni legali di cui i rifugiati hanno bisogno. Può minare il sostegno dell’opinione pubblica ai rifugiati e al diritto d’asilo, proprio nel momento in cui moltissimi rifugiati hanno più che mai bisogno di tale protezione. Dobbiamo trattare tutti gli esseri umani con rispetto e dignità. Dobbiamo garantire che i diritti umani dei migranti siano rispettati. Allo stesso tempo, dobbiamo anche offrire un’adeguata risposta giuridica per i rifugiati, a causa della loro particolare situazione.

Quindi, tornando in Europa e al gran numero di persone che quest’anno e il precedente sono arrivate via mare in Grecia, in Italia e altrove. Quali dei due sono? Rifugiati o migranti?

In realtà sono entrambi. La maggioranza delle persone arrivate quest’anno, in particolare in Italia e in Grecia, proviene da paesi dilaniati dalla guerra o che sono considerati origine di grandi flussi di rifugiati e per i quali è necessaria la protezione internazionale. Tuttavia, una percentuale più piccola arriva da altri paesi e per molte di queste persone il termine “migranti” sarebbe corretto.

Così, all’UNHCR si usa l’espressione “rifugiati e migranti”, in riferimento agli spostamenti di persone via mare o in altre circostanze, in cui si ritiene che entrambi i gruppi possano essere presenti – gli spostamenti in barche nel Sud-Est asiatico ne sono un altro esempio. L’UNHCR usa “rifugiati” intendendo persone che fuggono da guerre o persecuzioni attraversando un confine internazionale. E usa “migranti” per quelle persone che si spostano per motivi non compresi nella definizione giuridica di rifugiato. La speranza è che gli altri riflettano sul fare lo stesso. Scegliere le parole è importante."

Da - http://popoli-in-fuga.blogautore.repubblica.it/2015/09/07/migranti-o-rifugiati-quando-le-parole-riflettono-le-politiche-e-decidono-i-destini/?ref=HRER1-1
7690  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / LIANA MILELLA La Corte europea ci condanna: Mini-prescrizioni aiuto agli evasori inserito:: Settembre 11, 2015, 11:34:23 am
La Corte europea ci condanna: "Mini-prescrizioni aiuto agli evasori"
Nelle truffe Iva i giudici dovranno disapplicare la normativa italiana La riforma bloccata in Senato

Di LIANA MILELLA
09 settembre 2015

ROMA - Brutta sorpresa per il governo sulla prescrizione. Ancora una volta l'Europa bacchetta l'Italia per colpa dei tempi di cancellazione dei reati troppo brevi. Dopo i ripetuti richiami dell'Ocse su una prescrizione corta che non consente di contrastare adeguatamente la corruzione, stavolta è la Corte di giustizia del Lussemburgo, su sollecitazione del tribunale di Cuneo, che per la prima volta invita addirittura i giudici italiani a "disapplicare" la legge ex Cirielli qualora essa "leda gli interessi finanziari della Ue". Legge del dicembre 2005, voluta da Berlusconi per via dei suoi processi, che ha ridotto della metà il tempo concesso ai magistrati per indagare e chiudere i dibattimenti.

Sul tavolo della Corte Ue le frodi carosello e gli acquisti di champagne di Ivo Taricco e di altri imputati avvenuti tra il 2005 e il 2009 aggirando il pagamento dell'Iva, reati in parte già prescritti o in corsa verso l'ultimo termine del 2018. Un caso di denegata giustizia che ha spinto i giudici italiani a chiedere alla Corte se il nostro diritto non rischi di creare una nuova possibilità di esenzione dall'Iva, ovviamente non prevista dal diritto dell'Unione. Quesito che ha ottenuto risposta pienamente positiva in Lussemburgo visto che l'articolo 325 del Trattato sul funzionamento della Unione stabilisce che gli Stati membri debbano lottare con misure effettivamente dissuasive contro le attività illecite che ledono gli interessi della stessa Ue. Poiché il suo bilancio è finanziato anche dalle entrate dell'Iva, la sua mancata riscossione ne danneggia concretamente gli interessi. La decisione di Lussemburgo piomba sul braccio di ferro politico che, ormai da mesi, blocca la riforma, già di per sé soft, della prescrizione proposta dal governo Renzi, orologio fermo dopo la sentenza di primo grado, due anni per l'Appello e uno per la Cassazione, poi le lancette ripartono se il dibattimento non è finito. In sostanza tre anni in più per chiudere un processo. Ma il ddl è bloccato al Senato dopo il via libera della Camera, per via della rissa nella maggioranza tra il Pd e i centristi di Ncd.

Come più volte ha dichiarato il vice ministro della Giustizia, l'alfaniano Enrico Costa, il testo non passerà mai se la prescrizione per la corruzione dovesse restare quella proposta dalla Pd Donatella Ferranti, il massimo della pena più la metà. Nessun compromesso possibile. Inutili i numerosi incontri per tentare una mediazione. I magistrati, nel frattempo, hanno bocciato la riforma che, come ha detto più volte il presidente dell'Anm Rodolfo Sabelli, non risolve il problema, perché per ottenere un risultato la prescrizione andrebbe fermata dopo l'inizio dell'azione penale.

A complicare la partita politica c'è l'intreccio tra prescrizione e riforma delle intercettazioni. Anche qui Ncd alza il prezzo, chiede che tutti i casi di ingiusta detenzione portino a una denuncia disciplinare per le toghe. Il responsabile Giustizia del Pd David Ermini tenta di chiudere su entrambi i fronti: "La partita sulla prescrizione è durata anche troppo a lungo. Ma bisogna lavorare pure sui tempi dei processi". Quasi una mano tesa a Costa che si limita a una provocazione: "I processi lumaca generano prescrizioni. Le prescrizioni lunghe generano processi lumaca. I processi rapidi impediscono le prescrizioni". Una conferma che non esistono margini di possibile trattativa. Soprattutto perché la presidente della commissione Giustizia della Camera, la Pd Donatella Ferranti, non molla sulla prescrizione della corruzione. Definisce "un monito ultimativo" la decisione di Lussemburgo e chiede che "la riforma esca dal limbo parlamentare per diventare al più presto legge ". Ma Costa ribatte: "Se il testo resta così com'è al Senato Ncd vota contro".

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09 settembre 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/09/09/news/la_corte_europea_ci_condanna_mini-prescrizioni_aiuto_agli_evasori_-122486218/?ref=HREC1-1
7691  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / MICHELE AINIS. Il potere diretto del leader Le mutazioni politiche in un Italia inserito:: Settembre 11, 2015, 11:32:51 am
Il potere diretto del leader
Le mutazioni politiche in un Italia che cambia pelle

Di Michele Ainis

L’ Italia cambia pelle, anche se gli italiani non si spellano le mani per l’applauso. Cambia la sua geografia istituzionale, sia nelle istituzioni politiche sia in quelle burocratiche, economiche, sociali. Il nostro premier riuscirà più o meno simpatico, ma di sicuro sta spingendo sull’acceleratore. Il governo Renzi I ha superato la boa dei 500 giorni, e in quest’arco temporale ha messo sotto tiro la scuola, la Pubblica amministrazione, la Rai, il mercato del lavoro, le prefetture, le Camere di commercio, le Province. E ai piani alti del sistema la legge elettorale, il Senato, le competenze delle Regioni. Con quali effetti? C’è una direzione, c’è una parola d’ordine che riassume l’epopea riformatrice?

Le paroline sono tre: verticalizzazione, unificazione, personalizzazione. Nelle scuole comanderà un superdirigente, con poteri di vita e di morte sui docenti. Alla Rai un superdirettore, con le attribuzioni dell’amministratore delegato. Nelle imprese il Jobs act, allentando i vincoli sui licenziamenti, rafforza il peso dei manager. Diventano licenziabili anche i dirigenti pubblici, sicché il capogabinetto del ministro regnerà come un monarca. Nel frattempo viene destrutturato il territorio, nei suoi antichi puntelli istituzionali. Che dimagriscono nel numero (è il caso dei prefetti). Nelle competenze (e qui tocca alle Regioni, con la rivincita dello Stato centrale). Oppure saltano del tutto (come succede alle Province). Così l’onda di piena sommerge i poteri intermedi, non meno dei corpi intermedi. Disintermediazione, ecco l’altro slogan della nuova stagione. Ne sanno qualcosa i sindacati, ormai fuori dalla stanza dei bottoni. Anche i partiti, però, hanno smarrito la loro primazia. Rispondono forse alle direttive d’un partito Crocetta o De Luca, Emiliano o Zaia? No, la leadership dei governatori poggia su un consenso individuale, è la riproduzione su scala locale del filo diretto tra il leader nazionale e gli elettori.

Anche perché tutte le istituzioni collegiali sono in crisi. Vale per i consigli regionali come per quelli comunali, oscurati dall’autorità del sindaco. Vale per il Consiglio dei ministri, che per lo più si limita a timbrare decisioni già annunziate in conferenza stampa. E vale, da gran tempo, per le assemblee parlamentari. Che in questa legislatura si sono spappolate come maionese: Forza Italia si è divisa in tre, il Partito democratico ospita due truppe armate l’una contro l’altra, i 5 Stelle hanno subito un’emorragia fluviale, dentro Scelta civica s’è ripetuto l’esperimento di Hiroshima: la scissione dell’atomo. La frantumazione dei gruppi parlamentari parrebbe un intralcio all’attivismo del governo. I conti, qui, si faranno alla fine.

Ma la concentrazione del potere sarà probabilmente la regola futura, se non è regola già adesso. Con l’unificazione delle Camere, attraverso l’abolizione sostanziale del Senato. E con il premio dell’Italicum: al partito, dunque al partito personale, dunque personalmente al Capo. E da lui giù verso i tanti capetti che stanno per mettere radici nel paesaggio delle nostre istituzioni. Offrendo (almeno in apparenza) una ragione postuma a Mosca e a Pareto, che un secolo fa avevano pronosticato la deriva oligarchica delle democrazie. Ma con il dubbio che sempre a quel tempo inoculò Max Weber, nella sua conferenza sulla scienza: «Il profeta, che tanti invocano, non c’è».

7 agosto 2015 (modifica il 7 agosto 2015 | 07:24)
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Da - http://www.corriere.it/editoriali/15_agosto_07/potere-diretto-leader-3467c352-3cc1-11e5-a2f1-a2464143b143.shtml
7692  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / SERGIO ROMANO. Gli Usa vogliono sconfiggere il Califfato, ma vorrebbero ... inserito:: Settembre 11, 2015, 11:31:15 am
Il commento
Il groviglio di Obama
Gli Usa vogliono sconfiggere il Califfato, ma vorrebbero contemporaneamente sbarazzarsi di Assad, dell’alleato russo e della base di cui dispone sulla costa siriana


Di Sergio Romano

Non posso immaginare che il rafforzamento della presenza militare russa in Siria, annunciato ieri a Mosca, abbia colto Washington di sorpresa. Nelle scorse settimane, dopo le ultime operazioni militari dell’Isis (lo Stato Islamico), la Russia aveva lasciato comprendere che era disposta a collaborare con gli Stati Uniti e le democrazie occidentali contro la minaccia islamista. L’offerta non è stata raccolta. Gli Stati Uniti vogliono sconfiggere il Califfato, ma vorrebbero anche contemporaneamente sbarazzarsi di Assad, del suo alleato russo e della base navale di cui dispone sulla costa siriana. Qualche giorno fa Putin è tornato sull’argomento con una dichiarazione in cui ha annunciato che Assad è pronto a fare nuove elezioni per il rinnovo del Parlamento ed è disposto a governare con la parte «sana» dell’opposizione siriana. Al di là di ogni considerazione sulla credibilità di una tale prospettiva, il messaggio dimostra che Putin continua a rivendicare un ruolo nella crisi siriana e non è disposto a permettere che il presidente Assad venga travolto da una paradossale convergenza tra l’Isis e le democrazie occidentali. Gli Stati Uniti sono contrari.

Washington non vuole Assad, non vuole l’Isis e non vuole Putin nel Mediterraneo. Un tale groviglio di desideri incompatibili sarebbe più facilmente sostenibile se il presidente Obama fosse disposto a impegnare le forze americane sul terreno. Ma esclude anche questa possibilità, forse perché non vuole concludere il suo mandato con una operazione che ricorderebbe, anche se in circostanze alquanto diverse, quella del suo predecessore alla Casa Bianca. Ha un altro piano? Se crede ancora che una guerra, come quella combattuta dall’Isis in Siria e in Iraq, possa essere vinta con i droni, commette probabilmente un errore. E commettono un errore, per le stesse ragioni, quei Paesi occidentali (Francia e Gran Bretagna) che sembrano pronti, pur di provare la propria esistenza, a ripetere la disastrosa esperienza libica. Una voce intelligente e pacata, in questo panorama di vie senza uscita, sembra essere quella del ministro degli Esteri tedesco. Frank- Walter Steinmeier ha chiesto ai russi di rinunciare all’invio in Siria di uomini e materiale militare, e a Francia e Gran Bretagna di astenersi dall’intervenire militarmente; e ha motivato questa richiesta aggiungendo che un tale atteggiamento allontanerebbe la prospettiva di una soluzione negoziata. Tradotta in chiaro questa dichiarazione sembra invitare implicitamente la Russia a farne parte.

Se questo è il senso delle parole del ministro tedesco, molti partner europei potrebbero condividerle; e l’Unione Europea dimostrerebbe di avere nella questione siriana la propria linea, molto più sensata di quella adottata da altri Paesi.

10 settembre 2015 (modifica il 10 settembre 2015 | 07:01)
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DA - http://www.corriere.it/opinioni/15_settembre_10/groviglio-obama-c4b819ac-5774-11e5-b3ee-d3a21f4c8bbb.shtml
7693  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Pier Luigi BATTISTA Berlusconi Ncd e Salvini Il destino incerto del centrodestra inserito:: Settembre 11, 2015, 11:29:10 am
Berlusconi, Ncd e Salvini
Il destino incerto del centrodestra
Orfano della leadership di Berlusconi, il centrodestra sembra essersi perso nei meandri di una rissa non sempre decorosa.
Latita ormai la figura del grande aggregatore


Di Pierluigi Battista

Le convulsioni che scuotono il Ncd di Alfano sono l’ennesima testimonianza nel caos del centrodestra orfano della leadership di Berlusconi. Ognuno va per conto proprio, in una rissa non sempre decorosa. Latita ormai la figura del grande tessitore, del grande aggregatore. Di quello che è stato Berlusconi per un ventennio, che tutti prendevano in giro perché diceva rassemblement in modo che faceva sorridere nella sua ingenuità pre-politica, ma lui il rassemblement l’ha fatto, ha unito le anime diverse del centrodestra, ha cercato una coalizione fortissima, vincendo ripetutamente, diventando protagonista assoluto della politica italiana lungo l’intero arco della Seconda Repubblica. Oggi i suoi eredi presunti si contendono le briciole di un consenso che è evaporato in pochi anni: il Pdl prese da solo il 38% dei voti nelle elezioni nel 2008 e con la Lega di Bossi si arrivava al 45; oggi Forza Italia è a poco più del 10, e il resto si frantuma tra Lega, astensionismo e partitini microscopici, senza futuro, senza coesione, grandi apparati per piccoli consensi. Berlusconi sembra oramai imprigionato nel vortice dell’indecisione. Non sa che fare, è incerto se scatenare la guerra a Renzi o farsi suo alleato. È cupo, malinconico, catturato da una piccola corte gelosa che lo ha rinchiuso in una fortezza. Promette il grande ritorno e poi diserta persino la festa del Giornale che doveva celebrare l’anno zero di una nuova stagione berlusconiana.

Il centrodestra sembra paralizzato dalla stessa sindrome. Forza Italia è evanescente. Il Nuovo centrodestra si divide tra chi vorrebbe andare con Renzi e chi ha voglia di recitare il ruolo del figliol prodigo, contrito, desideroso di farsi perdonare dal vecchio leader in disarmo. La tentazione è di mettersi una felpa e di affidarsi al vigore mediaticamente efficacissimo di Salvini. Ma il voto a Salvini è classicamente un voto «identitario», cancella la possibilità di ogni rassemblement, rompe i rapporti con il resto dei moderati d’Europa, consegna la destra alla sua natura più radicale ed oltranzista, forte nel suo insediamento ma incapace di parlare al resto del Paese e a costruire una maggioranza in gradi di scalzare il dinamismo di Matteo Renzi. Berlusconi è incapace di prefigurare e creare il dopo-Berlusconi. Un giorno parla di una successione democratica e non monarchica, il giorno dopo uccide la prospettiva stessa delle primarie. Non sa più trasmettere alla sua Forza Italia un messaggio univoco: vuole essere un partito che segue la lezione di Cameron, della Merkel, di Ma- riano Rajoy che capeggia con i Popolari ancora il primo par- tito in Spagna, dello stesso Sarkozy, oppure vuole inseguire a braccetto di Salvini la Le Pen, Farage, Orbán nel nome dell’antieuro e della barriere ai profughi che invadono l’Europa.
L’Ncd di Alfano doveva essere il volto moderato del centrodestra: missione fallita. Ma se il centrodestra non deciderà in temi ragionevoli il suo destino, il destino stesso si sobbarcherà il compito di assegnargliene uno: la sempre più marcata irrilevanza.

11 settembre 2015 (modifica il 11 settembre 2015 | 07:21)
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Da - http://www.corriere.it/editoriali/15_settembre_11/destino-incerto-centrodestra-796abb24-5843-11e5-8460-7c6ee4ec1a13.shtml
7694  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / F. VERDERAMI Il disincanto di Berlusconi che preferisce «rifugiarsi» da Putin inserito:: Settembre 11, 2015, 11:27:26 am
Il retroscena SUL VIAGGIO IN RUSSIA
Il disincanto di Berlusconi che preferisce «rifugiarsi» da Putin
Il progressivo allontanamento dal Palazzo dell’ex premier. Di Renzi non si cura più Il leader dall’amico Vladimir per «studiare una strategia con cui sconfiggere l’Isis»

Di Francesco Verderami

ROMA L’unica cosa che ancora lo appassiona è la politica estera e «l’unico leader mondiale rimasto sulla scena, cioè Putin. Altro che Obama e Merkel». Per il resto non prova più attrazione, «non ho più voglia», ammette Berlusconi. E il suo disamoramento per le cose di Palazzo è sintomo comune a quanti si accingono al distacco. Durante l’ultimo vertice estivo in Sardegna con i dirigenti di Forza Italia, mentre il capogruppo dei senatori Romani gli parlava di riforme, lui parlava di botanica, preoccupato per certi innesti fatti su alcune piante rare più che per le modifiche da apportare alla Costituzione.

Cambiar discorso o cambiare aria sono modi per sfuggire a una quotidianità che deprime, con gli avvocati sempre per casa, con le liti di confine nel partito, con quel Salvini che non passa giorno senza ricordargli di aver più voti e meno anni. Così, quando proprio non può cambiar discorso, allora Berlusconi cambia aria. Torna da Putin «per studiare insieme a lui una strategia con cui sconfiggere l’Isis». Di sconfiggere Renzi, che sembrerebbe un obiettivo meno complicato, non si cura (più). Anche perché - dice - «fino al 2018 la situazione resterà bloccata», e poi «sono in attesa di aver giustizia dalla giustizia per poter rientrare in campo».

Ma all’idea che possa essere un giudice di Strasburgo a fargli tornare la voglia, non ci crede più nessuno in Forza Italia. E in fondo non ci crede nemmeno lui, che pure recita la parte per tenere unito quel che resta delle truppe e per non disperdere l’elettorato fidelizzato. Che sembri un alibi lo s’intuisce anche dal modo in cui all’occorrenza l’amico di una vita, Confalonieri, prova a difenderlo da amici e avversari che lo assediano: «Lasciatelo in pace quest’uomo».

Il fatto è che «quest’uomo» spesso è vittima di se stesso: accentra ogni cosa e non vuole poi occuparsene, nomina generali e se ne stanca poco dopo, s’inventa l’Altra Italia e in men che non si dica la inabissa come Atlantide. Una sequenza di mosse e contromosse in cui finisce per restare imbrigliato: dalle schermaglie nel partito sui volti nuovi da mandare in tv, fino alle questioni di strategia politica. Come spiega Matteoli, «per capire la linea di Silvio bisogna aspettare il giorno in cui la cambia». Per oltre venti anni questa tattica si è rivelata vincente, ora che non lo è più la cosa genera sconcerto nel partito verso il quale il leader mostra tutto il suo distacco. E non si addossa colpe, perché si sente «un incompreso».

Stanco anche del cerchio magico, delle liti tra di loro e delle liti con loro, Berlusconi vola da Putin per sfuggire all’oltraggiosa sfortuna. Quando c’è il caos meglio cambiar discorso o cambiar aria. Accadde già in una torrida giornata di luglio del 2003, quando tutti a Roma si domandavano dove fosse finito il presidente del Consiglio, mentre il governo di centrodestra era sull’orlo della crisi. Lo scoprirono a Positano, nella villa del regista e amico Zeffirelli, dove rimase fino a sera dimenticandosi delle beghe con Bossi, Fini e Casini: «Lasciamoli sfogare questi ragazzi».

Anche stavolta saluta tutti e parte. Dopo aver disertato la riunione con i senatori forzisti sulle riforme, ha fatto saltare l’appuntamento pubblico alla Versiliana organizzato dal Giornale (dove avrebbe parlato il giorno prima di Renzi), e ha disdetto la visita al convegno di Fiuggi indetto da Tajani, a cui però ha promesso «un collegamento telefonico dalla Russia»: «Viene bene lo stesso. I giornali poi riprendono le cose che dico». Ma la sua assenza si nota, come si nota quella buca che ha scavato dove un tempo aveva costruito il Pdl. Non c’è quasi più niente, tranne berlusconiani spaesati e sparsi, al centro a destra e a sinistra. Come accadde quando implose la Dc.

E mentre Renzi prepara il tour per cento teatri d’Italia, Berlusconi - che aveva promesso di fare un giro di tutte le province - si rifugia oltre confine da un amico con cui si diverte: «Con Putin mi diverto». Ed è sincero ogni volta che lo dice, perché sorride quando si appresta a mostrare certe foto private con il presidente russo. Eccoli mentre fanno rafting insieme, imbragati con i salvagente e il caschetto protettivo; o mentre sfidano i rigori del clima siberiano con una tuta termica che somiglia a quella degli apicultori; e ancora mentre fanno una battuta di caccia. «E poi c’è questa...», che ritrae Berlusconi a un poligono di tiro mentre prende la mira e spara con un kalashnikov.

Non le ha mai rese pubbliche queste pose, nonostante le insistenze, perché «non so quale reazione susciterebbero nell’opinione pubblica». Forse non lo fa perché è consapevole che darebbero la misura del suo distacco dal Palazzo e dalle cose della politica nazionale, perché mostrerebbero in modo inequivocabile cosa si cela dietro i segni del progressivo e inarrestabile disamoramento. Forse si capirebbe perché Berlusconi parla di botanica mentre attorno a lui gli altri parlano di riforme.

9 settembre 2015 (modifica il 9 settembre 2015 | 07:48)
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Da - http://www.corriere.it/politica/15_settembre_09/disincanto-berlusconi-che-preferisce-rifugiarsi-putin-4d141292-56b2-11e5-a580-09e833a7bdab.shtml
7695  Forum Pubblico / L'ITALIA DEMOCRATICA e INDIPENDENTE è in PERICOLO. / Buona scuola, Veneto fa ricorso a Consulta. inserito:: Settembre 11, 2015, 11:24:33 am
Buona scuola, Veneto fa ricorso a Consulta.
Zaia: "Riforma cancella il ruolo della Regione previsto da Costituzione"

Pubblicato: 08/09/2015 14:07 CEST Aggiornato: 3 ore fa

La Regione Veneto presenta ricorso alla Consulta contro la legge sulla 'Buona scuola' perché lesiva dell'autonomia amministrativa della Regione. "La cosiddetta riforma sulla 'Buona scuola' - dice il presidente Luca Zaia - marginalizza, anzi cancella il ruolo della Regione, vanificandone quei compiti programmatori e di gestione che la Costituzione le ha affidato".

"Chiediamo - rileva Zaia - ai giudici della Consulta di fare chiarezza nel pasticciato provvedimento governativo: non accettiamo il ruolo di spettatori inerti dell'affossamento di sistemi collaudati di istruzione e formazione come quello veneto, dove la Regione ha investito sinora importanti risorse in sostituzione dello Stato, riuscendo a garantire apprezzati livelli di qualità e di inserimento occupazionale". A questo proposito la Regione ha dato mandato di ricorso alla propria Avvocatura.

Tre i profili di incostituzionalità della legge 107/2013 argomentati nelle sette pagine del ricorso avanzato dalla giunta regionale veneta: La riforma affida al ministero dell'Istruzione il compito di definire l'offerta formativa dei percorsi di istruzione e di formazione professionale, espropriando la regione di un compito che la Costituzione le affida in competenza esclusiva; La 'Buona scuola' affida agli Uffici scolastici regionali , emanazione diretta del Ministero, e non più alle Regioni il dimensionamento della rete scolastica (cioè stabilire l'ampiezza degli ambiti territoriali in funzione della popolazione scolastica, del numero degli istituti e delle particolari caratteristiche del territorio), creando così una possibile sovrapposizione di competenze programmatorie tra Ministero e Regioni.

Infine, molteplici e puntuali indicazioni contenute nella riforma governativa "determinano - si legge nell'impugnativa - una fitta rete di interferenze con la competenza esclusiva regionale in materia di istruzione e formazione professionale e potenzialmente attribuiscono allo Stato competenza ad adottare non solo norme di principio ma anche disposizioni di dettaglio in materia di istruzione".

DA - http://www.huffingtonpost.it/2015/09/08/buona-scuola-veneto-fa-ricorso-a-consulta_n_8102588.html?utm_hp_ref=italy
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