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Autore Discussione: Italia-Usa, ora è tempo di cambiare (accordi tra alleati ma con dignità).  (Letto 2692 volte)
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« inserito:: Ottobre 29, 2007, 10:19:51 pm »

Italia-Usa, ora è tempo di cambiare

Gian Giacomo Migone


Anche se le critiche di Antonio Cassese alla rinuncia di giurisdizione da parte della Terza Corte d’Assise di Roma nei confronti di Mario Luis Lozano mi sembrano convincenti (cfr. La Repubblica, 26 ottobre), la morte di Nicola Calipari richiama principi e valori nei rapporti tra gli Stati che trascendono pur importanti questioni di ordine giuridico. Essa si inserisce in una serie di episodi, diversi l’uno dall’altro ma con aspetti analoghi, come quello dell’abbattimento della funivia del Cermis e del rapimento di Abu Omar sul territorio italiano.

Episodi che chiamano in causa l’impostazione dei rapporti dell’Italia con il suo maggiore alleato, la natura della collaborazione tra istituzioni dei due Paesi, quanto meno nel caso di Abu Omar la stessa sovranità dello Stato. Nel caso del Cermis, soltanto la sensibilità umana prima che politica dell’allora ambasciatore Usa Thomas Foglietta riuscì a scongiurare un conflitto diplomatico, nutrito di indignazione popolare, che avrebbe potuto ferire profondamente i sentimenti di amicizia tra i due paesi. Anche sulla base di un’autorevole opinione del professor Conforti, il governo di centrosinistra dell’epoca scelse di non contestare la giurisdizione americana nei confronti dei piloti che, infrangendo regole elementari di volo, avevano causato la tragedia. In quell’occasione il presidente della Commissione Forze Armate del Senato americano, Warner, mi ringraziò per la pazienza allora dimostrata dal Parlamento italiano (presiedevo allora la Commissione Esteri del Senato). Quando quella giurisdizione fu esercitata, da parte della Corte militare statunitense, in maniera tale da lasciare praticamente indenni gli imputati riconosciuti colpevoli, fui costretto a comunicare al collega che quella pazienza aveva un limite. Nel caso Calipari la giurisdizione, a cui ha rinunciato il giudice di Roma con motivazioni che non sono ancora di pubblica ragione, non è stata nemmeno esercitata da parte americana. Ciò presenta almeno due aggravanti rispetto al caso Lozano: in tal modo è mancata una fede processuale in cui siano state chiarite le circostanze di quello che si configura non come una sia pur gravissima imprudenza, bensì come un vero e proprio assassinio, in presenza di una volontà di uccidere, comunque ispirata; inoltre, il non luogo a procedere da parte americana indica una sorta di assoluzione politica a monte che permette addirittura a Lozano di affermare che «l’Italia non deve più mettere i suoi ufficiali in situazioni simili, senza dire nulla solo per evitare che si sappia del pagamento di un riscatto». In questo caso sono i responsabili del governo dell’epoca, presieduto da Berlusconi, a dover rispondere. Forse non è un caso che Maurizio Paniz di Forza Italia arrivi alla conclusione secondo cui «sarebbe ora di rivedere i trattati di collaborazione giudiziale con una nazione amica come gli Stati Uniti». Finalmente una buona occasione per un’iniziativa bipartisan!

Tuttavia, non sarebbe sufficiente la revisione degli accordi bilaterali o multilaterali di ordine giurisdizionale per dipanare una matassa fatta di accordi segreti e di prassi ancor più segrete che rischino di inquinare, gradualmente ma in maniera difficilmente rimediabile, rapporti che devono restare amichevoli tra i due Stati. Lascio volutamente da parte quelli riguardanti le basi militari Usa e della Nato che tuttora sfuggono in gran parte al controllo del Parlamento, per concentrare l’attenzione sul caso Abu Omar, tuttora aperto. L’ambasciatore Ronald Spogli si limita ad esprimere l’auspicio che quel caso si risolva positivamente per gli Stati Uniti. Come non condividere questo auspicio a cui sarebbe doveroso, da parte sua come da parte nostra, aggiungere quello di una soluzione egualmente positiva per l’Italia! I fatti sono noti e non seriamente controversi. Abu Omar è stato prelevato a Milano da un commando della Cia, a cui hanno collaborato in maniera da accertare, esponenti del Sismi, attualmente sotto processo, anche se l’iter giudiziario è stato per ora sospeso da un ricorso alla Corte Costituzionale da parte del governo Prodi per un conflitto di attribuzione riguardante l’applicazione del segreto di Stato (il quale, secondo recenti affermazioni di parte governativa riguarderebbe soltanto - udite, udite! - i rapporti di collaborazione tra i servizi segreti dei due Stati).

Amici degli Stati Uniti quali noi siamo potrebbero ritenere che sia loro interesse cogliere questa occasione per rimettere in discussione la politica di extraordinary renditions che costituisce l’esito sicuramente più paradossale, forse più controproducente, della cosiddetta guerra al terrorismo dell’Amministrazione Bush: Abu Omar è stato dichiaratamente rapito per sottoporlo a pratiche di tortura, escluse su territorio americano ma praticabili da parte di un Paese in linea teorica soggetto ad un processo di democratizzazione promosso dai medesimi Usa (in questo caso l’Egitto). Lasciamo l’ambasciatore Spogli e al governo da lui rappresentato in Italia decidere se sia nel suo interesse perpetuare una simile prassi, anche a costo di violare la sovranità territoriale di un Paese amico e alleato. È, invece, difficile mettere in discussione il diritto-dovere di qualsiasi governo italiano degno di questo nome rimuovere ogni ostacolo all’azione giudiziaria del Tribunale di Milano, cogliendo l’occasione per riformare una collaborazione clandestina che offre frutti così avvelenati.

g.gmigone@libero.it

Pubblicato il: 29.10.07
Modificato il: 29.10.07 alle ore 14.17   
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