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Autore Discussione: Andrea Purgatori. Intelligence belga incapace o il paese è troppo "accogliente"  (Letto 1751 volte)
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« inserito:: Novembre 17, 2015, 07:02:17 pm »

Attentato di Parigi: i dubbi sull'atteggiamento dell'intelligence belga, ma è davvero così incapace?

Andrea Purgatori, l'Huffington Post
Pubblicato: 17/11/2015 16:51 CET Aggiornato: 1 ora fa

La prima domanda: perché Abdeslam Salah è stato l’unico sopravvissuto del commando alla notte di fuoco di venerdì 13? La seconda domanda: perché i servizi segreti belgi hanno lasciato crescere indisturbata per mesi, forse per anni la cellula della Jihad nel quartiere di Molenbeek?

Non ci sono dubbi che quella organizzata per colpire Parigi e il cuore dell’Europa fosse una missione suicida. Tutti i terroristi hanno agito con giubbetti o cinture imbottiti di perossido di acetone (Tatp). E qui le possibilità sono due. Abdeslam Salah non aveva addosso l’esplosivo, perché era già previsto che non dovesse sacrificarsi come gli altri, come suo fratello.

Oppure all’ultimo istante forse non ha avuto il coraggio di farsi saltare in aria. Nel primo caso, la sua sopravvivenza sarebbe giustificabile solo con un ruolo di primaria importanza all’interno dell’organizzazione. Ma c’è anche quella seconda eventualità? No.

I precedenti aiutano a capire. Negli attentati a Charlie Hebdo e al supermercato Kosher, i fratelli Said e Cherif Kouachi e Amedy Coulibaly non si erano suicidati durante o subito dopo l’azione ma avevano messo nel conto una fuga disperata ed equivalente a un suicidio. E così è stato. Per Abdeslam Salah invece non c’è stata né la fuga disperata, né una coda autolesionista. E’ fuggito e basta. E al momento è sicuramente nascosto dalla rete della Jihad in Belgio, che peraltro sta mostrando di avere tentacoli anche in Olanda e Germania.

Per lui, per le ore successive all’attacco di venerdì 13, hanno parlato Mohamed Amri e Hamza Attou, arrestati e indicati forse con troppa approssimazione gli artificieri del gruppo perché nelle loro abitazioni sono state trovare abbondanti dosi di nitrato d’ammonio (ma il Tatp è un composto che non ne contiene). Amri ha raccontato di essere andato a Parigi a prelevare Abdeslam nella notte della carneficina al Bataclan e di averlo riportato a Bruxelles, scaricandolo nei pressi dello stadio. Naturalmente, siamo dentro una nebulosa di bugie e depistaggi. E Amri è ancora sotto interrogatorio.

Sta di fatto che Abdeslam è l’uomo che ha affittato le due stanze d’albergo servite al gruppo per attendere l’ordine di attacco. Ed è lì (lo confermano aghi e tubicini di plastica) che l’artificiere, quello vero, deve aver preparato giubbetti e cinture con quella miscela talmente instabile che avrebbe reso assolutamente proibitivo uno spostamento con l’esplosivo a bordo di una macchina da Bruxelles a Parigi. Nelle stanze 311 e 312 del City Apartment di Alfortville, nella banlieu parigina, i terroristi hanno mangiato la pizza, hanno caricato le armi, si sono guardati in faccia. C’è da immaginare che a quel punto tutti sapessero che Abdeslam avrebbe partecipato all’azione senza suicidarsi. Il perché lo scopriremo forse tra qualche ora o qualche giorno, o forse mai.

Ma adesso? L’antiterrorismo belga sta marciando al ritmo di decine di blitz al giorno. Soprattutto nel quartiere di Molenbeek. Ma questo non basterà ad evitare che una nuova tempesta investa la Surete de l’Etat (SdE), i servizi segreti che da Charlie Hebdo (le armi dei terroristi procurate da una cellula in Belgio) al treno Amsterdam-Parigi (l’attentatore in arrivo dal Belgio), fino al massacro di venerdì 13 a Parigi si sono visti passare sotto il naso non uno ma decine di jihadisti, senza muovere un dito se non a posteriori.

Per il poliziotto e criminologo Jaak Raes, che della SdE è il capo dal 2014, non sarà una passeggiata spiegare come accidenti sia stato possibile a una intera rete di terroristi nascere, proliferare e muoversi indisturbata all’interno di un quartiere a forte componente islamica e certamente difficile da penetrare, ma a anche due passi dai palazzi dell’Unione Europea. Mentre i media del Paese cominciano ad avanzare dubbi e interrogativi tutt’altro che campati in aria.

Anche qui i precedenti qualcosa insegnano. Nel 1996, il ministro dell’Interno francese Charles Pasqua accusò senza giri di parole la SdE e il governo belga di aver stretto un patto di neutralità reciproca con i terroristi del Gia algerino, che il 25 luglio 1995 avevano fatto 7 morti e 117 feriti nella stazione della metro di Saint Michel. Anzi, per la verità era stato proprio il Gia a rivelare nel comunicato di rivendicazione l’accordo coi servizi segreti. Accordo che prevedeva che la SdE chiudesse gli occhi sulla presenza di cellule del Gia a Bruxelles, in cambio della promessa da parte dei terroristi di non compiere azioni sul territorio belga.

Non finisce qui. Nel 2008, nonostante un sistema di videosorveglianza 24 ore su 24 e addirittura 32 uomini dei servizi dislocati intorno alla casa, Fehriye Erdal, terrorista del DHKP-C turco condannata per l’assassinio di un industriale a Istanbul, riuscì a fuggire prima in macchina e poi in autobus trascinando alle dimissioni l’allora capo della SdE, Koen Dassen. Insomma, ce ne è abbastanza per sospettare che l’atteggiamento dell’intelligence belga nei confronti delle cellule della Jihad sia stato quanto meno superficiale, per non dire accondiscendente.

Il risultato è questo, al momento: Adeslam Salah è irreperibile e i reparti speciali dell’antiterrorismo consumano blitz su blitz mostrando i muscoli giorno e notte. Se l’avessero fatto prima del venerdì nero, forse oggi non si piangerebbero morti innocenti e non ci si interrogherebbe su quello che ancora ci aspetta dal mostro jihadista cresciuto a dismisura tra le strade, le case e le moschee di Molenbeek.

DA - http://www.huffingtonpost.it/2015/11/17/attentato-parigi-intelligence_n_8582486.html?utm_hp_ref=italy
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