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Autore Discussione: Piergiorgio ODIFREDDI.  (Letto 73018 volte)
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« Risposta #105 inserito:: Aprile 01, 2013, 05:50:38 pm »


29
mar
2013

Onore e disonore nel Bel Paese, II

Piergiorgio ODIFREDDI

A pochi giorni dal post del 21 marzo, che opponeva casi di onore nella società civile a casi di disonore nelle forze armate, si ripropone drammaticamente la questione negli stessi termini: da un lato, l’onore di una madre che rivendica silenziosamente rispetto per la memoria del figlio brutalmente assassinato, e dall’altra il disonore di coloro che manifestano a favore dell’impunità per gli assassini.

I fatti sono noti. Il 25 settembre 2005 due volanti della polizia, con tre poliziotti e una poliziotta a bordo, intercettano lo studente diciottenne Federico Aldrovandi, che sta tornando a casa solo e a piedi, dopo una serata di alcol e spinelli in un locale di Bologna. Lo massacrano di botte fino a spezzare i manganelli, gli salgono addosso con le ginocchia, e lo uccidono asfissiandolo. Poi riportano alla centrale operativa: “L’abbiamo bastonato di brutto. Adesso è svenuto, è mezzo morto”.

Il 6 luglio 2009 i quattro responsabili dell’omicidio vengono condannati dal tribunale di Ferrara a tre anni e mezzo per “eccesso colposo [sic] nell’uso legittimo [sic] delle armi”. Il 29 gennaio 2013, dopo vari gradi di giudizio, la sentenza diventa operativa: i quattro beneficiano dell’indulto di tre anni, e devono scontare i rimanenti sei mesi di carcere. La poliziotta, in quanto manifestamente appartenente al “gentil sesso”, riceve il beneficio degli arresti domiciliari.

Ma sei mesi di carcere per un omicidio sembrano troppi ai poliziotti del sindacato autonomo di polizia Coisp, colleghi dei condannati. Fanno dunque circolare per vari giorni per Ferrara un furgone con manifesti e bandiere, stazionandolo ripetutamente di fronte al palazzo del Comune, dove lavora la madre del giovane assassinato. E il 27 marzo indicono una manifestazione di protesta in quello stesso luogo.

La madre esce e contromanifesta silenziosamente di fronte a loro, esponendo di fronte ai complici morali la foto del figlio sfigurato dalla violenza dei quattro condannati, e in un bagno di sangue. E il coraggioso segretario del Coisp, l’agente Franco Maccari, arriva a sostenere che si tratta di un fotomontaggio.

Fortunatamente in questo frangente, diversamente da quello dei marò, il governo ha timidamente scelto di non spalleggiare gli agenti disonorati. Lo stesso 27 marzo il ministro Cancellieri ha dichiarato alla Camera: “No a sanzioni [sic], ma giudizio critico” nei confronti dei manifestanti, e in seguito ha disposto un’ispezione. I ministri e i parlamentari si sono alzati in piedi, tributando alla madre un applauso di solidarietà.
E il sindacato Silp Cgil ha preso le distanze dai colleghi del sindacato Coisp.

Forse un barlume di speranza esiste per il nostro paese. Ma, in ogni caso, nessuno ridarà alla madre il figlio ucciso dalle sedicenti “forze dell’ordine”, che ritengono di avere il diritto di condannare a morte impunemente i deboli rei del “disordine dello spinello”.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/03/29/onore-e-disonore-nel-bel-paese-ii/
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« Risposta #106 inserito:: Maggio 07, 2013, 11:14:24 pm »


6
mag
2013

Non so se sia stata una fortuna, anche se io la considero tale, ma ho incontrato qualche volta Giulio Andreotti. Un politico d’altri tempi: quelli in cui, al contrario di oggi, si poteva trovare interessante un politico anche quando non si condividevano le sue idee, i suoi metodi o le sue azioni.

La prima volta che ebbi a che fare con lui fu nel 1983, quando mi successe un “infortunio” diplomatico in Unione Sovietica. Due spie sovietiche erano state arrestate in Italia, e per ritorsione i sovietici avevano fermato tre italiani: un giornalista del Giorno, un industriale della Falk e un professore universitario, cioè me. Per loro eravamo semplicemente una merce di scambio, e dopo varie vicissitudini lo scambio effettivamente si fece. E fu Andreotti, nella sua qualità di ministro degli Esteri, a gestire le trattative, che durarono sei mesi.

O almeno, così mi dissero all’epoca. E quando lo incontrai dopo qualche anno, e glielo ricordai per ringraziarlo, lui accettò i ringraziamenti e non negò, nel suo stile. E poiché, come diceva il conte di Buffon, le style c’est l’homme, fu proprio lo stile a rendermelo attraente, secondo il principio della “attrazione degli opposti”. Così com’è la mancanza di stile a rendermi insopportabile un politico come Grillo, col quale forse ho qualche affinità politica in più (il cinquanta per cento, probabilmente, come con chiunque dica cose a caso).

La prima volta che incontrai Andreotti fu per un’intervista sul teorema di Gödel: volevo vedere cosa avrebbe pensato di un risultato che dice che “ci sono verità indimostrabili”, in un periodo in cui era sotto processo per fatti legati alla mafia. Capì ovviamente subito l’antifona, e mi domandò se allora anche in matematica ci sono casi in cui “si sa qualcosa, ma non c’è la prova”. E notò che lui era stato favorevole all’abolizione dell’assoluzione per mancanza di prove: “se si pensa che qualcuno abbia combinato qualcosa”, disse, “ma non si può provarlo, non si va a cena con lui, ma non lo si condanna”.

Poi lo incontrai varie altre volte, da Vespa e altrove. In un paio di dibattiti mi divertii a osservarlo, con la coda dell’occhio, agitarsi sulla sedia mentre dicevo cosa pensavo della Chiesa, in attesa che venisse il suo turno di replicare, ma senza mai interrompere: di nuovo, un atteggiamento oggi passato in disuso, nella sguaiatezza della mediaticità contemporanea.

Naturalmente, da ragazzo e da giovane lo consideravo l’incarnazione del male in politica: sia oggettivamente, come democristiano, che soggettivamente, come Belzebù. Anche se quest’ultimo appellativo contribuiva a rendermelo simpatico: molto più che se fosse stato ritenuto un santo, come La Pira.

Altrettanto naturalmente, in quei tempi non avrei mai pensato che in seguito, pur continuando a pensare tutto il male possibile dei democristiani, compresi i due ultimi presidenti del Consiglio, sarei stato costretto a pensare molto, ma molto peggio di vari altri partiti e indemoniati che sarebbero venuti dopo: Berlusconi e Forza Italia, Bossi e la Lega, Grillo e il M5S.

Al loro confronto, Andreotti era da leccarsi i baffi: non da ultimo, per la sua cultura, e per i libri che leggeva e scriveva. Quello su padre Matteo Ricci, ad esempio, di cui parlammo una volta, e del quale sono sicuro che né Berlusconi, né Bossi, né Grillo conoscono neppure l’esistenza. E questo spiega molte cose, compreso il fatto che oggi concedo l’onore delle armi a quel “nemico di classe”: cosa che non potrei mai fare per quegli altri tre “tribuni del popolo”, che comunque, per loro (ma non nostra) fortuna, sono ancora tutti vivi e vegeti.

DA - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/05/06/un-politico-interessante/
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« Risposta #107 inserito:: Maggio 12, 2013, 06:35:22 pm »


12
mag
2013

Così muore uno scienziato

Piergiorgio ODIFREDDI

Il 4 maggio scorso Christian De Duve, premio Nobel per la medicina nel 1974, è morto. O meglio, vivendo in Belgio, ha potuto decidere di morire per eutanasia, essendo soddisfatto della vita che aveva vissuto per 95 anni, ma insoddisfatto di quella che avrebbe dovuto vivere per i postumi di una caduta. Aveva preso la sua decisione un mese fa, ma l’ha messa in pratica solo la scorsa settimana, per aspettare l’arrivo del figlio dagli Stati Uniti, e potersi congedare dal mondo circondato dalla famiglia al completo.

De Duve era noto al pubblico informato per una serie di libri divulgativi di grande intensità: in particolare Polvere vitale e Alle origini della vita per Longanesi (1998 e 2008), e Come evolve la vita e Genetica del peccato originale per Cortina (2003 e 2010). Questi libri esprimevano una visione spirituale della vita, biologica e umana, che è stata spesso fraintesa, per colpa o per dolo, come religiosa: molti hanno dunque tentato di annettersi la sua figura, come esempio di scienziato credente.

La sua fine coraggiosa e serena ha fatto giustizia di questi tentativi, e un’intervista da lui rilasciata al quotidiano Le Soir per spiegare la sua decisione non lascia dubbi. Alla domanda se avesse paura della morte, egli ha infatti risposto così: “Sarebbe troppo dire che la morte non mi spaventa, ma non ho paura di quello che verrà dopo, perché non sono credente. Quando sparirò sarà per sempre, e non resterà niente”.

Quanto alla fede, una volta a Venezia mi aveva detto testualmente: “La religione deve adattarsi alle scoperte scientifiche: se c’è un conflitto con la scienza, è lei che deve cedere”. E lui l’ha costretta a cedere, quando si è trovato a dover prendere una decisione responsabile sul proprio fine vita.

(testo pubblicato oggi su Repubblica, nella rubrica Tabelline)

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/05/12/cosi-muore-uno-scienziato/?ref=HROBA-1
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« Risposta #108 inserito:: Maggio 20, 2013, 11:58:18 pm »


19
mag
2013

L’onorevole soubrette


Nella puntata di Porta a Porta del 1 ottobre 2009 Ignazio La Russa, allora ministro della Difesa, mi urlò in diretta che facevo schifo, e si mise le dita nelle orecchie per non stare a sentire che cosa avevo di dire. Ma ciò che avevo da dire era molto semplice, anche se il ministro non voleva starlo a sentire: si trattava del fatto che il primo tassello del disvelamento di Silvio Berlusconi come un erotomane, pronto a offrire cariche politiche alle donne che lo attraevano sessualmente, era stato un episodio di qualche anno prima, e aveva coinvolto la signora Mara Carfagna.

Fu in seguito a quell’episodio, nel quale Berlusconi disse in pubblico che se non fosse già stato sposato con Veronia Lario, avrebbe sposato la soubrette, che il 31 gennaio 2007 la signora Berlusconi scrisse una lettera a Repubblica, nella quale pretese pubblicamente le scuse dal marito. In una successiva mail del 28 aprile 2009, la signora criticò come “ciarpame senza pudore” le candidature delle veline in politica, e pochi giorni dopo chiese la separazione da Berlusconi.

Nel frattempo, nel 2006 la velina Carfagna era stata eletta deputato, e nel 2008 divenne addirittura ministro per le pari opportunità: un vero e proprio sberleffo alla decenza, per un’arrivista che era apparsa nuda sulla copertina di una rivista nel 2001, e su un intero calendario nel 2005. Nei tre anni e mezzo in cui rimase in carica, il ministro si distinse per una relazione extraconiugale durata due anni e mezzo con il deputato finiano Italo Bocchino, rivelata pubblicamente nel 2011 dalla moglie di questo.

L’altro giorno l’ex ministra, ma tuttora deputata, è stata insultata al supermercato da due persone. Il ministro dell’Interno, suo collega di partito, dà la colpa dell’episodio ai “cattivi maestri”: tra i quali, probabilmente, vanno annoverati tutti coloro che non dimenticano, e continuano a ricordarlo a chi l’ha dimenticato, come e perché la signora Carfagna sia entrata in politica e abbia fatto carriera. La presidente della Camera ha espresso solidarietà alla collega di seggio in una “lunga e affettuosa telefonata”: evidentemente, lo spirito di casta ha sempre il sopravvento sulla decenza.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/05/19/lonorevole-soubrette/
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« Risposta #109 inserito:: Giugno 01, 2013, 04:58:07 pm »


29
mag
2013

Il Grillo Frignante

Piergiorgio ODIFFREDDI

Che Beppone abbia perso in tre mesi metà dei consensi incautamente manifestatigli dagli elettori alle elezioni politiche, non stupisce. Stupisce semmai che abbia conservato l’altra metà, a dimostrazione del fatto che l’illusione è refrattaria a cedere di fronte all’evidenza, e dura a morire.

Eppure, già la campagna elettorale per le politiche avrebbe dovuto far drizzare le orecchie a chiunque non fosse sordo: le urla strozzate e gli occhi allucinati del tragicomico non potevano infatti distrarre dall’evidenza del vuoto massimalista delle sue non-proposte, dal reddito di cittadinanza (un colpo alla botte di sinistra) alle misure contro gli immigrati (un colpo al cerchio di destra).

L’armata Brancaleone sbarcata in Parlamento ha subito aperto gli occhi a coloro che, invece di essere ciechi, erano solo orbi: l’Italia avrebbe dovuto essere “rivoltata come un calzino” da ignoranti che non sapevano nemmeno dove si trovasse il Parlamento o cosa prevedesse la Costituzione (ad esempio, l’età per essere eletti al Quirinale), da idioti preda delle cretinate della rete (ad esempio, che negli Stati Uniti il “potere” impianta chip di controllo delle menti nei cittadini), da presuntuosi incapaci di distinguere le consultazioni per il governo dai dibattiti di Ballarò.

Per qualche settimana i neofiti della Casta hanno scalpitato a proposito delle commissioni, senza nemmeno sapere la differenza tra le proposte di legge e le loro approvazioni, e credendo che bastasse depositare le prime per ottenere automaticamente le seconde. Poi hanno cominciato a litigare sugli stipendi e i rimborsi, come i tanto vituperati “parassiti della politica”.

Nel frattempo hanno perso i treni della formazione di un governo di rottura e dell’elezione di un presidente di innovazione, perché totalmente incapaci di fare politica, e bravi soltanto a giocare il ruolo del bullo di periferia, all’insegna del motto “io con te non ci parlo, e tu devi fare cosa dico io”.

Ora la gente ha capito che dobbiamo ringraziare i voti sprecati dati a Grillo, se al governo è tornato Berlusconi e al Quirinale è rimasto Napolitano. Una buona parte degli elettori ha deciso di mandare “affa” la politica, senza più andare a votare. E un’altra buona parte ha deciso di mandare “affa” Grillo, capendo che il suo rimedio è peggiore del nostro male.

Ora Grillo frigna che “la colpa è degli Italiani”, e ha perfettamente ragione. Ma non nel senso in cui la intende lui, ovviamente: la colpa è (anche) di tutti coloro che gli hanno dato retta, e che non hanno capito che chi semina il vento dei ciarlatani raccoglie la tempesta dei reazionari. Grazie, Grillo, e che le prossime elezioni ti possano spiaccicare sulla scheda come una cavalletta.

DA - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/05/29/il-grillo-frignante/
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« Risposta #110 inserito:: Giugno 03, 2013, 04:56:01 pm »


2
giu
2013

L’Italia scientifica non fa festa

Piergiorgio ODIFREDDI

Il 2 giugno, giorno della festa della Repubblica, si presta a una riflessione sul suo atteggiamento nei confronti della scienza. Riflessione stimolata da una recente vicenda, che si ripropone come una riedizione della famigerata vicenda Di Bella di alcuni anni fa.

Tutto ha origine da un certo professor Davide Vannoni, laureato in lettere, e insegnante di psicologia presso l’Università di Udine. Questo fior di umanista ha inventato un metodo terapeutico denominato Stamina, per una sedicente “cura compassionevole” per malattie rare, dalla atassia muscolare spinale al coma vegetativo, basata sulle cellule staminali. Sperimentata fino a poco tempo all’Ospedale di Brescia, la cura è stata sospesa dai Carabinieri e dall’Agenzia italiana del farmaco, sollevando l’interesse dei giornalisti di Le Iene, e le conseguenti proteste del pubblico favorevole alle cure dei vari stregoni fai-da-te.

Il neoeletto Parlamento italiano, alla stregua di quello che nel 2004 emanò la famigerata legge sulla procreazione assistita, non ha perso l’occasione per dimostrare subito il proprio oscurantismo. E ha approvato all’unanimità (con soli quattro astenuti e un contrario alla Camera) l’avvio della sperimentazione del metodo, sotto il coordinamento dell’Istituto Superiore di Sanità. Facendo diventare il nostro paese, ancora una volta, lo zimbello del mondo scientifico, sbeffeggiato al proposito per ben due volte (il 26 marzo e il 16 aprile) da Nature, la più famosa rivista scientifica del pianeta:

 http://www.nature.com/news/stem-cell-rul

 http://www.nature.com/news/smoke-and-mir

Grillo continua a sbraitare che i parlamentari “sono tutti uguali”. Per quanto riguarda l’ignoranza scientifica, ha ragione: compresi i suoi. Più che degli auguri, la nostra Repubblica ha dunque bisogno di una sveglia!


da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/06/02/litalia-scientifica-non-fa-festa/
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« Risposta #111 inserito:: Giugno 30, 2013, 04:47:00 pm »


30
giu
2013

La Signora delle Stelle


Margherita Hack, la Signora delle Stelle, se n’è andata a 91 anni. Era da tempo gravemente malata, ma aveva deciso di non curarsi più, lasciando alla Natura la decisione di quando richiamarla a sé. Fino all’ultimo, dunque, è rimasta coerente con la sua figura di intellettuale impegnata: da un lato, concentrata nello studio e nell’apprezzamento delle bellezze del cosmo, e dall’altro lato, incurante delle convenzioni stabilite e insofferente delle superstizioni condivise.

Fin dalla giovinezza, aveva imparato a vivere sana. Era nata in una famiglia vegetariana e non aveva mai mangiato carne, facendo sua la motivazione esposta dal filosofo Peter Singer nell’ormai classico libro Liberazione animale (Mondadori, 1991):il fatto, cioè, che mangiare gli animali richiede di causar loro enormi sofferenze, dalla nascita alla morte, e rende complici di quella che la Hack chiamava una “ecatombe giornaliera”.

A difensori dell’inciviltà dei McDonald’s, che provavano a sostenere con lei che un bambino necessita di carne per crescere, la Hack rispondeva che non solo lei era cresciuta benissimo, senza mai aver avuto malattie serie, ma aveva potuto praticare sport agonistici, diventando in gioventù campionessa di salto in alto e in lugno. E ancora a ottant’anni faceva giri in bicicletta di 100 chilometri e giocava a pallavolo.

L’altra faccia del vegetarianesimo della Hack era il suo famoso amore per i gatti, dei quali viveva circondata in casa, e che spesso si vedevano gironzolare attorno a lei, o sederle vicino, durante le interviste registrate o gli interventi in videoconferenza. Come quello nel quale l’abbiamo vista l’ultima volta, il 9 maggio scorso a Pisa, nei Dialoghi dell’Espresso dedicati al tema Perché la ricerca è indispensabile.

Questo intervento non fu che l’ultima testimonianza pubblica di una grande affabulatrice, che col passare del tempo aveva dedicato sempre più energie a raccontare, a voce e per iscritto, le meraviglie delle stelle e dell’universo. E poiché lo faceva con grande passione e altrettanta chiarezza, era ormai diventata la più famosa divulgatrice scientifica italiana, contendendo alla Levi Montalcini il primato per la popolarità.

Le sue conferenze erano affollate come concerti, e sentirla raccontare le ultime scoperte astronomiche era un vero piacere per le orecchie e per la mente. D’altronde, era quello il suo vero lavoro, forse più nascosto e meno noto al pubblico. Aveva cominciato a interessarsene fin dalla sua tesi di laurea, nell’ormai lontano 1945, sulle Cefeidi. Aveva poi insegnato astronomia a Trieste, dove tuttora viveva, dirigendone per quasi venticinque anni l’Osservatorio Astronomico.

Il suo valore scientifico era testimoniato dalla sua appartenenza all’Accademia Nazionale dei Lincei, di Galileiana memoria, e dalle sue collaborazioni con l’Ente Spaziale Europeo e la Nasa statunitense. Ma fin dagli anni ’70 aveva iniziato il suo impegno per la disseminazione del sapere scientifico in una società come quella italiana, succube di preti e idealisti, che rimane ancor oggi preda di un atteggiamento antiscientista e superstizioso.

Fin dagli inizi aveva dunque collaborato con il Cicap, il Comitato per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale, fondato nel 1989 da Piero Angela. E la sua verve toscana le era servita spesso, per mettere alla berlina le credenze più retrograde e sciocche, spesso propagandate dai media. E non solo, visto che solo qualche settimana fa l’intero Parlamento italiano ha votato all’unanimità a favore della sperimentazione della cura medica Stamina proposta da uno psicologo di professione (sic), rendendoci ancora una volta gli zimbelli del mondo scientifico internazionale, e facendoci sbeffeggiare per ben due volte dalla rivista Nature.

Oltre che contro le superstizioni antiscientifiche, la Hack combatté coraggiosamente anche contro quelle religiose e organizzate. Era presidente onoraria dell’Uaar, l’Unione degli Atei e Agnostici Razionalisti, che si propone di dar voce a quel 15 per100 della popolazione italiana che non crede nelle favole mediorientali, ma che certo non riceve il 15 per 100 della visibilità sui media, e non ottiene l’8 per 1000 di finanziamento statale.

A questo proposito, a Natale ho avuto il dubbio onore di condividere con lei uno dei tanti episodi di intolleranza religiosa nei confronti dei non credenti, in questo paese di bigotti. Un prete fondamentalista di Firenze mise infatti le nostre foto, insieme a quelle di Corrado Augias e Vito Mancuso, in una specie di “presepio degli orrori”, che comprendeva Hitler, Stalin e Pol Pot. L’idea era di accomunare i non credenti ai nazisti e ai comunisti, per mostrare che senza fede si finisce dritti ai campi di concentramento e ai gulag.

La Hack reagì nella miglior maniera, a questa stupida provocazione: si fece una bella risata, e diede del “bischero” a quel prete. Ma comunista lei lo era per davvero, e lo rimase anche dopo la caduta del Muro di Berlino. Militò in vari partiti dell’estrema, e alle regionali del 2010 fu eletta nel Lazio con la Federazione della Sinistra, anche se alla prima seduta del consiglio si dimise per lasciare il posto al primo non eletto.

Era dunque uno degli ultimi rappresentanti di quella specie ormai in via di estinzione che è l’intellettuale engagée, che pensa con la propria testa invece che con quella degli altri.
Di Margherita Hack, come di Rita Levi Montalcini o di Franca Rame, ci sarebbe un gran bisogno. E ora che anche l’ultima di loro se n’è andata, toccherà a qualcun altro indicarci la via, e ricordarci che la ragione e l’onestà sono caratteristiche indispensabili per vivere degnamente in una societ‘a civile.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/06/30/la-signora-delle-stelle/?ref=HROBA-1
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« Risposta #112 inserito:: Luglio 30, 2013, 11:08:05 am »


28
lug
2013

L’enigma di Mick Jagger

PIEGIORGIO ODIFREDDI

Sir Mick Jagger, cantante dei Rolling Stones, ha compiuto settant’anni due giorni fa. Devo confessare che sapere lui e il suo gruppo ancora in agitazione sui palchi di mezzo mondo, lungi dall’entusiasmarmi, mi fa un po’ di tristezza: cavalcare la protesta a vent’anni è una cosa, e scimmiottarla a settant’anni da cavalieri un’altra. Sarà forse che, avendo partecipato ventenne nel 1970 al grande Festival dell’isola di Wight, preferisco tenermi altri ricordi dei “divi del rock” che vidi allora, alcuni dei quali hanno avuto il buon gusto di non invecchiare: Jimi Hendrix e Jim Morrison, ad esempio, che morirono poco dopo quel concerto.

Un rimpianto con Mick Jagger però ce l’ho, ed è di non aver osato fare due chiacchere con lui l’unica volta che l’ho visto di persona, in un bar di Los Angeles, quando studiavo a Ucla qualche anno dopo. Perché avrei voluto chiedergli dei suoi studi alla London School of Economics: uno dei templi dell’economia mondiale, nel quale uno si aspetta di trovare futuri ministri o banchieri, ma non un sex symbol o un cantante rock.

Oggi poi, se dovessi incontrarlo, gli chiederei anche del suo interesse per l’informatica e la crittografia, che l’ha portato a comprare una delle poche macchine Enigma ancora esistenti, usate dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale per codificare i loro messaggi. E a produrre il film Enigma che racconta la storia del genio Alan Turing, e del suo riuscito tentativo di decodificarli in tempo reale, rendendo inutile l’uso della macchina. Di nuovo, non sono cose che si aspetterebbero da un “canzonettaro”, e cha fanno sì che anche un matematico abbia “simpatia per il diavolo” incarnato in quell’enigma di Mick Jagger. Tanti auguri, dunque, Sir Mick!

(Testo apparso oggi nella rubrica “Tabelline” del giornale cartaceo)

DA - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/07/28/lenigma-di-mick-jagger/
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« Risposta #113 inserito:: Agosto 05, 2013, 08:36:28 am »


2
ago
2013

Sedicenti perseguitati e dissidenti

PIEGIORGIO ODIFREDDI

Nel giro di due giorni, la magistratura francese ha arrestato il sedicente dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, e la magistratura italiana ha condannato in via definitiva il sedicente perseguitato Silvio Berlusconi. Si tratta, in entrambi i casi, di due individui che hanno accumulato una grande fortuna economica in breve tempo, e l’hanno spregiudicatamente (e, ora, pregiudicatamente) usata a fini politici.

Ablyazov era in possesso di vari passaporti, a vari nomi e di diversi stati: uno dei quali, la Repubblica Centrafricana. Come sua moglie, d’altronde, che è stata espulsa qualche settimana fa dall’Italia con grande scandalo dei benpensanti. Speriamo che entrambi, marito e moglie, tornino presto al loro paese d’origine, a rispondere (penalmente, e non solo verbalmente) alla retorica domanda che si può e si deve fare a un neomiliardario: come ha fatto ad accumulare onestamente la sua fortuna?

Berlusconi ha ancora in corso vari processi, con varie imputazioni e con alcune condanne non definitive: una delle quali, a sette anni di carcere e interdizione perpetua dai pubblici uffici per concussione e prostituzione minorile. La sentenza di oggi non è dunque che il primo tassello di un puzzle tutt’altro che concluso, e che mira a rispondere definitivamente alla stessa retorica domanda di cui sopra.

Non ci si può dunque stupire che uomini come Ablyazov e Berlusconi finiscano col dover saldare i loro conti con la legge. Semmai, ci si può lamentare del fatto che le loro fortune economiche e politiche glieli facciano saldare così tardi, e con così tanta fatica per la società. E non è nemmeno un caso che i nodi vengano al pettine quando il loro potere politico si sia affievolito: è una sorte già spettata ad altri grandi intrallazzatori, di denaro e di voti.

In fondo, gli Ablyazov e i Berlusconi fanno parte del club dei Bokassa e dei Gheddafi: il primo, ex presidente della Repubblica Centrafricana che ha concesso il passaporto ad Ablyazov, e il secondo, inventore del bunga bunga importato da Berlusconi. E’ lo stesso club dei Fujimori e dei Noriega, che dopo lunghi anni nel lusso e al potere, ne hanno passati altrettanti in galera, dove si trovano tutt’ora nel disinteresse generale. E forse è lo stesso club a cui un giorno apparterranno anche gli Ablyazov e i Berlusconi, quando il Kazakhstan e l’Italia saranno diventati paesi normali, almeno quanto quelli sudamericani.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/08/02/sedicenti-perseguitati-e-dissidenti/
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« Risposta #114 inserito:: Agosto 19, 2013, 07:26:59 pm »


17
ago
2013

La calda estate egiziana

Piergiorgio ODIFREDDI

E’ sempre una magra soddisfazione accorgersi di aver previsto sciagure, alla maniera di Cassandra. Ma dopo i fatti di questi giorni in Egitto, non si può dire che non l’avevamo previsto. Già il 7 luglio avevamo infatti scritto, su questo stesso blog: “Le elezioni e la democrazia sono esaltanti e sacrosante, fino a quando non portano al potere la gente che non ci piace: ad esempio, i Fratelli Musulmani. Allora, oggi in Egitto come ieri (nel 1991) in Algeria, diventa democratico dimenticarsi della democrazia e inneggiare al colpo di stato militare”.

In particolare, ci eravamo domandati come avesse potuto, un premio Nobel per la pace come El Baradei, schierarsi dalla parte dei golpisti egiziani e offrire loro i suoi servizi: allora, come candidato potenziale alla presidenza del Consiglio, e in seguito, come vicepresidente attuale della Repubblica. Una carica dalla quale si è dimesso dopo i fatti di questi giorni, in omaggio al tentennante comportamento che ha seguito fin dai tempi della sua presidenza dell’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica, in particolare riguardo alle ispezioni in Iraq prima della pretestuosa invasione statunitense.

A proposito di Stati Uniti, l’altro grande finto tonto della situazione è il presidente Obama, pure lui premio Nobel per la pace, e pure lui accortosi solo oggi che i militari golpisti sono militari golpisti. E che dunque si comportano con la popolazione alla stessa stregua degli altri militari golpisti che gli Stati Uniti hanno spalleggiato, nel corso della loro democratica storia: da Somoza a Van Thieu, da Pinochet a Videla.

Quanto all’Italia, la reazione governativa al massacro di agosto è stata a dir poco patetica. Preoccupato soprattutto degli affari delle agenzie di viaggio e delle vacanze dei turisti, il ministero degli Esteri si è premurato di assicurare che i resort a capitale straniero in terra egiziana non erano a rischio, e che dunque si poteva procedere col “business and holidays as usual”. D’altronde, i resort sono per loro natura zone extraterritoriali, nelle quali poter sfruttare le risorse di un paese senza doversi mescolare con la sua popolazione, eccezion fatta per gli “zio Tom” che ci lavorano.

E mentre nei resort i turisti prendono il sole e aspettano la fine delle vacanze, al Cairo e nel resto del paese la gente prende pallottole e aspetta la guerra civile, grazie ai militari golpisti e ai premi Nobel per la pace.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/08/17/la-calda-estate-egiziana/?ref=HREA-1
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« Risposta #115 inserito:: Settembre 24, 2013, 11:32:04 am »


11
set
2013

La predica del parroco di Santa Marta


Papa Francesco ha scritto una lettera a Eugenio Scalfari, che gli aveva rivolto alcune domande a proposito della fede. Naturalmente, dopo alcuni mesi di pontificato ormai sappiamo che Jorge Mario Bergoglio è un parroco simpatico e mediatico, ma non un teologo o un pensatore: cioè, è la persona giusta per attirare i semplici con gesti semplici, ma la persona sbagliata per rispondere profondamente a domande profonde.

Benché presentata come un “dialogo aperto con i non credenti”, la sua lettera è dunque piuttosto un “dialogo fra sordi”. Anzitutto, per la sua confusione di fondo, tra “fede” e “cristianesimo”. Sembra infatti che per Bergoglio i due termini siano sinonimi, e che egli non riesca nemmeno a immaginare concezioni astratte della divinità, quali il Deus, sive natura di Spinoza, o il Logos degli stoici, o anche solo lo Jahvé degli ebrei: e infatti, quando parla di questi ultimi, si limita a citare la loro perseveranza nella propria fede anche durante la shoah.

Per Bergoglio l’unico Dio è Gesù Cristo: come lo raccontano le Lettere di Paolo, che non l’ha mai incontrato, o il Vangelo di Giovanni, che (come Scalfari faceva notare) è ancora più allegorico dei tre sinottici, ed è tutto dire! Nessuna parola sulla storicità di Gesù, data evidentemente per scontata anche per un non credente. Nessuna parola sui suoi supposti miracoli, in particolare su quella resurrezione senza la quale “la fede sarebbe invano”. Niente sui dogmi che in fondo caratterizzano il cattolicesimo rispetto ad altre denominazioni cristiane: cioè, proprio sugli aspetti che ci si aspetterebbe di dover affrontare con i non credenti.

Invece, dopo aver asserito che la fede non propone verità assolute, sulla base di un gioco di parole secondo cui “la verità è relazione”, Bergoglio afferma, anzitutto, che “la verità fa il credente umile”. E poi, che “Dio è realtà con la “R” maiuscola, e Gesù ce lo rivela”: come se questo non fosse appunto un tronfio esempio archetipico (o meglio, due) di una supposta verità assoluta.

E su questa base, Bergoglio pretenderebbe di aver fatto “un tratto di strada insieme al non credente”. In realtà (con la “r” minuscola), ha semplicemente ripetuto una delle prediche da parroco che elargisce ogni giorno a Casa Santa Marta. Buone per coloro che vogliono appunto lasciarsi cullare dalla solita musica del pifferaio magico, ma certo inutili per coloro che vogliano veramente affrontare un discorso ad armi pari su fede e ragione. Per questo, ci vuol altro che un Bergoglio: “Ridateci Ratzinger!”, si potrebbe ben dire.

Ps. Per comodità del lettore, ecco i due interventi di Scalfari, la risposta di Bergoglio e la risposta alla risposta di Scalfari:

 http://www.repubblica.it/politica/2013/0

 http://www.repubblica.it/politica/2013/0

 http://www.repubblica.it/cultura/2013/09

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« Risposta #116 inserito:: Settembre 29, 2013, 04:37:35 pm »


24
set
2013

Il postino del Papa suona due volte

Piergiorgio ODIFREDDI

Pochissime persone al mondo, ed Eugenio Scalfari è una di queste, possono comprendere completamente la sorpresa e l’emozione che si provano nel ricevere direttamente a casa propria un’inaspettata lettera di un Papa. Una sorpresa e un’emozione che non vengono scalfite dal fatto di essere dei miscredenti, perché l’ateismo riguarda la ragione, mentre le personalità e i simboli del potere agiscono sui sentimenti.

A me questa sorpresa e quest’emozione sono capitate il 3 settembre scorso, quando il postino mi ha recapitato una grande busta sigillata, contenente 11 pagine protocollo datate 30 agosto, nelle quali Benedetto XVI rispondeva al mio Caro papa, ti scrivo (Mondadori, 2011). Una risposta sorprendente, che infatti mi ha sorpreso, per due ragioni. Anzitutto, perché un Papa ha letto un libro che, fin dalla copertina, veniva presentato come una “luciferina introduzione all’ateismo”. E poi, perché l’ha voluto commentare e discutere.

Poco dopo le dimissioni di Ratzinger, avevo approfittato di un amico comune per chiedere all’arcivescovo Georg Gänswein se fosse possibile recapitare all’ormai Papa emerito una copia del mio libro, nella speranza che lo potesse vedere, e magari sfogliare. E in seguito, in un paio di occasioni, mi era stato detto dapprima che l’aveva ricevuto, e poi che lo stava leggendo. Ma che potesse rispondermi, e addirittura commentarlo in profondità, era al di là delle ragionevoli speranze.

Aprire la busta e trovarci dentro 11 fitte pagine, che iniziavano con una richiesta di scuse per il ritardo nella risposta, e un’offerta di ringraziamenti per la lealtà della trattazione, era la realizzazione del massimo delle aspettative possibili, in un mondo che di solito non ne realizza che il minimo. Ed era anche la soddisfazione di veder finalmente presi sul serio e non rimossi, benché ovviamente non condivisi, i miei argomenti a favore dell’ateismo e contro la religione in generale, e il cattolicesimo in particolare.

D’altronde, non era certo un caso che avessi indirizzato la mia lettera aperta a Ratzinger. Dopo aver letto la sua Introduzione al Cristianesimo, suggeritami dal compagno di strada Sergio Valzania lungo il Cammino di Santiago del 2008, avevo capito che la fede e la dottrina di Benedetto XVI, a differenza di quelle di altri, erano sufficientemente salde e agguerrite da poter benissimo affrontare e sostenere attacchi frontali. Un dialogo con lui, benché allora immaginato soltanto a distanza, poteva dunque rivelarsi un’impresa stimolante e non banale, da affrontare a testa alta.

Scrivendo il mio libro come un commento al suo, avevo cercato di favorire la pur remota possibilità che un giorno il destinatario potesse effettivamente riceverlo. Avevo dunque abbassato i toni sarcastici di altri saggi, scegliendo uno stile di scambio tra professori “alla pari”, ovviamente nel senso accademico dell’espressione. E mi ero concentrato sugli argomenti intellettuali che potevo sperare avrebbero mantenuta viva la sua attenzione, pur senza rinunciare ad affrontare di petto i problemi interni della fede e i suoi rapporti esterni con la scienza.

L’approccio evidentemente non era sbagliato, visto che ha raggiunto il suo scopo: che, ovviamente, non era cercare di “sconvertire il Papa”, bensì esporgli onestamente le perplessità, e a volte le incredulità, di un matematico qualunque sulla fede. Analogamente, la lettera di Benedetto XVI non cerca di “convertire l’ateo”, ma gli ritorce contro onestamente le proprie simmetriche perplessità, e a volte le incredulità, di un credente molto speciale sull’ateismo.

Il risultato è un dialogo tra fede e ragione che, come Benedetto XVI nota, ha permesso a entrambi di confrontarci francamente, e a volte anche duramente, nello spirito di quel Cortile dei Gentili che lui stesso aveva voluto nel 2009. Se ho atteso qualche settimana a rendere pubblica la sua partecipazione al dialogo, è perché volevo essere sicuro che egli non volesse mantenerla privata.

Ora che ne ho ricevuto la conferma, anticipo qui una parte della sua lettera, che è comunque troppo lunga e dettagliata per essere riportata integralmente, soprattutto nelle sezioni filosofiche iniziali. Lo sarà a breve in una nuova versione del mio libro, sfrondato delle parti sulle quali lui ha deciso di non soffermarsi, e ampliata con un resoconto della nascita e degli sviluppi di quello che risulta essere un unicum nella storia della Chiesa: un dialogo fra un papa teologo e un matematico ateo. Divisi in quasi tutto, ma accomunati almeno da un obiettivo: la ricerca della Verità, con la maiuscola.

 http://www.repubblica.it/la-repubblica-d

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« Risposta #117 inserito:: Ottobre 28, 2013, 10:34:20 am »

23
ott
2013

Un commento di Chomsky

Dopo le recenti polemiche seguite al mio commento delle ore 01.16 del 14 ottobre, relativo alla discussione sul post Priebke come Welby, mi era rimasto un dubbio. Le mie parole potevano evidentemente risultare ambigue, soprattutto se estrapolate dal contesto e dall’intera discussione, e provocare a prima vista un’impressione sbagliata. Ma si potevano veramente fraintendere anche a una seconda lettura in buona fede, o erano necessarie la mala fede e/o la mala ragione per interpretarle in maniera negazionista, e scatenare un linciaggio mediatico?

Per rispondere a questa domanda ieri ho scritto a Noam Chomsky, mandandogli la traduzione del mio commento e spiegandogli gli effetti che aveva provocato. Ecco la sua reazione, che pubblico qui col suo permesso. La riporto anche in inglese, per evitare che qualche sfumatura nella traduzione possa generare ulteriori fraintendimenti:

    I’ve often written very much along the lines of your comments. I’ve also strongly opposed the principle that the State has the right to declare Historical Truth and to punish deviation from their commands, particularly in France, where this is the law, supported by much of the left-liberal intellectual community. And as a result I’ve been subjected to the very same charges.

    A couple of centuries ago some British commentator wrote that if someone walked down the street telling the truth, he’d probably be killed after a few hundred meters. The sordid history of intellectuals, from the earliest days, supports this conclusion, metaphorically at least, often literally.

    “Ho scritto spesso ed estesamente lungo le linee dei tuoi commenti. E mi sono anche fortemente opposto al principio che lo Stato abbia il diritto di stabilire la Verità Storica e di punire deviazioni dai propri comandamenti: soprattutto in Francia, dove questo è ormai una legge, appoggiata da una buona parte della comunità intellettuale della sinistra liberale. Di conseguenza, sono stato sottoposto alle stesse identiche accuse.

    Un paio di secoli fa qualche commentatore inglese ha scritto che se qualcuno camminasse per strada dicendo la verità, verrebbe probabilmente ammazzato dopo qualche centinaio di metri. La sordida storia degli intellettuali, fin dagli inizi, conferma questa conclusione: almeno metaforicamente, e spesso letteralmente.”

Da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/10/23/un-commento-di-chomsky/
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« Risposta #118 inserito:: Novembre 04, 2013, 11:55:59 am »

2
nov
2013

La legge non è uguale per tutti

La scoperta che, dietro la scarcerazione di Giulia Ligresti per “motivi umanitari” ci sia in realtà l’interessamento del ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, riporta alla memoria altri episodi di mala giustizia del passato, da parte dei potenti a vantaggio dei loro amici: dalla soffiata da parte dell’allora presidente del Consiglio, Francesco Cossiga, a Donat Cattin per favorire la fuga del figlio accusato di terrorismo, alla telefonata dell’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, per liberare la famigerata “nipote di Mubarak” dal fermo di polizia.

Ciò che accomuna questi episodi è una concezione di “superiorità alla giustizia” proprio da parte di coloro che, a causa del loro ruolo istituzionale, dovrebbero invece sottomettervisi in maniera ancora più esemplare di quanto non sia richiesto a un normale cittadino. In tutti questi episodi, affiorano interessi privati in atti pubblici: nel caso particolare della signora Cancellieri, una lunga amicizia con la famiglia Ligresti, con torbidi favori finanziari concessi al figlio. Nella fattispecie, una buonuscita di 3,6 milioni di euro dopo un anno di “lavoro” come direttore generale di una holding dei Ligresti.

Come sempre succede in questi casi, il Palazzo fa quadrato attorno ai suoi esponenti. Da un lato, si adducono appunto gravi “incompatibilità” della povera (nel senso di ricca) signora Ligresti al carcere: come se al mondo ci fosse qualcuno che col carcere è compatibile, e non soffra per la detenzione e i suoi effetti. Dall’altro lato, le massime autorità dello Stato, dal presidente della Repubblica a quello del Consiglio, sembrano accettare la scusa del ministro, di aver agito “secondo coscienza”: come se per il ministro del Giustizia la coscienza potesse essere un sostituto della legge e della trasparenza.

La realtà è, molto semplicemente, che la legge non è affatto uguale per tutti, nonostante ciò che sta scritto nei tribunali. Per i potenti, economici o politici, la legge è diversa, e loro la aggirano silenziosamente a piacere. Ma a volte, come in questo caso, il silenzio viene infranto: in tal caso la decenza vorrebbe che, invece di arrampicarsi sui vetri, la signora Ligresti tornasse in cella, come una qualunque pregiudicata sottoposta alla carcerazione preventiva, e la signora Cancellieri tornasse a casa, come un qualunque ministro preso con le mani nel sacco. Anche se, probabilmente, non succederanno né una cosa, né l’altra.

Da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/11/02/la-legge-non-e-uguale-per-tutti/
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« Risposta #119 inserito:: Novembre 09, 2013, 11:12:25 am »

7
nov
2013

L’analisi logica del linguaggio


Due eventi si sono affiancati nelle ultime ore. Da un lato, Moni Ovadia ha fatto parlare di sé a proposito di questa sua dichiarazione al Fatto Quotidiano: “Ho deciso di andarmene. Io non voglio più stare in un posto che si chiama comunità ebraica, ma è l’ufficio propaganda di un governo. Sono contro quelli che vogliono “israelizzare” l’ebraismo”.

Dall’altro lato, Silvio Berlusconi ha fatto parlare di sé a proposito di questa sua dichiarazione, anticipata nella campagna pubblicitaria per la prossima uscita del nuovo libro di Bruno Vespa Sale, zucchero e caffè: “I miei figli dicono di sentirsi come dovevano sentirsi le famiglie ebree in Germania sotto il regime di Hitler”.

Il fatto che la loro storia dimostri che Moni Ovadia è un ebreo antisionista, e Silvio Berlusconi un sionista antisemita, suggerisce già di per sé la complessità delle relazioni fra i due termini del dilemma: il passato del popolo ebraico e il presente del governo dello stato di Israele. E complica la vita di chiunque voglia cercare di tenere distinte le due cose.

Purtroppo, questa complessità provoca reazioni pavloviane ogni qual volta si provino ad analizzare razionalmente questi (ma anche altri!) argomenti. Puntualmente, la dichiarazione di Berlusconi ha sollevato un vespaio isterico, nonostante la perplessità iniziale del presidente della comunità ebraica romana Riccardo Pacifici, che aveva dichiarato all’Huffington Post: “Frase molto infelice, ho bisogno di tempo per riflettere”.

Ecco, riflettere è sempre un’ottima cosa. E sarebbe molto evangelico applicarla anche, e soprattutto, ai nostri nemici: com’è Berlusconi per me, ad esempio, o come io sono per i berlusconiani (oltre che per i fondamentalisti di varia natura). Provo dunque a fare a lui ciò che loro non hanno fatto a me, nelle recenti polemiche che hanno coinvolto una mia “dichiarazione”.

La sua, chi riflettesse anche solo un attimo avrebbe dovuto leggerla in questo modo: “Vespa dice che Berlusconi dice che i suoi figli dicono che si sentono come loro pensano che si sentissero gli ebrei sotto Hitler”. Ora, anzitutto, Vespa è un giornalista, e Berlusconi un politico: nessuno dei due è dunque particolarmente affidabile, per natura. La prima cosa da verificare sarebbe stata chiedere conferma a Vespa e a Berlusconi: puntualmente, il primo ha confermato, e il secondo smentito. Dunque, siamo da capo.

Ma anche prendendo la frase per quel che è, il paragone fra la sua situazione nell’Italia di oggi e quella degli ebrei nella Germania di ieri viene da Berlusconi attribuita ai figli. Dunque, bisognerebbe anzitutto chiedere conferma a loro. Ma conferma di cosa? La frase non dice che i figli dicono che loro sono nella situazione degli ebrei sotto Hitler, ma che si sentono come loro pensano che si sentissero gli ebrei sotto Hitler. E se effettivamente si sentono così, si tratta dell’espressione di un loro sentimento irrefutabile, e non dell’affermazione di uno stato di cose refutabile.

Magari si potrebbe argomentare che non dovrebbero sentirsi così, ma purtroppo i sentimenti non sono sempre (o non sono mai) razionalmente giustificabili: un conto è dire di essere perseguitati, e un altro dire di sentire di esserlo. In ogni caso, anche l’espressione “sotto Hitler” significa poco, fino a quando non la si precisa: un conto era la situazione “sotto Hitler” nel 1933, un’altra quella nel 1938, o nel 1943, o nel 1945.

Ovviamente, prestare un minimo di attenzione alle frasi e fare le necessarie distinzioni impedirebbe ai media di fomentare il clima di continuo sensazionalismo che essi stessi generano, e prosperare su quella che Philip Roth descriveva, nel romanzo La macchia umana, come “un’orgia colossale di bacchettoneria”, in cui “i cialtroni tronfi e morigerati, smaniosi di incolpare, deplorare e punire, fanno i moralisti a più non posso, tutti in un parossismo calcolato di quello che Hawthorne identificò come lo spirito di persecuzione”.

Ecco, io comincio a essere un po’ stufo di “congetture, teorie e iperboli”. E faccio mie le parole di Moni Ovadia: “Vorrei essere criticato – non calunniato o insultato – ma rispettato. Vorrei semplicemente avere il diritto di dire la mia opinione e potermi confrontare”. E aggiungo che vorrei che tutti avessero questo diritto: persino la gente come Berlusconi. Se non altro, perché ci sono sufficienti motivi per attaccarlo, senza doversi attaccare ai pretesti.

Da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/11/07/lanalisi-logica-del-linguaggio/
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