LA-U dell'OLIVO

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Titolo: ALESSANDRO PIPERNO - Mez, Amanda e le notti segrete
Inserito da: Admin - Dicembre 16, 2007, 04:50:47 pm
Il delitto di Perugia

Mez, Amanda e le notti segrete

Il racconto di uno scrittore

DI ALESSANDRO PIPERNO


La lunga notte passata a Perugia si è rivelata un errore spiacevole.

Ero lì per racimolare impressioni su Meredith Kercher e Amanda Konx (data la natura morbosa della mia persona, le sole protagoniste a interessarmi) . Il guaio è che di loro non c'era traccia. Come se non fossero mai esistite. No, non sto per farvi l'ennesimo sermone contro il vampirismo mediatico.
 
Sarebbe una bell'impudenza da chi sta per servirvi l'ultimo prodotto di quell'industria del sangue che disseta gli sfaccendati Drakula di mezzo mondo.

Inutile indignarsi: è evidente che uno dei rischi nell'essere assassinati di questi tempi è di vedere la propria foto (scattata proprio il pomeriggio in cui avevi dimenticato di lavarti i capelli) trasformata dalle circostanze in una sorta di figurazione pop. Converrete altresì che ci sono cadaveri a cui è andata molto ma molto peggio. Ero a Perugia a caccia di qualche maldicenza che ravvivasse un affresco demoniaco che stava via via sbiadendo.
Ciò che avrei ottenuto dai giovani nottambuli perugini (resi diffidenti dall'attenzione ossessiva della stampa mondiale) era un catalogo di pulciose ipotesi sociologiche: le stesse che avrei potuto trovare su un reportage del New York Times.

La frase più ricorrente suonava più o meno così: «Hanno definito Perugia la nuova Ibiza».

È davvero così disdicevole per una città essere raffrontata a un' isoletta dove il sesso e la droga a buon mercato sono una garanzia costituzionale? Bah. Rinascimento e campus E dire che ero arrivato all'ora giusta: nel pieno di uno di quei tramonti di sangue che ti fanno capire perché il Rinascimento è proliferato a contatto di queste radure punteggiate di salici e ulivi. Perugia era là, che mi sovrastava, gli artigli conficcati nelle sue millenarie stratificazioni. Non è eccitante l'idea di un campus universitario tradotto in uno dei più scenografici borghi dell'Italia centrale? Deportare centinaia di famiglie perugine fuori dalle porte del centro storico per lasciare spazio a migliaia di studenti provenienti da ogni luogo della terra? Non è un sensazionale esperimento postmoderno? Lo sentite nell'aria l'afrore? Ormoni, testosterone, sperma, canne, calzini da tennis, birra, vino scadente, lo spumeggiante caffè della Moca…

Io lo sentivo, pur non avendo ancora messo piede a Perugia, lo sentivo: un odore promettente che mi faceva pensare a tutto il sesso che avrei potuto avere se fossi nato con un decennio di ritardo... Finché quei dolenti pensieri non hanno preso forma nel ricordo delle sottili membra di Judith, una ragazza che conobbi in una bostoniana vacanza studio alla fine degli anni '80.

Aveva da poco compiuto vent'anni. Esibiva il sorriso accogliente delle ragazzine che per pagarsi gli studi versano l'acqua in ristoranti di lusso del New England. Mi raccontò che aveva intrapreso una gara con una compagna di stanza a chi si scopava più ragazzi in un anno. Per contarli avevano escogitato un modo ingegnoso. Ognuna aveva scelto la linguetta di una lattina di una famosa bibita: Judith quella rosa della Doctor Pepper, la sua amica quella grigia della Coca Cola. Ogni nuovo amplesso veniva segnalato alla pubblica opinione tramite l'ennesima linguetta infilata nello stendino posto in mezzo alla stanza delle due ragazzine. «Alla fine dell'anno scorso, i numeri erano da Guinness dei primati! » mi disse una sera Judith mentre gentilmente rifiutava la mia candidatura a duecentesima linguetta della stagione.

Sì, è alla mia Judith che pensavo mentre immaginavo l'eccitante squallore della casa dove Meredith era stata assassinata da un numero insensato di coltellate. Pensavo a quanto i dati da me raccolti su di lei fossero insufficienti a costruire un ritratto soddisfacente. Ma allo stesso tempo pensavo ad Amanda. Alle lettere inviatele dagli ammiratori: missive piene di amore per una presunta assassina, per una svagata ninfomane. Ecco una cosa che indigna la gente. Che qualcuno spedisca lettere d'amore a chi ha raggiunto la notorietà attraverso un omicidio. In realtà non c'è nulla di mostruoso. Si tratta di idolatria: meccanismo psicologico che spinge la gente a trasfigurare gli individui più improbabili.

Non trovo le lettere ad Amanda Knox meno insensate delle lacrime versate per Lady D., e neppure del tremore che mi attraversò quando un giorno mi imbattei in Diego Simeone, mio eroe calcistico a quel tempo. Il successo — di qualsiasi natura esso sia — emana sempre una sconcertante carica sessuale che elettrizza gli individui deboli come il sottoscritto. Dopo l'ascesa dal parcheggio sotterraneo alla città, attraverso il dedalo di scale mobili nel ventre della fortezza Paolina, eccomi boccheggiante nella lobby di un austero hotel di Via Vannucci. Uno di quegli alberghi dai polverosi interni liberty nella cui hall non fatichi a immaginare — seduto su un divano di porpora scolorita — la tozza sagoma di Henry James che lancia timide occhiate a un avvenente lift riccioluto.

 
Il facchino egiziano
Accetto che un facchino egiziano mi accompagni in camera solo per chiedergli cosa pensa di questa storia. L'unica frase degna di essere riportata è questa: «Alla gente di qui non frega niente di quella ragazza perché lei è straniera». Commento dettato dal risentimento ma anche da uno schietto buon senso.
È vero, il fatto che Meredith sia inglese ci ha risparmiato una serie di spettacoli imbarazzanti. Non abbiamo visto in Tv padri che perdonavano. Né madri che negavano il perdono. Tanto meno zii che, con lo sguardo fisso nella telecamera, sibilavano: «Vogliamo solo giustizia». Nessuna amica con le guance bagnate di lacrime è venuta a dirci che si trattava di una «ragazza davvero speciale, amata da tutti». Nessun prete si è permesso la sconcezza di prometterci un mieloso aldilà.

Nella hall ho trovato ad attendermi i ragazzi con cui avevo appuntamento. Provengono per lo più dalla sinistra giovanile, hanno stretti contatti con il mondo studentesco. Al primo sguardo mi sono apparsi puliti, gentili, desiderosi di mettersi a disposizione. Mi sbagliavo. Ho capito immediatamente che sarebbe stato difficile farli parlare di quella cosa lì nel modo in cui avrei voluto. Che erano stanchi di farsi usare. Che volevano passare al contrattacco: e usare me. Speravano che mi facessi portavoce delle loro recriminazioni: contro Bruno Vespa, contro Enrico Mentana, contro Panorama, contro tutti. Come se fossi una specie di ispettore russo di un fantasmatico Ministero dell'Informazione mandato a riparare i presunti torti commessi da una categoria alla quale per altro non appartengo. Capii che qualcosa non andava quando mi promisero un tour subito dopo cena: da «Le chic», locale di Lumumba alla casetta di Meredith e Amanda: lo stesso giro che avevano propinato a una dozzina di giornalisti di altrettante testate nelle scorse settimane.
Mi sentii demoralizzato.

 
Il comitato d'accoglienza
Eppure non potevo farci niente. Era Luca Gatti a comandare il comitato d'accoglienza. Un trentenne la cui zazzera scarmigliata serviva a tenere a bada un naso prominente. Tanto che il viso, per altro gradevole, sembrava essere opera di un fumettista giapponese. Anche il modo di presentarsi esibiva l'orientale vezzosità di un cartone animato: pantaloni a strisce verticali, romantica sciarpa di seta verde, occhi la cui scintillante vacuità doveva risultare seduttiva per un certo tipo di ragazze molto giovani. Luca, consapevole di questo suo tratto indubitabilmente carismatico, si era messo a disposizione della comunità studentesca. Aprendo un centro che aiutava le matricole a raccapezzarsi. L'ufficio, nel quale dapprima mi condusse, si presentava come un sottoscala luminoso all'ultimo piano di un palazzotto. C'era qualcosa di rassicurante nella banalità delle pareti fitte di ritagli di giornale che ritraevano Lennon, Dylan, De Niro, il Dalai Lama, la solita paccottiglia pop. Ti veniva facile immaginare la fila di studenti spaesati che si mettono nelle mani di questi ragazzi sorridenti e garbati come maestri di sci. «Le americane sono le più disponibili, le cinesi le più studiose» mi disse uno degli amici di Luca con l'annoiata perentorietà di chi dispone di una casistica illimitata.

Anche Meredith e Amanda erano passate di qui? Luca mi mostrò un cimelio. Una mail ricevuta qualche mese fa di Raffaele Sollecito (uno dei sospettati dell'omicidio di Meredith, un tipo il cui quoziente intellettivo è misurabile dal fatto che si è presentato alla polizia con un coltello in tasca per essere interrogato a proposito di un omicidio avvenuto per accoltellamento). Nella mail ruvidamente referenziale Sollecito chiedeva a Luca di trovargli una partner di madre lingua con cui parlare in tedesco. La cosa, mi spiegò Luca, non era andata in porto. «Sai, ha trovato di meglio» ha commentato con un sorriso allusivo.

Il cinismo, ecco il modo attraverso il qualche i ragazzi provano a liberarsi dalla nausea che tutto questo ormai gli suscita. Ecco perché sempre Luca mi dice: «In fondo questa storia mi ha permesso di allacciare un sacco di contatti interessanti. L'altro giorno sono stato a spasso con una tipa del New Yorker. Mica male, no?». Basta dare un'occhiata ai pretenziosi bicchieri di Barolo esibiti alla cassa del ristorante dove mi hanno trascinato, per capire che anche qui è arrivata la nouvelle vague modaiola simil-raffinata che ha stravolto la ristorazione italiana.

Questo è il posto giusto per presentarmi Davide, un nerboruto trentacinquenne di origine pugliese che, venuto anni fa a Perugia per il servizio militare, ci è rimasto. Sebbene ora faccia il pr con successo sembra ancora un militare: capelli tattici, fisico tonico, jeans stretti, giubbotto sportivo. Gli verso del vino. Lo rifiuta. «Bevo solo acqua ». Organizza feste per vivere, ma è una persona sobria e riservata che, quando non lavora, preferisce starsene a casa. Anche lui è già stato intervistato una ventina di volte. Anche lui ha stilato la classifica dei giornali onesti e di quelli disonesti. Anche lui, come tutti gli altri, si aspetta che io sia più corretto dei miei predecessori. Anche lui ha una precotta opinione sulla vicenda e vuole a tutti i costi esprimerla. Questo è il lato più frustrante della questione.

Tutto quello che potrò avere da costoro è un collage di opinioni: severe, limpide, ben argomentate, inoppugnabili ma del tutto insipide.


Due sedie davanti alla porta
Frattanto, usciti dal ristorante, ci inerpichiamo su un vicolo d'una pendenza per nulla fastidiosa, che di tanto in tanto offre scorci sulla città e sulla vallata. Tutto è di una bellezza intollerabile. L'aria gelida profuma ancora di timo e di carne abbrustolita. Sono sfinito. Vogliono portarmi a un festa. «Sai qui come funziona? Apri la porta di casa, metti un paio di sedie fuori. È il segno che tutti possono entrare». Ma il tour prevede anche una capatina alle vie dello spaccio. Non capisco che diavolo c'entri tutto questo con Meredith e con Amanda. A tal punto che, d'un tratto, chiedo spazientito: «Ma insomma qualcuno di voi conosceva Meredith o Amanda?». No, nessuno. Erano tutti amici di Patrick Lumumba, dell'unico che non c'entra niente.

Se tutti concordavano sul fatto che era stato un'indecenza incastrarlo, non tutti apprezzavano il modo in cui lui stava sfruttando finanziariamente la sua sventura. Ancora una volta il discorso scivolava via da quel centro ideale rappresentato da Meredith e Amanda per appisolarsi sulle calde lenzuola dell'ovvio. (Durante quella notte avrei chiesto almeno a un'altra trentina di persone se avevano mai incontrato Meredith e Amanda. Ottenendo sempre risposte negative. Certo, tutti avevano un'amica che a sua volta era amica dell' una o dell'altra. Ma niente più di questo).
«Non le hai viste neppure a una delle tue feste al Velvet?» chiedo a Davide.
«Ci vengono sempre centinaia di persone. Può essere».
«Che tipo di feste fai?».
«Tranquillissime. Musica anni '80. I ragazzi si divertono. Nessun problema. È così che mi piace organizzarle. Senza alcun problema. Alle due tutti a nanna».
«Guadagni molto?».
«Certo. Anche se di solito una parte degli incassi li devolviamo in beneficenza. L'ultima volta abbiamo dato un po' di soldi a Emergency».


Beneficenza e inviti
Proprio mentre sto pensando a quanto questa faccenda della beneficenza sia intollerabilmente perbenista e pacchiana, proprio mentre sto pensando come perfino gli organizzatori di feste siano traviati dalla diffusa banalità dei costumi contemporanei, Luca mi mostra il display del suo telefonino sul quale campeggia un sms che gli è appena arrivato: «VIENI?». «Chi è?» gli chiedo. «È una che mi aspetta ». «Una chi?». «Una che quando vuole scopare mi chiama». «Età?». «Venti». «E cosa stai aspettando!». «Che palle, non so se ci vado. In ogni modo ora mi finisco la grappa!». Ecco come sono questi ragazzi: puritani nelle concezioni, assolutamente liberi nelle pratiche, decisamente scoglionati nell'umore. Connubio noioso e melanconico. Così come è noiosa e melanconica la casa in cui mi hanno portato. Ed è allora — proprio in qual momento — che avverto l'odore che avevo sognato, quell'odore inconfondibile di ormoni, testosterone, sperma, canne, calzini da tennis, birra, vino scadente, spumeggiante caffè della Moca... L'odore delle case degli studenti di tutto il mondo. L'odore che presumibilmente Meredith deve aver avvertito mentre moriva.

Un odore così ripugnante che mi spinge a fuggire via prima di essere sopraffatto da una tristezza definitiva.


16 dicembre 2007

da corriere.it