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Autore Discussione: Nel quarantennale della radiazione dal Pci di «quelli del manifesto »...  (Letto 2037 volte)
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« inserito:: Novembre 23, 2009, 11:40:08 pm »

«Quella radiazione bellissima e dolorosa»

di Maria Serena Palieri



Nel quarantennale della radiazione dal Pci di «quelli del manifesto » - i primi furono Aldo Natoli, Luigi Pintor e Rossana Rossanda, membri del Comitato Centrale, nei mesi a seguire sarebbe stata la volta degli altri - il manifesto torna alle sue stesse origini. E, domani, esce in edicola con un inserto - bello, denso ricco, sincero - che ricostruisce quella vicenda: l’uscita, a giugno 1969, del primo numero di un mensile che criticava «da sinistra» il capitalismo,ma anche il «socialismo reale »; il processo per frazionismo, approdato nella fatidica riunione del Comitato centrale del 25 e26 novembre(svista veniale, scrivonoche avvenne il 24); la fine della rivista a dicembre 1970 e la nascita del «quotidiano comunista». Che, 38 anni dopo, è ancora qui con noi. Sull’inserto riappaiono molte di quelle firme storiche: Rossanda, Parlato, Maone, Rieser. E Luciana Castellina.

Alla quale chiediamo: riprendendo la vostra vicenda in mano quattro decenni dopo, per confezionarla in sedici pagine, quali sono gli snodi che vi sono apparsi significativi?
«Credo che dall’inserto venga fuori che questa vicenda aveva radici in tutti gli anni Sessanta, nonfuun raptus, né da un parte né dall’altra. All’XI congresso del Pci il dibattito tra le posizioni di Amendola da un lato, Ingrao dall’altro, era già diventato esplicito.Efu da lì che nacque la rivista, anche se il nostro punto di riferimento, Pietro Ingrao, non ci seguì nell’avventura e, anzi, votò poi a favore della nostra radiazione. In ballo c’era il giudizio sulla fase che attraversava la società italiana: era una società arretrata,con le contraddizioni di un’Italia arcaica? Oppure, come dicevamo noi, le contraddizioni del capitalismo maturo già si intrecciavano con quelle arretratezze? Daqui scaturiva il nostro rapporto col movimento del Sessantotto. Perchè i movimenti hanno spesso antenne confuse, ma percepiscono i problemi nuovi. E poi c’era il giudizio sulle società del cosiddetto socialismo reale. L’invasione di Praga era avvenuta un anno prima e, all’epoca, il giudizio del Pci, riassunto nella formula “un grave errore”, ci aveva in parte soddisfatto.Maun anno dopo ci sembrava che il Pci non avesse tirato le necessarie conseguenze. E ora puoi chiedermi: abbiamo fatto beneo male? Noi siamo tutti convinti, oggi, che Enrico Berlinguer non avrebbe voluto radiarci. Ma che nel partito prevalse la preoccupazione che, accettati noi e la nostra rivista, la questione dilagasse».

«ilmanifesto»- rivista, poi quotidianoe gruppo politico - non fu insomma uno dei cento fiori di una stagione movimentista. Nacque «dentro» il Pci. In effetti nella sinistra extraparlamentare eravate percepiti come un unicum...
«Noi in realtà volevamo fare solo una rivista,ma fummo presi per i capelli e chiamati a fare un’organizzazione, perché c’era un pezzo di movimento che ce lo chiedeva. C’erano tanti giovani che non volevano essere solo lettori passivi. Né noi volevamo essere solo degli intellettuali. Eravamo anche un po’ impopolari, perché venivamodal Pci enoneravamo anticomunisti. Avevamo fortissima la cultura del Pci dentro di noi. Per esempio sula questione dei delegati, nelle fabbriche, eravamo in polemica sia col sindacato che con l’assemblearismo.E allora dicevano che gli operai del manifesto, poi del Pdup, “parlavano francese”... C’era, nel manifesto, il nostro gruppo che aveva già quarant’anni suonati e c’erano i più giovani che venivano dal Sessantotto. Fu un incontro anomalo, positivo».

La vostra dev’essere stata un’esperienza singolarissima. Eravate gente di apparato, dentro un partito di massa. E vi siete ritrovati «fuori», detentori solo di uno strumento immateriale: una rivista. Fu come passare dallo stato liquido allo stato gassoso?
«Io la radiazionemela ricordo dolorosissima, come se mi avessero buttato giù dalla finestra. Nessuno di noi voleva uscire dal Pci. Intendiamoci, fu una radiazione bellissima. Ve la sognereste, voi, una radiazione così bella, mi è capitato di dire a dei compagni incorsi in questi anni in vicende analoghe. Noi fummo presi sul serio: documenti, discussioni nelle sezioni, un Comitato centrale. Meglio una radiazione così che restare dentro un partito dove, sei fuori o dentro, non gliene importa niente a nessuno. In realtà dopo il ‘66 la corrente ingraiana era già stata emarginata, io ero stata mandata alla presidenza dell’Udi, Rossanda alla Camera, Magri se n’era andato da Botteghe Oscure. Ma noi non pensavamo ci fosse vita politica fuori dal partito. Il dopo fu durissimo, c’era l’ostracismo, sull’Unità apparve un titolo: “Chi li paga?”. Dovevamo cercare agibilità in spazi strani, un tendone del circo Medrano, un collegio fiorentino gestito dagesuiti di sinistra. L’incontro col ‘68 ci ha salvato».

Radiati dal Pci come vivevate?
«Alcuni erano parlamentari, Pintor, Rossanda, Milani..., e davano al gruppo quanto prima versavano al partito. La rivista si faceva a casa di Magri e Maone. Vivevamo con niente».

Vedi analogie tra la vicenda del «manifesto » e quella di un giornale, «Il fatto quotidiano», che oggi coagula un dissenso al governo diffuso e dipietrista?
«No, oggi avviene tutto sulla notizia. All’epoca invece c’era ungrande movimento di lotta. Se riprendi la rivista, vedi che è fatta all’80% per cento di inchieste sulle fabbriche. Io ho passato la vita alla Fiat, Valentino Parlato alla Pirelli e alla Rhodiatoce. Tant’è che quando facemmo il quotidiano dicemmo che rappresentava un momento di crescita del movimento».

Eri entrata nel Pci diciottenne. Gli avevi regalato la vita, ne sei stata radiata. Di quel partito rimpiangi qualcosa?
«Tutto. Anche la radiazione che, come ho detto, fu bellissima. Tant’è che poi noi del Pdup ci siamo rientrati. Nel 1984 Berlinguer compì uno dei suoi ultimi gesti politici, in marzo, tre mesi prima della morte, venendo al nostro congresso. Si sedette in prima fila e ascoltò la relazione di Lucio Magri. Poi ci chiese: “Perché ora nonrientrate?”. Lo facemmo a fine anno, dopo un congresso di scioglimento del Pdup. Segretario era Natta. Che disse una cosa bellissima: “Qualche volta le rotture sono utili, perché portano avanti il dibattito”. Non era mai avvenuto nella storia diun partito comunista al mondo che un gruppo eretico venisse riammesso. E non con la procedura che si riserva a dei pentiti, ma reintroducendoci ai massimi livelli. Di quel partito, io, rimpiango tutto ».

23 novembre 2009
da unita.it
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