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Autore Discussione: Marco Imarisio. Sindacati, la casta in crisi  (Letto 2125 volte)
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« inserito:: Aprile 05, 2008, 10:43:34 am »

IL FOCUS: rappresentanza e diritti

Sindacati, la casta in crisi

Diritto di veto e iscritti insofferenti.

Il caso Alitalia e la difesa dei privilegi

 
Nella remota eventualità che riescano a mettersi d'accordo, le ultime quattro sigle delle 43 organizzazioni sindacali scolastiche potrebbero perfino convocare un tavolo di scopone scientifico, in virtù del loro solitario iscritto. Piano con lo stupore. Perché nel mondo parallelo delle confederazioni, le dimensioni non contano. Nel settore ippico ci sono il contratto di base e quello per i cavalli da corsa, anzi, quelli, al plurale perché le normative sono differenti per il trotto o il galoppo. Le imprese che producono ombrelli e ombrelloni godono di un'unica intesa, che però differisce da quella delle aziende che forniscono il manico del manufatto. Per stare sull'attualità: nel 2007, la più piccola delle 13 sigle dell'Enav, ente controllori di volo, cinque tesserati, uno zoccolo duro di sostenitori che starebbe largo in un monolocale, riuscì a far cancellare 320 voli in un solo giorno.

Domanda d'obbligo: queste giornate sono la riproduzione riveduta e corretta dell'autunno Ottanta? C'è la sensazione diffusa che rappresentino comunque un passaggio delicato nella vita del sindacato, che segnino una svolta nella sua credibilità. Sta arrivando un libro che si chiama L'altra casta, e sembra essere un Atlante della crisi, o almeno un suo sintomo. Naturalmente, c'è un capitolo dedicato ai fasti di Alitalia, l'azienda più sindacalizzata d'Italia, nel quale si apprende — tra le altre cose — dell'esistenza sancita per contratto di una Banca dei riposi individuali, della speciale indennità riservata al personale viaggiante per la temporanea assenza del lettino a bordo di alcuni Boeing 767-300, centinaia di euro che per non creare odiose discriminazioni sono stati corrisposti anche a chi volava su aerei dotati delle cuccette in questione. D'accordo, così è troppo facile. Basta aneddoti. Ce ne sono tanti, troppi. Il problema è un altro. Alcuni libri hanno la fortuna o la capacità di cogliere lo spirito dei tempi, di intercettare uno stato d'animo comune, giusto o sbagliato che sia.

L'altra casta, scritto da Stefano Livadiotti, giornalista de L'Espresso, è uno di questi libri. Un pamphlet, che opera una dissezione da autopsia dei sindacati italiani, definiti «macchina di potere e denaro». Ne elenca in modo analitico le storture, gli organici colossali con migliaia di dipendenti pagati dal contribuente, lo sterminato e parzialmente detassato patrimonio immobiliare, i vantaggi, i privilegi che autorizzano l'autore a usare il termine ormai negativamente iconico di «casta». Ma soprattutto, questo è forse l'aspetto più controverso, ne mette in luce la perdita di identità, le debolezze e i limiti nel recitare il ruolo importante che dovrebbero avere nel Paese. Nel mare di cifre, storie e statistiche forniti da Livadiotti, è questa accusa, la più empirica, che ferirà i dirigenti di Cgil, Cisl e Uil. L'autore enuncia la tesi con una certa ruvidezza: «L'immagine del sindacato come di un soggetto responsabile, capace di farsi carico degli interessi generali del Paese, agli occhi degli italiani si è dissolta ormai da tempo».

Sempre più autoreferenziali, le confederazioni hanno perso il contatto con la vita vera, per diventare un soggetto autistico, abiurando alla loro storia, alla loro vera missione. «Un apparato che, presentandosi come legittimo rappresentante di tutti i lavoratori, in nome di una concertazione degenerata in diritto di veto, pretende di mettere becco in qualunque decisone di valenza generale, ma in realtà fa gli interessi dei suoi soli iscritti, ai quali sacrifica il bene collettivo, mettendosi ostinatamente di traverso a qualunque riforma rischi di intaccarne uno statu quo fatto di privilegi ». L'altra casta, è bene dirlo, è un'opera brutale, una specie di libro nero del sindacalismo, e in quanto tale destinato a dividere, a far discutere. Ma le frasi citate qui sopra non vanno controvento, perché rappresentano davvero un sentimento di insofferenza verso il sindacato, questo sindacato, che nell'Italia del 2008 si respira a pieni polmoni, e negarlo sarebbe stupido, persino autolesionistico. Nel cittadino medio, la percezione diffusa del sindacato è questa, piaccia o no. E una vicenda più di ogni altra contribuisce a cementarla. «Dove comandano loro», è il titolo programmatico del capitolo dedicato ad Alitalia, azienda che ha un tasso di sindacalizzazione bulgaro, il 77,9% tra gli assistenti di volo e l'87,1% tra i piloti. Le scoperte sono varie, indubbiamente sconfortanti, sempre istruttive. Si apprende ad esempio che grazie al Regolamento sui limiti di tempo di volo e di servizio e requisiti di riposo per il personale navigante, il giorno di riposo, «singolo libero dal servizio», per i piloti Alitalia comprende due notti e non deve essere mai inferiore alle 33 ore, Keplero e Copernico se ne facciano una ragione. Si viene a sapere inoltre dell'esistenza di un Comitato nomi, invenzione che sarebbe piaciuta tanto al compianto Beppe Viola, fondatore con Enzo Jannacci dell'Ufficio facce. Trentasei dipendenti per suggerire come battezzare i nuovi aerei, finché ci sono stati soldi per comprarli. Più seriamente, nel 2007, mentre il governo cercava col lanternino un compratore disposto a salvare la nostra compagnia di bandiera dal fallimento — ha perso 364 milioni di Euro in 365 giorni, di ventiquattro ore — piloti e hostess si sono fatti un giro di valzer sul Titanic sommando scioperi che hanno causato mancati introiti per un totale di 111 milioni di Euro. E gli ultimi eventi, il cestinamento dell'offerta di Air France, la penosa rincorsa ai suoi dirigenti per riportarli al tavolo delle trattative, portano acqua alla tesi di chi, Livadiotti è tra questi, vede in Alitalia il punto critico che fissa l'incapacità conclamata di conciliare gli interessi dei propri iscritti con quello generale.

Che brutta questa immagine di un sindacato privo di autorevolezza ma sempre pronto ad esternare su qualunque aspetto dello scibile umano. Nell'ultimo anno solare il capo della Cisl ha collezionato 607 titoli sul notiziario Ansa, una media di 1.7 esternazioni al giorno, compresi Natale, Capodanno e Ferragosto. Leggermente attardato Epifani (539), segue a ruota Angeletti (339). Nello stesso arco di tempo, annota Livadiotti, la percentuale di coloro che vedono i sindacati come il fumo negli occhi è volata dal 67,9% al 78,3%, dati Eurispes, mentre lo zoccolo duro che ancora si dichiara molto fiducioso nel loro operato è passato dal 10,1 al 4,1%. Ecco, ne L'altra casta c'è quasi tutto per chi cerca conferme alla propria disistima verso i sindacati, compresi certi toni davvero duri. Per gli altri, mancherà sicuramente un capitolo dove si dia conto dei meriti storici del sindacato italiano, anche senza prenderla troppo da lontano, Portella della Ginestra, le lotte del dopoguerra, cose che stanno nei libri di storia, o della sua capacità — intermittente — di essere una delle ultime istituzioni che porta i propri iscritti a ragionare anche di temi elevati, di ideali. Manca l'onore delle armi all'avversario. Ma forse, come le pipe di Magritte, un pamphlet è un pamphlet, null'altro che questo.

Marco Imarisio
05 aprile 2008

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