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Autore Discussione: «IL SISTEMA é MARCIO» (tutto il sistema Italia ndr).  (Letto 17091 volte)
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« inserito:: Aprile 12, 2009, 10:57:46 am »

«IL SISTEMA é MARCIO»

E ora i costruttori fanno autocritica: avventurieri tra di noi

«Un terzo degli impresari qui ha lavorato senza scrupoli, attratti dalla febbre del mattone»

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI


L'AQUILA - È stato l'appello del presidente della Repubblica, l'altro giorno, a fargli cambiare idea, a convincerlo a parlare. Il costruttore Giovanni Frattale, 60 anni, occhi chiari e Mercedes nera, ha deciso che è il momento di alzare il sipario sul sacco di L'Aquila e i barbari del mattone: «Napolitano ha ragione. I costruttori aquilani dovrebbero mettersi tutti una mano sulla coscienza. E parlo anche per me». Finora lui ha taciuto — spiega — ma finora non c'erano stati 293 morti e quarantamila sfollati.
 
La categoria, insomma, per anni ha chiuso gli occhi. Invece di denunciare pubblicamente le gravi anomalie, ha preferito tirare avanti in nome del profitto e del quieto vivere. «Dopo il disastro — racconta Frattale — ho fatto un giro della città: Pettino, Torrione, Porta Napoli, XX Settembre, Campo di Fossa. Gli edifici crollati sono la prova regina che il sistema è marcio». Che vuol dire? «Il 90% delle case private di L'Aquila — continua — è stato costruito da "palazzinari". Niente di strano, accade dappertutto.

Ma, qui da noi, almeno un terzo è gente senza scrupoli, io li chiamo avventurieri, pirati dell'edilizia. Attratti solo dalla bolla speculativa, dalla febbre del mattone, ex macellai, falegnami, agricoltori, si sono improvvisati costruttori pagando 10 mila euro alla Camera di Commercio e poi con una Srl qualunque si son messi a tirar su palazzi, affidandosi però a semplici cottimisti, muratori e carpentieri dai capelli bianchi che in nome di una non meglio precisata competenza hanno realizzato le opere.
 
Ma le case non si costruiscono con i capelli bianchi... Andate a Pettino, andate a vedere, davanti alla macerie trovate i cartelli "Vendesi"...».

Ora tutti, a L'Aquila, si riempiono la bocca parlando di calcestruzzo armato, analisi geologiche, nodi strutturali, curve granulometriche degli impasti. Ma la Casa dello Studente... «La Casa dello Studente, dove sono morti tutti quei ragazzi — dice Frattale — è un'altra storia strana». La costruì Antonio Miconi che oggi è morto (progettisti Botta e Portelli) e l'affittò alla Farmaceutica Angelini, che poi comprò la struttura per trasformarla in residenza convenzionata con la Regione. Insomma, un discreto affare.
"Un deposito di medicinali che diventa albergo? — si chiede ora perplesso il costruttore —. Saranno state fatte le giuste prove di carico sui solai? Spesso i collaudi qui avvengono sulla carta, non serve la bustarella, basta un perito amico...». Frattale è un nome che conta, nell'edilizia locale. Suo padre costruì il primo condominio di L'Aquila del Dopoguerra, nel '46: sorge in via Campo di Fossa, dove un altro palazzo lunedì è crollato, facendo 26 vittime. Quello di suo padre, invece, è ancora là.
 
«Perché negli anni '80 arrivarono i pirati — aggiunge —. E per armare i calcestruzzi importavano gli acciai stellari dalla Grecia al posto di quelli ad aderenza migliorata che costavano il doppio ma erano sicuri. Per questo tanti pilastri hanno ceduto. Non c'entra la sabbia del mare. La sabbia dei pilastri viene tutta dalle cave qua intorno.

Ne siamo pieni». Anche Aldo Irti, che oggi ha 80 anni, figlio del cavaliere Iniseo che ricostruì l'Abruzzo dopo il terremoto-monstre del 1915, punta l'indice sui nuovi improvvisatori. È dello stesso parere il geometra Giuseppe Barattelli, ottantenne anche lui, che a L'Aquila nella sua lunga carriera di appaltatore costruì parecchio, dalla Banca d'Italia alla caserma dei carabinieri (lesionata oggi dalla faglia). Suo figlio Ettore, 42 anni, vicepresidente dell'Ance provinciale, l'associazione dei costruttori, conclude amaro: «Ha ragione il presidente Napolitano e ha ragione anche Frattale. Ma l'esame di coscienza sono molti a doverlo fare. È tutta la filiera.

Dove stavano il Genio Civile, gli ispettorati, la Asl, quando venivano su queste case di burro? Perché la verità è che se non ci sono i controlli, ecco poi che succede: comprare la casa è sempre stato il sogno di tante persone. Ma la gente comune bada al colore delle piastrelle, sceglie le porte, gl'infissi. Non si preoccupa di cosa c'è sotto terra. Non lo dovrebbe fare».

Fabrizio Caccia
12 aprile 2009

da corriere.it
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« Risposta #1 inserito:: Aprile 13, 2009, 03:03:47 pm »

Unità, fiducia, realismo: le 15 lezioni del terremoto abruzzese alla politica
 
 
di Mario Ajello


ROMA (13 aprile) - Il terremoto sta terremotando la politica. Ma non nel senso catastrofico del termine. Tutt’altro. E’ come se un effetto politicamente positivo sia stato sprigionato da questa immane tragedia.
Il sisma sta dando ai leader, alle istituzioni, ai partiti, una quindicina di lezioni. Grazie alle quali, la vita pubblica potrebbe risorgere, dopo Pasqua, con un’immagine migliore.

LEZIONE NUMERO 1. Il terremoto insegna, al governo e all’opposizione, la virtù della moderazione. Ovvero, li sta spingendo ad approdare a una dimensione del confronto non esasperata, non divisiva e non conflittuale.
Ciò che gli italiani chiedono, invano, da oltre un decennio.

LEZIONE NUMERO 2. E’ la coda della precedente. Perché siamo di fatto, da lunedì scorso, in piena fase di governo (o di sub-governo) di solidarietà nazionale. Simboleggiata, fra l’altro, dalla stretta di mano tra Franceschini e Berlusconi, ai funerali di Stato.

LEZIONE NUMERO 3. L’anti-berlusconismo, che è stato l’alfa e l’omega della sinistra da oltre quindici anni, è superabile. E non è detto che questa guarigione dalla sindrome dell’Orco di Arcore non possa durare anche oltre l’emergenza terremoto ed estendersi in altri campi.

LEZIONE NUMERO 4. Il coraggio delle emozioni. Il Fattore Umano, come direbbe Graham Green, esplode a reti unificate. Le lacrime dei leader. La commozione di Stato.
Per gli abruzzesi, gente sobria, le emozioni dei politici vanno bene ma non devono essere guastate dalla volontarietà della lacrima. L’equilibrio fra dolore vero e dolore esibito è assai sottile, ma finora è stato rispettato.

LEZIONE NUMERO 5. Sta nella riscoperta della lezione di Norberto Bobbio. Il quale diceva che la democrazia è quel sistema che permette il maggior avvicinamento possibile fra le ragioni della morale e le ragioni della politica.
Per essere forte, infatti, la democrazia ha bisogno del più largo rapporto di fiducia reciproca fra cittadini e Stato.

LEZIONE NUMERO 6. Fiducia, appunto. Chiedere fiducia, dare fiducia. La fiducia come legame che accorcia lo spazio fra Paese e Palazzo.

LEZIONE NUMERO 7. Il terremoto insegna alla politica a fare un bagno di realtà e a prestare attenzione (anche attraverso la presenza fisica dei leader) al territorio. Da questo punto di vista Berlusconi, è super-edotto e ha passato la Pasqua fra gli sfollati.

LEZIONE NUMERO 8. Nelle calamità naturali si forgiano le leadership e si decide la sorte positiva o negativa degli uomini di Stato.
Pio XII, se non fosse immediatamente andato nel quartiere di San Lorenzo dopo il famoso bombardamento, la sua immagine storica sarebbe stata molto meno viva e positiva.

LEZIONE NUMERO 9. La ”politica del fare”. La concretezza al posto del bla bla. Le cartine topografiche (qui ricostruiamo in questo modo e lì ricostruiamo in quell’altro) al posto delle dispute.
E le decisioni che superano le mediazioni a vanvera. Siamo finiti su Marte?

LEZIONE NUMERO 10. Lo Stato c’è.

LEZIONE NUMERO 11. Il terremoto può spingere a una maggiore virtuosità finanziaria. Cioè a gestire meglio le risorse, e a trovare quelle necessarie per rimettere in piedi la vita e l’economia abruzzese così ridotta: il Pil dell’Aquila è tornato ai valori di 15 anni fa, ferme 12.000 imprese e 30.000 dipendenti rischiano il posto.

LEZIONE NUMERO 12. Il sisma insegna il legame fra cristianesimo e populismo. Che in quella parte dell’Abruzzo è fortissimo. E fa capire alla politica che le famose radici cristiane non significano soltanto ossequio alle gerarchie della Chiesa ma anche condivisione di un’etica del sacrificio e di una fede di tipo popolare che sono assai ramificate in questa gente di montagna, molto devota nel senso bellissimo della parola.

LEZIONE NUMERO 13. L’anti-politica non va più.

LEZIONE NUMERO 14. Che, come diceva l’abruzzese Ignazio Silone, parlando dei suoi ”cafoni”, «siamo sempre al venerdì santo».
Cioè alla via crucis sociale e politica. Questa immagine è sbattuta addosso ai rappresentanti del governo e dell’opposizione, e li sta facendo crescere.

LEZIONE NUMERO 15. Sapere che tutte queste belle lezioni, finora applicate, possono essere vanificate. Ma non sia mai. 


da ilmessaggero.it




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« Risposta #2 inserito:: Aprile 13, 2009, 11:37:50 pm »

IN ABRUZZO


Ricostruzione, l'allarme di Grasso: «Attenzione agli appalti pubblici»

Il procuratore nazionale antimafia e il rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata
 

ROMA - «L'esperienza del passato per le ricostruzioni del dopo terremoto nell'Irpinia ci serve da esperienza per valutare e prevenire quello che può accadere in Abruzzo».

Lo dice il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, sul rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata nelle operazioni di ricostruzione nelle zone colpite dal terremoto. «Occorre considerare che l'Abruzzo - spiega Grasso - non è certo la Campania, dove vi è una presenza massiccia della criminalità organizzata, e il territorio è controllato dalle cosche.

In Abruzzo la presenza delle mafie non è rilevante». «L'esperienza - aggiunge il procuratore nazionale - impone di rendere più trasparenti gli appalti del dopo-terremoto, facendo anche attenzione a come vengono gestiti i fondi milionari e a quali imprese vengono affidati i lavori con trattativa privata».


13 aprile 2009

da corriere.it
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« Risposta #3 inserito:: Aprile 14, 2009, 02:59:42 pm »

14/4/2009 (7:23) - L'INCHIESTA

Al setaccio le gare d'appalto
 
Dieci consulenti e 18 poliziotti per gli accertamenti

In un capannone i reperti che si sono sbriciolati.

Appalti e capitolati nel mirino della procura


GUIDO RUOTOLO
INVIATO A L’AQUILA


Nonostante tutto l’inchiesta giudiziaria decolla. I primi reperti, i campioni dei resti degli edifici crollati o danneggiati, quelli «assassini», sono stati prelevati e messi al sicuro, in un capannone della periferia dell’Aquila. E’ un primo passo. Quei campioni dovranno adesso essere analizzati. Lo spiega il procuratore capo, Alfredo Rossini: «Stiamo facendo un lavoro serio. I campioni dei materiali prelevati saranno analizzati. Siamo agli inizi. Ma noi dovremo ricostruire l’intera filiera delle responsabilità. Visionare le gare d’appalto, i capitolati, i progetti, la documentazione sui materiali scelti, i risultati dei collaudi effettuati. E verificare se si sono determinate delle falle, per poi capire se siamo di fronte a responsabilità penali. Dolose o colpose». Il capo della squadra mobile, Salvatore Gava, è accampato con la sua tenda sul prato di fronte la questura. Anche i carabinieri non sono da meno. E la procura è «volante», nel senso che gli uffici sono inagibili e il procuratore Alfredo Rossini e il pm Fabio Picuti lavorano all’aperto, anche se nelle prossime ore avranno i loro uffici provvisori nella Scuola della Finanza di Coppito. Ci vorrà del tempo, diverse settimane almeno, prima che l’inchiesta giudiziaria possa avere una prima accelerazione, con le prime iscrizioni sul registro degli indagati. Almeno a sentire gli inquirenti e gli investigatori abruzzesi. Dodici consulenti - dagli ingegneri ai geologi, dagli esperti in materiali ai chimici - e diciotto poliziotti.

E’ questa la squadra messa in campo in questa prima fase delle indagini coordinate dal procuratore della repubblica Alfredo Rossini e dal sostituto Picuti, che ipotizzano i reati di omicidio e disastro colposo plurimo. Naturalmente, in questa fase, si sta procedendo con una provvisoria scala di priorità: analizzare quegli edifici che, crollando, hanno provocato vittime. La Casa dello Studente, innanzitutto. Ma non solo. Stiamo parlando di quelle strutture che a una prima analisi superficiale presentano «anomalie gravi». Il procuratore Rossini non si sbilancia sulle presunte anomalie, «che sono tutte da accertare»: la qualità del cemento utilizzato, il cemento allungato con l’acqua, impastato con la sabbia marina, la presenza nelle strutture portanti degli edifici di ferro, secondo quanto previsto dalle normative. Il procuratore Rossini precisa: «La priorità va data all’analisi di quegli edifici che dovevano rispettare le norme antisismiche introdotte dalla nostra legislazione a partire dagli anni Sessanta».

Insomma, edifici «assassini», edifici che di antisismico avevano ben poco. Che a l’Aquila sono crollati in via Luigi Sturzo, in Via XX Settembre, in via Andrea Rossi. Edifici pubblici fortemente danneggiati, come la Prefettura, la Procura, lo stesso Catasto, l’ospedale. Edifici antichi e recenti, inaugurati anche nel 2000. Un investigatore scommette che alla fine le responsabilità saranno individuate: «Per un crollo di un palazzo (in una città diversa dall’Aquila, ndr), abbiamo individuato tutta la filiera di responsabilità. E oggi si sta celebrando il processo con diversi imputati». In queste ore, genitori delle vittime ma anche cittadini miracolati raccontano e denunciano i mille indizi che dovevano portare a interventi preventivi, a dichiarare inagibili quegli edifici. Il procuratore Rossini promette: «Arriveremo a capire se ci sono state responsabilità nei crolli degli edifici. I tempi non saranno brevi. Dovremo controllare migliaia di edifici e ricostruire la loro storia». Anche se il Catasto è stato danneggiato, gli investigatori stanno già lavorando sulle prime carte.

da lastampa.it
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« Risposta #4 inserito:: Aprile 19, 2009, 04:31:32 pm »

Due ragazze confermano: «c'erano crepe nella casa dello studente»

Il premier: sì inchieste ma costruiamo

Il procuratore: non siamo di ostacolo

Settima visita del premier in Abruzzo.

Il Papa tra i terremotati il 28 aprile. Prime nozze tra due sfollati


L'AQUILA - Prima di tutto la ricostruzione. A dodici giorni da sisma che ha sconvolto l'Abruzzo, è proprio "ricostruzione" la parola d'ordine del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, alla sua settima visita all'Aquila. «Ben vengano le inchieste - sostiene il premier, in conferenza stampa con Bertolaso dopo aver visitato il campo di Pianola -, ma per favore - è l'invito del Cavaliere - non perdiamo tempo, impieghiamo il nostro tempo nella ricostruzione e non dietro a cose che ormai sono successe. Se qualcuno è colpevole pagherà. Ma per favore non riempiano le pagine dei giornali di inchieste». «Un costruttore che realizza una casa in una zona sismica e risparmia su ferro e cemento può essere solo un pazzo o un delinquente - aggiunge Berlusconi, parlando dei possibili responsabili. Mio padre diceva una cosa: se uno nasce col piacere di fare del male ha tre scelte: può fare il delinquente, il pm o il dentista. I dentisti si sono emancipati e adesso esiste l'anestesia».

LA REPLICA - Alle dichiarazioni del premier risponde il procuratore della Repubblica presso il tribunale dell'Aquila, Alfredo Rossini: l'inchiesta condotta dalla procura sui crolli, spiega il pm, «non è una perdita di tempo» né è di intralcio alla ricostruzione: «Non vedo - afferma Rossini - che nesso possa esserci tra la ricostruzione e l'accertamento delle eventuali responsabilità penali». Il presidente del Consiglio, aggiunge Rossini, «forse è stato frainteso, perché ci ha sempre dichiarato stima. Noi facciamo solo il nostro lavoro».

L'ANM E L'OPPOSIZIONE - Le dichiarazioni del premier però hanno scatenano la dura reazione dell'Anm e dell'opposizione: «Sono inaccettabili gli insulti e le denigrazioni, soprattutto se provengono da chi riveste una delle massime cariche istituzionali» ha detto il presidente del sindagato delle toghe Luca Palamara. E di «insulto» parla anche il leader del Pd dario Franceschini: per il leader del Pd è offensivo «dire che sono un intralcio all'emergenza e alla ricostruzione quelle inchieste che sono invece dovute in base alla legge e che cercano di accertare le responsabilità di abusi e violazioni di norme nelle costruzione di edifici che, con il loro crollo, hanno causato la morte di tante persone». «Berlusconi - ha sottolineato il segretario dei democratici - la smetta anche di giocare a scaricabarile, tentando di coinvolgere l'attuale gestione degli enti locali in responsabilità che, se accertate, vanno indietro negli anni e coinvolgono molti livelli dello Stato». E contesta le frasi del presidente del Consiglio anche il leader dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro: «Per Berlusconi - è l'attacco dell'ex pm - sono criminali coloro che indagano su chi commette i reati e non chi li commette».

«TRE CASE SU 4 AGIBILI IN 30 GIORNI» Quanto alla ricostruzione, Berlusconi promette che «lo Stato ricostruirà il 100% delle case che sono state distrutte o lesionate dal terremoto». «Tre case su quattro saranno agibili in 30 giorni». «Se qualche cittadino poi volesse costruire per se stesso la casa altrove - ha aggiunto - lo Stato ricostruirà ovunque la sua casa distrutta ma farà anche di più: darà a quel cittadino un contributo tra il 33 e il 50% e la possibilità di coprire la restante parte con un mutuo trentennale». Berlusconi ha inoltre detto che non ci sarà una tassa per la ricostruzione delle aree terremotate e nei comuni colpiti le elezioni amministrative saranno rinviate. La situazione delle case danneggiate in Abruzzo è «più favorevole, più positiva di quello che avevamo immaginato» ha detto il premier, spiegando che sono stati fatti 4.659 sopralluoghi e che il 57% delle abitazioni è agibile, mentre il 19% lo potrà essere in un periodo «da qualche giorno a un mese». «Quindi - ha concluso Berlusconi - abbiamo la bella sorpresa che il 76% delle case sono agibili entro 30 giorni. Il restante 30% è inagibile».

NESSUNA TASSA - «I finanziamenti li abbiamo - ha assicurato il premier -. C'è la sicurezza che i soldi necessari ci sono e che non si trasformeranno in nuove tasse per i cittadini. Ho voluto io decidere, visto che la filosofia del governo è diminuire e non aumentare la tassazione». Il Consiglio dei Ministri si terrà a L'Aquila venerdì 24 aprile. I cittadini, continua il premier, potranno fare donazioni e «ci sarà un'attenzione spasmodica alla contabilizzazione di tutte queste cifre e a un rendiconto di come saranno spese». Saranno adottati, ha detto, «interventi che saranno in sintonia con l'ambiente». «Costruiremo delle case tecnologicamente molto avanzate, essere pronte in 5 o 6 mesi. Quando le lasceranno non ci ritroveremo delle mostruosità o delle baraccopoli che poi costerebbe ancor di più smantellare, ma delle case sismicamente sicure che potranno essere trasformate in campus universitari».

«ORGANIZZAZIONE EFFICACE» - «Andiamo avanti bene - ha detto ancora il premier -. L'organizzazione è molto efficace, naturalmente non si può essere perfetti al cento per cento. Abbiamo 60mila persone fuori dalle proprie case. Sono i numeri più elevati riguardo a cose di questo genere per quanto riguarda l'occidente». Abbiamo 20mila persone allocate in alberghi e case private, 40mila persone sistemate nelle tende, i campi sono 120, tutti hanno riscaldamento, luce, assistenza sanitaria». Per le famiglie sfollate, ha detto anche il premier, «abbiamo reperito 1.500 appartamenti liberi per locazioni o acquisti e stiamo trattando con i proprietari per acquisirli». Al momento sono distribuiti in una «città diffusa», formata da 161 campi e 373 hotel.

TELEGRAMMA DEL SINDACO - Commentando la notizia di un telegramma inviato alla Protezione civile, al prefetto e al governo dal Comune de L’Aquila alcuni giorni prima del sisma e in cui si chiedeva lo stato di emergenza per le aree sottoposte da mesi a movimenti tellurici, ha detto: «Ho letto anch’io questa cosa, ne ho parlato con Bertolaso e mi ha fatto vedere che la Protezione civile riceve ogni giorno decine di telegrammi di tanti Comuni che chiedono l’emergenza per una cosa o un’altra. Ma l’emergenza si dichiara solo dopo l’accadimento». Alla domanda se il clima di unità nazionale seguito al sisma in Abruzzo possa rappresentare un modello per i futuri rapporti con l’opposizione, Berlusconi ha risposto «speriamo».

da corriere.it
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« Risposta #5 inserito:: Aprile 19, 2009, 04:37:18 pm »

Sisma in abruzzo

Fini: «Sul terremoto giusto chiedere l'accertamento delle responsabilità»

Il presidente della Camera: «Non transigere nella prevenzione e nel rispetto delle regole»
 

GROSSETO - Dopo le dure parole di Napolitano («Bilancio del sisma aggravato dallo sprezzo delle regole») e le dichiarazioni di Berlusconi da L'Aquila («Ben vengano le inchieste, ma non perdiamo tempo»), Gianfranco Fini torna sulle responsabilità della strage causata dal terremoto in Abruzzo e definisce «giusto il sentimento che si accertino eventuali responsabilità» dei danni provocati dal sisma. «La vicenda abruzzese - spiega il presidente della Camera intervenendo alla festa nazionale dei piccoli comuni - deve massimamente indurre gli amministratori, chi governa e i parlamentari a non transigere nella prevenzione e nel rispetto delle regole. Se ciò non avviene, le conseguenze le vediamo tutti. Sono angoscianti e provocano il giusto sentimento di chiedere l'accertamento di eventuali responsabilità».

APPLICARE LE REGOLE - «Ognuno ha la responsabilità di rispettare e di fare davvero rispettare le regole che il Parlamento dà alla comunità nazionale, magari dopo un grande dibattito e un aspro confronto - ha aggiunto Fini -. Le vicende come quella dell'Abruzzo, anche se tragiche, devono insegnare qualcosa. Le regole date dal Parlamento perché le costruzioni vengano realizzate nel rispetto dell'ambiente ma soprattutto in modo da limitare riducendolo quasi allo zero i rischi presenti in un paese con un assetto idrogeologico come l'Italia vanno applicate».

«PASSERELLE IN ABRUZZO, NON È SERIO» - Intanto, non si placa la polemica sulle visite in Abruzzo del presidente del Consiglio. Ad attaccare è Pier Ferdinando Casini: «Subito dopo il terremoto, il premier aveva invitato i politici a non recarsi nelle zone colpite per non intralciare i soccorsi ma da allora abbiamo assistito solo a passerelle - è l'affondo del leader dell'Udc - e questo non credo sia serio». «Noi abbiamo rispettato - ha aggiunto Casini, in occasione dell'apertura, al Palazzo dei Congressi all'Eur, della campagna elettorale per le europee - la richiesta del presidente del Consiglio, e questa è una prova che nonostante non concediamo sconti quando non si fanno gli interessi degli italiani, non contrastiamo ideologicamente il governo. Ora chi ha di più deve contribuire alla solidarietà per l'Abruzzo in modo che la nostra società si basi sul principio della sussidiarietà».

19 aprile 2009
da corriere.it

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« Risposta #6 inserito:: Maggio 14, 2009, 11:43:46 am »

Monsignor Bertolaso, arruola i parroci per i miracoli ai terremotati


di Marco Bucciantini


Sembra il ‘48. Si arruolano i preti, con circolari ministeriali travestite da lettere accorate. «Diffondete il buonumore, dobbiamo fare bella figura». Una volta chiedevano direttamente il voto giusto, per lo scudocrociato. E c’è anche il ciclista del popolo che si prende la maglia di leader, ed è un sussulto condiviso, «nazionale», con il vecchio compagno Alfredo che tormenta la tivù per sentire meglio e il giovane frate Michele che solleva i pugni quando Di Luca trova un buon finale sulla vetta dolomitica e si prende la maglia rosa, per il suo Abruzzo. Nel ‘48 fu Bartali al Tour, salvatore della patria dopo le pallottole a Togliatti. Allora fece storia, questa volta fa almeno calore.

La maglia rosa e le tuniche nere
Guido Bertolaso ha chiamato il vescovo, «basta, me ne vado, troppe lamentele» Aveva appena letto l'editoriale del Centro, il quotidiano degli abruzzesi. Si chiedeva di superare in fretta – prima che l’afa soffochi le tendopoli – questa prima fase, e sistemare gli sfollati in prefabbricati più consoni, intimi. Non era un richiamo demagogico: Assolegno ha già fatto sapere che le casette si possono fare in pochi giorni. Qualcosa di simile fa intuire anche l’assessore friulano Vanni Lenna, giunto ieri all’Aquila per ricordare i tempi e i modi di una rinascita felice, governata dal territorio, senza new town. «Porteremo la nostra esperienza sui moduli abitativi possibili prima della ricostruzione stabile». Le necessità quotidiane tornano a occupare la vita e manca il modo di soddisfarle, e questo crea un logico malumore che il governo ha dato ordine di celare.

È arrivato il caldo, 30 gradi umidi, e se è vero che la protezione civile ha promesso l'arrivo dei condizionatori intanto mancano anche i semplici ventilatori. Farebbero comodo alla famiglia Bran, peruviani di Lima, che vivono in undici nei 14 metri quadrati della tenda numero 106 nel campo di Piazza d'Armi. Sono due nuclei, gli uomini furono i primi a venire in Italia. Fanno i camerieri al ristorante Le Fiaccole, in centro. Le donne sono badanti, poi c'è il ragazzo che fa il muratore e le bambine che vanno a scuola. Adesso sono qui a invecchiare di noia: il ristorante è franato, la ditta edile è ferma, le famiglie da badare sono poche tende più in là, le scuole sono chiuse.
I Bran hanno nomi italiani, o così li hanno “adattati”: Anita torna dai lavatoi con la tinozza piena di magliette e asciugamani di spugna, e stende tutto al sole gentile del tardo pomeriggio. Mario è sulla branda e si strofina i piedi fra loro e fissa il soffitto di stoffa. Manca l’aria. I letti sono sei: tre matrimoniali, tre singoli. Loro – ripetiamo – sono 11 e agitano un periodico che si stampa a Roma per le comunità sudamericane, “Expreso Latino”, dove sono fotografati, sopravvissuti e sorridenti.

“Caro Arcivescovo”
Non bisogna sapere della famiglia Bran. Non bisogna sapere dei dodici casi di dissenteria dell'ultima settimana. E nemmeno del caso di tubercolosi a Pizzoli. Si deve far sapere che va tutto bene, che l’Abruzzo rifiorisce miracolosamente. Bertolaso ha chiesto al vescovo Giuseppe Molinari il sostegno della Curia: «Tenete la gente tranquilla, rassicuratela che va tutto bene». Così, dopo l’articolo del Centro e la successiva presa di posizione del presidente della provincia Stefania Pezzopane, che bazzica continuamente i campi per verificare di persona lo stato delle cose, il vescovo si è mosso con zelo. Dapprima ha radunato i parroci, chiedendo loro un lavoro «tenda a tenda» per consolare gli sfollati.

Ogni campo ha una chiesetta, e sono attivi (fin da subito) preti delle diocesi del centro Italia. Monsignor Molinari ha poi scritto alla stessa Pezzopane, rimproverandola di «fare politica», e di fomentare i malumori delle persone che vivono questa situazione di disagio. Le ha rinfacciato lo scoramento di Bertolaso.
La Pezzopane ha risposto: «Caro Arcivescovo, per me indimenticato don Giuseppe (Molinari fu suo insegnante di religione, ndr), proprio lei mi ha insegnato a privilegiare chi è in difficoltà. Sollecitando più attenzione per le persone nelle tende e chiedendo per loro una migliore sistemazione, ho assecondato una necessità di rispetto per le loro vite già provate, non una ricerca di polemica».

Alle 18 e 39 frate Oreste Renzetti conclude la messa nella tenda bianca e saluta una ventina di convenuti, «andate in pace». «Noi facciamo sempre il solito lavoro, di sostegno, di conforto. Parliamo, non avevamo bisogno di questi ordini». Dopo 40 giorni dal terremoto ci sono 35.852 persone sfollate in 178 aree, circa 800 sono rientrate nelle case, molte famiglie hanno ottenuto l'agibilità per l'abitazione, ma manca la verifica sull'impianto del gas, e ci vorranno settimane. Intanto i poliziotti, dimenticati al vescovo, si lamentano e scrivono al ministro Maroni: «Non ci pagano gli straordinari, è scandalosao». Ma non lo fate sapere in giro.

14 maggio 2009
da unita.it
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« Risposta #7 inserito:: Maggio 19, 2009, 10:04:56 am »

L'EDITORIALE

Il Times dalla parte di Repubblica "Berlusconi vuole intimidire il dissenso"

 
ROMA - Il Times di Londra dedica oggi un editoriale non firmato, come è tradizione della stampa anglosassone quando l'articolo riflette l'opinione della direzione del giornale, sulla questione delle dieci domande poste da "Repubblica" a Silvio Berlusconi.

L'editoriale del giornale, di cui è proprietario Rupert Murdoch, è intitolato "Public Duty and Private Vendetta" (Dovere pubblico e vendetta privata"), con questo sommario: "L'attacco di Silvio Berlusconi contro un giornale italiano è una campagna per intimidire il dissenso". Ecco il testo dell'editoriale:

"Silvio Berlusconi, il primo ministro italiano, si lamenta di essere vittima di una diffamazione. Egli ha attaccato la Repubblica dopo che il giornale lo ha sfidato a spiegare la sua relazione con un'aspirante modella di 18 anni, Noemi Letizia, che si rivolge a lui chiamandolo 'Papi'. Secondo il signor Berlusconi, questo è un complotto della sinistra per minare la sua autorità. La lamentela del signor Berlusconi è sfrontatamente insensata. Egli ha invitato a deriderlo promuovendo come candidati per le elezioni europee delle giovani donne il cui glamour personale supera la conoscenza politica. Questa ultima impresa ha spinto sua moglie, che soffre da lungo tempo, a chiedere il divorzio.

Le domande poste da la Repubblica - sul coinvolgimento del signor Berlusconi nella selezione delle candidate, e sul fatto se egli abbia promesso di aiutare la signorina Letizia a perseguire una carriera in politica o nello spettacolo - non sono intrusioni nella vita privata. Esse si collegano al ruolo pubblico del signor Berlusconi come uomo politico e come magnate dei media. I contorti affari politici del signor Berlusconi sono ulteriormente confusi dal suo dominio dei media. Egli controlla tre canali televisivi nazionali.

La sua campagna contro la Repubblica sembra un sinistro tentativo di intimidire il dissenso per proteggere una reputazione privata. E' particolarmente di cattivo gusto che egli abbia usato la propria posizione nei media per criticare la propria moglie, insinuando che ella è mentalmente instabile. Queste sono le azioni di un uomo ricco e potente che tratta la politica e i media come feudi. Il signor Berlusconi ha apparentemente scarsa comprensione delle divisioni tra interesse privato e dovere pubblico. Il giornale che lo critica sta facendo un'opera di pubblico servizio per una popolazione malamente governata".

(18 maggio 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #8 inserito:: Maggio 19, 2009, 03:36:25 pm »

LA SCHEDA

Processo Mills, dall'ammissione dell'avvocato al Lodo Alfano che salva Berlusconi


di GIOVANNI GAGLIARDI


MILANO - David Mills è un avvocato d'affari inglese. Secondo l'accusa, ricevette 600 mila dollari da Berlusconi (per "bramosia di denaro", ma anche per una sorta di "sudditanza professionale ed economica" nei confronti del principale azionista del gruppo Fininvest). Soldi che servirono per tacere quanto sapeva nei processi, celebrati alla fine degli anni Novanta, per le mazzette alle Fiamme Gialle e All Iberian.

In particolare, sempre secondo l'accusa, l'avvocato avrebbe taciuto il reale assetto societario di due società off-shore attraverso le quali sarebbe stata realizzata l'appropriazione indebita oggetto del processo principale. Ma, paradossalmente, furono proprio le sue parole ad aprire il filone d'inchiesta sulla corruzione giudiziaria.

Mills, in veste di testimone, fu così riconvocato il 18 luglio del 2004, quando al pm De Pasquale disse (a verbale) di aver ricevuto i 600mila dollari per aver "tenuto mister B. (Silvio Berlusconi, ndr) fuori dal mare di guai in cui l'avrei buttato se avessi detto tutta la verità". Una dichiarazione che l'interessato, però, cercò di ritrattare poco dopo, forse rendendosi conto del reale peso delle sue parole.

Con una lettera inviata alla procura milanese, il legale inglese infatti si rimangiò tutto, sostenendo questa volta di aver fornito la prima versione perché pressato dalle domande dei magistrati milanesi. Nella sua nuova verità indicava l'armatore napoletano Diego Attanasio - e non più il Cavaliere - come il reale mittente di quella somma. De Pasquale, però, aveva nel frattempo raccolto altre prove che mise in tavola durante il processo. Come le confidenze che Mills aveva lasciato al suo consulente, Bob Drennan, al quale si era rivolto per evitare di finire nelle grinfie del severissimo fisco inglese.

A Drennan, nel febbraio di 5 anni fa, Mills aveva infatti scritto una lettera in cui dava la stessa versione sull'origine dei 600mila dollari, ovvero che erano soldi del gruppo Fininvest.

Il resto si svolge tutto nelle aule giudiziarie. La decisione di rinviare a giudizio il premier fu presa il 30 ottobre del 2006 dal gup Fabio Paparella che, con la stessa accusa, mandò a giudizio anche Mills. Si trattò, in sintesi, di un'inchiesta stralcio rispetto al filone principale relativo alle presunte irregolarità nella compravendita dei diritti televisivi da parte di Mediaset.

Il 5 aprile 2007, la Cassazione bocciò il ricorso della difesa di Berlusconi per la ricusazione del gup milanese. E a giugno anche il ricorso di Mills per la ricusazione fu giudicato inammissibile dagli stessi giudici.

Dopo altri ricorsi respinti, la posizione del premier è stata stralciata il 4 ottobre 2008, in attesa che la Corte costituzionale decida sulla legittimità del lodo Alfano, la legge che garantisce l'immunità alle massime cariche dello Stato, fra le quali il presidente del Consiglio.

L'intera vicenda andrà in prescrizione nel febbraio del 2010. Una volta depositate le motivazioni inizierà una vera e propria corsa contro il tempo per arrivare alla sentenza definitiva della Cassazione entro quella data. Le possibilità che il fatto non si prescriva prima appaiono minime.

(19 maggio 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #9 inserito:: Maggio 19, 2009, 03:38:03 pm »

Secondo i pm l'avvocato inglese agì "da falso testimone" e consentì al premier e alla Fininvest "l'impunità dalle accuse di corruzione"

"Mentì per salvare Berlusconi"

Le motivazioni della condanna di Mills

La posizione del presidente del Consiglio è stata stralciata grazie al Lodo Alfano

Il Cavaliere poco dopo la notizia: "Riferirò sulla vicenda in Parlamento"

"Mentì per salvare Berlusconi" Le motivazioni della condanna di Mills


MILANO - "Mentì per salvare Berlusconi" Per questo l'avvocato inglese David Mills è stato condannato a Milano a 4 anni e 6 mesi dai giudici milanesi. Il legale, condannato per corruzione in atti giudiziari agì "da falso testimone "per consentire a Berlusconi e alla Fininvest l'impunità dalle accuse, o almeno, il mantenimento degli ingenti profitti realizzati". E' questo uno dei passaggi delle motivazioni (leggi il documento completo), circa 400 pagine, della sentenza con la quale il tribunale di Milano ha motivato la condanna del legale inglese. Motivazioni delle quali si parlerà anche in Parlamento: il premier ha annunciato che riferirà sulla vicenda alle Camere.

Mills, scrivono i giudici nelle motivazioni, "ha agito certamente da falso testimone da un lato per consentire a Silvio Berlusconi e al gruppo Fininvest l'impunità dalle accuse, o, almeno, il mantenimento degli ingenti profitti realizzati attraverso il compimento delle operazioni societarie e finanziarie illecite compiute sino a quella data, dall'altro ha contemporaneamente perseguito il proprio ingente vantaggio economico".

I giudici scrivono inoltre che "la condotta di Mills era dettata dalla necessità di distanziare la persona di Silvio Berlusconi dalle società off shore, al fine di eludere il fisco e la normativa anticoncentrazione, consentendo anche, in tal modo, il mantenimento della proprietà di ingenti profitti illecitamente conseguiti all'estero, la destinazione di una parte degli stessi a Marina e Piersilvio Berlusconi". In sostanza, per i giudici, "il fulcro della reticenza di Mills, in ciascuna delle sue deposizioni, sta nel fatto che egli aveva ricondotto solo genericamente a Fininvest, e non alla persona di Silvio Berlusconi la proprietà delle società off shore, in tal modo favorendolo in quanto imputato in quei procedimenti".

La condanna per l'avvocato inglese era arriva nel febbraio di quest'anno. A conclusione di un'inchiesta che tirava in ballo il premier e che aveva visto una prima ammissione di colpa di Mills. Il legale nel luglio del 2004 aveva raccontato ai pm di aver ricevuto 600mila dollari dal gruppo Fininvest per dire il falso nei processi in cui era coinvolto Berlusconi: le tangenti alla Guardia di finanza e All Iberian.

Poi, nel gennaio 2009, la ritrattazione e il tentativo di discolpare il presidente del Consiglio (la cui posizione è stata stralciata in seguito all'approvazione del "Lodo Alfano" che garantisce l'imminutà alle alta cariche dello Stato). Una svolta che permise al premier di evitare il rinvio a giudizio per corruzione chiesto dia giudici nel 2006.

Per giustificare la retromarcia Mills disse di aver temuto guai con il fisco inglese ("temevo che scoprisse dei miei versamenti non dichiarati"). Poi le scuse a Berlusconi. Una ricostruzione che, però, non ha convinto i giudici.

Le reazioni. "La sentenza dice che Berlusconi ha fatto operazioni illecite e che quindi Berlusconi, se non ci fosse stato il lodo Alfano, sarebbe stato condannato anche lui per questi reati" attacca Antonio Di Pietro.

"E' un gesto di responsabilità istituzionale importante che il presidente del Consiglio abbia annunciato l'intenzione di riferire in Parlamento a proposito della sentenza Mills" dice il leader dell'Udc Pierferdinando Casini.

"Le motivazioni della condanna dell'avvocato Mills confermano ancora di più che il presidente del Consiglio ha evitato una condanna per gravi reati solo grazie all'immunità garantitagli dal lodo Alfano che oramai può essere definito come il padre di tutte le leggi ad personam" commenta Lanfranco Tenaglia, responsabile giustizia del Pd.

(19 maggio 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #10 inserito:: Maggio 20, 2009, 10:38:31 am »

Il Pd: «Berlusconi rinunci al Lodo Alfano e si lasci processare»


È un pò come qualcuno fosse entrato nell'aula di un tribunale a staccare dal muro la scritta «la legge è uguale per tutti», attaca il segretario del Pd Dario Franceschini, che, dopo la sentenza Mills, spara a zero sul lodo Alfano. «L'unico modo per riattaccare quel cartello è che Berlusconi venga in Parlamento a dire “rinuncio ai privilegi del Lodo Alfano”», dice Franceschini.

Il Pd chiede dunque al premier di presentarsi in parlamento, rinunciare al lodo Alfano e lasciarsi processare.

La sentenza - incalza il segretario del Pd - «dimostra in modo purtroppo incontestabile il coinvolgimento del presidente del Consiglio e dimostra allo stesso modo che la legge Alfano è stata fatta apposta per sottrarlo al giudizio a cui sono sottoposti tutti gli italiani».

Ancora più tranchant D'Alema. «Non capisco perchè Berlusconi abbia scelto di replicare in Parlamento», attacca l'esponente del Pd: «Io credo che sarebbe dovuto andare in tribunale per accettare di essere processato e chiarire le accuse che gli vengono rivolte».
Il suo timore tra l'altro è che «la seduta in Parlamento diventi una gazzarra contro la magistratura». «Questo sarebbe intollerabile», avverte D'Alema: «Il Parlamento è stato nominato in gran parte da Berlusconi e sono certo che in molti plaudiranno ai suoi attacchi alla magistratura», osserva. «E tutto ciò lede il principio della divisione dei poteri».

Proprio quello che dice Di Pietro: «Non accettiamo che Berlusconi venga in Parlamento solo per offendere la dignità dei magistrati che hanno fatto solo il loro lavoro», attacca il leader dell'Italia dei Valori. «Insistiamo affinchè Berlusconi presenti le dimissioni o si vada avanti con una richiesta di impeachment», incalza Di Pietro: «Invece di prendersela con i giudici, Berlusconi - gli suggerisce l'ex pm di Mani Pulite - vada a farsi processare e, al riguardo, gli ricordo che dopo la separazione processuale da Mills, saranno altri giudici a doverlo giudicare e, quindi, altri ai quali dovrà sottoporre le sue ragioni».

19 maggio 2009
da unita.it
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« Risposta #11 inserito:: Giugno 23, 2009, 10:02:45 am »

L'intervista

Gawronski: «Nessun danno all'estero Ma chi nega i problemi sbaglia»


L'ex eurodeputato: Berlusconi ha abituato il mondo alla sua anomalia, avrebbe dovuto rispondere "cavoli miei"
ROMA - «Berlusconi per ora non subi­sce un danno d’immagine internazionale, ha abituato il mondo alla sua 'anomalia'. Ma do­vrà far attenzione, come scrisse l’Economist a proposito del conflitto di interessi, che i problemi non lo rendano 'inadatto a gover­nare'. Per questo certi suoi stretti amici che negano l’esistenza di qualsiasi problema, non gli fanno un favore. E lui dovrebbe capir­lo». Jas Gawronski, europarlamentare dal 1980 a quest’anno, conosce bene sia Berlu­sconi che il mondo politico internazionale.

L’immagine del Cavaliere, rispetto ai lea­der europei e del resto del mondo, è dan­neggiata dalle «ragazze squillo»?
«Berlusconi ha abituato il mondo alla sua 'anomalia' di politico-non politico, leader di un Paese a sua volta 'diverso': mafia, senti­mentalismo, Napoli... Perciò, nei riguardi di Berlusconi, magari ci sono critiche, sfottò, ironie. Ma sempre nel contesto della famosa 'anomalia'».

Quindi, lei dice che il problema non c’è...
«Non dico questo. Penso anzi che fanno male certi sostenitori un po’ fanatici, alcuni suoi cari amici a negare che il problema ci sia. Non lo aiutano e non gli fanno un favore. Bisogna forse discutere sulla vastità del pro­blema».

Allora il problema c’è...
«Certo. Ed è stato gestito male dall’ini­zio».

Un suggerimento al Cavaliere?
«Avrebbe dovuto rispondere subito: 'So­no cavoli miei, affari privati'. Gli elettori ita­liani e gli interlocutori internazionali lo avrebbero stra-capito. Invece è entrato in una spirale di spiegazioni e chiarimenti difficile da contenere. Ma l’arma di non risponde­re può ancora funzionare».

Comunque qui parliamo di un giro di ra­gazze che ruota intorno a un imprenditore indagato per induzione alla prostituzione.
«Le serate dal Cavaliere? Mi sembrano co­se molto lontane dalla realtà. Se si invitano trenta ragazze insieme, non credo si progetti di fare qualcosa che non sia innocuo. Se uno vuole avere una storia di sesso con una ragaz­za non ne invita venti perché ci sarà sempre una pronta a raccontare i dettagli».

Ma non crede che, in campo internazio­nale, tutta questa storia di ragazze invitate dal presidente del Consiglio, di compensi versati, finisca col creare un «caso Berlu­sconi»?
«Nessuno pretende dai politici una vita privata irreprensibile. Perché la politica è un’ambizione, un obiettivo. L’unico pericolo è che nei vertici internazionali ci possano es­sere ironie. Ma lo stile Berlusconi lo ha porta­to, per esempio, a raggiungere un’ottima in­tesa con Putin, quindi con la Russia. Magari Obama non lo prende sul serio come fa con Sarkozy ma è sincero quando dice: Silvio mi può consigliare nei rapporti con Mosca. Ve­rissimo».

La politica estera italiana non le sembra in crisi?
«Non vedo problemi seri. Vedo invece qua­si l’invidia di quei politici che si sognano di avere lo stesso appoggio elettorale di Berlu­sconi. Andrà bene finché questi suoi compor­tamenti non avranno influenza sulla sua ca­pacità di governare».

Cosa intendere dire, Gawronski?
«L’unica incognita è quella immaginata anni fa da l’Economist a proposito del conflit­to di interessi. Cioè andrà tutto bene finché il problema, in questo caso delle ragazze, non lo dovesse 'rendere inadatto a governa­re'. Per questo ha bisogno di sincerità e chia­rezza».

Chi ha in simpatia Berlusconi, in Euro­pa?
«Sembra strano a dirsi. Ma Hans-Gert Po­ettering, presidente dell’Europarlamento, quando si trova a tu per tu con Berlusconi non riesce a dissimulare una forte simpatia personale. E magari lascia trapelare, lui così rigido e formale, un pizzico di invidia per il successo personale del Cavaliere. Ma in pub­blico deve tenere le distanze...».

Un vero nemico, invece?
«Il socialdemocratico tedesco Martin Schulz, che Berlusconi chiamò kapò. Lo di­sprezza. Eppure dovrebbe ringraziarlo. Per­ché se ora si ritrova presidente del gruppo so­cialista lo deve alla popolarità ottenuta con quella lite...».

Paolo Conti
22 giugno 2009

da corriere.it
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« Risposta #12 inserito:: Giugno 23, 2009, 10:40:03 pm »

L'INCHIESTA DI BARI

Minzolini: «La prudenza sul caso Bari? Non si può privilegiare il gossip»

Tg1, scontro maggioranza-opposizione.

E Garimberti convoca il direttore


ROMA - Un incontro di 20 minuti tra il presidente della Rai, Paolo Garimberti, e il nuovo direttore del Tg1, Augusto Minzolini, per parlare di «completezza e trasparenza dell'informazione»: il faccia a faccia si è tenuto dopo le polemiche sulla copertura riservata dalla testata ammiraglia della Rai all'inchiesta della Procura di Bari (i magistrati, occupandosi di presunte corruzioni nelle forniture sanitarie, sono incappati in un giro di ragazze che avrebbero partecipato, a pagamento, a feste e cene con il premier Silvio Berlusconi). L'argomento, dopo giorni di polemiche, sarà probabilmente oggetto di discussione nel Cda di mercoledì e proprio in quest'ottica Garimberti avrebbe convocato Minzolini. Tra i due c'era già stato un colloquio telefonico informale venerdì scorso sull'argomento. Lo stesso direttore è poi intervenuto in video nel corso dell'edizione principale del Tg1 di lunedì, quella delle 20: nel suo mini editoriale ha spiegato che la scelta di tenere «bassa» la vicenda delle feste con ragazze nella residenza del premier è una scelta di prudenza non essendovi reati o imputazioni a carico di Silvio Berlusconi e non essendovi a suo dire «alcuna notizia certa. «Di fronte a quanto sta accadendo nel mondo, dal piano economico di Obama alle vicende dell'Iran - ha sottolineato sostanzialmente il direttore - sarebbe stata una scelta incomprensibile privilegiare polemiche basate sul gossip».

SCONTRO - Sul tema intanto è scontro tra maggioranza e opposizione. Il Pdl difende Minzolini: «Finalmente abbiamo capito chi vuole mettere le mani su viale Mazzini - afferma Maurizio Lupi, vicepresidente Pdl della Camera. - Gli attacchi al Tg1 e al suo direttore, le cui professionalità ed esperienza nessuno ha mai messo in discussione, sono la testimonianza di un vecchio vizio del centrosinistra italiano: considerare la Rai come casa propria». Daniele Capezzone, portavoce del Pdl, aggiunge: «È indegna la fatwa del Pd contro Augusto Minzolini e il suo Tg1. È evidente il tentativo di creargli problemi anche in redazione. Si tratta di un comportamento incivile nei confronti di un professionista e anche nei confronti di un'azienda rispetto alla quale il Pd continua ad avere un atteggiamento padronale». Il Partito democratico, invece, accusa il nuovo direttore per la scarsa informazione fornita dal suo telegiornale sull'inchiesta di Bari. Era stato proprio il capogruppo del Pd in Commissione Telecomunicazioni alla Camera, Michele Meta, a chiedere a Garimberti di convocare Minzolini: «Dopo giorni di ripetuti oscuramenti da parte del Tg1, principale telegiornale del servizio pubblico, sul filone dell'inchiesta di Bari che vedrebbe coinvolto il presidente del Consiglio, chiediamo che il presidente di garanzia della Rai, Paolo Garimberti, convochi il consiglio di amministrazione per audire il direttore del Tg1 e per affrontare in maniera approfondita il tema dell'informazione e del pluralismo nei telegiornali Rai, i cui principi di obiettività, trasparenza e imparzialità sono chiaramente indicati nel codice etico dell’azienda». Duro anche il commento del senatore dell'Italia dei Valori Francesco Pardi, membro della Commissione di Vigilanza radiotelevisiva: «Neanche una parola sulle novità nell'inchiesta di Bari: per due giorni il Tg1 è stato reticente su quest'argomento. Uno scandalo, ridurre il servizio pubblico al silenzio stampa significa calpestare la Costituzione e il diritto dei cittadini di essere informati».

L'EDITORIALE - «Voglio spiegarvi perchè - ha detto in serata Minzolini in un video registrato mentre stava alla sua scrivania - il Tg1 ha assunto una posizione prudente sull'ultimo gossip, l'ultimo pettegolezzo del momento, le famose cene o feste nelle residenze private del premier Berlusconi, Palazzo Grazioli e Villa Certosa. Dentro questa storia piena di allusioni, rancori personali, non c'è ancora una notizia certa nè un'ipotesi di reato che riguardi il premier e i suoi collaboratori». Casi che a suo avviso vengono strumentalizzati, come quello che coinvolse l'allora presidente del Consiglio Romano Prodi per «la vicenda della foto di un suo collaboratore ripreso in una situazione scabrosa». Minzolini ha spiegato: «Ho visto celebri mangiapreti nelle vesti di novelli Savonarola». Per il direttore del Tg1 «queste strumentalizzazioni, questi processi mediatici, non hanno nulla a che vedere con l'informazione del servizio pubblico. Questa è la linea che vi ho promesso fin dal primo giorno e che continuerò a garantirvi».


22 giugno 2009 (ultima modifica: 23 giugno 2009)

da corriere.it
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« Risposta #13 inserito:: Giugno 25, 2009, 11:03:32 am »

Tentato colpo di spugna sulla concussione Ue.

Li Gotti: "Quale eurodeputato state cercando di graziare?"

L'Osce: "Il ddl sugli ascolti non rispetta gli standard internazionali sulla libertà di stampa"

Prostituzione, la legge slitta a ottobre

Sicurezza e intercettazioni, ingorgo al Senato

di LIANA MILELLA
 

 ROMA - Rinviato a dopo l'estate. Doveva essere uno dei fiori all'occhiello del governo Berlusconi, sicuramente del ministro per le Pari opportunità Mara Carfagna, che in questi mesi ne ha chiesto a gran voce una celere approvazione. Ma ora il ddl sulla prostituzione, che prevede il carcere per il cliente che va con una lucciola in luoghi pubblici, è divenuto fonte di profondo imbarazzo per la maggioranza, al punto da dovergli staccare l'etichetta "urgente" e sostituirla con un bel rinvio. Tutta colpa dell'ormai famosa (e infelice) definizione di Niccolò Ghedini su Berlusconi "utilizzatore finale" delle escort baresi. Dunque un cliente anche lui, seppure in luoghi chiusi, quindi non punibile.

Ma come si fa a discutere di un simile tema giusto in questi giorni? E mentre l'ex pm, e ora esponente Pd Felice Cassonm, preannuncia emendamenti sull'utilizzatore? Alla commissione Giustizia del Senato pure il presidente Filippo Berselli, che un anno fa voleva introdurre il foglio di via obbligatorio per le squillo, deve soprassedere. Mentre tra i banchi si svolge un ameno siparietto. Un senatore Pdl, con un sorriso sornione, dice a uno dell'opposizione: "Ma ti pare che adesso possiamo discutere delle norme della Carfagna?".

Ufficialmente è colpa dell'ingorgo in commissione dove si ritrovano assieme ddl prostituzione, ddl sicurezza, ddl intercettazioni, ddl processo penale. A Berselli il presidente del Senato Schifani ed emissari del governo hanno chiesto di dare corsia preferenziale a sicurezza e ascolti, in coda il resto, a partire dalle norme anti-utilizzatori. Con due risultati. Via dibattiti a rischio per i facili doppi sensi, subito la sicurezza (in aula la prossima settimana forse con la fiducia) perché la Lega scalpita; a seguire gli ascolti, col governo che segue gli sviluppi del Bari-gate pronto a emendare il testo. Che comunque, lo confermano i senatori ex magistrati, sarà subito applicabile, ad esempio trasferendo un pm che parla del processo o che viene denunciato da un indagato, o bloccando l'uso delle telefonate di un'inchiesta per aprirne un'altra. Una legge bavaglio, che taglia le unghie ai pm (anche se il Guardasiglli Alfano lo nega), che fa dire a Miklos Haraszti, relatore per i media dell'Osce: "Non corrisponde agli standard internazionali sulla libertà si stampa".

Tra giustizia e sicurezza sarà un luglio di fuoco. E se n'è avuta un'anticipazione ieri quando il governo, con l'ennesimo colpo di mano, ha cercato di emendare pure la legge (presentata da Casson e Luigi Li Gotti dell'Idv) che ratifica la convenzione Onu sulla corruzione vecchia del 2003. Sorpresa: ecco la richiesta di approvare una nuova versione dell'articolo 322bis del codice penale che disciplina corruzione, concussione, peculato commessi da europarlamentari o funzionari Ue, cancellando la concussione.

Martedì sera se ne accorge Casson che subemenda il testo, in aula grida Li Gotti: "Quale eurodeputato state cercando di graziare?". Casson non ha dubbi: "Per il principio del favor rei la legge si applica ai reati precedenti". E Li Gotti: "È un colpo di spugna". Il centrista Gianpiero D'Alia: "Come si può pensare che, per lo stesso reato di concussione, un funzionario di Regione venga imputato e uno di Stasburgo no?". Il governo tenta la prova di forza, boccia la modifica di Casson che risponde con la richiesta di voto segreto. Seduta sospesa. Alla ripresa la maggioranza ritira l'emendamento. "Tutto è bene quel che finisce bene" chiosa la capogruppo Pd Anna Finocchiaro.

(25 giugno 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #14 inserito:: Giugno 25, 2009, 11:22:50 am »

L’amico del Cavaliere: molti altri fanno le cose imputate a Berlusconi

«Un complotto, Silvio reagisca È come la vicenda Montesi»

Angelo Rizzoli: alle feste romane anche leader di sinistra con ragazze di poca virtù


ROMA — «Questa storia me ne ricorda un’altra, di cui mi sono occupato molto tempo fa, quand’ero ragazzo. Facevo uno stage alla McGraw-Hill, la grande casa editrice america­na, e mi affidarono l’editing del libro dell’ex ambasciatore inglese a Roma, in cui si ricostru­iva il caso Montesi. Una vicenda di cui serbavo memoria personale: anche se avevo solo dieci anni, ricordo bene i memoriali che i rotocalchi, compresi quelli di mio padre come Oggi, pub­blicavano pagando profumatamente ragazze sconosciute: Anna Maria Caglio detta il cigno nero, Adriana Bisaccia... Tempo dopo, ebbi mo­do di conoscere i protagonisti della vicenda, Piero Piccioni e Alida Valli, che me ne raccontò i dettagli quando la incontrai in America. Le analogie sono impressionanti».

Angelo Rizzoli ne è convinto: «Sotto certi aspetti, la vicenda di Palazzo Grazioli è la foto­copia del caso Montesi. Non c’è un cadavere, per fortuna. Ma ci sono i festini. Ci sono le ra­gazze che raccontano. C’è un leader politico da colpire: ieri Attilio Piccioni, oggi Berlusconi. E c’è un disegno, diciamo pure un complotto. Lei ricorda il caso Montesi? Wilma Montesi, la ragazza trovata morta sulla spiaggia di Torvaia­nica. Le indagini sono nelle mani della polizia, quindi del ministero dell’Interno, quindi di Amintore Fanfani, il grande rivale di Piccioni. Al resto provvede l’ufficio affari riservati del Vi­minale. Nascono leggende secondo cui la Mon­tesi ha partecipato a un festino, allora si diceva a un’orgia, ed è morta per overdose, il corpo gettato in mare. Il festino sarebbe stato organiz­zato nella villa del sedicente marchese Monta­gna, e vi avrebbe partecipato Piero Piccioni, fi­glio di Attilio. Che in realtà era a Positano con Alida Valli; ma, da galantuomo, tacque per non inguaiare la donna che amava. Un errore imper­donabile, in un Paese dove i gentiluomini non sono apprezzati. Anni dopo, ottenuto il divor­zio, la Valli ristabilì la verità. Il processo di Ve­nezia smontò tutto. Ma ormai Attilio Piccioni si era dimesso e aveva lasciato la politica».

Accadrà anche a Berlusconi? «Dipende da lui. Se avrà uno scatto, se saprà reagire come ad esempio nella campagna elettorale del 2006, ne uscirà. Silvio deve dare risposte. Ma non sulla vicenda D’Addario. Di questa storia meno parla, meglio è. È stato imprudente a esporsi in prima persona: un presidente del Consiglio non si occupa della spazzatura, del fango. È inutile che precisi di non aver mai pa­gato una donna: chi può immaginare Berlusco­ni con un mazzo di euro in mano che retribui­sce la D’Addario? Il presidente del Consiglio ha dei portavoce: affidi a loro il compito di dire poche, scarne e definitive parole che chiudano il caso. Sia più attento in futuro a chi invita a casa sua. E dia le risposte che il Paese attende davvero. Sulla crisi economica, e non solo: l’Ita­lia è vecchia, lenta, burocratica, incartapecori­ta. Il peggio verrà in autunno; ma Berlusconi può ancora rimetterla in moto. Può essere che mi faccia velo l’amicizia, però ne sono convin­to ». L’amicizia tra Angelo Rizzoli e Silvio Berlu­sconi nacque nel 1974. «Arrivò in via Solferino con le carte e i piani per Milano2, a protestare per un articolo del Corriere di Informazione se­condo cui su quell’area doveva sorgere un cimi­tero. 'Meglio pensare ai vivi che ai morti, no?', mi disse. Aveva ragione lui. Fu Berlusconi a riavvicinarmi a Montanelli. Indro era venuto da mio padre e da me a chiedere aiuto per il suo Giornale; ma noi avevamo appena preso il Corriere. Tempo dopo, Silvio mi invitò a pran­zo con Montanelli in via Rovani. Alla fine In­dro disse: 'Ti perdono, ma non potrò mai per­donare tuo padre'». Erano gli anni della P2. «Per me la P2 è una lista di nomi fatti trovare da Gelli a Castiglion Fibocchi — risponde Riz­zoli —. Cosa fosse davvero, io non l’ho mai sa­puto. Non ho mai partecipato a una riunione, al processo non sono stato chiamato neppure come teste. Ho avuto sei processi per altri moti­vi, e sono stato sempre assolto. E mentre ero ingiustamente in carcere, in isolamento, tre so­le persone mi hanno scritto: Montanelli, Lina Sotis, e Berlusconi, che offriva di far interveni­re Craxi per rendere il mio regime carcerario meno duro. Quando uscii, a Milano tutti face­vano finta di non conoscermi. Mi diedero pure lo sfratto. Berlusconi mi chiamò e mi disse: se tu produci dei film, io te li compro. Fu di paro­la ». Ma chi è oggi a tramare contro di lui? «Non lo so. Certo in Italia si era creata un’anomalia: nessun uomo ha avuto tanto potere come Ber­lusconi tra il 2008 e il 2009. Agnelli aveva pote­re economico, non politico. Craxi aveva una forte personalità ma era minoritario nel Paese. Prodi, Ciampi, Amato erano grands commis senza partito. Berlusconi sommava in sé finan­za, politica e un consenso altissimo. Ora che è stato trovato il suo tallone d’Achille nella vita privata, Silvio paga il fatto di aver infranto un equilibrio consolidato». Davvero lei crede che qualcuno possa aver pagato la D’Addario? «Non occorrono soldi; ci sono altre gratificazio­ni. Per una donna di 42 anni, che ha provato in ogni modo a sfondare senza riuscirci, che nella logica dell’industria dello spettacolo è quasi una vecchia signora, le copertine sono un ri­chiamo irresistibile».

E Veronica? «Veronica vi­ve in un castello dorato, si sposta con aerei pri­vati, non frequenta nessuno tranne quattro amiche milanesi che vanno bene giusto per lo shopping ma se chiedi chi è Obama non lo san­no. Veronica è condizionabile; e probabilmen­te è stata condizionata. Dicendo che il marito non sta bene ed è inaffidabile, non si è accorta di far male ai suoi figli, di destabilizzarli. So­prattutto il più piccolo, Luigi, che andrebbe in­vece sostenuto: a volte ci si ritira nella religio­ne come fuga dal mondo». Berlusconi non ha proprio nulla da rimproverarsi? «Ha avuto uno stile di vita imprudente. Del resto lui è come mio nonno, che adorava le donne, e in età ma­tura amava circondarsi di ragazze giovani: l’ul­timo soffio prima del tempo in cui, come dice­va Turgeniev, i ricordi diventano rimpianti, e le speranze illusioni. Ma Berlusconi non deve giustificarsi di nulla. Mia moglie Melania e io riceviamo spesso, qui in casa. E spesso gli ospi­ti portano qualcuno. Mica possiamo chiedergli i documenti?». «Roma — racconta Rizzoli — non cambia con il cambiare dei regimi. La più grande indu­stria, con l’edilizia, è lo spettacolo. A Roma arri­vano migliaia di ragazze e anche di ragazzi di­sponibili a ogni genere di esperienza. E arriva­no politici, imprenditori, finanzieri, che lonta­no dalle famiglie si sentono come in vacanza, e la sera vogliono divertirsi. Le cose imputate a Berlusconi sono state fatte da molti altri. Ne ho visti tanti, di ministri e anche di presidenti del Consiglio, girare con ragazze di poche virtù. Ho visto anche leader di sinistra fare lo stesso. Ho ricevuto telefonate di un ex magistrato che raccomandava una bionda conduttrice televisi­va. Su due sole persone a Roma non ho mai sentito un pettegolezzo: Gianni Letta e suo ni­pote Enrico. Per questo nessuno dovrebbe at­teggiarsi a moralista. Chi può permettersi di fis­sare, e a qualche altezza, l’asticella della morali­tà? ». Aldo Cazzullo


25 giugno 2009
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