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5776  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Riccardo Nocentini Quattro modelli tra cui il Pd può scegliere inserito:: Gennaio 08, 2017, 11:27:01 pm
Opinioni
Riccardo Nocentini - @nocentinir
· 7 gennaio 2017

Quattro modelli tra cui il Pd può scegliere
Obiettivi e orientamento forniscono i due assi lungo i quali si sviluppano idee diverse di un partito

Un partito dipende, in buona parte, da come ce lo immaginiamo. Ci sono delle ipotesi di fondo, che influiscono il nostro agire individuale e collettivo. Le possiamo chiamare metafore politiche e riguardano le nostre percezioni. Sono potenti perché agiscono in maniera implicita, vengono date per scontate e influenzano il nostro modo di porci verso il partito.

Potremmo pensare alla direzione che il Pd deve intraprendere a partire da alcune possibili metafore su due assi cartesiani che considerano il focus, l’orientamento del partito (verso l’interno/verso l’esterno) e gli obiettivi (convergenti/divergenti).

Con obiettivi convergenti e focus interno abbiamo una modalità che potremmo denominare “Partito ditta”. È un partito tradizionale, legato alle modalità operative dei partiti di massa novecenteschi. Il principio sul quale si basa è quello di maggioranza, a questo si allineano anche le minoranze e la linea politica è espressa dall’alto. Potremmo parlare di “centralismo democratico” se vogliamo utilizzare un rimando al passato. In questa metafora politica il senso di apparenza è forte e il programma di policies si rivolge ad un determinato elettorato sociale. Le alleanze ricercate sono tattiche, si basano sulle situazioni che creano opportunità per il partito, il quale rappresenta un fine oltre che un mezzo. Il problema di questa metafora è che parla il linguaggio dei partiti di massa, senza che questi esistano più.

Con obiettivi divergenti e focus interno abbiamo il “Partito di correnti”. È un partito organizzato in sottopartiti con proprie logiche, la conflittualità è la norma perché ogni corrente cerca di espandere il proprio potere e le proprie responsabilità. Il principio di maggioranza è spesso messo in discussione. L’allineamento non è scontato neanche quando le decisioni sono state prese. Le alleanze sono tattiche e legate a convenienze contingenti, così come il programma. Il problema di questa metafora sono i veti reciproci interni che bloccano l’azione politica e possono portare a scissioni.

Obiettivi convergenti, focus esterno: è il così detto “Partito della nazione”, che si allarga verso il centro alla ricerca di nuovi confini. Prevede un allineamento tra il livello nazionale e i livelli territoriali (che vengono eletti nello stesso giorno della leadership nazionale). Le parti convergono e il partito si adatta velocemente al contesto ambientale. Il programma viene prima delle eventuali alleanze, anzi l’autosufficienza è la principale interpretazione della vocazione maggioritaria.
Il problema di questa metafora è che l’autosufficienza non basta e gli altri partiti, anche quelli potenzialmente vicini, si alleano contro, in particolare nelle elezioni con ballottaggi.

Con obiettivi divergenti e focus esterno la metafora che possiamo utilizzare è quella del “Partito wiki”. L’interazione è necessaria per creare la conoscenza collettiva di cui si alimenta il partito. Prevede autonomia dei livelli territoriali e pluralismo interno, insieme ad una reale apertura all’associazionismo e alla società civile. All’allineamento è preferito l’accordo. La logica è quella di una rete nella quale si ricercano alleanze strategiche per costruire insieme un programma, ma anche tattiche per superare situazioni di impasse nelle assemblee elettive.

Forse proprio questa metafora meglio rappresenta quello che dovrebbe essere il Pd nel contesto politico di oggi. Un “partito wiki” nel quale la vocazione maggioritaria significa non solo definire gli obiettivi del programma elettorale e cercare di raggiungerli, ma anche un’apertura costante all’osservazione e all’analisi della società, per portare a convergenza le posizioni dei vari attori che sono in campo, creare consenso sulla missione e sull’orizzonte verso il quale incamminarsi, insieme.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/quattro-modelli-tra-cui-il-pd-puo-scegliere/
5777  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Riccardo Nocentini Le due visioni contrapposte di sinistra all’interno del Pd inserito:: Gennaio 08, 2017, 11:24:47 pm
   Opinioni
Riccardo Nocentini - @nocentinir
· 2 gennaio 2017

Le due visioni contrapposte di sinistra all’interno del Pd
Da una parte l’idea di un partito liberal socialista dall’altra un pensiero social democratico
   
Il documento di D’Alema su Italianieuropei uscito il 31 dicembre (fondamenti per un programma della sinistra in Europa) e di Bersani del 29 dicembre su ilcampodelleidee.it, rappresentano un possibile terreno di confronto.
Al di là delle etichette sull’azione politica degli ultimi 3 anni, Bersani parla di blairismo mal riuscito e di “populismo a bassa intensità”, D’Alema di “ideologia della governabilità”, si evidenzia una diversa direzione da intraprendere.

Nel Pd sono in campo due idee che si possono confrontare in maniera dialettica, oppure escludere a vicenda. Da una parte l’idea di un partito liberal socialista che pone il cambiamento e la lotta alle rendite di posizione come principio di partenza, dall’altra un pensiero social democratico che riporta al centro non il cambiamento ma, per usare il termine di Bersani, la “protezione” in termini di lavoro e welfare. In entrambe le direzioni vengono comunque considerati strategici gli investimenti per far ripartire la crescita economica.

Allora, su questo aspetto, ci dobbiamo intendere. Al di là cosa si preferisca, parlare il linguaggio del pessimismo cosmico oppure quello dell’ottimismo ad ogni costo, entrambi hanno dei limiti. Il pessimismo crea rassegnazione, l’ottimismo, se non supportato da fatti concreti anche di breve termine, rischia di venire percepito come illusorio e quindi, allo stesso modo, deludente. Pessimismo e ottimismo sono due facce della stessa medaglia, se mal utilizzati, possono essere invece complementari, come nella nota citazione di Gramsci “pessimismo dell’intelligenza e ottimismo della volontà”, se hanno un medesimo faro: la fiducia.

L’economia si basa sulla fiducia reciproca, tra imprese e mercato, tra imprese e stato, tra stato e mercato, e tra i cittadini e tutti gli attori economici e istituzionali. Come creare fiducia per far ripartire l’economia del paese? Questa è la domanda alla quale dobbiamo dare risposta per elaborare una nuova linea politico programmatica in campo economico.

Non dobbiamo essere ossessionati dall’economia, ma dobbiamo capirla meglio. Certi numeri che rientrano tra i parametri europei, come il rapporto del 3% tra deficit e prodotto interno lordo, rischiano di essere dei feticci perché non dicono nulla su quello che sta dietro, sulle ragioni profonde che stanno alla base. Il problema dell’Italia è che, nonostante i miglioramenti in atto a partire dal 2015, dietro ai numeri della nostra economia per tantissimi anni è mancata una strategia.

Se non c’è una crescita significativa il deficit aumenta in maniera automatica per il costo della cassa integrazione, per la riduzione degli introiti fiscali oltre che per gli interessi sul debito accumulato negli anni. Quindi quello su cui ci dobbiamo concentrare è la crescita.

Le condizioni della crescita dipendono in buona parte, da una burocrazia snella, da un mercato del lavoro con maggiori opportunità, da una minore corruzione, ma anche dalla qualità degli investimenti pubblici e privati volti all’incremento di una produttività di lungo periodo. La questione di oggi non è il costo del lavoro, ma come renderlo più produttivo, quindi anche più efficiente attraverso una formazione all’avanguardia, tecnologie avanzate e un rapporto cooperativo tra impresa e lavoro.

Insomma l’aspetto fondamentale riguarda gli “investimenti strategici” e per farli è necessario prima di tutto un orientamento culturale che faccia da sfondo, sul quale costruire una visione del futuro con una solida e creativa progettualità. Questa è la vera sfida e le variabili di lungo periodo che permettono di crescere sono il capitale umano (conoscenza, innovazione, istruzione, formazione) e il capitale sociale (senso di comunità e dello stato).

Su questo sfondo il PD deve ripensare le policies, quindi una politica che parta dai contenuti delle politiche, per allargare i consensi e definire una nuova linea politico culturale e programmatica, che non sia solo una somma di policies, ma, un punto di vista sulla storia della nazione, contemporaneo e plurale. E dovrà scegliere se essere una sinistra di cambiamento o di “protezione”, oppure la sintesi dialettica dell’una e dell’altra

Da - http://www.unita.tv/opinioni/le-due-visioni-contrapposte-di-sinistra-allinterno-del-pd/
5778  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / Francesco Nicodemo Se non esistono più fatti ma solo interpretazioni inserito:: Gennaio 08, 2017, 11:22:42 pm
   Opinioni
Francesco Nicodemo - @fnicodemo
· 8 gennaio 2017   

Se non esistono più fatti ma solo interpretazioni
Resta il grande tema di formazione ed educazione alla rete e all’immateriale, che non è solo questione tecnologica

La nostalgia non è una categoria politica, sebbene ultimamente il dibattito pubblico in Italia sia alquanto ristagnante, tanto da dover già rimpiangere i giorni in cui ci confrontavamo sulla riforma d el l’articolo 70 della Costituzione. E allora proviamo a interrogarci: come mai alternative politiche conservatrici o addirittura populiste hanno fatto la loro ricomparsa e trovano ascolto? Se vengono presentate proposte che sembrano ritorni al passato e che hanno alla base un’idea di fondo ispirata alla chiusura, la migliore risposta è lavorare a disegni e progetti politici progressisti e riformisti.

Qualche giorno fa mi è capitato di leggere un articolo di Kenan Malik pubblicato dal Guardian dal titolo “Il Liberalismo sta soffrendo ma la democrazia sta funzionando bene” in cui, guardando a grandi linee lo scenario politico internazionale, si riflette sul futuro della democrazia liberale alla luce delle sfide delle politiche reazionarie e populiste. Spesso si dimentica che tra il liberalismo, che ruota intorno alla nozione di individuo, e la democrazia vi è una continua tensione, il rischio è guardare alle masse con il timore che possano intaccare la libertà individuale. La polarizzazione delle due tendenze ha determinato il graduale abbandono degli aspetti più innovativi legati al progresso.

Malik sostiene che al contrario si debba tornare a cercare una sintesi, un modo per tenere assieme da un lato le libertà e i diritti dell’individuo, dall’altro le protezioni sociali e l’identità e l’idea stessa di comunità. La politica sembra ruotare proprio intorno alla dialettica tra individuo e comunità, c’è chi vuole esaltare il primo e chi mira a difendere la seconda, in una tensione continua tra libertà e identità, dimenticando talvolta che in realtà il soggetto viene valorizzato proprio nella sua appartenenza ad una collettività solida e coesa. Perché la democrazia non è solo il diritto individuale a mettere una croce su una scheda elettorale, ma soprattutto affermare la nostre voce politica agendo collettivamente.

D’altro canto a seguire il postulato per cui “uno vale uno” derivano idee come quella del “tribunale del popolo” per valutare la veridicità delle notizie. Grazie alla rete disponiamo di uno strumento ulteriore per esprimere le nostre opinioni, ma esiste infatti anche lì un implicito principio di autorevolezza che dovrebbe assicurare credibilità differente a seconda dei casi. Non si possono mescolare e ignorare professionalità e competenze e porre il fattuale sullo stesso piano della mera opinione.

No, uno non vale uno. Il rischio è che non esistano più fatti appunto ma solo interpretazioni da cui poi derivano prese di posizione che ieri significano una cosa, oggi u n’altra, domani chissà. La presunta svolta garantista del M5S è l’esempio plastico di cosa sia la post-verità. Nel caso di Pizzarotti valeva l’espulsione, nel caso di Nogarin no, in ogni caso decide il sacro blog: “Chi controlla il passato controlla il futuro, chi controlla il presente controlla il passato”. Proprio per questo la postverità è un tema politico-culturale e non normativo, ha a che fare con i corpi intermedi e con la formazione dell’opinione pubblica e non intacca solo lo spazio pubblico della rete, perché tutti i media sono ibridati, e quindi riguarda anche stampa, radio e televisione.

Resta il grande tema di formazione ed educazione alla rete e all’immateriale, che non è solo questione tecnologica. Come ha scritto bene Giovanni Boccia Artieri in un tweet del 6 gennaio, “dobbiamo educarci emotivamente al digitale e non tecnologicamente. Le vite connesse sono condivise ma non sempre condivisibili”. Non sempre condivisibili, appunto perché come sosteneva Charles Prestwich Scott: “Il commento è libero, ma i fatti sono sacri”.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/se-non-esistono-piu-fatti-ma-solo-interpretazioni/
5779  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / PD Storie da superare: un compito per Renzi e gli altri inserito:: Gennaio 08, 2017, 11:20:35 pm
Storie da superare: un compito per Renzi e gli altri
Pd   
L’operazione di fusione nel Pd non è ancora completata, ma è fondamentale per riuscire a leggere e risolvere i problemi di oggi

Nell’Assemblea del Partito Democratico del 18 dicembre Gianni Cuperlo ha posto un problema di fondo quando, citando Norberto Bobbio, ha sostenuto che il destino del Pd dipende dalla natura del Pd. E io credo che dare risposta a questo problema sia essenziale per tutti noi che ci riconosciamo nel Partito democratico come partito nuovo che deve assolvere alla funzione nazionale di aprire una fase più avanzata della democrazia italiana e della costruzione europea. Per fare questo dobbiamo innanzitutto riflettere sulle differenti storie che ognuno di noi ha portato nel Pd e sull’esigenza di superarle: non di rinnegarle ma di superarle radicalmente sì.

Il fatto è che nel Partito democratico sono confluiti i quattro grandi filoni della storia della democrazia italiana, che in parte sono andati ad alimentare anche altre formazioni politiche sia di centrodestra che di sinistra, ma che indubbiamente caratterizzano in modo forte con la loro confluenza proprio il Pd. Sto parlando dell’esperienza del cattolicesimo democratico, di quella peculiare del comunismo italiano, di quella del movimento socialista e infine del filone liberale.

Quattro filoni che in passato si sono spesso scontrati duramente ma che non a caso hanno contribuito, ognuno per la propria parte, alla costruzione delle istituzioni democratiche e alle conquiste sociali della storia repubblicana. Vorrei allora sintetizzare, dal mio punto di vista e senza pretesa alcuna di completezza, i valori principali che ognuno di quei filoni ha portato con sé nel Partito democratico e lo farò procedendo da quello più lontano a quello più vicino alla mia storia personale.

Il ruolo del mercato, non solo come meccanismo promotore di efficienza ma anche come luogo di espressione di libertà, è sicuramente l’apporto peculiare che ci viene dalla tradizione liberale, in particolare nelle sue espressioni che attribuiscono alle istituzioni pubbliche il compito di definire e garantire le regole di corretto funzionamento dei mercati. Continuo subito però con l’altrettanto forte consapevolezza, che ci viene dalla tradizione del cattolicesimo democratico, del valore – spesso mortificato dall’operare spontaneo del mercato – dell’importanza per la vita democratica delle capacità di iniziativa spontaneamente solidale che nel vivo del tessuto sociale si esprimono attraverso l’agire diversificato e vitale di un insieme di associazioni e di comunità. Agire spontaneo che non basta però a correggere i “fallimenti del mercato” che possono comprimere e vanificare la stessa espressione di libertà di scelta individuale e che richiedono l’intervento del sistema di welfare (sicurezza sociale, previdenza, sanità, servizi alla persona), che costituisce realizzazione alta dell’esperienza socialdemocratica europea. E infine, ma non da meno, la consapevolezza, che segna l’esperienza del comunismo italiano, che c’è bisogno di un intervento pubblico che non solo costruisca e garantisca le regole e corregga i “fallimenti del mercato” ma che traduca scelte collettive consapevoli in allocazione delle risorse a fini di interesse generale e affermi quindi il ruolo che la politica democratica deve svolgere sulla direzione da imprimere al processo economico.

Ora, il Partito democratico deve essere il crogiuolo nel quale queste quattro tradizioni sono chiamate a fondersi e così facendo a dar vita a una cultura democratica nuova che sappia dare risposta ai problemi che vivono gli italiani e gli europei di oggi: un’epoca traversata da nuove inquietudini, paure, situazioni di sofferenza sociale, e al tempo stesso – grazie alle conquiste di settanta anni di democrazia – aperta a nuove possibilità di realizzazione individuale e sociale; un’epoca che non può essere capita e governata con le categorie del passato. Ma proprio nella fusione di quelle esperienze democratiche confluite nel Pd c’è la chiave di volta per abbandonare le scorie che ognuna di esse si porta dietro e arrivare a una più comprensiva visione dei problemi di oggi.

Il riconoscimento del ruolo del mercato implica che sia le esperienze di comunità, sia l’azione pubblica di guida e quella di correzione del mercato, devono sapersi rapportare con il sistema delle convenienze economiche, e questo proprio per non subirle ma caso mai per modificarle efficacemente. Così, a sua volta, l’importanza da dare all’iniziativa spontaneamente solidale che vive nel tessuto sociale, richiede che le regole del mercato siano regole aperte, dove ognuno possa giocare alla pari, e contemporaneamente richiede di saper riconoscere i limiti di uno statalismo che pretenda di essere autosufficiente sul versante del welfare come su quello della direzione del processo economico. Ancora, la consapevolezza circa il ruolo di un sistema di welfare pubblico significa creare una sponda essenziale per le iniziative di comunità, valorizzare le opportunità reali di autodeterminazione dei cittadini correggendo i vincoli che il mercato determina, ricordare alla politica che al centro dell’azione di governo ci sono le esigenze delle persone. Infine, il riconoscimento della funzione che le istituzioni democratiche sono chiamate a svolgere in termini di orientamento e guida del processo economico colma un limite degli altri tre approcci richiamando un dovere democratico delle istituzioni: quello di dare attuazione alle scelte della comunità nazionale circa il proprio futuro.

A oggi l’operazione di fusione non è completata e le scorie non risultano ancora del tutto depositate. Questo è il compito della generazione di giovani che con Matteo Renzi ha finalmente preso in mano la guida del Partito democratico. Anche perché tutti veniamo da lontano per guardare al futuro con coraggio e senza rimpianti.

http://www.unita.tv/opinioni/pd-renzi-culture-comunismo-socialismo-liberale-cattolicesimo/
5780  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / Tre nomi per battere i nazionalisti inserito:: Gennaio 08, 2017, 11:18:56 pm
Focus
Unità.tv - @unitaonline

· 4 gennaio 2017
Tre nomi per battere i nazionalisti
Europa   

Il quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung scommette su Merkel, Macron e Renzi per “vincere la battaglia per l’Europa”

È di pochi giorni fa un articolo dell’edizione europea di Politico, che metteva in fila dodici persone o gruppi in grado di “rovinare il 2017″. In Italia, l’eco di quel testo è arrivata soprattutto per la strumentalizzazione che ne ha fatto Beppe Grillo, autoproclamandosi “uno dei 12 personaggi più influenti d’Europa”, quando l’autore dell’articolo originale voleva invece dire ben altro.

E oggi Politico.eu torna sul tema dei rischi per l’Ue in questo 2017 ricco di tornate elettorali importanti (in Francia e Germania soprattutto, ma forse anche l’Italia) con un commento dell’italiano Alberto Mingardi, direttore generale dell’Istituto Bruno Leoni. Secondo Mingardi, il vero problema non è il populismo in sé, quanto piuttosto il disagio sociale che lo alimenta e che deriva dalla mancanza di misure adeguate per la crescita.

Nel clima di paura che attraversa il Continente, il quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung indica in un suo articolo pubblicato oggi tre nomi su cui puntare per difendere il futuro dell’Europa. Il primo, naturalmente è quello di Angela Merkel, che si appresta ad andare alle urne per il suo quarto mandato da Cancelliera con il rischio rappresentato dal partito della destra euroscettica Alternative für Deutschland. Difendendo le sue scelte in materia di accoglienza dei rifugiati, anche dopo la strage di Berlino, Merkel ha dato prova non solo di tenuta politica, ma anche di quei sentimenti di solidarietà e pace che stanno alla base del progetto europeo.

Il secondo nome indicato dalla Sz è Emmanuel Macron, ex ministro dell’Economia e candidato indipendente alle presidenziali francesi, uscito dal Partito socialista per fondare il suo movimento di impronta liberal En marche, accreditato dai sondaggi di un risultato oscillante tra il 12 e il 15%. “Un uomo del futuro, per la Francia e per l’Europa”, secondo il quotidiano tedesco, che ne apprezza il coraggioso europeismo.

Il terzo ‘amico dell’Europa’ per la Süddeutsche Zeitung è Matteo Renzi, le cui battaglie condotte anche in chiave anti-tedesca non ne hanno quindi minato la figura europeista. “Anche lui è giovane, europeista, pronto alle riforme, e determinato ad affrontare i nazionalisti – scrive il quotidiano -. Anche lui tornerà in scena”.

La conclusione del giornale tedesco è quindi improntata all’ottimismo: “Gli amici dell’Ue non devono scoraggiarsi. Perché politici come Macron e Renzi danno speranza: la battaglia per l’Europa si può vincere”.

Da - http://www.unita.tv/focus/merkel-macron-renzi-salvare-europa/
5781  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / Sergio STAINO Camusso dimentica la tradizione di Lama e Trentin inserito:: Gennaio 08, 2017, 10:07:29 pm
Opinioni
Sergio Staino - @SergioStaino
· 7 gennaio 2017

Camusso dimentica la tradizione di Lama e Trentin
   
Devi imparare a confrontarti con la politica, a dialogare tenendo il sindacato lontano dalle singole strategie dei partiti

Cara Camusso, sì, lo so, sono molto vecchio. Sono talmente vecchio da aver avuto la fortuna di conoscere Luciano Lama, uno dei più importanti dirigenti del nostro sindacato. L’ho conosciuto in situazioni fortemente contrapposte quando io, giovane e imbecille marxista-leninista, condividevo con tutte le altre organizzazioni studentesche extraparlamentari gli assalti ai comizi dello stesso. «Traditore, venduto al capitalismo, ingannatore della classe operaia etc etc». Poi ho capito quanto fossimo incolti, superficiali noi e pericolose le nostre azioni, e quanto fosse nel giusto lui e la stragrande maggioranza della classe operaia che lo affiancava.

Qualche anno dopo ho conosciuto Bruno Trentin e da lui ho imparato quanto sia deleterio e nefasto per le sorti della democrazia il fatto che il sindacato possa mettersi alla coda delle più demagogiche manifestazioni popolari. L’ho visto fischiato terribilmente da gruppi di Cobas e da larga parte della Cgil in piazza Santa Croce a Firenze e lì ho capito quanto sia difficile per un sindacalista mantenere dritta la barra di fronte alle focose rappresentazioni del sindacalismo cosiddetto rivoluzionario.

Penso sempre a questi due luminosi personaggi ogniqualvolta inciampo in una tua manifestazione estemporanea e penso con molto dolore che tu ormai non hai quasi più nulla da condividere con loro. Sono parole forti, lo so, sincere e poco diplomatiche, ma credo che sia l’unico modo per far riflettere te e i dirigenti sindacali che condividono questa tua linea.

Lama e Trentin, come molti altri sindacalisti del passato, hanno sempre guardato ai lavoratori come protagonisti della crescita sociale ed economica del paese, li hanno sempre individuati come potenziale classe dirigente. Bisognava educarli, farli crescere, dar loro la capacità di sentirsi attori principi della costruzione della democrazia, eliminando tutte quelle forme di ribellismo sterile e fine a se stesso che la lezione storica marxista liquidava con l’aggettivo «sottoproletario». Solo in questo senso il sindacato avrebbe potuto svolgere il suo ruolo di interlocutore del Parlamento e del Governo, alternando il dialogo alla lotta per i propri diritti.

Purtroppo nella tua azione e nel tuo pensiero, Susanna, io non ritrovo questo obiettivo così alto e così doveroso per un sindacato che abbia la voglia di migliorare la condizione del mondo del lavoro in una democrazia avanzata qual è la nostra.

Ormai la tua azione è solo un continuo, ripetitivo attacco al governo di turno, senza offrire al contempo un progetto, una prospettiva e una conseguente azione politica. Un sindacato non può rimanere sulle barricate a tempo indeterminato aspettando che si cambi il governo. È un’attesa sterile. Tu devi imparare a confrontarti con la politica, a dialogare, a contrattare, tenendo il sindacato lontano dalle singole strategie dei partiti. Con questo atteggiamento e sotto la tua direzione la Cgil sta correndo il rischio, terribile, di diventare una vociante folla indifferenziata, senza più alcuna connotazione di classe e soprattutto di una classe responsabile nei confronti della società e delle sue istituzioni democratiche. È successo così con la discesa in campo a fianco del «No» nel referendum sulla riforma costituzionale dove non hai lasciato libertà di scelta agli iscritti e sta succedendo così adesso con il referendum da te voluto sul Jobs Act. È molto probabile che anche questo secondo referendum ti vedrà vincitrice, ma a quale prezzo?

Ti prego di rifletterci bene e ti prego oggi che ti è arrivato un bel segnale, se hai la volontà di coglierlo. Il segnale è la notizia di quei compagni dello Spi-Cgil emiliano che stanno tranquillamente utilizzando i voucher per pagare le loro collaborazioni. Sì, proprio quei voucher che tu hai avuto l’ardire di chiamare “pizzini mafiosi”. Non ti sembra di esagerare? Non ti sembra che hai perso il senso della realtà delle cose, della loro concretezza? Tutte cose che invece non mi sembra abbiano perso quei compagni dello Spi-Cgil. Cerca quindi di ritornare sui grandi binari della nostra storia sindacale, della nostra esperienza, delle nostre lotte di unità e di progresso.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/camusso-dimentica-lama-trentin/
5782  Forum Pubblico / MOVIMENTO 5STELLE: Valori e Disvalori / Stefano Cagelli. Grillo divorzia dall’Ukip e lancia (a sorpresa) la votazione... inserito:: Gennaio 08, 2017, 09:48:57 pm
Focus
Stefano Cagelli - @turbocagio
· 8 gennaio 2017

Grillo divorzia dall’Ukip e lancia (a sorpresa) la votazione online

L’obiettivo ora è l’adesione al gruppo parlamentare europeo ALDE con lo scopo di dar vita “a una nuova identità europea, che chiameremo DDM (Direct Democracy Movement)”

Divorzio dagli indipendentisti britannici dell’Ukip, padri della Brexit, e negoziato per l’adesione al gruppo parlamentare europeo ALDE (Alleanza dei democratici e dei liberali per l’Europa) con lo scopo di dar vita “a una nuova identità europea, che chiameremo DDM (Direct Democracy Movement)”.

E’ la proposta che il leader del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo, lancia oggi sul suo blog, dove si apre (a sorpresa e senza preavviso) la votazione on line. Gli iscritti potranno esprimersi oggi fino alle 19 e domani dalle 10 alle 12, quando la consultazione sarà chiusa.

Grillo spiega: “I recenti avvenimenti europei, come la Brexit, ci portano a ripensare alla natura del gruppo EFDD” (Europe of Freedom and direct democracy) del quale M5S fa oggi parte assieme a Ukip e altre formazioni più piccole. “Abbiamo studiato le percentuali di voto condiviso con Ukip e le atre delegazioni minori: la cifra non supera il 20%. Molto poco”, scrive Grillo, secondo cui “rimanere in EFDD equivale ad affrontare i prossimi due anni e mezzo senza un obiettivo politico comune, insieme a una delegazione che non avrà interesse a portare a casa risultati concreti. Ci ritroviamo nelle condizioni di rimanere in Parlamento con le prerogative derivanti dall’appartenenza a un gruppo politico, ma senza la possibilità di fare il massimo per realizzare il programma del MoVimento 5 Stelle in Europa. Non nascondiamo anche – continua il leader dei cinque stelle – un certo disagio rispetto all’utilizzo improprio di capitali delle Fondazioni (a cui noi abbiamo rinunciato e continueremo a rinunciare) da parte di alcuni colleghi di EFDD, in riferimento alle notizie pubblicate e da cui prendiamo le dovute distanze”.

Ma stare in un gruppo parlamentare è necessario perché finire nel raggruppamento dei non iscritti “significa occupare una poltrona con le mani legate: significa non poter lavorare”. Si cerca dunque un’altra ‘casa’, e “gli unici ad aprire il dialogo con noi sono stati gli eurodeputati di ALDE”, riferisce Grillo, che racconta: “Abbiamo fatto un tentativo di dialogo anche con il gruppo dei Verdi, che ha rifiutato la nostra richiesta di confronto. Ci è stato comunicato che un eventuale ingresso del MoVimento 5 Stelle nel gruppo dei Verdi avrebbe infatti ‘sbilanciato’ gli equilibri del gruppo “stesso “.

Il leader pone poi le “condizioni politiche alla base dei negoziati con ALDE”. Ovvero: “Condivisione dei valori di democrazia diretta, trasparenza, libertà, onestà; totale e indiscutibile autonomia di voto; partecipazione dei cittadini nella vita politica delle Istituzioni europee; schieramento compatto nelle battaglie comuni come la semplificazione dell’apparato burocratico europeo, la risoluzione dell’emergenza immigrazione con un sistema di ricollocamento permanente, la promozione della green economy e lo sviluppo del settore digitale e tecnologico con maggiori possibilità occupazionali”.

In tal modo, secondo Grillo, “il MoVimento 5 Stelle manterrebbe la sua piena autonomia con l’opportunità di dare vita a una nuova identità europea, che chiameremo DDM (Direct Democracy Movement) un progetto ambizioso che apre a un futuro in cui sempre più realtà europee condivideranno il valore della democrazia diretta”.

Da - http://www.unita.tv/focus/grillo-divorzia-dallukip-e-lancia-a-sorpresa-la-votazione-online/
5783  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / La Cgil risponde a Staino: “La nostra organizzazione unita nella battaglia ... inserito:: Gennaio 08, 2017, 09:47:14 pm
> Opinioni
Unità.tv   
@unitaonline
· 8 gennaio 2017

La Cgil risponde a Staino: “La nostra organizzazione unita nella battaglia per i diritti”
Sindacati   

Non vorremmo dover constatare che il diritto di critica e la mobilitazione sociale valgano ormai, per un pezzo di “compagni di strada”, solo per i personaggi dei fumetti e non per le persone in carne ed ossa

Caro direttore, abbiamo letto il tuo editoriale su l’Unità del 7 gennaio che hai scelto di scrivere come lettera al Segretario generale della Cgil. Purtroppo, dal tuo articolo dobbiamo desumere che ancora non è sconfitta quella tendenza alla esasperata personalizzazione del dibattito politico e sociale che a noi pare uno dei mali più profondi dell’oggi. Il tuo intervento ci colpisce e non ci piace anzitutto per questo: il violento, crudo (con toni francamente inaccettabili) attacco alla persona che porta la responsabilità di essere il Segretario generale della Cgil, ma che proprio per questo è stata ed è sempre portatrice e interprete delle decisioni dell’insieme del gruppo dirigente, mai personali.

Anche tanti di noi hanno conosciuto e lavorato con dirigenti quali Lama e Trentin e da loro abbiamo tutti imparato una cosa fondamentale: un grande sindacato generale e confederale deve sempre stare al merito delle questioni che affronta, altrimenti viene meno al compito di rappresentare lavoratori e pensionati, indicando sempre una direzione, una proposta. Questo è ciò che tu eludi nel tuo intervento, fingendo che il merito delle cose possa essere rimosso o dimenticato. La Cgil, insieme a Cisl e Uil, ha sempre ricercato la via del negoziato e dell’accordo; lo ha fatto anche quando il Governo negava ruolo e funzione dei corpi intermedi e quando il merito lo ha consentito ha sottoscritto accordi importanti.

Dimentichi, ad esempio, il recentissimo accordo quadro per il rinnovo dei contratti pubblici, il verbale di sintesi in tema di previdenza. Dimentichi anche l’accordo su rappresentanza e rappresentatività che abbiamo sottoscritto unitariamente con ormai tutte le più importanti Associazioni datoriali o quello sulle relazioni sindacali. Accordi che sino ad ora non hanno trovato la giusta attenzione da parte del Governo e del Parlamento.

Su un punto fondamentale la Cgil – in parte unitariamente, in parte no – dissente, non da oggi, con i Governi che negli ultimi quindici anni si sono succeduti alla guida del Paese: le politiche sul lavoro, l’assenza di una strategia per l’occupazione, la pervicace azione contro i diritti individuali e collettivi. Si, caro Staino, su questo non Susanna Camusso, ma tutta la Cgil si è opposta e continuerà ad opporsi.

Anziché scandalizzarsi di tutto ciò, forse anche tu dovresti chiederti se l’evidente fallimento delle politiche del rigore e dell’austerità, la sconfitta della teoria che precarizzando il lavoro e riducendo i diritti si sarebbe creata più occupazione, non richiederebbero ad una maggioranza di Governo, che si definisce riformista, un deciso cambio di verso. È proprio perché abbiamo imparato la lezione di Di Vittorio, Lama, Trentin e dei tanti altri prestigiosi dirigenti della Cgil, che oltre alla protesta, alla mobilitazione, agli scioperi, abbiamo curato e cercato di dare forza alla proposta.

Sei uomo troppo attento per non sapere che la Cgil ha predisposto già tre anni fa un “Piano del lavoro” che indica come si può cambiare verso sul lavoro, rilanciando l’occupazione, anzitutto giovanile. Così come certamente sai, che in Parlamento c’è una nostra proposta di legge “Carta dei diritti universali del lavoro” sulla quale abbiamo raccolto oltre un milione e duecentomila firme, accompagnandola e supportandola con tre quesiti referendari. Queste sono le nostre proposte che sarebbe forse meglio discutere e con le quali chiediamo che il Parlamento e la politica si confrontino e si misurino.

Tu hai creato quell’indimenticabile personaggio che è Bobo: ironico, critico, a volte dissacrante. Non vorremmo dover constatare che il diritto di critica e la mobilitazione sociale valgano ormai, per un pezzo di “compagni di strada”, solo per i personaggi dei fumetti e non per le persone in carne ed ossa.

La Presidente del Direttivo nazionale della Cgil, i componenti della Segretaria confederale ed i Segretari generali di tutte le Categorie nazionali: Nino Baseotto, Massimo Cestaro, Vincenzo Colla, Rossana Dettori, Gianna Fracassi, Maria Grazia Gabrielli, Ivana Galli, Alessandro Genovesi, Roberto Ghiselli, Maurizio Landini, Franco Martini, Giuseppe Massafra, Agostino Megale, Emilio Miceli, Ivan Pedretti, Morena Piccinini, Alessandro Rocchi, Tania Scacchetti, Francesco Sinopoli, Serena Sorrentino, Claudio Treves

Da - http://www.unita.tv/opinioni/la-cgil-risponde-a-staino-su-camusso-la-nostra-organizzazione-unita-nella-battaglia-per-i-diritti/
5784  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / Varoufakis a Roma per lanciare Diem25, un nuovo movimento paneuropeo inserito:: Gennaio 08, 2017, 09:44:23 pm
Varoufakis a Roma per lanciare Diem25, un nuovo movimento paneuropeo
L’ex ministro si incontrerà nella capitale con Noam Chomsky e altri membri del gruppo.
E a Firenze una casa editrice pubblica una seconda edizione del suo “Il minotauro globale”

Pubblicato il 07/01/2017
Roma

Oggi, in occasione della visita a Roma dell’ex ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis per presentare il movimento paneuropeo Diem25, la casa editrice fiorentina Spider&Fish pubblica una nuova edizione del testo più importante scritto dall’economista ateniese. “Il minotauro globale” si appresta dunque a tornare in libreria con una nuova introduzione dell’economista britannico, Paul Mason, e due nuovi capitoli.

Yanis Varoufakis offre un quadro dello scenario economico globale e spiega perché il capitalismo debba mutare radicalmente per poter sopravvivere. Le crisi dell’Eurozona sono, secondo Varoufakis, i sintomi di una malattia profonda che affonda le sue radici nel grande crack americano del 1929 e che si è materializzata nel sistema dominato dagli Stati Uniti (quel Minotauro globale che dà il titolo al saggio, appunto) rivelando come sia possibile, e necessario, reintrodurre un po’ di razionalità in ciò che è diventato un ordine economico pernicioso e irrazionale, delineando uno scenario articolato in tre fasi che permetterebbe di uscire dalla crisi.

La nuova edizione si amplia e si concentra su un sistema, quello bancario, che non cessa di mostrare i suoi limiti, le sue opacità e le sue drammatiche inefficienze.

Si torna a parlare della bancarottocrazia, termine coniato proprio da Varoufakis, e ci si interroga sul ruolo dell’America del dopo Obama e dell’Europa, i cui leader, sostiene l’economista «hanno prevenuto il collasso finale dell’eurozona mantenendola in uno stato di lenta disintegrazione». Particolare attenzione è riservata poi alle scelte della Germania, e alle sue resistenze nei confronti di ogni idea che possa far terminare la crisi dell’euro, ma anche agli scenari su cui, nei prossimi anni, saranno chiamati a muoversi i paesi emergenti come la Cina, il Brasile, l’India e il Sud Africa.

Sfide che verranno raccolte anche dal Diem25, movimento di cui Yanis Varoufakis è fondatore e promotore e che tra gli altri membri annovera anche Noam Chomsky, la stilista britannica Vivienne Westwood e il musicista Brian Eno.

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Alcuni diritti riservati.
Da - http://www.lastampa.it/2017/01/07/italia/politica/varoufakis-a-roma-per-lanciare-diem-un-nuovo-movimento-paneuropeo-lQdaKf5ZSqphwfu1LGGiGN/pagina.html
5785  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / Umberto DE GIOVANNANGELI - Parla Vittorio Strada, il più autorevole studioso... inserito:: Gennaio 08, 2017, 09:35:30 pm
l'Unità TV > Interviste
Umberto De Giovannangeli   
· 8 gennaio 2017

“Usa-Russia, è la Rete la nuova frontiera della Guerra fredda”

Mondo   
Parla Vittorio Strada, il più autorevole studioso italiano del “Pianeta Russia”
   
«Non siamo di fronte a un fatto isolato, ma a un strategia pianificata a tavolino che avrà altri momenti di attuazione. La frontiera della nuova “Guerra fredda” è quella che ha come campo di battaglia la rete. E su questo tavolo il gruppo dirigente russo ha puntato tutte le sue carte». A sostenerlo è il più autorevole studioso italiano del «pianeta Russia»: il professor Vittorio Strada. In questi giorni è in uscita il suo saggio, quanto mai di attualità, Impero e rivoluzione. Russia 1917-2017 (Marsilio Editori).

Professor Strada, l’intelligence Usa conferma: Putin ordinò d’influenzare il voto per le presidenziali che hanno «incoronato» Trump. Qual è il segno di questa ingerenza che il nuovo inquilino della Casa Bianca ha minimizzato ma non smentito?
«Indubbiamente ci troviamo a dover fare i conti con una svolta clamorosa, direi decisiva nella storia dei rapporti tra potenze. Lo scontro avviene ormai in forme mediatiche, viaggia nella rete, a “combatterlo” non sono soldati ma hacker. E questo tipo di conflitto viene teorizzato apertamente dagli strateghi della politica russa che attribuiscono alla rete un ruolo essenziale, addirittura di carattere strategico. E quella di cui stiamo parlando sarebbe la prima forma di un intervento diretto in una fase decisiva nella vita politica americana come sono le elezioni presidenziali. Quanto sia stata davvero pervasiva questa “ingerenza informatica” russa non è dato ancora sapere e forse non lo si saprà mai, ma basta il riconoscimento del fatto che ci sia stata per parlare, appunto, di una svolta clamorosa. Clamorosa e non episodica. Nel senso che questo non è che l’inizio di una forma di intervento che certamente, in questo caso in particolare, avrà conseguenze politiche di lunga durata».

Lunga quanto?
«Non azzardo previsioni temporali, ma quel che è certo è che il contrasto tra Russia e Stati Uniti, e più in generale tra la Russia, i suoi vecchi e nuovi alleati e l’Occidente, è già entrato in una fase di turbolenza nuova, di cui la tutt’altro che risolta crisi ucraina e ancor più la guerra in Siria sono le espressioni più evidenti, con una grande incognita, e cioè la linea di comportamento che sarà tenuta nei fatti, al di là delle dichiarazioni in campagna elettorale, dal nuovo presidente americano. In proposito, va sottolineato come nel mondo politico ufficiale russo, c’è una grandissima aspettativa per una svolta radicale nei rapporti tra le due potenze e questo sulla base della nuova linea di politica internazionale che viene attribuita a Trump».

Influenza il voto americano, si pone al centro della partita mediorientale: siamo all’apoteosi dello “Zar del Cremlino”?
«Vede, l’errore che si commette spesso nel raccontare le vicende russe, è quello dell’estrema personalizzazione, ritenendo che si sia di fronte, per l’appunto, a uno “zar ”. Nessuno può negare la forte personalità di Putin ma ciò non deve mettere in ombra l’affermarsi di una forma mentis, di una ideologia che sono proprie di una élite dirigente di cui certamente Putin è l’espressione più alta e non solo per la carica che ricopre. Alcuni commentatori politici si spingono a parlare di una fase “post putiniana”, anticipando i tempi, ma io penso che se anche uscisse di scena, ipotesi al momento fantascientifica, questa tendenza permarrebbe, perché è preparata da tutta un’azione che chiamerei politico-culturale, la quale attribuisce alla Russia il ruolo di leadership, addirittura etico-politica, rispetto a un Occidente in fase di decadenza».

In precedenza, Lei ha fatto riferimento alle aspettative dei circoli politici russi sulla presidenza Trump. C’è un ambito in particolare dove queste aspettative si orientano maggiormente?
«L’aspettativa riguarda un accordo globale, di carattere politico ed economico. L’intervento russo in Siria, che adesso, a missione compiuta, va riducendosi, è stato con tutta evidenza un intervento a favore del regime di Assad, tuttavia la richiesta fatta dalla dirigenza russa alle potenze occidentali, e in primo luogo agli Usa, è stata quella di un rinnovo dell’alleanza antifascista della Seconda guerra mondiale, riattualizzata in chiave di lotta al terrorismo dell’Isis. Questo ha rimescolato le carte sul piano dei rapporti tra gli Stati e in questo senso il caso della Turchia è il più significativo. In Russia addirittura qualcuno ha azzardato l’ipotesi di una uscita di Ankara dalla Nato. Di certo, il nuovo presidente americano e l’Europa si trovano a dover fare i conti con una situazione profondamente mutata rispetto a quella dei tempi recenti, e per l’Europa, intesa come Ue, questo rappresenta, ancor più che per gli Stati Uniti, una sfida politica cruciale, in quanto l’Europa è priva di una sua politica estera e di difesa condivisa e di una visione strategica, deficit ancora più gravi sotto l’impatto dei problemi migratori».

Nel pieno della crisi, armata, ucraina, Barack Obama, grande sostenitore delle sanzioni contro Mosca, definì la Russia una “potenza regionale”. Alla fine, a vincere è stato Putin?
«In quel caso, ma non solo in quello, Obama dimostrò di non aver capito la nuova politica estera russa. È chiaro che il gruppo dirigente russo ha dato una preminenza alla politica estera rispetto a quella interna, investendo nella prima tutti i mezzi e le risorse disponibili. I sostenitori della “marginalità” russa pongono l’accento sul fatto che la Russia attuale è una potenza economica del tutto secondaria sul piano mondiale, ma si dimentica, o si sottovaluta erroneamente, che la Russia è una super potenza nucleare che a suo tempo ha ricevuto dall’Ucraina il monopolio degli armamenti nucleari sovietici. E una potenza nucleare di questa portata, enorme, non può essere declassata a potenza “regionale” come ha fatto Obama. In definitiva, si può sostenere, a ragion veduta, che il gruppo dirigente russo guidato da Putin si è dimostrato il più abile giocatore sul piano internazionale. Resta da vedere se si tratta di un bluff o di una vera superiorità destinata a pesare nel tempo nella grande partita che è in corso. Per il momento il vincitore sta al Cremlino, è Vladimir Vladimirovič Putin».

Da - http://www.unita.tv/interviste/usa-russia-e-la-rete-la-nuova-frontiera-della-guerra-fredda/
5786  Forum Pubblico / SALUTE e BENESSERE. Ricerca della SERENITA' nella VITA. / Pietro Pietrini La depressione si può curare inserito:: Gennaio 08, 2017, 09:30:44 pm
Scienza e Filosofia
La depressione si può curare

    –di Pietro Pietrini 06 gennaio 2017

Recenti fatti di cronaca, ultima la tragedia della mamma di Gela nei giorni scorsi, richiamano l’attenzione sul dramma della malattia mentale. Si deve uscire dai confini della vita normale per tentare di comprendere il gesto folle di una mamma che strangola le proprie creature “per salvarle dal male del mondo”. È nei meandri profondi delle tenebre della depressione, che quello che appare un ossimoro a qualunque persona sana - uccidere un figlio per salvarlo - trova la sua genesi: laddove il presente è visto con incombente e immutabile terrore e non vi è futuro.

Situazione opprimente e insopportabile dalla quale l’unica via di fuga appare il suicidio, portando con sé chi si ama. Non si tratta di un raptus, come spesso si trova scritto. Il raptus in psichiatria non esiste. Si tratta di un comportamento pianificato in modo inesorabile – ma prevedibile ed evitabile – che è conseguenza di una condizione patologica tanto drammatica, quanto ancora oggi poco conosciuta e stigmatizzata. La depressione non è semplicemente una tristezza prolungata, vale a dire una malinconia. Come tutte le malattie, ha una fenomenica clinica complessa, che in molti casi comprende un’esperienza di terrore, angoscia, imminente disastro, paralisi psichica, senso di inutilità, che la persona che non ha mai sofferto di questo disturbo mentale, probabilmente, non riesce neppure a immaginare. È una condizione dove tutto si colora di nero, dove l’orizzonte si trasforma in un muro insormontabile, dove quella capacità squisitamente umana di costruirsi aspettative e di pensare il futuro si dissolve per lasciare spazio ad un’emozione di vuoto e nullità, intollerabile, che si vuole che finisca il prima possibile in qualunque modo.

Solo la capacità di immaginare il futuro consente di realizzare momenti significativi di gioia e felicità. Lo sappiamo quando progettiamo i nostri sogni. Lo sappiamo quando guardiamo i nostri figli muoversi fiduciosamente verso traguardi che conseguiranno col tempo. Ce lo urlano silenziosamente i migranti che fuggono alla ricerca disperata della possibilità di un domani.

Per il senso comune è difficile comprendere perché una persona che avrebbe tutte le ragioni per essere invidiabilmente soddisfatta non lo sia. O perché due persone nella stessa situazione di crisi familiare reagiscono l’una battendosi e l’altra uccidendo i figli o suicidandosi. Come se la depressione fosse una scelta. Come se bastasse “darsi una mossa” – come sovente si sente dire - per uscire da una condizione morbosa che, per sua stessa natura, congela la volontà.

Le statistiche ci dicono che la depressione colpisce oltre il 10% della popolazione generale e che negli Stati Uniti i suicidi negli ultimi 15 anni sono aumentati ben del 24%. Dati passati sotto silenzio, quando numeri simili in qualunque altra patologia avrebbero fatto vibrare i mezzi d’informazione e il mondo istituzionale. Un silenzio al quale si accompagna ancora oggi un ritardo nella diagnosi e nel trattamento, vuoi psicofarmacologico, vuoi psicoterapico, vuoi integrato, che nella maggioranza dei casi porta ad una piena restitutio ad integrum o quantomeno ad un significativo miglioramento del quadro clinico con la prevenzione di comportamenti autolesionisti.

Le neuroscienze hanno dimostrato che la depressione ha una base organica come qualunque altra patologia somatica. Gli studi di risonanza magnetica cerebrale mostrano come il cervello del depresso vada incontro alla perdita dell’arborizzazione sinaptica, all’atrofia dell’ippocampo e come queste alterazioni si normalizzino a seguito di un efficace intervento terapeutico. Nulla distingue, dunque, la depressione da una qualunque altra patologia del corpo, se non il suo aggredire l’élan vital della persona, la sua anima. Quella funzione che già in Greco antico era chiamata, non a caso, psyché.

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Da - http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2017-01-06/la-depressione-si-puo-curare-170401.shtml?uuid=ADY8yyQC&cmpid=nl_domenica
5787  Forum Pubblico / LA CULTURA, I GIOVANI, La SOCIETA', L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA, IL MONDO del LAVORO. / Giacomo Leopardi Buon anno e non dite ma agite! inserito:: Gennaio 08, 2017, 09:27:34 pm

Letteratura
Buon anno e non dite ma agite!

    –di Giacomo Leopardi 06 gennaio 2017

Miei carissimi Italiani ed Europei,
Vi vedo molto malinconici e potete credere che non so come consolarvi, se non pregandovi a concedere qualche cosa alle illusioni che vengono sostanzialmente dalla natura giacché per muoverci all’azione non bastano sottilità d’ingegno, e facoltà grande di ragionare, ma si ricerca eziandio molta forza immaginativa. Non vi paia contraddittorio nel mio sistema sopra la felicità umana, il lodare io sì grandemente l’azione, l’attività, l’abbondanza della vita: il mio sistema, in vece di esser contrario all’attività, allo spirito di energia gli è anzi direttamente e fondamentalmente favorevole.

Sarebbe impresa degna del nostro secolo quella di rendere la vita finalmente un’azione non simulata ma vera, e di conciliare per la prima volta al mondo la famosa discordia tra i detti e i fatti. La quale, essendo i fatti, per esperienza oramai bastante, conosciuti immutabili, e non convenendo che gli uomini si affatichino più in cerca dell’impossibile, resterebbe che fosse accordata con quel mezzo che è fino a oggi intentato: e questo è, mutare i detti, e chiamare una volta le cose coi nomi loro.

Ma questo imitar la natura, questo destare i sentimenti, è facile o difficile? Ognuno che li sente è sicuro purché si metta a scrivere di comunicarli subito agli altri, o no? Se sì, me ne rallegro, e avrò piacere di vederne l’esperimento; se no, questa cosa è tra le difficili difficilissima.

E così chi sente e vuol esprimere i moti del suo cuore l’ultima cosa a cui arriva è la semplicità, e la naturalezza, e la prima cosa è l’artifizio e l’affettazione, e chi non ha studiato e non ha letto, non iscrive mica con semplicità, ma tutto all’opposto: quella semplicità che v’è, non è semplicità ma fanciullaggine dove non si vede altro che esagerazioni e affettazioni e ricercatezze benché grossolane: così dite di certe canzoni volgari che per un certo verso son semplici, ma mettete un poco quella semplicità con quella di Anacreonte, e vedete se vi pare che si possa pur chiamare semplicità. Onde il sommo dell’arte è la naturalezza e il nasconder l’arte, che i principianti, o gl’ignoranti non sanno nascondere, benché n’hanno pochissima, ma quella pochissima trasparisce, e tanto fa più stomaco quanto è più rozza.

Oltracciò il comune è bensì illuminato e riflessivo al dì d’oggi, ma non profondo, e sebbene la politica domanda forse maggior profondità di lumi e di riflessioni che la morale, contuttociò il suo aspetto e superficie offre un campo più facile agl’intelletti volgari, e generalmente la politica si presta davantaggio ai sogni alle chimere alle fanciullaggini. Finalmente il volgo preferisce il brillante e il vasto al solido ed utile, ma in certo modo più ristretto e meno nobile. E la superbia degli uomini è lusingata dal parlare e discutere i pubblici interessi, dall’esaminare e criticare quelli che gli amministrano ec. e il volgare si crede capace e degno del comando, allorché parla della maniera di comandare.

Ma perché questa materia, a trattarla appieno, vorrebbe molte parole; perciò contentandomi pure di questo cenno, e passando innanzi, dico che il consiglio di oggidì consiste nell’incoraggiare la maggior somma possibile di attività, di azione, che occupi e riempia le sviluppate facoltà e la vita perché un italiano che o per natura o per abito abbia l’animo vivo, non può in modo alcuno acquistare o ricuperare la insensibilità. Per tanto io lo consiglio di occupare quanto può più la sua sensibilità e d’internarsi nel profondo delle cose.

Conservatemi l’amor vostro e credete alla perpetuità ed intensità del mio. Vi abbraccio augurandovi il buon anno.
Il vostro tenerissimo amico e servitore

Testo elaborato da Antonella Antonia Paolini utilizzando passi tratti dalle opere leopardiane: «Epistolario”; “Operette Morali»; «Pensieri»; «Zibaldone»

© Riproduzione riservata

Da - http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2017-01-06/buon-anno-e-non-dite-ma-agite-170340.shtml?uuid=ADotTZPC&cmpid=nl_domenica
5788  Forum Pubblico / LA CULTURA, I GIOVANI, La SOCIETA', L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA, IL MONDO del LAVORO. / Armando MASSARENTI - «Quando affisse le sue 95 tesi sulla porta della ... inserito:: Gennaio 08, 2017, 09:25:29 pm
«Quando affisse le sue 95 tesi sulla porta della Schlosskirche di Wittenberg il 31 ottobre 1517, vigilia di Ognissanti, Martin Lutero non aveva nessuna intenzione di provocare lo sconquasso che ne sarebbe seguito». Con queste parole inizia la lunga analisi che Massimo Firpo propone di nostri lettori su quello che sarà l'anniversario più discusso e celebrato di questo 2017: l'inizio della riforma protestante, cui grande attenzione ha già dato lo scorso anno Papa Francesco, il quale peraltro, come ricordato sulle pagine della Domenica, nello scegliere per il giubileo il tema della Misericordia proprio a Lutero si era ispirato. Cambiare la Chiesa, denunciandone tutti gli scandali, era l'intenzione del monaco agostiniano, non fare una rivoluzione. Buona lettura dunque. E buon 2017, con gli auguri che vi indirizziamo attraverso le parole di un grande protagonista della nostra storia letteraria (in realtà misconosciuto quasi come Lutero): Giacomo Leopardi.
   
Armando Massarenti - Responsabile il Sole24 Ore - Domenica
@massarenti24

DA ILSOLE24ORE.COM
5789  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Riccardo Nocentini. Le due visioni contrapposte di sinistra all’interno del Pd inserito:: Gennaio 06, 2017, 03:06:08 pm
   Opinioni
   
Riccardo Nocentini   -   @nocentinir
· 2 gennaio 2017

Le due visioni contrapposte di sinistra all’interno del Pd

Da una parte l’idea di un partito liberal socialista dall’altra un pensiero social democratico

Il documento di D’Alema su Italianieuropei uscito il 31 dicembre (fondamenti per un programma della sinistra in Europa) e di Bersani del 29 dicembre su ilcampodelleidee.it, rappresentano un possibile terreno di confronto.
Al di là delle etichette sull’azione politica degli ultimi 3 anni, Bersani parla di blairismo mal riuscito e di “populismo a bassa intensità”, D’Alema di “ideologia della governabilità”, si evidenzia una diversa direzione da intraprendere.

Nel Pd sono in campo due idee che si possono confrontare in maniera dialettica, oppure escludere a vicenda. Da una parte l’idea di un partito liberal socialista che pone il cambiamento e la lotta alle rendite di posizione come principio di partenza, dall’altra un pensiero social democratico che riporta al centro non il cambiamento ma, per usare il termine di Bersani, la “protezione” in termini di lavoro e welfare. In entrambe le direzioni vengono comunque considerati strategici gli investimenti per far ripartire la crescita economica.

Allora, su questo aspetto, ci dobbiamo intendere. Al di là cosa si preferisca, parlare il linguaggio del pessimismo cosmico oppure quello dell’ottimismo ad ogni costo, entrambi hanno dei limiti. Il pessimismo crea rassegnazione, l’ottimismo, se non supportato da fatti concreti anche di breve termine, rischia di venire percepito come illusorio e quindi, allo stesso modo, deludente. Pessimismo e ottimismo sono due facce della stessa medaglia, se mal utilizzati, possono essere invece complementari, come nella nota citazione di Gramsci “pessimismo dell’intelligenza e ottimismo della volontà”, se hanno un medesimo faro: la fiducia.

L’economia si basa sulla fiducia reciproca, tra imprese e mercato, tra imprese e stato, tra stato e mercato, e tra i cittadini e tutti gli attori economici e istituzionali. Come creare fiducia per far ripartire l’economia del paese? Questa è la domanda alla quale dobbiamo dare risposta per elaborare una nuova linea politico programmatica in campo economico.

Non dobbiamo essere ossessionati dall’economia, ma dobbiamo capirla meglio. Certi numeri che rientrano tra i parametri europei, come il rapporto del 3% tra deficit e prodotto interno lordo, rischiano di essere dei feticci perché non dicono nulla su quello che sta dietro, sulle ragioni profonde che stanno alla base. Il problema dell’Italia è che, nonostante i miglioramenti in atto a partire dal 2015, dietro ai numeri della nostra economia per tantissimi anni è mancata una strategia.

Se non c’è una crescita significativa il deficit aumenta in maniera automatica per il costo della cassa integrazione, per la riduzione degli introiti fiscali oltre che per gli interessi sul debito accumulato negli anni. Quindi quello su cui ci dobbiamo concentrare è la crescita.

Le condizioni della crescita dipendono in buona parte, da una burocrazia snella, da un mercato del lavoro con maggiori opportunità, da una minore corruzione, ma anche dalla qualità degli investimenti pubblici e privati volti all’incremento di una produttività di lungo periodo. La questione di oggi non è il costo del lavoro, ma come renderlo più produttivo, quindi anche più efficiente attraverso una formazione all’avanguardia, tecnologie avanzate e un rapporto cooperativo tra impresa e lavoro.

Insomma l’aspetto fondamentale riguarda gli “investimenti strategici” e per farli è necessario prima di tutto un orientamento culturale che faccia da sfondo, sul quale costruire una visione del futuro con una solida e creativa progettualità. Questa è la vera sfida e le variabili di lungo periodo che permettono di crescere sono il capitale umano (conoscenza, innovazione, istruzione, formazione) e il capitale sociale (senso di comunità e dello stato).

Su questo sfondo il PD deve ripensare le policies, quindi una politica che parta dai contenuti delle politiche, per allargare i consensi e definire una nuova linea politico culturale e programmatica, che non sia solo una somma di policies, ma, un punto di vista sulla storia della nazione, contemporaneo e plurale. E dovrà scegliere se essere una sinistra di cambiamento o di “protezione”, oppure la sintesi dialettica dell’una e dell’altra

Da - http://www.unita.tv/opinioni/le-due-visioni-contrapposte-di-sinistra-allinterno-del-pd/
5790  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / FABIO MARTINI. Il crepuscolo della tv renziana, nel mirino c’è Campo Dall’Orto inserito:: Gennaio 06, 2017, 03:03:48 pm
Il crepuscolo della tv renziana, nel mirino c’è Campo Dall’Orto   
La nemesi: la nemica Berlinguer condurrà il talk show in prima serata

Pubblicato il 04/01/2017 -  Ultima modifica il 04/01/2017 alle ore 10:51

Fabio Martini
ROMA

L’addio di Carlo Verdelli, il giornalista che avrebbe dovuto ridisegnare l’informazione televisiva pubblica, segna il punto più acuto della crisi della Rai «renziana», la Rai che Matteo Renzi un anno e mezzo fa ha affidato alle cure di un manager di sua fiducia, Antonio Campo Dall’Orto. Una crisi che dura da mesi e che, nell’ottica dell’ex premier, consumerà il suo passaggio più paradossale e doloroso tra qualche settimana: a metà febbraio un nuovo talk show di RaiTre, in onda il martedì sera, sarà affidato a Bianca Berlinguer, che l’ex presidente del Consiglio alcuni mesi fa aveva fatto allontanare dalla direzione del Tg3. Una sorta di nemesi: sia pure dietro le quinte, Renzi si era battuto anche per cancellare un talk show come «Ballarò» e far allontanare il suo conduttore, Massimo Giannini, considerato ostile. Una movimentazione che alla fine ha prodotto un plateale boomerang: il programma che ha sostituito «Ballarò» - «Politics» - ha chiuso anticipatamente e per far risalire gli ascolti il direttore generale, il «renziano» Campo Dall’Orto, ha dovuto richiamare la ex direttora del Tg3. Una sequenza eloquente: la Rai tutta «politica» di Renzi non è mai nata e la Rai, più ambiziosa, di Campo Dall’Orto si sta sgretolando.

Tutto era iniziato il primo luglio del 2015. Renzi, presidente del Consiglio già da un anno e mezzo, alla Humboldt Universität di Berlino era stato chiamato a pronunciare un discorso sul futuro dell’Europa, impegno assolto ma con una breve digressione nel corso della quale il capo del governo aveva definito i talk show «un pollaio senz’anima». Un’accusa all’informazione televisiva, ritenuta faziosa e chiassosa, ma anche il preannuncio di una offensiva. La «striscia» che segue è eloquente. Pochi giorni dopo il discorso di Berlino viene nominato, su suggerimento del governo, il nuovo Cda della Rai: alla presidenza va la giornalista Monica Maggioni, già direttora di Rainews, mentre la direzione generale è affidata ad Antonio Campo Dall’Orto, un passato da manager televisivo oltreché frequentatore abituale della «Leopolda». Il 22 dicembre 2015 il Parlamento approva una legge di riforma della governance della Rai che assegna all’amministratore delegato un super-potere: quello di indicare i direttori di rete e delle testate giornalistiche. 

E infine le nomine: il 19 febbraio 2016 il cda indica i nuovi direttori di Rete e dunque anche di RaiTre, la «bestia nera» di Renzi. Tutto sembra pronto per la «nuova» Rai targata Renzi e il programma «ideologico» lo spiega l’amministratore delegato in un’intervista al «Foglio». Per Campo Dall’Orto i nuovi talk show non dovranno «eccitare o indignare», ma invece informare meglio. Un programma molto innovativo, e per concretizzarlo RaiTre chiama un giornalista di Sky, Gianluca Semprini. Il format si rivela subito senza novità rispetto al passato, ma la vera condanna viene dagli ascolti: ogni settimana «Politics» è nettamente superato da «Di Martedì, il «talk» della «Sette» condotto da Giovanni Floris. 
Meno politica l’operazione-Verdelli. Già direttore della «Gazzetta dello Sport», già vicedirettore del Corriere della Sera», inventore della fortunata formula di «Vanity», espressione di un giornalismo «pop alto», Verdelli è chiamato da Campo Dall’Orto per ridisegnare il piano editoriale della Rai. Una missione impegnativa, tant’è che i nuovi vertici mettono da parte l’ambizioso piano preparato dal direttore uscente Luigi Gubitosi con la razionalizzazione delle testate e la riduzione dei costi, per lanciare quello di Verdelli. Ma ora si riparte da capo: tutto da rifare, tutto cancellato.

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