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Autore Discussione: Micciché e la gaffe su Falcone "Triste un aeroporto col suo nome"  (Letto 2949 volte)
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« inserito:: Ottobre 11, 2007, 04:34:04 pm »

Il presidente dell'Assemblea regionale siciliana (Forza Italia) si lascia andare a un commento poco opportuno.

Poi, capito lo scivolone, ritratta...

Micciché e la gaffe su Falcone "Triste un aeroporto col suo nome"

di CONCITA DE GREGORIO

 
L'HA DETTO col cuore, si capisce. Ha detto che quando uno va in Sicilia si deprime subito, già quando arriva all'aeroporto: se per esempio un viaggiatore giapponese sedicenne o un turista veronese con l'Alzheimer non avessero a mente che in Sicilia c'è la mafia ecco quella targa, appena arrivato, a ricordarglielo. "Aeroporto Falcone-Borsellino". Che disastro, "che immagine negativa trasmettiamo subito col nome dell'aeroporto", ha commentato il presidente dell'Assemblea regionale siciliana Gianfranco Micciché, di Forza Italia.

Uomo ottimista e positivo che associa all'isola, piuttosto, il pensiero del latte di mandorle e dei fichi d'India oltre che quello dei milioni di voti con cui è stato eletto, recordman di preferenze e artefice del celebre 61 a 0, tutti voti antimafia fino all'ultimo, va da sé. Poi, quando Maria Falcone sorella del magistrato ucciso, una donna che da anni passa le mattine nelle scuole dell'isola a parlare ai ragazzi di legalità, gli ha fatto con fermezza notare che l'aeroporto non è intitolato a Riina o a Provenzano "ma a due eroi italiani che credevano nel riscatto della nostra terra combattendo le cosche" persino Micciché si è reso conto. Si è scusato della "frase infelice", l'ha "ritirata".

Una frase, però, non si può ritirare e rimettere in tasca come fosse un pizzino: quanto è detta è detta. In pubblico, davanti a molte persone: è detta. Si può semmai spiegare anche se serve a poco, di solito anzi peggiora. Che Micciché trovi negativo "per l'immagine della Sicilia" vedere scritto il nome di Falcone ogni volta che atterra a Palermo si può capire, mettendosi nei suoi panni. Che noia, questa lagna della mafia. Che freno allo sviluppo e al giulivo rincorrersi di innamorati sulle spiagge, al turismo e agli investimenti nelle cliniche private, per dire, ma anche a quel che Bill Gates potrebbe fare per l'isola portando centri di ricerca Sicilia e invece niente, vede la targa all'aeroporto e si spaventa. Così ecco la soluzione: cancellare i nomi di chi in quella guerra ci è morto.

Niente nomi niente guerra. Niente targhe niente mafia. Delete, come al computer. La memoria è labile, alimentiamola piuttosto di feste folkloristiche in costume, carretti dipinti e processioni di madonne. E' uno di quei pensieri si suppongono diffusi per quanto indicibili. Tocca smentirle ma sotto sotto chissà quanti la pensano così. Portiamo a Roma le mogli così i parlamentari non hanno bisogno di servirsi delle prostitute. Affondiamo i barconi degli immigrati prima che sbarchino. La mafia è inevitabile, bisogna imparare a conviverci. Una frase di queste: le dicono leader di partito e ministri ma poi ritrattano, correggono, ritirano l'irritirabile.

Tante scuse, baciamo le mani, niente di grave. Micciché, che deve la sua fortuna politica all'amicizia con Dell'Utri incontrato una sera a cena a Milano (erano insieme al Toulà, l'importante è farsi trovare al posto giusto dalla persona giusta) è passato indenne da altre tempeste. Figuriamoci se può dimettersi, come ora gli chiede l'opposizione, per due parole dal sen fuggite. Ha da fare, in questi giorni. Venerdì comincia il convegno "Giovane azzurro e siciliano: orgoglioso di esserlo": sarà sul palco. L'orgoglio isolano, questo bisogna alimentare. Le parole se le porta il vento.

Del resto in Sicilia, ha spiegato lui una volta, "bisogna interpretare parole e riti, andare al di là delle apparenze". Uno ti dice: andiamo a prendere un caffè? "L'unica cosa certa è che non ha davvero voglia di un caffè. Forse ha voglia di fare due passi, o di farsi vedere in piazza con te, o vuole ammirare il seno della commessa". Ecco, il seno della commessa, senz'altro quello.



(11 ottobre 2007)

da repubblica.it
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Utente non iscritto
« Risposta #1 inserito:: Ottobre 11, 2007, 04:35:38 pm »

Al processo talpe gli episodi chiave sulle rivelazioni di indagini in corso che hanno per protagonista Cuffaro

"Le soffiate del governatore"

Alessandra Ziniti


 Il presidente della Regione «ha fornito a Giuseppe Guttadauro e Michele Aiello notizie su indagini coperte da segreto istruttorio», «ha mentito», «ha provato a depistare le indagini». È il giorno di Salvatore Cuffaro nell´aula della terza sezione del tribunale di Palermo e il pm Maurizio de Lucia sintetizza così la posizione del governatore al termine di un dibattimento che - secondo la Procura - avrebbe provato ampiamente le condotte contestate. Lui, il governatore, non c´è in aula. Aveva fatto sapere che si sarebbe presentato ad ascoltare le conclusioni dei pm De Lucia e Prestipino (ieri affiancati in aula simbolicamente anche dal procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone), alla fine ha deciso diversamente.

La requisitoria affronta subito le fughe di notizie riservate veicolate da Cuffaro al boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro, da una parte, e all´imprenditore della sanità Michele Aiello dall´altra. Notizie delle quali Cuffaro sarebbe tempestivamente entrato in possesso grazie ad Antonio Borzacchelli, l´ex maresciallo poi diventato deputato regionale grazie ad una lista appositamente creata per lui da Cuffaro. Il pm De Lucia snocciola le fonti di prova per dimostrare che, nel giugno del 2001, fu proprio lui a svelare l´esistenza di microspie a casa del boss di Brancaccio: il medico Salvatore Aragona, amico di Cuffaro e amico di Guttadauro, innanzitutto, che ha raccontato di aver saputo il 12 giugno del 2001 da Mimmo Miceli quello che gli aveva detto il presidente e cioè che Guttadauro era intercettato. E sono proprio le intercettazioni dei successivi tre giorni fino al ritrovamento della microspia il 15 giugno a confermare in presa diretta le parole di Aragona fino a quel contestatissimo «ragione avìa Totò Cuffaro», tra le ultime parole registrate dalla cimice. Ma ci sono anche le ammissioni di Giorgio Riolo, le sue paure che quelle confidenze fatte a Borzacchelli fossero arrivate a Cuffaro e a Guttadauro. E, sull´altro versante, le dichiarazioni di un altro coimputato di Cuffaro, Michele Aiello, che ha ammesso di essere stato informato da Cuffaro due volte, prima il 20 ottobre attraverso Roberto Rotondo, poi il 31 ottobre in un colloquio diretto nel negozio Bertini di Bagheria, dell´iscrizione nel registro degli indagati dei marescialli Giorgio Riolo e Giuseppe Ciuro, pedine fondamentali della sua rete di informatori.

Tutte circostanze, ha sottolineato il pm De Lucia, che Cuffaro ha negato, «mentendo». «Cuffaro ha mentito sui suoi rapporti con il maresciallo Riolo (con cui aveva un rapporto stretto e al quale chiedeva continuamente notizie su eventuali indagini sul suo conto, ndr), sul momento in cui ha appreso le notizie sulle intercettazioni a casa Guttadauro, sul contenuto del suo colloquio con Aiello a Bagheria». «Fatti emblematici - hanno concluso i pm - in funzione dell´evidenziazione di quei rapporti tra appartenenti agli apparati investigativi, uomini politici e rappresentanti, anche di livello, di Cosa Nostra, che rendono oggettivamente più difficile il contrasto investigativo-giudiziario all´organizzazione mafiosa». 

(10 ottobre 2007)
da espresso.repubblica.it
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