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Autore Discussione: Funari  (Letto 5176 volte)
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« inserito:: Luglio 13, 2008, 12:11:05 pm »

13/7/2008 (8:24) - ANALISI

Il vero papà di Silvio
 
Funari con Antonio Di Pietro: la "società civile" nasce sullo schermo
 
L’Italia dell’antipolitica "Aboccaperta" in tivù

FABRIZIO RONDOLINO
ROMA


Se Berlusconi ha un padre, il suo nome è Gianfranco Funari. Nello scenario televisivo dei primi anni Ottanta, l’arrivo di Funari è paragonabile alla discesa in campo del Cavaliere nei primi Novanta. Per una curiosa coincidenza, dieci anni esatti separano i rispettivi esordi: l’ormai mitico annuncio della discesa in campo di Berlusconi («L’Italia è il Paese che amo...») è del 26 gennaio 1994, la prima puntata di Aboccaperta andò in onda su Raidue il 20 gennaio 1984. Naturalmente il primo non avrebbe mai immaginato l’avvento del secondo (che tra l’altro nel ‘91 lo cacciò dall’allora Fininvest), né il Cavaliere si sente in debito con chichessia, se non con se stesso. E tra i due - particolare non certo secondario - c’è stato il terremoto di Tangentopoli.

Ma anche questo non è soltanto un caso. Protagonista indiscussa del biennio ‘92-‘94 - il biennio che decapitò la politica italiana e portò alla sparizione di tutti i partiti di governo - non fu soltanto la magistratura, ma anche, e per certi aspetti soprattutto, la «società civile». Termine ambiguo e concetto scivoloso, quello di società civile, che tuttavia in Italia è venuto assumendo proprio in quegli anni un significato salvifico e catartico. Rovinata da una classe politica corrotta e inefficiente, l’Italia può salvarsi assegnando lo scettro del comando a chi con la politica non ha mai avuto a che fare: così si pensava allora. Il «nuovo» era considerato tale in quanto estraneo ai circuiti tradizionali dell’establishment politico-istituzionale e proprio questa estraneità perfino antropologica era la prova della sua intrinseca bontà.

Il primo a pensarla così - o a intuire che gli italiani l’avrebbero pensata così - è stato proprio Funari, che nei suoi programmi ha consegnato il microfono, e dunque il potere, al pubblico, al popolo, alla «ggente». La società civile nasce negli studi di Torti in faccia, il programma che Funari ideò e condusse su Telemontecarlo nell’80, e conquista il Paese quattro anni dopo, quando lo stesso programma, ribattezzato Aboccaperta, approda su Raidue. Il format, come si usa dire oggi, era di grande semplicità e grande efficacia: ogni settimana si incontravano, o per meglio dire si scontravano, due gruppi di gente comune schierati a favore o contro l’argomento della puntata. La chiacchiera da bar veniva elevata al rango di opinione e le carenze sintattiche ampiamente ricompensate dall’impronta popolare, dunque autentica.

Il colpo di genio di Funari fu, a un certo punto, quello di invitare i politici nei suoi programmi, saltando a piè pari le mediazioni tradizionali - il conduttore colto, i giornalisti preparati, il pubblico ammestrato - e consegnando l’ospite di turno ai sentimenti primordiali del pubblico più elementare. Il cortocircuito fu straordinario e, a suo modo, emblematico: dopo un’incertezza iniziale, i politici fecero a gara per farsi invitare (inaugurando così la serie infinita delle comparsate improprie che ancora oggi affligge i teleschermi), nella convinzione di guadagnare in popolarità. Accadde esattamente il contrario: perduta l’aura della distanza, il politico si ritrovò nudo e senza veli davanti alla telecamera, proprio come il re della favola: e il bambino-pubblico-società civile non ci pensò due volte a gridarlo ai quattro venti. L’antipolitica è nata così.

Non meno emblematica è la percezione di Funari e il giudizio che di lui si è dato nel corso del tempo. Proprio come accadrà dieci anni dopo con il Cavaliere, dapprima Funari venne bollato come volgare: la parlata romanesca, i tormentoni, i silenzi, le imprecazioni turbavano il galateo televisivo, dove l’etica è estetica, e suscitavano l’indignazione preoccupata di intellettuali e opinionisti. Funari era «troppo» e soprattutto era altrove: la sua televisione prima non esisteva, proprio come non esisteva la politica secondo Berlusconi prima che Berlusconi la inventasse. Poi, col tempo, il giudizio si è capovolto: e Funari nei suoi ultimi anni è diventato oggetto di stima e ammirazione condivisa.

da lastampa.it
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« Risposta #1 inserito:: Luglio 13, 2008, 12:11:50 pm »

13/7/2008
 
Il senza vergogna
 
GIANCARLO DOTTO

 
Funari Gianfranco, popolare conduttore televisivo», se la cava così, facile facile, la Garzantina. Quando hai tre righe e nemmeno duecento battute per liquidare una vita è inevitabile mancare l'essenziale. L'essenziale è che Funari Gianfranco era un grandissimo attore. E non parliamo del giullare che faceva sesso hard con le telecamere. Funari era, e ha capito di esserlo quando non si poneva nemmeno più il problema di esserlo, un grande attore nel senso più artaudiano del termine, della voce e del corpo.

L'abbiamo visto, impressionati, farneticare le ultime ore di Johnny Weismuller e di Re Lear (testi di Andrea Liberovici e Aldo Nove). Era già carne morente quella che nuotava e smaniava su marmi obitoriali o strizzando maniaco la criniera del suo cavallo a dondolo, struggente vecchio e ancora più crudele bambino, tossico, avido, infartato, in canottiera e mutande, a conciliarsi per sempre con la sua apocalisse in biancheria intima e anche un po' sudicia, con la scusa di Tarzan e del re pazzo, a raccontare senza dentiera la propria giungla e la propria follia, la propria morte. Lo svergognato abisso di cui vantarsi, conquistato e forse anche meritato, dopo anni di coltivata gogna televisiva

Era già la sua carne morente che si esponeva al mondo, non importa quanto mondo, con tutta l'oscenità del caso. Era già, prima ancora di finire in sala di rianimazione, il suo vecchio corpo che rantolava, sibilava, pescava ossigeno, questa volta davvero a bocca aperta, ingoiando mosche e sputando suoni. Attraverso il corpo di Funari Gianfranco, era il silenzio della giungla che si confondeva allo spasimo dei comatosi intubati, spartito che lui già «sapeva» nei minimi dettagli, il musicale respiro agonico delle giraffe a cui il buon Dio ha smesso di allungare il collo perché è venuto il momento di torcerlo.

Si divertiva, Funari Gianfranco, a raccontare quanto presagiva.

Irriconoscibile anche a se stesso, quando si riguardava. No, non gli serviva più nemmeno la dentiera per congelare la bella dizione, la scandita imprecazione, con la scusa di un Tarzan o di un Lear definitivamente demente..

Si preparava così, il signor Funari, grandissimo, mancato attore, a salutarci per sempre, a commuovere e a terrorizzare i vivi che restano, dopo aver commosso e terrorizzato se stesso. Si allenava per questo e non si risparmiava. «È tutto un sogno e dentro questo sogno ne combiniamo di tutti i colori». Funari ci stava da Dio nella pelle d'asino del suo corpo stremato. Fino in fondo.
 
 
da lastampa.it
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« Risposta #2 inserito:: Luglio 13, 2008, 04:37:32 pm »

Gianfranco e il Cavaliere

David Grieco


Da vivo, Gianfranco Funari non ha mai fatto niente per caso. E anche da morto, non si è smentito. Funari ha deciso di andarsene proprio adesso, all’età di 76 anni, mentre l’Italia è messa a ferro e fuoco dalle intercettazioni telefoniche su Berlusconi e Retequattro è ancora saldamente e abusivamente ancorata al pianeta Terra. Ho conosciuto Gianfranco Funari nel 94, all’alba del primo governo Berlusconi. Ho vissuto sei mesi della mia vita accanto a lui registrando le sue confidenze più riservate. Ho mandato avanti con lui un giornale, L’Indipendente, ho scritto un libro su di lui (Funari è Funari?, Bompiani 1995) che è stato sequestrato dalla magistratura appena uscito.

Sono finito insieme a lui in un processo contro Berlusconi e l’ho già visto morire sul colpo a Milano, d’infarto mediatico, sotto un caldo asfissiante, in una giornata come questa dell’estate del 1994. Ma andiamo con ordine. Nel febbraio del’94, uscì un mio romanzo per Bompiani intitolato Il comunista che mangiava i bambini. Nonostante le pressioni dell’ufficio stampa, non venni invitato a parlarne in nessun programma delle tv di Berlusconi. Sapevano che, nonostante il titolo, ero e restavo un comunista italiano convinto. L’unico ad invitarmi nella sua trasmissione, sorprendentemente, fu Gianfranco Funari. In una rubrica che tenevo sull’Unità, avevo scritto un corsivetto divertente su di lui. Funari ne aveva fatto una gigantografia che teneva appesa a una parete in camerino. Mi accolse in mutande e bretelle e mi disse: «Aoh?! Tu scrivi come un fio de ’na mignotta. Lo scriveresti un libro su di me?». Il complimento, tra romani, era inequivocabile. E io, ovviamente, accettai. Gianfanco mi raccontò per filo e per segno tutta la sua vita. La fuga da Trastevere dov’era nato, in Via Orti d’Alibert, gli undici anni trascorsi in Asia (Bangkok, Hong Kong, Singapore) dirigendo casinò ambulanti, i mediocri esordi d’attore, la scoperta della televisione, e l’orrore per la politica presa in flagrante e osservata, come mai nessuno prima di lui, dal buco della serratura. Per la televisione, Funari aveva un talento innato. Aveva capito tutto anni luce prima degli altri. Quando conduceva il suo primo programma, Torti in faccia, sulla sfigatissima Tele Montecarlo, si era fatto mettere in studio sei televisori puntati sui sei canali principali della RAI e di Berlusconi. Ogni volta che su uno di quei canali partivano i titoli di coda di un programma, lui scatenava la rissa. Andava dritto da uno dei suoi ospiti e gli diceva a bruciapelo: «Cara signora, si è accorta che quel signore lì, davanti a lei, ha insinuato che lei è una scostumata?!» La signora si risentiva all’istante e scoppiava il casino. A casa, quelli che stavano facendo zapping («ci sono sempre milioni di spettatori in transito!», così li chiamava lui) venivano irresistibilmente attratti da quel putiferio. George Carlin, un grande personaggio televisivo e opinion maker americano morto tre settimane fa, gli offrì di emigrare negli USA per fare coppia con lui. Ma lui rifiutò. Si erano aperte le porte delle televisioni importanti. Prima Raidue poi Retequattro se lo litigarono, e quindi se ne liberarono. Quando scoppiò Tangentopoli, Funari appoggiava apertamente Mani Pulite («Forza Di Pietro!», gridava tutti i giorni) e invitava Craxi, con l’acquolina in bocca, a misurarsi con lui. Naturalmente, fu cacciato via. Ma Funari, a quei tempi, era un leone. Si inventò «la televisione che non c’è» registrando su videocassetta le puntate del suo programma, con tanto di pubblicità all’interno, per regalarle a tutte le piccole televisioni locali d’Italia con la consegna di mandarle in onda in differita di pochi minuti l’una dall’altra. In questo modo, aggirò anche lui la legge Mammì e creò dal nulla una televisione nazionale che non esisteva, guadagnando cifre irripetibili. Berlusconi, che ha sempre avuto più fiuto per gli affari che per la politica, decise di riprenderselo. Ma Funari era indomabile. Tutte le mattine che il Cavaliere lo chiamava per dirgli quali politici invitare e quali domande non fargli, Funari se ne inventava una. Un giorno invitò Carlo Vizzini, allora ministro delle Poste. Berlusconi gli chiese di trattarlo con i guanti perché di lì a poco avrebbe dovuto firmargli il rinnovo delle concessioni televisive. Funari lo accolse con una velina scosciata che recava su un cuscino di velluto una penna stilografica d’oro. Vizzini impallidì e chiese: «Cos’è, questa?». «Ho deciso di farle un modesto omaggio perché so che lei presto dovrà firmare il rinnovo delle concessioni a Berlusconi. O sbaglio?». Vizzini non svenne per puro miracolo. Berlusconi andò su tutte le furie. Ma non lo cacciò. Giorno dopo giorno, Gianfranco Funari mi raccontò tutto quello che sapeva dei nuovi politici italiani venuti su con l’onda limacciosa di Berlusconi. Io registrai parola per parola. Parole spesso irripetibili. Parole non sempre verificabili. Perché Funari era cocainomane. Non me ne parlava mai, ma non chiudeva occhio e spesso spariva in bagno. Fui io a parlargliene quando mi fu chiaro che la sua rabbia verso Berlusconi era sul punto di esplodere pubblicamente. Gli dissi: «Anche tu sei attaccabile, Gianfranco. Come ti comporterai se Berlusconi ti accuserà di essere un cocainomane?». Lui mi rispose di getto, senza scomporsi: «Gli dirò: Cavaliere, si ricorda di tutto quello che abbiamo fatto insieme?» Io rimasi di sasso; e con me il suo regista, Ermanno Corbella, che era con noi quella notte in un albergo milanese. Nel giugno del’94, a Funari venne offerto di dirigere un giornale agonizzante, L’Indipendente. Lui disse: «Che famo, lo piamo?». Io risposi: «L’hanno offerto a te, io che c’entro?». «Il giornalista sei tu», sentenziò. E fu così che facemmo la nostra prima riunione di redazione insieme al direttore che trovammo, un bravo collega che si chiama Luigi Bacialli. Funari fece un giornale assurdo, un giornale terra terra come non se ne erano mai visti, e ottenne un successo crescente. Dopo poche settimane, una giovane redattrice smascherò una delle tante bugie quotidiane di Berlusconi a cui non eravamo ancora abituati. Funari sfidò prontamente il Cavaliere a ristabilire la verità in un programma televisivo. Berlusconi non accettò mai la sfida. Ma tre giorni dopo, Funari era stranamente chiuso a chiave nel suo ufficio. La segretaria mi disse che stava parlando con Berlusconi. Quando uscì, aveva bastone e cappello. Salutò per sempre tutta la redazione. Una volta scesi in garage, mi raccontò come era andata: «Berlusconi m’ha detto: piantala di rompere coglioni, sono il presidente del Consiglio, non te lo dimenticare». Il Gianfranco Funari impavido che tutti conoscevano morì quel giorno. Non attaccò più nessuno e continuò a fare le sue leggendarie telepromozioni col pollice infilato nei barattoli di conserva («Aoh! Questa è proprio come lo faceva mi madre!») fino alla scadenza del suo contratto con Retequattro.

Intanto, io buttai giù il mio libro Funari è Funari?. Quando gli sottoposi le bozze, voleva tagliare tutto. Dopo lunghe battaglie, sono riuscito a limitare i danni. Ma buona parte delle cose tagliate le feci pubblicare dal magazine Sette del Corriere della Sera sotto forma di anticipazioni. Si scatenò la fine del mondo. Mi cercarono tutti i giornali. Ma mi cercò soprattutto la magistratura, che voleva le registrazioni dei colloqui con Funari per metterle agli atti nel processo sull’acquisizione fortemente sospetta delle frequenze di Telepiù da parte di Berlusconi. Io risposi loro che avevo consegnato i nastri alla casa editrice, proprio perché non me la sentivo di custodirli io. La casa editrice negò fermamente. Il magistrato mi chiese solenne: «Lei è proprio sicuro che mi sta dicendo la verità?». Io dissi sì senza esitare. Un attimo dopo, il magistrato mandò i carabinieri in via Mecenate a Milano e fece sequestrare il palazzo della Rizzoli con tutti gli impiegati che si trovavano dentro. A tarda sera, i nastri delle registrazioni vennero fuori come per magia. E subito dopo, il volume Funari è Funari? sparì dalle librerie.

Pubblicato il: 13.07.08
Modificato il: 13.07.08 alle ore 7.57   
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« Risposta #3 inserito:: Luglio 15, 2008, 10:30:46 am »

Oggi i funerali a MILANO

Il sito del Grande oriente: «Funari era un massone»

Spunta un necrologio in cui il presentatore veniva omaggiato, per due volte, con il termine «Maestro»


MILANO — Gianfranco Funari un massone? Sì, e pure un pezzo grosso. Almeno stando allo scoop apparso ieri su www.affaritaliani.it. Il sito, ripreso anche da Dagospia, rimanda ad un altro sito, quello del Grande Oriente Italiano Federale Regolare, in cui il popolare conduttore televisivo scomparso sabato a Milano viene descritto come «Deputy Grand Master Federal», ovvero vice gran maestro federale, e Presidente del Masonic High Council Italy Regular.

A conferma della rivelazione, affaritaliani cita un necrologio comparso l'altro ieri sul quotidiano La Repubblica a firma di Bruno Mameli in cui Funari veniva omaggiato, per due volte, con il termine «Maestro». «Bruno Mameli — si legge nel necrologio —, partecipe, commosso e riconoscente al Maestro Gianfranco Funari... Così come a Corrado... Entrambi grandi Maestri ed innovatori del linguaggio e della moderna comunicazione...».

Spiega affaritaliani: il termine «maestro» all'interno del necrologio sembra essere inteso nella sua accezioni massonica, quella di capo di una loggia. «A questo punto — conclude il sito — sorge spontanea la domanda: è ammissibile il funerale in chiesa di un massone?». La cerimonia funebre del «giornalaio più famoso d'Italia», morto all'età di 76 anni, si svolgerà oggi alle 14.45 nella chiesa di San Marco a Milano. «Durante la funzione leggerò la parabola "I Talenti" — dice il parlamentare del Pdl Giorgio Jannone, amico del conduttore —. È un modo per ricordare quanto Gianfranco abbia combattuto perché i giovani potessero avere la possibilità di esprimere il loro talento ma anche per omaggiare il suo di talento, purtroppo ripetutamente ostacolato».


15 luglio 2008

da corriere.it
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« Risposta #4 inserito:: Luglio 15, 2008, 10:16:15 pm »

Sigla massonica

«Funari non era un massone»

Il Grande Oriente Italiano smentisce le indiscrezioni: «Un caso di omonimia»

 

Gianfranco Funari non c'entra nulla con la massoneria e il Gran maestro aggiunto del Grande Oriente Italiano Federale Regolare è solo un omonimo del popolare conduttore televisivo scomparso sabato scorso e del quale si celebrano i funerali a Milano. A precisarlo è il Gran maestro del Goif-R, Pasquale Cerofolini, dopo le indiscrezioni diffuse nelle ultime ore sulla presunta appartenenza di Funari alla sigla massonica.

«Pur esprimendo le più sentite condoglianze alla famiglia di questo artista che ha reso grande l'Italia - sottolinea Cerofolini - voglio precisare che il Gianfranco Funari Gran maestro aggiunto del Goif-R è tutt'altra persona, è nato negli anni Cinquanta a Cosenza e dunque è un caso di omonimia rispetto al conduttore tv. E per quanto è di mia conoscenza, il Funari scomparso qualche giorno fa è estraneo all'istituzione massonica».


15 luglio 2008

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