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Autore Discussione: WALTER VELTRONI ...  (Letto 102046 volte)
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« Risposta #75 inserito:: Ottobre 22, 2007, 06:24:54 pm »

22/10/2007 - LA LEGGE ELETTORALE
 
Walter, di' qualcosa di tedesco
 
ANTONIO POLITO

 
Caro direttore, il governo è assediato, la maggioranza è esausta, stiamo per buttare un'altra legislatura.

È uno spettacolo melanconico. Soprattutto per chi, come me, si era illuso di poter partecipare a una stagione di riforme e si trova invece impantanato in un Senato dove l'unica cosa che conta è la conta dei sette puttani, come Achille Lauro definì tanti anni fa i transfughi che lo tradirono a pagamento. La tattica militare suggerisce che l'unico modo di mettere fine a un assedio è spezzarlo, tentare una sortita. Ma nessuno la prepara, tutti sembrano rassegnati ad aspettare la fine. E sì che i riformisti del centrosinistra ora avrebbero la forza di rischiare. Si sono fatti un partito. Si sono scelti un leader popolare e credibile. Si sono ribellati alla catalessi del governo. Ma adesso devono provare a dare un senso alla legislatura, perché lasciarla morire senza aver piantato neanche un seme è un suicidio: un partito delle riforme non nasce dalle ceneri di un fallimento riformista.

C'è un'unica riforma possibile, nei fatidici otto mesi di cui parla Veltroni: quella elettorale. La tentazione di tornare subito a votare con questa legge o consimili è un'idea auto-consolatoria che sconfina nella disperazione. Il Pd perderebbe. E alle sirene del centrodestra che gli sussurrano che tanto perderebbe di poco, perché il Senato rimarrebbe più o meno diviso a metà, Veltroni non dovrebbe dare ascolto. Un nuovo Parlamento altrettanto ingovernabile non è il prezzo giusto per ottenere la leadership dell'opposizione. Veltroni non può diventare l'ennesimo leader riformista che si mette in pista per aspettare il prossimo giro.

Una sola riforma elettorale è possibile. Una sola ha, almeno potenzialmente, i numeri in Parlamento. Molte altre sarebbero bellissime: francese, spagnola, inglese. Ma nessuno di questi sistemi ha una qualsivoglia speranza di passare nella giungla del Parlamento italiano. Se Veltroni ha sperato in un accordo con Berlusconi, magari per il tramite dell'amico referendario Fini, credo che debba rinunciarci. Il Cavaliere pensa ad altro, al terzo ritorno dell'uguale a Palazzo Chigi: non muoverà un dito. D'altra parte qualsiasi sistema basato sul premio di maggioranza, che non a caso esiste solo in Italia, renderebbe impraticabile la veltroniana vocazione maggioritaria perché gli impedirebbe di andare da solo alle elezioni e di presentare agli elettori il nuovo volto del Pd.

Non resta che il tedesco, con sbarramento e senza premio di maggioranza. Ha il grande vantaggio di poter contare sul sì di Rifondazione, della Sinistra Democratica, dell'Udc di Casini; e forse anche della Lega, se accompagnato da una benemerita trasformazione del Senato in Camera delle Regioni. È l'unica possibilità di sortita vincente nel campo avversario. Perché non provarci? È un sistema che assicura la governabilità e consente a tutti di scegliere le alleanze sulla base dei programmi, invece di fare i programmi per mettere in piedi le alleanze; che è poi, come Veltroni ha notato, la tara genetica di questo governo. Il sistema tedesco è l'habitat naturale per un partito veramente nuovo, con le mani libere. E non si dica che seppellisce il bipolarismo: in Germania la Spd ha governato nella sua lunga storia con la destra liberaldemocratica, con la sinistra verde, con il centro dc, e il bipolarismo è vivo e vegeto.

Lo so: il paese avrebbe bisogno di ben altre riforme, dei sistemi elettorali non importa niente agli italiani, sono questioni da tecnici. E però non c'è riforma possibile se non si mette fine all'impazzimento di un sistema politico in cui un governo può andare in crisi persino mentre l'economia tira, la Finanziaria è senza tasse, e ritorna l'avanzo primario nei conti pubblici. Un sistema in cui è di norma lo shopping parlamentare come ai tempi di Depretis, e ogni pulce ha la tosse, e il capo dell'opposizione e quello del governo passano il tempo a fare il pedicure a ogni senatore imbronciato. Lo so: Veltroni teme che la proposta del sistema tedesco possa dividere l'appena nato Partito democratico; ma la divisione, se frutto di una battaglia politica, non ha fatto male né a lui né al Pd nelle primarie. Avrebbe contro Bindi e Parisi, il 14% del partito. E allora?

La verità è che oltre il tedesco c'è il nulla, c'è l'agonia magari fino a primavera, lo scioglimento delle Camere, la ripulsa dell'appello del Capo dello Stato a cambiare legge prima di tornare a votare. Non è questione di gusti, non si tratta di scegliere tra Sartori e Ceccanti: respingere l'unica riforma elettorale possibile vuol dire semplicemente non fare alcuna riforma, acconciarsi a un altro giro di giostra, a un altro Senato ingovernabile, a un'altra maggioranza rissosa, anche se stavolta di centrodestra. Vuol dire fare «la politica col cappuccio», e trasformare le elezioni in «un rito privo di utilità», come ha scritto ieri Andrea Romano su questo giornale. Il coraggio delle riforme, tanto per riprendere il titolo di un manifesto che a Veltroni era piaciuto, oggi passa per il coraggio di fare la riforma elettorale. L'unica possibile, l'unica che libera forze dalla morsa berlusconiana, l'unica che mette fine alla lunga transizione per chiudere la quale il Pd è nato.

*Senatore della Margherita
 
da lastampa.it
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« Risposta #76 inserito:: Ottobre 23, 2007, 11:45:35 pm »

22 ottobre 2007

La società è rock, la politica si adegui e cambi tutto

Intervista a Walter Veltroni in "Sotto i venti", inserto del Riformista

Pubblichiamo l'intervista a Walter Veltroni pubblicata in "Sotto i venti", inserto del Riformista a cura della redazione di Zainet.


La nuova stagione. Questo l’ambizioso motto con il quale il Partito democratico si presenta agli elettori fin dai suoi primi vagiti. Il neonato partito si prefigge come assoluta priorità il compito di innovare e rinnovare. Riformare, per “scrollare la vecchiaia” dalle spalle di un’Italia zavorrata, che deve riguadagnare terreno rispetto agli altri paesi europei, alcuni dei quali l’hanno già distaccata di molte lunghezze, mentre altri ancora la seminano con passo sempre più spedito. L’entusiasmo di Veltroni è contagioso, lo dimostrano in modo evidente i 3,4 milini di elettori accorsi alle urne per le elezioni primarie del 14 ottobre. Il neosegretario è stato nominato con una legittimazione "dal basso" sentita e partecipata oltre ogni aspettativa, nonostante l'annullamento del 10% delle schede elettorali e le polemiche sollevate dla celebre programma satirico Striscia La notizia circa l'assenza di controlli ai seggi e la possibilità di votare ripetutamente senza nessun impedimento.

Veltroni parla programmaticamente della serenità che manca nel nostro paese, della degenerazione della politica della polis in politica da salotto televisivo, parla di una gioventù piena di proposte che mette paura e viene arginata e chetata con tutti i mezzi, parla di problemi concreti e di possibilità di soluzione. Noi lo abbiamo intervistato subito priam del voto, in occasione di un incontro con i giovani, quei giovani dai quali promette di voler partire per dare nuova linfa alla politica in crisi.
Da noi ragazzi dice di trarre ogni volta "la conferma di quello che so conoscendovi, cioè che avete una gran voglia di fare qualcosa per questo paese, che fa arrabbiare la politica che non trova le parole giuste per entrare in comunicazione con questo fortissimo desiderio che voi avete di fare qualcosa per questo paese.
Gli abbiamo chiesto il perchè del grande divario esistente tra la politica dei giovani, ferivda e attiva, e la politica dei palazzi, che è paludosa e immobile da troppo tempo: "Ci sono tante persone che a Montecitorio lavorano, si impegnano, hanno grandi competenze, hanno voglia di fare, e ce ne sono altre invece che non hanno la stessa voglia. Quello che in questo momento è avvertito da tutti come insopportabile è l’incapacità di decidere. Il sistema istituzionale e politico di questo paese non è in grado di decidere nulla e ciò accresce nei cittadini la sensazione che tutto sia autoreferenziale, che manchi la voglia di fare quelle innovazioni – ridurre il numero dei parlamentari, avere una sola camera - sulle quali tutti dicono di essere d’accordo. Io penso che il Pd dovrà servire a scrollare questa situazione».
Sull'eventualità di un confronto politico futuro ra lui e Beppe Grillo, e in generale sul fenomeno mediatico del "grillismo", commenta: "Il problema è che bisogna trovare delle soluzioni positive. Non basta dire di volta in volta ciò che non va. E aggiungo, bisogna farlo a riparo dal grande circo della comunicazione, in questo il Presidente Napolitano ha perfettamente ragione, recuperando una cosa che la politica ha perso, cioè la capacità di condividere i problemi reali della gente. Perché un urlo è un urlo, la soluzione di un problema reale è un’altra cosa. Dire quello che non va è una cosa che è giusto fare, trovare la soluzione è più complicato. Perchè si urla ma si dice ‘No alla Tav’, invece questo paese ne ha bisogno, come necessita di tante altre cose importanti, qualificanti, innovatrici".

Abbiamo parlato con Veltroni anche della discussa questione del voto allargato ai sedicenni e gli abbiamo chiesto quale sarà l'incidenza reale della componente dei giovanissimi all'interno del Partito Democratico.
Ci dice: «dal punto di vista dei diritti avranno quelli di tutti, cioè potranno votare ed essere eletti. Spero inoltre che i sedicenni votino anche alle elezioni amministrative. Mi ricordo la discussione che ci fu quando si passò dal voto a ventuno anni a quello a diciotto, sembrava che crollasse il mondo. Adesso c'è una grandissima responsabilizzazione, che noi dobbimo incoraggiare, sapere di poter partecipare alla vita pubblica aiuta a sedici anni aiuta i ragazzi a responsabilizzarsi. È anche una sfida, è uno stimolo positivo, fa parte di quell'idea che ho di fidarsi dei giovani. Questo paese è vecchio, ma ha tutte le condizioni di talento, di capacità, di intelligenza, di forza, di bellezza per poter essere almeno come la Spagna. Un tempo la Spagna era molto dietro di noi, adesso è molto avanti; dobbiamo raggiungerla rapidamente, soprattutto in fatto di energia, di determinazione, di capacità di innovazione, di linguaggio, di parole, di strumenti, di modo di decidere. Ma è possibile che noi ancora ci mettiamo anni per approvare una legge, quando magari ciò che approviamo è già cambiato da quando abbiamo deciso di fare la legge? La società è veloce, la politica è lenta. Non voglio fare Celentano dicendo “rock” e “lento”, ma è così, più o meno».
Suonano in sottofondo le critiche allarmate di chi parla di demagogia, di qualunquismo, di buonismo, che senza dubbio invitano a riflettere e a ponderare le proprie scelte con attenzione. Ma se fosse proprio di buone idee, di vie di mezzo ragionate tra il categorico bianco o nero di ideali ormai logori quello di cui l’Italia ha bisogno ora? Su Veltroni grava la responsabilità di un fortissimo investimento di fiducia. E l'augurio per lui e l'Italia è che sappia gestirne il carico nel migliore dei modi.

Francesca Giuliani

da veltroniperlitalia.it
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« Risposta #77 inserito:: Ottobre 26, 2007, 04:16:23 pm »

PORTE GIREVOLI

Il dilemma di Walter
di Edmondo Berselli


Senza la sinistra oltranzista non si vince. Con quella non si governa. Veltroni ne uscirà solo dando una identità forte al partito  Walter VeltroniC'è la vittoria e c'è il problema. La vittoria è stata soprattutto la partecipazione alle primarie del Pd, piuttosto clamorosa se si pensa che ancora una volta il risultato era già scritto. Il problema viene domani, ma comincia adesso, subito. Perché la nascita del Partito democratico, suffragata dai quasi tre milioni e mezzo di votanti, è tutt'altro che un risultato burocratico. Incide sulla composizione del centrosinistra. Si mette in parallelo al governo Prodi, avviando una specie di surplace da pistard, il cui svolgimento è tutto da verificare. Ma siccome con le primarie si è avuta la conferma che dalla crisi della politica si esce soltanto con la politica, cioè con un processo istituzionale fatto di procedure formalizzate, dovrebbe anche essere chiaro che adesso la politica, in una parola Veltroni, dovrebbe cominciare a ragionare sull'evoluzione possibile del centrosinistra.

L'assemblea generale di fine ottobre con i 2.400 delegati eletti sarà una specie di grande e festosa cerimonia. È difficile aspettarsi grandi novità. Tuttavia di qui in avanti il neo segretario del Pd dovrà applicarsi fondamentalmente a una sola questione. Banale e difficile insieme. Ossia come vincere le prossime elezioni. Un'impresa eroica, se si guarda ai livelli di consenso del governo Prodi. Ma anche un'impresa che Veltroni può tentare, dal momento che fra tutti i leader del centrosinistra è il più capace di sollevare ondate di emozione politica e di scalfire certe barriere di cruda ostilità che segnano il bipolarismo italiano.

Tuttavia il Veltroni 'uno e trino', sindaco, segretario e leader del centrosinistra, si trova davanti a un dilemma corposo. In questo momento, l'Unione sembra una montagna della Pusteria, imponente e fragile, a rischio di frattura e frana. Il 'piccolo principe' (secondo la definizione del libro che gli hanno dedicato Marco Damilano, Mariagrazia Gerina e Fabio Martini) ha già dichiarato durante la campagna per le primarie che per poter governare occorrono alleanze coerenti, e non assembramenti larghi e tumultuosi.


Ciò significa che Veltroni ha ben chiaro che nella prossima stagione il Pd può trovarsi nella condizione di dover ridefinire il perimetro del centrosinistra, facendo i conti con tutta l'area della sinistra radicale. Ma è anche evidente che qualsiasi pronunciamento pubblico sulla fine dell'Unione così come la conosciamo significherebbe lo smottamento della maggioranza attuale e di conseguenza lo schianto del governo.

Il dilemma del neo leader è quindi davvero 'bicornuto' come un sofisma fallace. Ogni soluzione implica potenzialmente il fallimento dello schema: senza la sinistra oltranzista infatti il centrosinistra non vince; insieme con quella sinistra non governa. E allora? Veltroni ha ripetuto in ogni occasione, ben prima del discorso di investitura al Lingotto, che il Pd dovrà essere un partito "a vocazione maggioritaria". Il che significa che deve andare a prendersi i voti nella società, convincendo l'opinione pubblica, anche uscendo dal cerchio rigido dei partiti e degli schieramenti.

Sotto molti aspetti per Veltroni si prospetta un'operazione 'blairiana' basata su tre pilastri: partito nuovo, leadership e programma. È su quest'ultimo punto cardine che si gioca la sua credibilità come possibile vincitore. Vale a dire: il segretario del Pd vince la sfida (o almeno la affronta in condizioni praticabili) se prende le mosse dall'impianto programmatico del partito, non dalla tessitura di alleanze e mediazioni con tutta la variegata galassia del centrosinistra.

Il sentiero è stretto, e la sua azione sarà fortemente influenzata dal tipo di regole elettorali con cui si svolgerà, quando si svolgerà, la competizione. Ma perdere tempo con un appello fondato sull'umanitarismo, la solidarietà, la genericità sarebbe, per l'appunto, uno spreco. Il Partito democratico ha bisogno di un'anima: tradotto in termini meno sentimentali ciò significa che occorre rendersi conto che è solo una parte della sinistra. E proprio in quanto tale può permettersi di specificare che cosa è e che cosa vuole, vale a dire quale identità politica intende assumere e quale profilo di società e di governo ha in mente.

Le mediazioni possono aspettare. I volonterosi votanti delle primarie hanno detto che si aspettano un leader e un partito. E allora tocca al leader di questo partito parlare nel modo più chiaro possibile. Non per guadagnare il consenso preventivo dei partiti alleati, ma la credibilità necessaria per proporsi come guida di un progetto di modernizzazione del paese: qualche volta, e non è un paradosso, la ragionevolezza e la capacità strategica hanno bisogno di una dose di radicalità.

(25 ottobre 2007)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #78 inserito:: Ottobre 28, 2007, 05:25:52 pm »

Politica   

Walter veltroni

Un segretario che (già) decide

Gelo col premier sull'addio alle tessere


MILANO — Romano Prodi ripete più volte che è lui il presidente del Partito democratico e con un atteggiamento paternalistico si rivolge a Walter Veltroni raccomandandogli di «aver cura » di quel Pd che è il «punto d'orgoglio della mia vita politica ». Ma il sindaco di Roma che sale sul palco della Fiera Nuova non è più l'uomo a cui Massimo D'Alema consegnò la guida della Quercia con un buffetto. E lo dimostra subito.

Romano Prodi parla di un partito degli iscritti. Veltroni, invece, parla di un partito «di cittadini elettori», perché, dice, «l'iscrizione non potrà più essere una condizione per partecipare ». Meglio il metodo delle «primarie aperte». Insomma il segretario del Pd mostra interesse per la proposta lanciata da Giuliano Ferrara, che propriamente un amico di Prodi non è. La differenza non sfugge a nessuno, in sala. Dice Enrico Morando: «Prodi ha parlato di tessere, Veltroni non ha escluso che possano non esserci ». Il presidente del Consiglio parla di un partito che sia «strumento del governo». Veltroni fa capire che il Pd sosterrà l'esecutivo, ma parla già del suo futuro programma di governo. Come osserva il senatore Antonio Polito: «Ha parlato già del dopo governo ». Del resto, un buon amico del segretario del Pd, il senatore Giorgio Tonini, spiega: «Vi ricordate quando Prodi disse che doveva esserci uno speaker per il partito? Non poteva essere e infatti abbiamo un segretario. Solo con un segretario, se il governo cade non si abbatte sul Partito Democratico distruggendolo». Giù in platea si chiosano le frasi del nuovo leader, sopra sul palco, Veltroni tesse le lodi del governatore della Banca d'Italia Mario Draghi che spesse volte ha criticato il governo. Giù in platea c'è gran fermento per le affermazioni di Montezemolo sul governo, Veltroni evita dichiarazioni ufficiali (solo qualche commento con Prodi per dimostrargli solidarietà), e dal palco scandisce: «Il Partito democratico è a fianco delle imprese che sono il motore della crescita del Paese e sono uno dei fondamentali fattori della sua salute». Commenta Polito: «Il premier denuncia il complottone dei poteri forti, e così assomiglia tanto a Berlusconi, Walter no, anche perché l'uscita di Montezemolo può favorire l'accelerazione del dopo. Del resto, diciamoci la verità, il problema è questo: c'è un leader dell'oggi, Prodi, che tenta di resistere, ma c'è già anche il leader del futuro, Veltroni, e questo può essere un problema».

Dietro il palco, all'ora del buffet, Prodi non dice no al sistema tedesco proposto da D'Alema, che pure in cuor suo non gli piace: «È un'ipotesi». Lo staff veltroniano fa sapere che, al contrario di quanto sostengono alcuni parlamentari giù in sala, «il segretario non ha affatto aperto al sistema tedesco». E ancora: sostegno al governo, certo, ma Veltroni fa capire a Berlusconi di non aver paura di andare alle elezioni prima del tempo. Anzi, anticipa anche quale sarà la sua campagna elettorale: il nuovo contro il "vecchio", contro quel Cavaliere che si è candidato a premier «per quattro volte e ora vuole farlo una quinta». Insomma è un Veltroni molto meno malleabile e arrendevole quello della nuova Fiera di Milano. Un Veltroni che non si fa consegnare dalle mani di Prodi il Pd ma che lo prende in mano e ne decide la linea. «Del resto — spiega Tonini — è ovvio che è il segretario che decide». E decide sul serio (detta un decalogo, stabilisce i nomi dei segretari provinciali) tanto che i prodiani si arrabbiano e rischiano di diventare già minoranza in quel partito di cui Prodi è il presidente. Di come sia questo Veltroni nuova versione, che rivendica la «democrazia che decide», se ne rendono conto però non solo i seguaci del premier. Lo capiscono anche gli ex ppi, quando dal palco il segretario dice: «Non è vero, come ha scritto qualcuno, che ci sono state riunioni di correnti. Nel Partito democratico non ci sono correnti ». Naturalmente quegli incontri ci sono stati, ma Veltroni parla ai giornalisti perché gli ex ppi intendano. E intendono talmente bene che il ministro dell'Istruzione Beppe Fioroni non appare affatto contento ed è pronto a dare battaglia dentro il partito. Ma Veltroni vuole andare avanti, nella «discontinuità», come ripete lui. Con un esecutivo dove gli ex leader non prenderanno posto, mentre a loro sarà riservata una poltrona nell'ufficio politico: facce nuove, dunque. E anche quel Bersani che vorrebbe un partito «solido» con le tessere si è reso conto che Veltroni è un osso duro: doveva entrare nella commissione Statuto. Ma Veltroni pensa sia meglio che i ministri non facciano parte di questi organismi e Bersani resta fuori.

Maria Teresa Meli
28 ottobre 2007

da corriere.it
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« Risposta #79 inserito:: Novembre 08, 2007, 07:40:56 am »

Veltroni: «Capire e sorridere, uno stile unico»

Roberto Roscani


«C’era con Enzo Biagi da parte mia un legame profondo e affettuoso». Walter Veltroni ha accolto la notizia della scomparsa del grande giornalista con dolore. Reso più acuto da una lunga conoscenza personale e da una vicinanza particolare. «Enzo era stato alla Rai nell’epoca eroica della fondazione, come mio padre. Aveva portato nel servizio pubblico la sua impronta, il suo stile inconfondibile». Ecco, lo stile Biagi. Come lo racconterebbe? «Qualcuno parla di un giornalismo di stampo anglosassone per Biagi. Io direi che c’era anche qualcosa di più. Lui riusciva a conciliare i propri convincimenti (e a dichiararli apertamente) con la capacità di raccontare tutte le posizioni. Insomma oggettività del racconto e soggettività del narratore tenute insieme in maniera personalissima». C’era poi il suo tono così particolare... «Non ha mai alzato la voce, che fosse in tv o che scrivesse sui giornali sentivi sempre quel tono. Ecco, c’è qualcosa di straordinario in un uomo così fermo sulle sue posizioni, sempre pronto di dire di no davanti alle sollecitazioni del potere o alle censure ma al tempo stesso capace di farlo senza urla, senza insulti. Con argomenti e con ironia. Era il suo modo di pungere e di far capire. Il suo pubblico lo sapeva e amava proprio questo. Il successo straordinario che ha avuto, in tv come sui giornali, ma anche coi suoi tantissimi libri dimostrava questa empatia, questa capacità di parlare la stessa lingua della gente comune, di condividerne i sentimenti e anche questa antipatia per la volgarità, per il grido, per l’eccesso». Ha ricordato le censure. Come ha vissuto Biagi questi anni dopo l’editto bulgaro che lo ha allontanato dalla tv? «Ne ha sofferto molto. Anche l’ultima volta che ci siamo sentiti mi ha parlato dell’amarezza per la discriminazione subita. Nella sua vita professionale non si è mai piegato, non era uomo di compromessi. Ma una cosa sono le scelte che si compiono, altra le censure. Lo feriva il distacco dai suoi spettatori, dall’Italia che aspettava i suoi 10 minuti di tv (Il Fatto durava pochissimo) per capire la realtà. Capirla anche con un sorriso». Come lo ricorderebbe ad un giovane questo «vecchio» giornalista che ha attraversato tutta la storia del secondo novecento dalla resistenza al nuovo millennio? «Ricordo una frase di Biagi pronunciata in occasione della morte di Enrico Berlinguer e pubblicata proprio sulle pagine dell’Unità. Diceva: chiunque lo ascolti può essere d’accordo con lui oppure no, ma sa per certo che sta dicendo quello che pensa. Ecco, quelle stesse parole io le direi oggi per Enzo Biagi».

Pubblicato il: 07.11.07
Modificato il: 07.11.07 alle ore 10.35   
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« Risposta #80 inserito:: Novembre 08, 2007, 10:26:30 pm »

Dal Corriere del Ticino del 8.11.2007

Pure Veltroni è diventato blocheriano?

Giancarlo Dillena

Anche l’Italia è affetta da una «sindrome Blocher», che arriva
addirittura a contagiare non solo il governo, ma addirittura il leader
designato della neo-costituita maggior formazione della sinistra W
Veltroni? Se fosse la «boutade» provocatoria di qualche esponente
dell’ala massimalista della maggioranza, la cosa finirebbe lì. Ma se a
usare questa espressione è una personalità moderata e autorevole come
Sergio Romano (cfr. Corriere della Sera del 2.11), il fatto dà da pensare.
Non tanto per la reiterazione di uno stereotipo – quello della
«Svizzera xenofoba» – che all’estero trova sempre facili acquirenti,
quanto per l’applicazione di questo cliché al tema generale della
criminalità violenta legata all’immigrazione. Esso costituisce un
problema reale, con cui occorre confrontarsi e che chiede risposte
concrete e convincenti. Altrimenti si corre il rischio non solo di
assistere al ripetersi di tragedie come quella di Roma, ma anche al
diffondersi e rafforzarsi di quelle reazioni primarie di tipo xenofobo
che si vorrebbero scongiurare.

Poiché il meccanismo è proprio questo. E il paradosso è che esso è
largamente alimentato proprio da quanti, di fronte ad ogni atto
criminale che ha per protagonisti degli immigrati, spostano
immediatamente il problema da quest’ultimo al pericolo xenofobo. Quasi
che la priorità non fosse impedire abusi e crimini, assicurando
concretamente il rispetto delle legalità e della sicurezza, bensì
esorcizzare l’allarme e le preoccupazioni dei cittadini. Molti dei
quali finiscono così col pensare che gli unici a prenderli sul serio e
farsi carico delle loro inquietudini siano i fautori delle soluzioni
più estreme e sbrigative. O quanto meno chi solleva apertamente la
questione. In modi magari discutibili, ma ai quali il negazionismo
ostinato o le censure fondate sul fantasma del «razzismo» non
costituiscono un’alternativa efficace. Al contrario.

Anche questo insegnano le recenti esperienze svizzere, al di là dei
facili stereotipi (e delle semplificazioni che – è bene ricordarlo –
non rendono comunque conto di una realtà politica assai più complessa
come quella elvetica).
E il fatto che un governo di sinistra come quello italiano adotti
misure severe – per certi versi effettivamente di sapore «blocheriano»
– dovrebbe semmai far riflettere sull’inaggirabilità del vero problema
e sull’esigenza di affrontarlo.

Da qui a ritenere che i provvedimenti decisi da Roma, così come quelli
avanzati dal ministro della giustizia elvetico, siano la soluzione
giusta, il passo è ancora lungo. In effetti per diverse norme si
possono sollevare molti interrogativi, non solo in termini di
principio ma anche di reale efficacia e di praticabilità. Così come si
può avere qualche riserva, nel caso italiano, sulla reale volontà e
capacità, alla prova dei fatti, di applicarle.
Ma anche per questo occorre più che mai un confronto aperto, che
sappia andare oltre le emozioni primarie ma anche mettere da parte
falsi pudori, ipocrisie ideologiche e strumentalizzazioni di segno
opposto. È una premessa fondamentale. Senza la quale il rischio è
quello di derive ben più drammatiche di una cartellonistica elettorale
discutibile o di uno spostamento del baricentro politico.

letto su spaziolibero  (margheritaonline.it).
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« Risposta #81 inserito:: Novembre 19, 2007, 11:56:19 am »


Chiacchierata su la 7

Veltroni telefona a Crozza

Il leader del Pd si collega con il comico e si fa il verso da solo: «In politica serve il "ma anche"»


ROMA - La politica oggi richiede il «ma anche» e cioè la capacità di dare risposte nuove che siano «la sintesi di cose che possono apparire diverse». Lo ha detto il segretario del Pd, Walter Veltroni, in una telefonata al programma «Crozza Italia». Veltroni ha giocato con autoironia con il «ma-anchismo» che gli attribuisce Maurizio Crozza.

Poi, rivolto al comico ha aggiunto: «Nella politica moderna l'unica soluzione per affrontare i problemi nuovi non può che essere quella che tu indichi come il "ma anche": nel senso che i problemi non sono più risolvibili con gli schemi del passato e ci vogliono delle risposte nuove. Queste risposte sono la sintesi di più cose che possono apparire diverse tra loro».


18 novembre 2007

da corriere.it


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« Risposta #82 inserito:: Novembre 20, 2007, 12:19:53 am »

Walter senza famiglia

In passato Veltroni ha anche scritto per il settimanale dei Paolini. Ma ora è finito nel cono d'ombra.

Lo spettacolo più avvilente è quello offerto dai politici... Si gettano addosso le colpe o addirittura utilizzano, come ha fatto Veltroni, lo stesso linguaggio di An e Lega di cui si è sempre criticata la fobia per lo straniero...

L'attacco più duro contro la linea sulla sicurezza del sindaco di Roma è in un editoriale di 'Famiglia cristiana', firmato Beppe Del Colle.

Da quando Veltroni è leader del Partito democratico il settimanale dei Paolini non gliene fa passare una.

Interviste con Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini, bordate contro il centro-sinistra, unica consolazione per Walter (forse) il titolo: 'Finanziaria deludente, ancora niente alla famiglia', con foto della rivale Rosy Bindi.

Eppure, fino a poche settimane fa Veltroni era considerato un amico.

Al punto da firmare alcuni editoriali e un paio di reportage dal Ruanda e da Auschwitz. Ora, invece, c'è chi prevede che il nome di Veltroni in futuro sulle pagine di 'Famiglia Cristiana' comparirà poco, molto poco.

In seguito, sembra, a un'indicazione precisa arrivata dalla segreteria di Stato vaticana e dal cardinale Tarcisio Bertone.

Molto vicino alla direzione di 'Famiglia cristiana' e ben deciso a non lasciar correre certe amicizie che possono diventare politicamente pericolose.

M. D.

(16 novembre 2007)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #83 inserito:: Novembre 26, 2007, 06:46:37 pm »

26/11/2007 (17:30) -

COLLOQUIO FINI-VELTRONI

Fini: "No a ritorni al passato"
 
Sulla legge elettorale il leader di An ha ribadito che i partiti non devono avere le mani libere


ROMA
Nel dialogo sulla legge elettorale «abbiamo ribadito a Walter Veltroni che per An la stella polare è il rispetto della volontà degli elettori». Lo ha detto il leader di An, Gianfranco Fini, nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio dopo l’incontro con il segretario del Pd Veltroni.

Fini ha spiegato che «per An il referendum non è una sciagura», ma «una eventualità». An è disponibile al confronto «ma ad una precisa condizione: che non si torni indietro nel tempo», anche perchè «lasciare i partiti con le mani libere significherebbe tornare indietro nel tempo. Una eventualità per noi deprecabile». Per An i punti fermi per una riforma della legge elettorale sono il vincolo di coalizione e il vincolo di programma: «I cittadini - ha spiegato Fini - devono poter scegliere il partito, la coalizione, il programma e il candidato premier».

Fini: "Se il governo cade si torna a votare"
Il leader di An ha preso in esame anche la possibilità che il governo cada senza che si sia raggiunto un accordo sulle riform. In tal caso Fini ritiebe che «e il governo cade si va a votare con l’attuale legge elettorale». «Su questo punto - ha aggiunto Fini - siamo su posizioni diametralmente opposte con Veltroni».

Pd e An distanti sulla riforma della legge elettorale
«Non condividiamo affatto la proposta di Veltroni» e lo stesso segretario del Pd ha ritenuto che il cosiddetto ’Vassallum’ «non è corrispondente con le esigenze di Alleanza nazionale». Le posizioni tra Pd e An restano «distanti», spiega il leader di An al termine dell’incontro con Walter Veltroni. «Non contestiamo la legge elettorale in senso proporzionale. Quello che conta - spiega ancora - è che l’elettore possa scegliere la coalizione, il programma e il candidato premier». L’ex ministro degli Esteri, dopo aver fatto notare che tutti i sistemi in Italia per le elezioni amministrative «sono ad impianto bipolare», non si pronuncia su altri ’modellì. Lo spagnolo? «Ogni legge elettorale - osserva il leader di An - va studiata all’interno del sistema in cui si opera, io comunque non mi impicco agli aspetti tecnici». E un ritorno al ’Mattarellum’? «Non lo deve chiedere a me», risponde Fini.

Accordo tra Fini e Veltroni sul pacchetto di riforme istituzionali
«Per Alleanza nazionale la questione delle riforme costituzionali e della legge elettorale sono intrecciate. Non esiste una legge elettorale se non nell’ambito di un quadro costituzionale«. Lo ha detto il presidente di Alleanza nazionale, Gianfranco Fini, nel corso della conferenza stampa al termine dell’incontro con Veltroni.

Fini si è detto sostanzialmente d’accordo con il pacchetto di riforme già approvate dalla commissione Affari Costituzionali di Montecitorio: »Sui tre punti fondamentali An esprime il suo consenso: la riduzione del numero dei parlamentari, il rafforzamento dei poteri dell’esecutivo e la fine del bicameralismo perfetto«.

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« Risposta #84 inserito:: Novembre 26, 2007, 06:47:52 pm »

SEGRETARIO PD: ACCORDO su pacchetto riforme e su nuovi regolamenti parlamentari

Riforme, Veltroni chiama la Cdl

Con Fini faccia a faccia di un'ora

Il leader di An al temine dell'incontro: «No a un ritorno al passato. Indisponibili se non si rispetta il bipolarismo»

 
ROMA - È iniziata con l'incontro tra il leader del Pd Walter Veltroni e il numero uno di An Gianfranco Fini una settimana cruciale per ridisegnare la geografia politica su legge elettorale e riforme. Il confronto, al quinto piano del palazzo dei gruppi della Camera, è durato più di un'ora.

BIPOLARISMO - «Siamo disponibili a un confronto sulla legge elettorale a condizione di non tornare indietro nel tempo: l'elettore deve scegliere il partito, la coalizione, un programma e un candidato leader» ha detto Gianfranco Fini, in conferenza stampa a Montecitorio, al termine dell'incontro con Veltroni, sottolineando di aver espresso al segretario del Pd «il convincimento di An che il dialogo sulle riforme non debba il alcun modo significare sostegno o benevolenza verso il governo Prodi». «In Italia tutto il sistema è sostanzialmente bipolare - ha aggiunto Fini - il bipolarismo vale quando si vota per il sindaco, per la provincia, per la regione. Pensare a un'ipotesi tutta diversa solo per il Parlamento è un errore strategico, porterebbe a un sistema schizofrenico ma soprattutto significherebbe voler tornare indietro lasciando i partiti con le mani libere e non vincolati alla dichiarazione di alleanze prima del voto».

URNE E REFERENDUM - «È chiaro che se il governo cade non c'è più la maggioranza e non ci sono più le condizioni per un dialogo, ma lo sbocco è solo il voto» ha spiegato il presidente di An. «Abbiamo detto a Veltroni - ha aggiunto - che il referendum elettorale non può essere considerato una sciagura o una iattura».

«ACCORDO SU DUE PUNTI» - Una «convergenza» su due punti, secondo Walter Veltroni quella trovata con Fini. E i due punti sono il pacchetto delle riforme istituzionali e i nuovi regolamenti parlamentari. «Per noi non esiste un problema esclusivo di legge elettorale ma di un nuovo assetto istituzionale per uscire dalla crisi del sistema e quindi non siamo disponibili a discutere solamente sulla legge elettorale - ha spiegato Veltroni -. Una valutazione che è stata condivisa, sostiene il segretario del Pd, anche dal leader di An, disponibile a portare avanti il pacchetto di riforme istituzionali che prevede «la riduzione del numero dei parlamentari, il superamento del bicameralismo perfetto e il rafforzamento dei poteri del premier». L'altro punto su cui Pd e An sono d'accordo è la riforma dei regolamenti parlamentari, in particolare il ddl con primo firmatario Dario Franceschini che impedisce a nuovi gruppi di nascere alla Camera dopo le elezioni.

SULLA STRADA DEL DIALOGO - Veltroni vedrà probabilmente in settimana anche i vertici di Udc e Lega Nord, mentre venerdì sarà il giorno dell'incontro tra il sindaco di Roma e Silvio Berlusconi. «Portiamo tutti insieme l'Italia fuori dal tunnel, poi ognuno farà la sua strada», è stato l'invito di Veltroni alla vigilia del suo giro di incontri con la Cdl.

"VASSALLUM" - La traccia dalla quale parte il segretario del Pd dovrebbe essere sempre il cosiddetto "Vassallum", la proposta disegnata dai costituzionalisti Salvatore Vassallo e Stefano Ceccanti e che mescola i modelli tedesco e spagnolo. Il sindaco di Roma ribadirà che il "paniere" proposto comprende anche riforme istituzionali e dei regolamenti parlamentari. Con questa premessa venerdì Veltroni vedrà anche Berlusconi e, probabilmente sempre in settimana, l'Udc e la Lega, che non ha ancora fissato una data in attesa anche dell'esito della cena di domani ad Arcore.



26 novembre 2007

da corriere.it
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« Risposta #85 inserito:: Novembre 26, 2007, 06:58:31 pm »

Dialogo e sospetti

Bruno Miserendino


In fondo, la domanda è semplice: sulle riforme si realizzerà mai il miracolo del «dialogo senza inciucio»? Anche la risposta, allo stato dell’arte, è semplice: dopo l’esperienza della Bicamerale ai miracoli non ci crede più nessuno, però molti ci sperano. Alla vigilia di una settimana importante per la politica italiana, la situazione è questa: il dialogo è una realtà. Ma i sospetti anche.

La novità è che al momento veti e sospetti non riescono a oscurare la necessità del confronto. Ci spera Veltroni, sia pure con realismo. Si mostra speranzoso Berlusconi, che ieri ha definito «un ectoplasma» la ex Casa delle Libertà e che sembra stia rinunciando al ricatto iniziale (riforma elettorale ma se si va subito dopo al voto). Ci crede da tempo Casini, ossia uno degli ectoplasmi. È interessato Fini, che sarebbe l’altro ectoplasma e che sarà oggi pomeriggio alla Camera il primo interlocutore di Walter Veltroni in questa settimana di incontri. Il leader di An dall’inizio della partita ha sempre puntato al referendum, ma la nuova situazione e lo spettro della fine del bipolarismo lo costringono a credere nel confronto a tutto campo. La Lega da tempo punta alle riforme e soprattutto al Senato federale. Mostra di crederci il presidente della Camera Bertinotti secondo cui il confronto ci sarà in parlamento e senza inciuci. Prodi partecipa soddisfatto, ma controlla, legittimamente, che il tutto non faccia deragliare il governo. Restano sulla soglia, scettici e guardinghi, i cosiddetti «piccoli» partiti del centrosinistra, che temono accordi dei grandi per farli fuori. Ma è vero che per loro qualunque scenario diverso dallo status quo appare problematico. La logica vuole che partecipino al confronto, se non altro per favorire la soluzione per loro meno dannosa.

Insomma come pronosticava Veltroni («passata la finanziaria sarà un altro film»), uno spazio così ampio per il confronto non c’è mai stato. E davvero in 8-12 mesi si possono fare quelle quattro cinque riforme complessive (legge elettorale, Senato federale, sfiducia costruttiva, diminuzione dei parlamentari, riforma dei regolamenti delle Camere per far coincidere partiti e gruppi) su cui la grande maggioranza delle forze e sicuramente degli italiani è d’accordo. «Usciamo dal tunnel, poi ognuno per la sua strada», ha detto ieri a Saint Vincent il segretario del Pd.

Berlusconi, ufficialmente, vuole solo la legge elettorale, per poi andare rapidamente al voto. Le altre riforme, insiste, si faranno nella prossima legislatura. In realtà bastava sentire ieri Dell’Utri per capire che la partita è aperta: è vero, diceva, Berlusconi cambia spesso idea (in effetti sulla legge elettorale si sono registrate in 13 anni una ventina di posizioni diverse ndr) «ma questo avviene perchè è intelligente». Adesso, aggiunge Dell’Utri, «rispetto alla Bicamerale i tempi per un accordo sono maturi». Berlusconi, afferma, «non è inflessibile sul modello tedesco», nel senso che è aperto a possibili correttivi. Si può leggere come un’apertura al mix spagnolo tedesco che è la carta di partenza sponsorizzata da Veltroni: ossia un proporzionale senza premio di maggioranza, ma con correttivi maggioritari che bipolarizzano il sistema, perchè favoriscono i due grandi partiti.

Quanto al resto è chiaro che se Berlusconi dialoga sulla riforma elettorale, se la legislatura va avanti, il confronto prosegue anche su tutto il resto. Del resto tutti gli altri partiti, grandi e medi, sono pronti al dialogo sull’intero pacchetto delle riforme. Il punto preliminare da chiarire è se l’orizzonte del confronto è un «nuovo bipolarismo, meno coatto e più virtuoso», per usare l’espressione di Veltroni, o se l’obiettivo finale è proprio la fine diretta o indiretta del bipolarismo. Diceva ieri un collaboratore di Veltroni, Giorgio Tonini: «Le soluzioni tecniche possono essere diverse ma l’obiettivo è raffozare il bipolarismo, non indebolirlo». Non sarà facile. Qualcuno la vede così: quanto più si vira sul sistema «tedesco puro», tanto più si va verso il grado minimo di bipolarismo, tutto quello che va verso correttivi maggioritari in più, lo rafforza. La partita si gioca in questa forbice. Sarà lunga. Però oggi inizia.

Pubblicato il: 26.11.07
Modificato il: 26.11.07 alle ore 8.18   
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« Risposta #86 inserito:: Novembre 27, 2007, 06:09:07 pm »

27/11/2007 (7:53)

E Walter rispolvera la politica del carciofo
 
Vuole incassare un sì alla volta per arrivare alla sintesi

FABIO MARTINI


ROMA
Alle cinque della sera, per sedare il toreare dei cronisti in attesa, i commessi della Camera sono costretti a creare un corridoio umano per lasciar passare Gianfranco Fini, atteso nella sala stampa di Montecitorio al termine dell’incontro con Walter Veltroni. Erano anni che in quella saletta non c’era tanta gente: sedie occupate già mezzora prima, cameramen trasformati in acrobati, trenta giornalisti in piedi, una decina rimasti nei corridoi. E quando Gianfranco Fini si è seduto per un botta e risposta, il suo incipit ha conferito ancora più solennità all’incontro di poco prima: «Abbiamo espresso all’onorevole Veltroni...». Il tono sembrava quello degli incipit di un altro grande leader della destra italiana, Giorgio Almirante, quando usciva dagli incontri con i Presidenti della Repubblica e riferiva davanti allo studio alla Vetrata.

Certo, dopo la lunga quaresima comunicativa tra i due poli, quello di ieri tra Veltroni e Fini è stato un incontro significativo, ma a ben vedere è stata soprattutto la proverbiale sapienza politico-comunicativa del leader del Pd che ha finito per trasformare in evento un confronto fisiologico. Inventandosi le «consultazioni» (alle quali ora nessuno vuole mancare), Veltroni ha conquistato il centro del ring, di volta in volta annoterà e valorizzerà le disponibilità altrui, creando un’attesa destinata a dilatarsi di giorno in giorno, visto che dopo gli incontri (domani) con Pier Ferdinando Casini e (giovedì) con Bobo Maroni, il tutto culminerà nel summit dei summit, quello con Silvio Berlusconi. Quelli di Veltroni sono soltanto «effetti speciali»?

Chi lo ha ascoltato nell’Esecutivo del Pd sembra aver colto un’ambizione politica non effimera. Sostiene Giorgio Tonini, dell’Esecutivo: «Siamo soltanto all’inizio, si è costretti a costruire su macerie che noi stessi abbiamo creato e pur senza evocare il precedente della Bicamerale che può essere equivocato, è vero che Veltroni sta diventando quel regista della politica italiana che da tempo mancava. Con una proposta fatta a tutti, alla luce del sole e che comincia a raccogliere consensi». Come Veltroni ha spiegato ai fedelissimi, al primo punto del «piano» c’è la riforma elettorale: finora il cosiddetto «Vassallum», il modello iberico-tedesco è «l’unica proposta che favorisca un sistema proporzionale ma fondato su partiti a vocazione maggioritaria».

E dunque Veltroni intende riproporla a tutti. Da Fini ha ottenuto un diniego, che ha originato uno scambio di battute significative. Col leader di An che ha ricordato di essere «favorevole al sistema del sindaco d’Italia» e Veltroni che ha risposto: «E lo dici a me? Anche io penso sarebbe l’ideale, ma conosci le resistenze...». Ma Veltroni sa che la Lega, pur di evitare a tutti i costi il referendum, vede bene il «Vassallum» (che premia i partiti regionali) e dunque attende di capire da Berlusconi (che a Bossi ci tiene) se avranno un seguito i segnali lanciati nei giorni scorsi da Fabrizio Cicchitto. Ma grazie al calendario di incontri immaginato da Veltroni, il leader del Pd dopo quella di Fini, incasserà la disponibilità della Lega e dell’Udc ad un pacchetto di riforme costituzionali e a quel punto - ecco l’astuzia - incontrando Berlusconi si farà indirettamente «portavoce» delle richieste dei suoi alleati.

Insomma, Veltroni accarezza una riedizione della sabauda «politica del carciofo»: annettersi pezzi di riforma, uno alla volta e provare a fare la sintesi. E il referendum? I tre di An (che avevano ipotizzato una conferenza stampa comune, scartata da Veltroni) hanno avuto l’impressione che su questo piano Veltroni faccia un bluff «e che anzi a lui interessi soltanto evitare il referendum, che tanti problemi gli crea con gli alleati». Anche se un fronte interno al Pd lo apre ora il ministro della Difesa Arturo Parisi: «Promuova Veltroni un referendum di massa sulla legge elettorale, sul proporzionale al posto del maggioritario e sul profilo del nuovo partito».

da lastampa.it
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« Risposta #87 inserito:: Dicembre 01, 2007, 11:16:15 pm »

Le basi della trattativa tra Veltroni e Berlusconi

Legge elettorale, cos'è il «Vassallum»

La proposta Vassallo-Ceccanti è un mix tra sistema spagnolo e tedesco e tra maggioritario e proporzionale


ROMA - Il cosiddetto «Vassallum», il progetto di nuova legge elettorale sulla quale Silvio Berlusconi si è detto disposto a discutere con Walter Veltroni, prende il nome da Sebastiano Vassallo, uno dei costituzionalisti che, insieme a Stefano Ceccanti, ha preparato la proposta. Quando è uscita allo scoperto circa due settimane fa, era stata definita anche «veltronellum», perché promossa dal segretario del Pd.

SISTEMA COMPLICATO - Il sistema, piuttosto complesso, contiene un misto di maggioritario e proporzionale corretto, con elementi dei sistemi elettorali tedesco e spagnolo. Il «Vassallum» prevede il 50% dei deputati eletti in collegi uninominali e l'altro 50% su base di lista a livello circoscrizionale.

SBARRAMENTO - Il modello tedesco è il sistema di base, con la modifica, di tipo spagnolo, per lo sbarramento che in Germania è al 5% a livello nazionale e che invece scatta come in Spagna, a livello delle circoscrizioni, in modo implicito (determinato dalla percentuale necessaria per aggiudicarsi un seggio), con un effetto bipolarizzante forse superiore al modello tedesco. Le circoscrizioni elettorali avrebbero le dimensioni medie di una provincia. L'elettore darebbe un solo voto, valido sia per il seggio attribuito con l'uninominale, sia per l'assegnazione dei seggi proporzionali della circoscrizione elettorale. I migliori perdenti del voto uninominale si aggiudicano i seggi spettanti al partito nella quota proporzionale e, se non bastano, si passa ai candidati delle liste circoscrizionali.

GRANDI PARTITI - Il sistema sembra privilegiare le formazioni politiche grandi e quelle medie con forti basi territoriali (come la Lega), mentre potrebbero essere penalizzate quelle medio-piccole diffuse in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale. Il risultato potrebbe essere un pluripartitismo moderato, in presenza di una bipolarizzazione intorno ai due partiti nazionali maggiori.


30 novembre 2007

da corriere.it
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« Risposta #88 inserito:: Dicembre 19, 2007, 05:46:16 pm »

CRONACA

LA LETTERA

I diritti civili in cui crede il Pd

di WALTER VELTRONI


CARO Direttore, non so, come ha scritto Miriam Mafai, se l'Italia odierna si possa definire meno laica rispetto a quella di quarant'anni fa.
So che oggi vedo un Paese più moderno, dove i costumi e le relazioni tra le persone si informano a fondamentali principi di libertà, a un sostanziale rispetto dei diritti individuali e delle identità.

So che nella vita quotidiana i rapporti tra gli individui, e non solo tra le giovani generazioni, non somigliano a quelli tipici della società italiana di quarant'anni fa, quando provincialismo, moralismo e anche una buona dose di bigottismo erano molto diffusi.

Allora cominciarono avanguardie e movimenti a introdurrenell'agenda politica temi e conquiste che si imposero poi nella società. Oggi, come nel caso delle coppie di fatto richiamato dall'articolo di Mafai, è la politica ad essere chiamata a dare risposte legislative adeguate e moderne, in linea con il costume, il sentire diffuso, i cambiamenti della società. La politica deve riuscire a far questo, e il Parlamento è il luogo naturale dove confrontare i diversi convincimenti, le diverse idee e sensibilità che attraversano il Paese. Nell'unico modo possibile e in grado di condurre ad una soluzione il più possibile condivisa: in un clima di autentico rispetto, di dialogo vero, di consapevolezza che su temi come questi, che riguardano anche i dettami della coscienza, si sgomberi davvero il terreno da integralismi e fondamentalismi, e si possa serenamente affermare il basilare principio della laicità. Laicità delle istituzioni repubblicane, laicità dei comportamenti e delle posizioni individuali, tanto più preziosa quando si affrontano i complessi nodi delle questioni eticamente sensibili. E c'è l'occasione del dibattito sui CUS, che ritengo siano un'ottima base su cui insieme riflettere.

A Roma, dove l'altro giorno il Consiglio Comunale non è riuscito ad approvare nessun atto sul tema delle "Unioni civili", è successo il contrario. Ma ad essere sconfitto, vorrei dire a Miriam, non è stato il Partito democratico, che anzi, tutto insieme, ha cercato di offrire, attraverso un ordine del giorno coraggioso ed equilibrato, un terreno di confronto avanzato, serio e rispettoso di tutte le sensibilità. La sconfitta è stata un'altra. Vittima di integralismie forzature di vario genere è stata la possibilità (reale) di far sì che la città di Roma chiedesse a voce alta al Parlamento di dare una risposta adeguata e moderna alle aspettative di tanta parte della società, impegnandosi, dal canto suo, a rafforzare tutti gli strumenti già esistenti (a legislazione vigente) contro le discriminazioni e per la tutela dei diritti delle persone, con il criterio della "famiglia anagrafica". A Roma, in questi anni e senza proclami, i diritti sono stati tutelati e rafforzati (con strumenti come questo che le attuali leggi consentono ai Comuni) a favore di nuclei familiari di fatto su aspetti fondamentali nella vita delle persone: le domanda per alloggi popolari, le graduatorie per gli asili nido, alcuni servizi per anziani.

Sulle due delibere di iniziativa popolare e consiliare, la cui eventuale approvazione non avrebbe avuto nient'altro che un mero valore simbolico, senza poter migliorare di una virgola la condizione di vita delle coppie di fatto, non c'era una maggioranza sicura e comunque il loro contenuto era legittimo ma discutibile e non da tutti condiviso. Per questo il gruppo del Pd aveva presentato il suo ordine del giorno, che aveva esattamente lo scopo di non lasciare afasica su questo tema l'Aula Giulio Cesare. Non mi stupisce l'atteggiamento ostile della destra, che tranne alcune eccezioni ha dimostrato poca sensibilità su temi che riguardano la vita delle persone e la lotta ad ogni discriminazione. Comprendo meno, sinceramente, gli interventi letti sul settimanale allegato al quotidiano "Avvenire", contrari alla presentazione dell'ordine del giorno. Rispetto le opinioni e le sensibilità di tutti, ritengo non solo legittimi ma fecondi per la politica interventi e pronunciamenti della Chiesa, ma l'autonomia e la laicità dello Stato e delle istituzioni non possono essere messi in discussione. E comprendo ancora meno, con altrettanta sincerità, il comportamento dei gruppi consiliari della sinistra radicale, che facendo mancare il loro voto favorevole, hanno impedito l'approvazione dell'ordine del giorno presentato dal Partito democratico. O forse riesco a comprenderlo in un'ottica molto più piccola rispetto ai temi in discussione, alla luce di dichiarazioni di esponenti di questa area più legate a questioni di politica nazionale che al merito della cosa. La questione delle Unioni civili, insomma, come una bandiera da agitare, come un pretesto per obiettivi lontani dalle esigenze di civiltà affermate.

In questo senso dovrebbe far riflettere anche la scarsa partecipazione di cittadini alla manifestazione convocata dai promotori delle delibere.
Per questo dico che ad essere sconfitto non è stato il Pd, che anzi in un passaggio così delicato ha dimostrato intelligente compattezza, senso di responsabilità e autentica laicità. Quella laicità che lacittà di Roma vuole tutelare. E che l'approvazione del documento proposto avrebbe appunto contribuito a tutelare, lungo la linea tracciata con chiarezza in questi anni. Non so se quarant'anni fa sarebbe stato possibile dedicare una via ad omosessuali vittime di violenza e pregiudizi omofobi o se un'Amministrazione Comunale si sarebbe costituita parte civile a favore di queste vittime. E non so se si sarebbero dati i patrocini dell'Assessorato alle pari opportunità all'annuale appuntamento di Piazza Farnese. Questo, a Roma, accade e continuerà ad accadere, senza bisogno di brandire le armi dell'intolleranza o dell'integralismo, procedendo con i soli strumenti possibili ed efficaci: quelli del libero ascolto, del civile dialogo, del laico confronto che nasce dal rispetto del ruolo delle istituzioni e dei convincimenti di tutti e di ciascuno.

(19 dicembre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #89 inserito:: Dicembre 19, 2007, 11:17:12 pm »

Il segretario del Partito democratico: «In Italia c'è il demone del non fare»

Veltroni: «Riemerge la corruzione ovunque»

«Si preferisce stare tranquilli guardando con sospetto chi invece fa. Burocrazia elefantiaca»

 
ROMA - «In Italia c'è il demone del non fare, si preferisce stare tranquilli e non fare guardando con sospetto chi, invece, fa». Lo ha detto Walter Veltroni nel corso della presentazione del corridoio militare del complesso ospedaliero San Giovanni di Roma. «Bisogna prendere a cannonate l'abitudine di questo Paese di rimandare tutto alla burocrazia, che è un elefante seduto sulla velocità del Paese», ha aggiunto il segretario del Partito democratico. «Se bisogna passare per stanze e uffici per ottenere un'autorizzazione, ci si può imbattere nel mascalzone: vedo riemergere ovunque fenomeni di corruzione».

REGOLE CONDIVISE - Secondo Veltroni «l'ossessione del tempo degli amministratori» spesso raggiunga risultati sorprendenti. «Le regole che vengono scritte devono essere condivise da tutti, ma quando ci si occupa dell'amministrazione e del bene dei cittadini bisogna saper prescindere dal colore politico. Io stesso ho provato sulla mia pelle cosa vuol dire fare i conti con uffici, di cui spesso nessuno si ricorda, ma che sono sempre pronti a fermare un iter amministrativo quando questo è innescato da qualcuno che è portatore di un diverso colore politico».


19 dicembre 2007

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