Così BEPPE GRILLO lascerà il Movimento 5 Stelle ...

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POLITICA

Il Movimento degli eletti frena quello del territorio.
Parlamentari M5s sempre più distanti dalla base
Poco grip sul territorio, divisioni interne, regola del doppio mandato: in casa M5S si analizza la sconfitta nonostante il post di Grillo. Le parole di Lombardi, Bugani e Dell'Orco

 12/06/2017 19:48 CEST | Aggiornato 43 minuti fa

Gabriella Cerami Politics reporter, L'Huffington post

Il Movimento degli eletti frena il Movimento del territorio. L'analisi del voto inizia a farsi strada in casa 5Stelle a scrutinio terminato. Meet up in crisi, sempre meno e sempre più spenti. Candidati deboli e mal sostenuti dai big nazionali. Lontananza dalla base e poco attivismo. Tutto ciò sarebbe all'origine della batosta elettorale. Non tutti ovviamente la vedono così, c'è chi in tv rivendica il successo del simbolo M5s rispetto alle liste del Pd e di Forza Italia. E Beppe Grillo sul blog parla di risultati triplicati rispetto al 2012 tralasciando i dati dello scorso anno con le vittorie di Roma e Torino. Così sulle bacheche Facebook e qualcuno anche con toni più aspri in privato vengono fatte le prime valutazioni non sorridenti. Per esempio Roberta Lombardi, su Fb, pur riconoscendo "un buon risultato ottenuto" osserva: "Dove migliorare? Come crescere? Per arrivare al traguardo bisogna investire energie, impegno. In una parola: attivismo, soprattutto da parte dei portavoce eletti. Non dimentichiamoci mai da dove veniamo". Un post che nel day after risuona come un invito, ma anche come una forte critica al Movimento nel suo complesso, dai vertici in giù, nessuno escluso: "Non dobbiamo aver paura di guardarci dentro".

La deputata grillina ha seguito da vicino, con una forte presenza sul territorio, le amministrative della regione Lazio e qui i 5Stelle sono arrivati al ballottaggio in due comuni: Guidonia, comune di circa 90 mila abitanti, e Ardea che ne conta circa 50mila. "Il rapporto con i territori non è qualcosa che si costruisce in un giorno. Per chi come me lavora da anni su Roma e nel Lazio – dice - il cittadino che si fa Stato non è né uno slogan, né uno spot elettorale. È una direzione". Direzione che però, osservando i risultati, in altre zone d'Italia sembra essersi persa. Su mille comuni i pentastellati hanno presentato la lista in 140 e solo in nove sono arrivati al ballottaggio e in due sono riusciti ad eleggere il sindaco al primo turno, a Sarego (si tratta di un bis) e a Parzanica.

A bruciare di più e a dare l'idea del distacco tra Movimento nazionale e base territoriale sono però le città simbolo, i grandi comuni dove c'è stata la debacle pentastellata. In particolare c'è Palermo, che getta nel panico i pentastellati in vista delle elezioni regionali. È qui che i grillini fino a un anno fa avevano investito molto anche con la manifestazione ben riuscita di "Italia 5Stelle". Ma poi ecco il crollo, faide interne e beghe da vecchi partiti. Il Movimento 5 Stelle, in particolare Beppe Grillo e chi lo ha consigliato, avevano scelto di puntare su Ugo Forello, vincitore delle comunarie, avvocato e fondatore dell'associazione antiracket Addiopizzo. Doveva incarnare l'immagine del grillino moderato e istituzionale. Ma la guerra interna tra i 5 Stelle palermitani, con il deputato nazionale ora sospeso Riccardo Nuti che non lo ha sostenuto e un audio in cui un addetto stampa romano screditava il candidato, ne hanno azzoppato la corsa. A nulla sono servite le presenze di Grillo e Di Battista sul palco, che hanno provato a risollevare le sorti, se in questi mesi di scontri i potenziali elettori e gli attivisti si sono sentiti spaesati e confusi da queste dinamiche interne, talvolta contorte, senza più una struttura, meet up e con lo scandalo della firme false da gestire.

Ci sono poi almeno altri tre casi che racchiudono i ragionamenti che vengono fatti in questi ore. E sono le città di Comacchio, Parma e Mira. Nel comune in provincia di Ferrara e a Parma, Marco Fabbri e Federico Pizzarotti, cinque anni fa, furono i primi esponenti del Movimento 5 Stelle a diventare sindaci. I due poi hanno perso il simbolo durante l'amministrazione per divergenze con i vertici M5s e nonostante ciò la maggior parte degli attivisti, ormai ex grillini, li hanno seguiti e ora Fabbri è stato confermato al primo turno, mentre Pizzarotti attende l'esito del ballottaggio. Nel piccolo comune in provincia di Venezia, invece, i 5Stelle lasciano la sindacatura perché l'ex primo cittadino Alvise Maniero ha deciso di stare fermo un turno per giocarsi la candidatura in Parlamento alle prossime politiche e ha lasciato spazio alla collega pentastellata Elisa Benato, che è rimasta fuori dal ballottaggio.

A questo punto tra le tante autocritiche di queste ore spunta anche la voce di Massimo Bugani, fedelissimo di Grillo a Bologna: "Dobbiamo riflettere sulla regola del doppio mandato. Un vincolo che ha fatto da freno a molti". Stando così le cose i grillini sarebbero vittime anche delle loro stesse regole. Ma ecco Genova, la città di Grillo e dove non si può dire che il leader sia stato profeta in patria. Anzi, la scelta di annullare le comunarie, presa dai vertici del Movimento senza consultare la base e creando spaccature sul territorio, ha penalizzato il candidato Pirondini.

A metterci la faccia per commentare il risultato delle amministrative è anche Michele Dell'Orco che ammette: "Queste amministrative non sono andate bene, inutile girarci intorno. Ripartiamo come sempre e questa volta puntando ad un maggior radicamento sui territori, occupandoci un po' di più dei problemi locali dei cittadini e meno dell'ultima sparata dell'Alfano od Orfini di turno. Insomma non è sufficiente fare l'eventone in piazza, ma serve un lavoro costante sui territori. Meno gossip e più proposte". Meno leaderismo anche, soprattutto se la leadership, quella di Luigi Di Maio, viene vista come più vicina ai Palazzi e meno ai territori.

Si sta dicendo anche, tra i vari flussi di messaggi e commenti, che una maggiore presenza di Di Battista sui territori sarebbe stata utile. E così ha fatto sapere di esserci per questo secondo turno nei pochi comuni del ballottaggio: "Non è il momento della chiacchiere. Io mi sono speso. Speravo in molti più ballottaggi. Ma ci sono tanti cittadini che si stanno impegnando e che possono arrivare ad amministrare diversi comuni. Quindi sotto a lavorare. Vanno sostenuti e io lo farò. Io credevo che in alcuni comuni ce l'avremmo fatta e invece no. Quindi che si fa? Ci si impegna ancor di più". Grillo nel suo post lo ha detto chiaramente: si riparte dalle regioni in Sicilia. Dove anche a Trapani i pentastellati hanno fallito e dove bisogna far dimenticare le vicende palermitane. C'è quindi tutta una struttura da dover costruire e una presenza da organizzare.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2017/06/12/il-movimento-degli-eletti-frena-quello-del-territorio-parlament_a_22138025/?utm_hp_ref=it-homepage

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M5s, Di Maio: "Noi unico argine agli estremismi in Ue. E per me niente codice di comportamento con penali"

Il vicepresidente della Camera e candidato premier Cinquestelle in visita al Talent Garden.

Parla di tutto, dalle elezioni in Germania, alla "smart nation" a una sua valutazione sulla giunta Raggi a Roma, "ma noi non faremo l’errore di andare al governo senza aver già scelto una squadra coesa"

Di MATTEO PUCCIARELLI
25 settembre 2017

MILANO - Per il "capo politico" del M5S non ci sarà alcun codice di comportamento da firmare; né le eventuali e annesse penali da pagare. Come invece è avvenuto per gli altri eletti del Movimento, compresa la sindaca di Roma Virginia Raggi. Lo ha detto Luigi Di Maio a margine della sua prima uscita pubblica come candidato premier dei Cinque Stelle. Il quale però non è voluto entrare nel merito della discussione interna al Movimento, dove fino a ieri Roberto Fico ha ribadito che la carica di candidato presidente del Consiglio non combacia, o non combacerebbe, con quella di capo del partito.

Il vicepresidente della Camera ha passato oltre due ore in visita al "Tag – Talent Garden" di Milano, una piattaforma fondata nel 2011 dove "i professionisti del digitale, della tecnologia e della creatività lavorando, apprendono e si connettono" negli spazi di co-working. Una scelta politica: "Vogliamo fare dell’Italia un paese all’avanguardia, che premi il talento – dice Di Maio – anche perché nel 2025 metà del lavoro giovanile sarà di natura creativa". Ha pranzato quindi con gli "start upper" di questa ex tipografia della periferia milanese, poco lontana dal consolato cinese e dalla Fondazione Prada.

Parlando con i lavoratori del centro (oltre 400) ha difeso il voto elettronico che lo ha eletto candidato premier sulla piattaforma Rousseau, "considerate che è una start up anche quella, lanciata subito dopo la morte di Gianroberto Casaleggio". Quanto al numero di voti ottenuti (31mila), secondo Di Maio "alla fine contano quelli nelle urne". A chi gli ha chiesto una sua valutazione sul governo a Cinque Stelle di Roma, il candidato premier ha risposto che "noi non faremo l’errore di andare al governo senza aver già scelto una squadra coesa".

E ancora: "Noi siamo l'unico argine a quelli che sono gli estremismi in Europa, fermo restando che poi il voto mostra anche che i partiti tradizionali sono in declino", così Di Maio, al termine della sua visita, a chi gli ha chiesto un suo punto di vista sul voto elettorale tedesco.

© Riproduzione riservata 25 settembre 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/09/25/news/di_maio_milano_codice_di_comportamento-176470518/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P3-S1.8-T1

Arlecchino:
Luigi Di Maio, sotto la cravatta niente
Si candida a governare l'Italia per conto dei 5 stelle. Ma parole, opere e omissioni degli ultimi anni ne svelano l'inconsistenza

26 settembre 2017

Panorama News
Luca Maurelli

Contro la minaccia terroristica dell'Isis può vantare un'esperienza fondamentale: il passato da steward allo stadio San Paolo di Napoli. Sui temi economici s'è invece formato lavorando nell'azienda di famiglia (di tre dipendenti) e fondando una start up informatica che fattura meno di un ciabattino part-time. Quanto alla cultura, la credibilità gli deriva dalla lunga militanza da fuori corso alla facoltà di ingegneria prima e giurisprudenza poi: un'epopea di esami mai dati.

In politica il pedigrèe è ancora più prestigioso; conta ben 266 voti totali, così distribuiti: 77 alle comunali di Pomigliano (parenti compresi), 189 alle parlamentarie grilline (idem). Insomma, Luigi "Giggino" Di Maio è forte di un curriculum impareggiabile. Al ribasso, va da sé. La (presunta?) inadeguatezza del ragazzino di Pomigliano d'Arco è il tema politico del momento.

Il pupillo di Beppe Grillo si candida infatti a governare l'Italia e - si spera - anche l'italiano, una lingua a lui ostile fin dalla sua prima uscita pubblica, cioè in un video del 2010 nel quale si presentava inciampando su un "che eravamo" al posto di un "che fossimo". Robetta.

Più avanti avrebbe fatto peggio con tre memorabili tentativi di azzeccare il congiuntivo giusto - "che spiano", no; "che spiassero", no; "che avessero spiato" - in un solo tweet di 140 battute. Esperienze fantozziane ripetute più volte, di cui c'è ampia traccia sul web.

È anche così che negli anni il Movimento ha disperso il patrimonio iniziale di simpatia anche da parte del mondo imprenditoriale. Sarà un caso, ma dalla convention di Ivrea di aprile 2017 a quella del 22 settembre a Rimini, il M5s ha perso il suo tesoretto di finanziatori più o meno occulti. Alla vigilia dell'appuntamento romagnolo, Grillo è stato finanche costretto a lanciare un appello "col cuore in mano" per chiedere soldi ai suoi sostenitori.

Gli imprenditori, infatti, non scommettono più sui grillini al governo. E forse proprio perché c'è lui, il bel pasticcione tutto sorrisi e scivoloni, anche personali: come la gaffe sulla sua laurea mancata, "che non ho preso per non approfittare del mio ruolo da vicepresidente della Camera".

Sul fronte accademico Giggino si era già segnalato per la figuraccia dell'8 maggio 2017 alla Harvard University di Boston, aperta da uno strafalcione in inglese alla Totò e Peppino - "First of us" invece che "first of all" - seguita dai sorrisini per l'esposizione della bizzarra tesi sulla questione siriana "su cui far intervenire paesi come Venezuela e Cuba". Avanti popolo alla riscossa...

Sul fronte internazionale, nell'estate del 2017 si è fatto conoscere anche dai francesi (costretti a smentire una sua millanteria su una sollecitazione per l'invio di aerei antincendio nella fase dell'emergenza), dai rumeni indignati per la frase sul "40 per cento di loro che arrivano in Italia con un passato da delinquenti" e per un incidente con Israele, accusato - nel 2016 - di ostacolare l'ingresso di una delegazione grillina a Gaza.

Resta agli atti anche l'uscita contro Matteo Renzi, paragonato "a Pinochet in Venezuela". Cile, gli fecero notare persino i suoi fan. Non è andata meglio con la declinazione dei suoi ispiratori politici: prima Enrico Berlinguer e poi Giorgio Almirante; quindi, dopo le proteste a 360 gradi della base, un tentativo di ripiegamento sull'evergreen Sandro Pertini, sul cui confronto la rete s'è sbellicata a lungo

Come per la gaffe sullo "psicologo Gallini", confuso con il noto sociologo Luciano Gallino, oppure quella sui parlamentari coni vitalizi d'oro quando Di Maio inserì "un certo Boneschi" nell'elenco. Peccato che Luca Boneschi fosse morto da tempo.

Sul fronte fotografico, si passa dai selfie (a sua insaputa, per carità) col parente di un boss dei Casalesi, alle immagini su Vanity Fair in pose da divo di Hollywood, con tanto di vanterie sessuali.

E se del narcisismo di Di Maio si può sorridere, la gaffe sui malati di tumore, invece, nel luglio 2016, fu pesantissima: denunciò "la lobby dei malati di cancro" quasi fosse un'associazione a delinquere.

Anche sul piano politico, però, c'è poco da scherzare. Da quando Di Maio è stato nominato responsabile degli Enti locali, se ne sono viste di tutti i colori, dal caso Quarto - dove avallò liste poi scopertesi inquinate dalla camorra e prendendo le distanze dalla sindaca Rosa Capuozzo soltanto dopo averne difeso l'operato - all'apocalisse delle ultime amministrative: il flop di Parma, la spaccatura di Genova, le liti di Milano, gli scandali siciliani.

A Roma il disastro della giunta Raggi è in gran parte riconducibile proprio al suo tutoraggio all'amica Virginia, sindaca di una giunta costellata di nomine di inquisiti, dimissioni, inchieste e veleni. Ecco: il 6 settembre 2016 Giggino addirittura dichiarò di non aver saputo leggere la mail che lo informava dell'indagine a carico dell'assessore Paola Muraro. Un'altra perla per il ragazzo che vanta di avere grande esperienza nel settore informatico. Ma che ha problemi con la posta elettronica.

© Riproduzione Riservata

Da - http://www.panorama.it/news/politica/luigi-di-maio-sotto-cravatta-niente/

Arlecchino:
La resa di Grillo, spaventato dalle cause: offre agli espulsi il rientro e la candidatura
E alla Camera il M5S cambia idea sull’articolo 18 e tronca l’asse con i bersaniani

Pubblicato il 11/11/2017 - Ultima modifica il 11/11/2017 alle ore 11:13

ILARIO LOMBARDO
ROMA

L’epuratore Beppe Grillo ha ceduto. Gli espulsi possono rientrare nel M5S. Meglio così, avrà pensato il comico, meglio mettere un argine prima del tempo alla valanga di ricorsi che da due anni puntano dritto verso la casa di Sant’Ilario. Grillo, d’accordo con Davide Casaleggio, ha dato mandato all’avvocato Paolo Morricone di proporre una transizione ampia agli ex iscritti napoletani che in massa furono messi alla porta dal Movimento. Bastò una banalissima email, una comunicazione simile a quella che si invia per disdire un abbonamento telefonico. 

Un affronto considerato poco dignitoso e illiberale dai ventitré attivisti napoletani, che li ha convinti a intraprendere una battaglia legale che si protrae da oltre un anno sotto la guida dell’avvocato Lorenzo Borrè, ormai un vero e proprio sinonimo di grane giudiziarie per Grillo. Nel luglio 2016, la prima sentenza conferma che le espulsioni sono irregolari e ordina con provvedimento cautelare il reintegro degli attivisti. I giudici accolgono la tesi dei ricorrenti, secondo i quali il regolamento del 2014 che dà potere di espulsione al capo politico è illegittimo perché non ratificato dall'assemblea degli associati (gli iscritti in Rete) «come previsto per ogni decisione - sostiene Borrè - dall’originario non-statuto, datato 2009 e voluto da Gianroberto Casaleggio». 
 
Passato oltre un anno, come raccontato dal Corriere del Mezzogiorno, l’avvocato Morricone ha formulato una proposta per attuare il reintegro e chiudere la faccenda. L’ipotesi di transizione, formalizzata davanti al giudice civile in camera di consiglio, prevede il rientro degli attivisti, il pagamento delle spese legali (circa diecimila euro) e la garanzia di poter partecipare alle primarie per le candidature alle prossime politiche. Un posto, o quasi, in lista che in realtà è semplicemente conseguente alla loro riabilitazione. Sembrerebbe una vittoria su tutti i fronti. E invece non è così. 
 
Il gruppo dei ricorrenti si è spaccato: in quindici hanno accettato la transizione, una soluzione considerata minimalista da Borrè che per questo ha rinunciato al mandato di difenderli. Gli altri - che l’avvocato continua ad assistere - non si accontentano: un gruppo di cinque chiede anche l’annullamento del regolamento, mentre due non intendono rinunciare all’invalidazione delle primarie napoletane del 2016 da cui si considerano «illegittimamente esclusi». «L’unica transizione possibile per i miei assistiti ci sarà quando il M5S riconoscerà nullo il regolamento del 2014 - spiega Borrè alla Stampa - È il vero campo di battaglia. Ma Grillo e Casaleggio sanno che se cade quello cade tutto l’impianto». Perché tutti i provvedimenti di espulsione e le decisioni calate dall’alto si fondano su quel codice. 
 
In attesa di future e ancor più radicali retromarce, quello di Napoli, però, resta un precedente importante. Perché, alla luce di ricorsi del genere che si sono moltiplicati in altre città italiane, rivela i timori giudiziari e i ripensamenti di Grillo su regole già più volte modificate.
 
Nessuna paura, invece, sembrano avere i grillini guidati da Luigi Di Maio in Parlamento. Nessuna paura di troncare, addirittura con due post sul blog di Grillo, ogni ipotesi di asse con Mdp e Sinistra italiana. Il primo post serve a chiarire che non ci saranno alleanze né con la sinistra né con la Lega e che il M5S correrà da solo. Il secondo attacca la legge sul ritorno dell’articolo 18 proposta da Mdp-Si in commissione Lavoro. Strano, perché qualche deputato grillino aveva assicurato ai bersaniani di volerla votare. La legge, a quanto si apprende, avrebbe però creato una spaccatura dentro il M5S perché introdurrebbe l’articolo 18, quindi il reintegro in caso di licenziamento, anche per le aziende sotto i 15 dipendenti, che in Italia sono la maggioranza e per cui già secondo i vecchi criteri è previsto solo l’indennizzo. 
 
Per un gruppo di deputati del nord-est, soprattutto veneti, e per lo stesso Di Maio, la soluzione offerta dalla sinistra è un colpo alla piccola e media impresa. Una categoria a cui il candidato premier del M5S, seguendo le indicazioni di Casaleggio padre, vuole dare garanzia di ascolto, anche per soffiare voti ai leghisti. «Nessun soccorso rosso» ribadisce il M5S che si becca dell’«utile idiota del sistema» da un deluso Nicola Fratoianni, leader di Si: «Usano le stesse argomentazioni di Silvio Berlusconi. E sui diritti dei lavoratori sono come Renzi». 

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Da - http://www.lastampa.it/2017/11/11/italia/politica/la-resa-di-grillo-spaventato-dalle-cause-offre-agli-espulsi-il-rientro-e-la-candidatura-W0QuFx7Zo0ZPyHfnVPQa5L/pagina.html

Arlecchino:
Di Maio: il contratto della Raggi io di sicuro non lo firmerò
Pubblicato il 18/11/2017 - Ultima modifica il 18/11/2017 alle ore 07:33

LUIGI DI MAIO

Gentile Direttore,
l’articolo di Federico Geremicca mi offre l’occasione per chiarire alcune questioni che mi stanno particolarmente a cuore. Credo che l’opinione pubblica italiana non abbia voglia di essere rassicurata, ma piuttosto senta l’esigenza di essere informata in maniera chiara su cosa faranno il MoVimento 5 Stelle e il suo candidato premier se tra pochi mesi dovessimo vincere le elezioni e andare a Palazzo Chigi.
 
Non firmerò nessun contratto, renderò conto del mio operato solo ai cittadini, quelli che ci avranno votato ma anche quelli che non saremo riusciti a convincere, e l’unico stella polare da seguire sarà il programma del MoVimento 5 Stelle. Ma mi lasci anche aggiungere che il codice di comportamento firmato da alcuni dei nostri eletti non è mai stato inteso come una restrizione della loro libertà d’azione, ma piuttosto come una garanzia per gli elettori: in quel codice, di fatto, c’è scritto che il mandato dei cittadini non deve essere tradito e che non sono ammessi cambi di casacca. È uno strumento che abbiamo utilizzato per ribadire questo concetto, ma un punto del nostro programma è l’introduzione del vincolo di mandato: chi tradisce il patto con gli elettori non manterrà la poltrona passando ad un’altra forza politica, ma andrà a casa. 
 
Noi sicuramente abbiamo commesso degli errori, ma fino ad oggi abbiamo sempre fatto ciò che avevamo promesso. Il taglio dei nostri stipendi e la rinuncia a privilegi della politica e ai rimborsi elettorali non sono slogan, sono promesse che abbiamo mantenuto e che misurano la forza della nostra coerenza in un momento storico in cui la politica italiana offre personaggi come Renzi, Berlusconi e Salvini che hanno promesso cose che poi non hanno mai fatto.
 
Insisto sul nostro programma perchè è su questo che chiederemo alle altre forze politiche di sostenere il nostro governo, nel caso in cui ricevessimo dal presidente della Repubblica il mandato a formarne uno. Queste cose le ho spiegate anche ai miei interlocutori americani incontrati a Washington. È stato un viaggio molto importante. Ho trovato disponibilità, curiosità e attenzione per le nostre proposte. Non sono andato negli Usa per convincere o rassicurare, mi stava a cuore solo che ci conoscessero per ciò che siamo davvero, al di là dell’immagine che molta stampa italiana vuole per forza cucirci addosso. 
 
E credo che da oggi abbiano un’idea chiara della nostra sensibilità politica, che ci spinge a risolvere il problema di chi non arriva a fine mese o ha un lavoro precario o una pensione da fame, attraverso la nostra proposta di reddito di cittadinanza, ma anche a rilanciare e sostenere le nostre imprese, superando i vincoli imposti dall’Europa e facendo deficit per tagliare loro le tasse sul modello della riforma fiscale di Trump. Ho condiviso con loro il nostro modello di Smart Nation, che punta sullo sviluppo dell’innovazione tecnologica e delle auto elettriche, ho annunciato che investiremo più risorse nella ricerca e nella scuola, e non ho avuto timori nel dire che il Movimento 5 Stelle considera fondamentale la tutela dell’ambiente e punta sulle energie rinnovabili; Mi piacerebbe che anche in Italia, in vista delle prossime elezioni, il dibattito politico si concentrasse sui temi concreti.

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Da - http://www.lastampa.it/2017/11/18/italia/politica/di-maio-il-contratto-della-raggi-io-di-sicuro-non-lo-firmer-bV7H1SoQLEKxNzAMNo4h7J/pagina.html

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