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Autore Discussione: ANIELLO NAPPI La specializzazione non va considerata un valore esclusivo  (Letto 2617 volte)
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« inserito:: Gennaio 07, 2012, 10:25:00 pm »

3/1/2012 - DIBATTITO SUL RUOLO DEI MAGISTRATI

La specializzazione non va considerata un valore esclusivo

ANIELLO NAPPI*

Caro Direttore, Vorrei intervenire nel dibattito apertosi in seguito all’editoriale di Vladimiro Zagrebelsky sulla temporaneità degli incarichi, e quindi anche delle specializzazioni, in magistratura.

Credo che questa temporaneità, imposta oggi dalla legge, non tenda solo a prevenire le degenerazioni del costume evocate anche dall’avv. Spigarelli, ma risponda soprattutto all’esigenza di sottrarre al rischio di una sclerosi culturale, da immobilismo professionale, chi svolge un lavoro che richiede elasticità e disponibilità all’ascolto.

Questo è vero non solo per i giudici, che non hanno obiettivi investigativi da perseguire, ma anche per i pubblici ministeri, perché il lavoro funzionale all’esercizio della giurisdizione richiede sempre capacità di comprensione del significato sociale di comportamenti umani, spesso marginali. I magistrati sono interpreti di norme e fatti, non debbono costruire complesse teorie scientifiche né realizzare programmi di controllo sociale. E l’interpretazione richiede una sensibilità culturale che può essere acquisita, e mantenuta, solo con la ricchezza e varietà delle esperienze professionali.

La specializzazione non può essere dunque considerata quale valore esclusivo e assorbente nella disciplina della mobilità dei magistrati.

Del resto, se la specializzazione avesse una rilevanza assoluta, non ci sarebbe ragione di opporsi alla separazione tra la carriera dei requirenti e quella dei giudicanti, posto che proprio questa è la principale specializzazione nel lavoro giudiziario.

In realtà si ha l’impressione che l’evocazione di valori contrapposti, ora quello della specializzazione ora quello dell’unitarietà culturale della giurisdizione, nasconda talora la pretesa «sindacale» di garantire comunque a ciascun singolo magistrato un’incondizionata libertà di scelta della propria destinazione professionale.

La disciplina della mobilità dei magistrati deve invece contemperare le pur legittime aspirazioni dei singoli con le esigenze di funzionalità e affidabilità dell’istituzione giudiziaria. E infatti la disciplina vigente prevede anche termini minimi di durata degli incarichi; ma come per quelli massimi, si ha difficoltà a farli rispettare. In particolare, quando si tratti di incarichi direttivi, il Csm non riesce a imporne un’adeguata durata minima ai magistrati che aspirino a incarichi di maggiore responsabilità o prestigio. Eppure è indiscusso sia che la direzione degli uffici richiede anch’essa una specializzazione adeguata sia che la mobilità non deve risolversi in danno dell’efficienza del sistema.

Molti anni fa dalle pagine di questo stesso giornale Luigi Firpo dedicò uno dei suoi «cattivi pensieri» appunto a chi, per gli eccessi di specializzazione, finisce per sapere «tutto di nulla».

Come ha ben chiarito Zagrebelsky, quello della specializzazione è certamente un criterio fondamentale per una corretta organizzazione degli uffici giudiziari. Occorre evitare che diventi un’ideologia, impiegata per dissimulare interessi corporativi.

* Membro del Csm

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9606
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