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I limiti della libertà d’espressione: una prospettiva giuridica

by Domenico Birardi18/09/2023

Oggi la libertà d’espressione non ha un solo limite, ma una molteplicità di limiti. Sono molti gli esempi contemporanei che lo dimostrano: la fatwa nei confronti di Salman Rusdhie dopo la pubblicazione de “I versi satanici“; la vicenda WikiLeaks e l’arresto di Julian Assange dopo la pubblicazione dei documenti che accertavano le nefandezze compiute dagli USA in Iraq; la fuga da Napoli di Roberto Saviano dopo la pubblicazione di “Gomorra“; e, da ultimo, i fatti svedesi e la denuncia per incitamento all’odio indirizzata a Salwan Momika dopo l’incendio del Corano. Sono certamente casi diversi per natura, caratteristiche e contesti, ma uniti da un unico fil rouge: la censura della libertà d’espressione da parte di un potere costituito.
Su queste pagine ha sollevato un importante interrogativo Simone Conversano: «esistono dei criteri rigorosi per delimitare universalmente e ragionevolmente certe libertà?». Questi limiti possono (e devono) essere individuati attraverso un’analisi etico-normativa che abbia la particolare premura di individuare le libertà e i diritti riconosciuti in un dato ordinamento costituito nella loro condizione d’insieme, sistematica. Il criterio che deve orientare le analisi di questo tipo non può essere quello astratto dell’etica, bensì quello pragmatico della sostenibilità dell’ordinamento e della effettività del diritto. In altri termini, è più che mai utile lavorare sulla politica del diritto e individuare i perimetri di operabilità della libertà d’espressione nello scenario a cui si fa riferimento.

La libertà d’espressione in Svezia
Venendo al caso specifico trattato da Conversano, si può incominciare col dire che la Svezia è uno dei Paesi in cui la libertà d’espressione viene tutelata con maggiore attenzione. La classifica presente nel rapporto del 2023 curato da Reporter Senza Frontiere indica come la condizione di libertà d’espressione della stampa italiana (41° posto su 180) sia lontana anni luce dalla condizione svedese (3° posto). La costituzione svedese, facente parte delle cosiddette “costituzioni nordiche”, ha una supremazia sulla legge ordinaria approvata dal Parlamento (Riksdag), e riconosce in maniera più che garantista la libertà d’espressione, tanto da dedicare alla materia una delle quattro leggi fondamentali [1].
La legge fondamentale sulla libertà d’espressione, emanata nel 1991 e poi emendata nel 2002, definisce la libertà di espressione relativamente a tutti i media, contenendo disposizioni sulla libera diffusione di informazioni, nonché sul divieto di censura. Eloquenti, a questo riguardo, sono le norme contenute nel secondo comma della Sezione prima, Capitolo primo:
Lo scopo della libertà di espressione secondo questa Costituzione è quello di garantire un libero scambio di idee, un’informazione libera ed esauriente e una libera creazione artistica. In esso non possono essere previste altre restrizioni oltre a quelle che derivano da questa Costituzione [2].

E ancora il criterio interpretativo contenuto nella Sezione quinta:
Chiunque debba giudicare l’abuso della libertà di espressione o comunque monitorare il rispetto di questa Costituzione dovrebbe considerare che la libertà di espressione è il fondamento di una società libera. Dovrebbe sempre prestare attenzione allo scopo più che al metodo di presentazione. Se ha dei dubbi, dovrebbe preferire proporre piuttosto che intrappolare.
Sebbene la libertà d’espressione rappresenti uno dei pilastri della cultura giuridica svedese, anche la Legge fondamentale che la riconosce ne dispone dei limiti. Sono legittimi, ad esempio, gli «interventi contro la continuazione della trasmissione di programmi che mirano a rappresentazioni di violenza, immagini pornografiche o incitamento contro gruppi etnici». Seguono poi limitazioni relative a programmi che violino la concorrenza, o che non permettano accessibilità alle persone con disabilità funzionali, o ancora che non garantiscano un’influenza degli spettatori sulla scelta dei programmi. Come è facile riscontrare, nemmeno nella costituzione svedese la libertà d’espressione è assoluta: essa in realtà soggetta a delle limitazioni di vario genere. E la ragione è presto detta: anche se la libertà d’espressione viene considerata un diritto fondamentale universalmente, essa non opera in solitudine all’interno dell’ordinamento giuridico, e deve confrontarsi con altre pretese di libertà (o di diritto) che potrebbero essere lese da un suo dispiegamento assoluto e irrefrenabile.

Le vere ragioni alla base della questione svedese
Ma siamo davvero certi che le azioni compiute dalle autorità svedesi a seguito della manifestazione di Salwan Momika avessero l’obbiettivo di salvaguardare l’esercizio di altre libertà?
La bestemmia, che sia pronunciata in uno Stato laico o in uno Stato teocratico, non lede la libertà di religione, piuttosto lede l’integrità del potere religioso, lo vilipende. A seconda dei principi fondamentali dell’ordinamento, la bestemmia può essere riconosciuta come una declinazione della libertà d’espressione, e perciò difesa e protetta, oppure come un vilipendio alla religione (di solito di Stato). Anche il codice penale italiano prevedeva il reato di vilipendio della religione di Stato (oggi non più in vigore), ma questo nulla aveva a che vedere con la libertà religiosa.
D’altronde non tutte le pretese avanzate possono essere considerate degne di tutela. Nei limiti della ragionevolezza è bene considerare, secondo un criterio etico-normativo, che ci sono pretese che possono trovare cittadinanza nel nostro ordinamento e altre che devono rimanerne fuori. La razionalità astratta del principio di non aggressione (NAP), propugnata da Rothbard e Nozick e richiamata da Conversano, si dimostra evidentemente inadeguata ad un’applicazione pratica. La ragione principale è una: bisogna prima individuare un metodo e una gerarchia che stabilisca quali rivendicazioni possano essere legittime e quali no. Altrimenti si rischia una parossistica entropia in cui tutte le libertà si annullano a vicenda, lasciando spazio solo all’esercizio di un potere normativo piatto e paralizzato. Servono cioè dei principi fondamentali, di portata generale, che definiscano una eticità di base, aprioristica e non contestabile (i diritti umani ne sono un esempio), e una procedura che permetta di limitare il numero delle rivendicazioni legittime (il principio democratico, ad esempio).
L’integrità del potere religioso in un ordinamento tendenzialmente laico come quello svedese non può evidentemente trovare cittadinanza. E quindi la bestemmia diventa un atto non penalmente rilevante, né sanzionabile in altri modi. La bestemmia in Svezia è quindi una libertà e come tale non può essere ostacolata, salvo i casi previsti dalla Costituzione.

Se non è per tutelare la libertà religiosa, perché allora una parte della popolazione svedese, Governo compreso, si dimostra contraria ad un atto legittimo? Le ragioni sono da ritrovare nello scenario geopolitico contemporaneo, nel tentativo della Svezia di entrare a far parte della NATO e, soprattutto, nel veto posto dalla Turchia. In altri versi, le ragioni che portano al tentativo di censurare gli atti di Salwan Momika attengono alla ragion di Stato machiavellica, evidentemente indirizzata a salvaguardare la sicurezza svedese attraverso l’ingresso nella NATO.

L’irriducibile discrezionalità del potere
Il potere svedese quindi opera una certa (apparente) forzatura della Costituzione, al fine di garantire la riuscita di strategie governative ritenute necessarie a salvaguardare la sicurezza del Paese. Se in termini etico-analitici questo può sembrare riprovevole e illiberale, nella pratica gestione politica dello Stato diventa indispensabile. Esempi di una prassi analoga possono essere riscontrati nelle misure applicate durante la pandemia da COVID-19 o nelle norme previste per tutelare il segreto di Stato. E sono tutte norme volte a garantire (ad eccezione del caso WikiLeaks) interessi ritenuti maggiormente meritevoli di tutela (salute pubblica, equilibri internazionali, interessi economici strategici, eccetera).

In conclusione, si potrebbe affermare che è essenziale che tutte le libertà, comprese quelle fondamentali, siano relative (e che non lo sia solo la questione etica dei limiti da porre alla libertà d’espressione), perché l’assoluto può esistere solo nella religione, nel comunismo e nel wokeismo. La relatività di  tutti i principi non equivale alla loro discutibilità, bensì alla flessibilità che ogni norma deve avere al momento della applicazione in una realtà complessa. Tutte le norme devono, per esser tali, tendere all’effettività, e nella gerarchia delle fonti il fine ultimo è quello di mantenere effettiva la costituzione (Grundnorm) – nel caso svedese la tutela dell’ordine costituzionale, possibile solo attraverso la sicurezza pubblica. Questa regola di base porta gli anticorpi dell’ordinamento (giudici costituzionali e governo) ad agire quando le complessità del reale pongano delle difficoltà alla operabilità del diritto.
Ogni potere, si chiami Repubblica islamica dell’Iran, Stati Uniti d’America, Camorra o Regno di Svezia, ha l’unico obbiettivo di preservare se stesso, su questo c’è poco da fare. Certo è che quando questo potere è liberale, democratico e garante della giustizia sociale, preservando se stesso preserva anche gli interessi della sua popolazione. Per farlo, però, necessita di un’irriducibile nucleo di discrezionalità che gli permetta d’operare, o meglio di rendere operabile il diritto, anche se questo espone il rispetto dei diritti individuali ad alcuni rischi. Questo è necessario, altrimenti le democrazie liberali sarebbero come dei fragilissimi vasi di porcellana: d’una bellezza invidiabile, ma incapaci di resistere al tempo e ai suoi strattoni.

[1] La Sveriges grundlagar è una costituzione pluritestuale, cioè formata da più atti normativi (Leggi fondamentali): il Successionsordningen (Atto di successione), il Tryckfrihetsförordningen (Legge fondamentale sulla libertà di stampa), il Regeringsformen (Strumento di governo) e Yttrandefrihetsgrundlagen (Legge fondamentale sulla libertà d’espressione).

[2] La costituzione svedese impedisce così che il Riksdag possa approvare delle norme che disciplinino la libertà d’espressione; l’unica procedure concessa per l’introduzione di nuove norme è la revisione costituzionale.

Da - https://www.immoderati.it/i-limiti-della-liberta-despressione-una-prospettiva-giuridica/?fbclid=IwZXh0bgNhZW0CMTEAAR3xG4C97e81bUd1zaq1wct5azv1douWBYTpslYkJX2zFYbg8gQqgZDkvgg_aem_AT6J2PzPchnKA1jClMtyUgnT3F8kG8uRsz9xnegWfHmyiqS6Dru1Fz-DmkvSB3a45TWL7DpjQ9yJ_RGIayctt-iF

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 inserito:: Oggi alle 12:40:33 am 
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Gianni Gavioli
Amministratore

Nel treno delle Culture Occidentali, sul fondo di uno dei tantissimi vagoni, accasciati quasi tutti da problemi di sopravvivenza ricca di creatività, viaggiano immaginando lunghe distanze e librerie piene delle loro creazioni, nate e vissute "secondo senso e non secondo ragione, a guisa di pargoli" (Dante) gli editori e i loro libri stampati.

Pensano di viaggiare, questi Seminatori di Cultura Indipendenti, quindi liberi e piccoli dal punto di vista economico, come si addice a Imprenditori delle periferie, lontane dalle serre super dotate e attrezzate, dove fetono le raccomandazioni dei centri di potere.
Lo pensano, dal loro primo libro, di viaggiare grazie e per, i loro libri prodotti e poco venduti, ma in realtà sono fermi da sempre.

Io penso che se l'Olivo Policonico si farà, una delle prime cose di cui ci si dovrà occupare, sarà ridare alla Cultura più dello spazio che Interessi di bassissimo livello etico, sociale e politico hanno falcidiato.

Gli Editori Indipendenti e i loro Autori saranno tra i primi, su quel treno del rinnovamento, a dover essere aiutati a s . . . salire.
ggiannig

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 inserito:: Maggio 30, 2024, 05:28:17 pm 
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Clelia Vanna Buonaiuto

Si, i luoghi, le persone, ci riconosciamo tutti in quei giorni terribili, vissuti come in un incubo. Al Comune fummo tutti precettati, da subito. Io non ho fatto ritorno a casa se non dopo più di un mese, solo per fare una doccia. Sono stata notte e giorno presso il centro di accoglienza dove arrivavano le persone per essere assistite in qualsiasi modo, molti arrivavano seminudi e senza neanche le scarpe, alcuni venivano trasportati con le jeep dei soldati, altri da elicotteri che per giorni lavorarono per recuperare i sopravvissuti. Ogni giorno, insieme con i soldati andavo a portare l'acqua ai volontari, arrivati da tutta l'Europa, che scavavano anche con le mani pur di fare presto. Erano passati tre anni da quando avevo redatto il Piano di Protezione Civile e, come una nuova Cassandra si avverò tutto, le frane si verificarono negli stessi punti descritti nel Piano, con tutte le peggiori conseguenze per le vittime e i sopravvissuti. Ma nessuno avrebbe potuto immaginare tanto, nessun giudice può addossare colpe di fronte a fenomeni del genere, che stranamente, dopo si verificarono in
più parti del mondo. Sarno diventò un esempio, un apripista per cominciare a parlare più fortemente della tutela dell'ambiente e della terra. Sono passati 26 anni e io ancora non riesco ad addormentarmi senza pensare a quei pianti ininterrotti delle persone colpite e dalle perdite subite. Ma il tempo è il nostro nemico, molti, loro malgrado, hanno dovuto superare tutto l'orrore e il dolore. Ma io credo, anzi sono sicura, che nessuno ha dimenticato.

da FB - 5 maggio 1998 le frane a Sarno.

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 inserito:: Maggio 30, 2024, 05:21:00 pm 
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Etica e morale
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Giambattista Vico (1668-1744) è stato uno dei più grandi filosofi italiani di tutti i tempi, eppure è ancora poco conosciuto e apprezzato dal grande pubblico. La sua opera più famosa, “La Scienza Nuova”, è un capolavoro di erudizione, fantasia e intuizione, in cui Vico propone una visione originale e rivoluzionaria della storia, della cultura e della conoscenza umana.
Vico fu il primo a concepire l'idea della pluralità delle culture, cioè il fatto che ogni popolo ha il suo modo di pensare, di esprimersi, di credere, di agire, che non può essere ridotto a una legge universale o a un modello razionale. Questo significa che il suo pensiero è in sé anti-totalitario, perché riconosce il valore e la dignità di ogni forma di vita umana, senza imporre una verità assoluta o una morale superiore.
Vico fu anche colui che vide i limiti del sapere scientifico, che si basa sull'osservazione e sulla misurazione dei fenomeni naturali, ma che non può spiegare il senso e il significato delle opere umane, come la poesia, la religione, il diritto, la politica. Per questo, Vico propose una scienza nuova, basata sul principio che l'uomo può conoscere solo ciò che ha fatto, cioè le sue creazioni culturali, che sono il frutto della sua fantasia e della sua ragione.
Vico fu infine colui che creò l'estetica, l'antropologia, la sociologia, la mitologia, e che anticipò molti concetti e problemi che saranno sviluppati solo secoli dopo da altri filosofi, come Kant, Hegel, Croce, Gentile, Berlin. Per questo, Vico può essere considerato un genio, un profeta, un miracolo della cultura italiana.
A rendere omaggio a questo grande pensatore è Marcello Veneziani, che ha scritto “Vico dei Miracoli”, un libro appassionato e appassionante, in cui racconta la vita e l'opera di Vico seguendo le sue tracce nei luoghi in cui visse e insegnò, a Napoli e a Vatolla, e mettendo in luce le sue intuizioni miracolose, che lo hanno reso un precursore dell'ermeneutica, della filosofia della storia, della critica della modernità.
Veneziani scrive con stile chiaro e coinvolgente, senza rinunciare alla profondità e alla competenza filosofica, e riesce a trasmettere al lettore la sua ammirazione e il suo entusiasmo per Vico, invitandolo a scoprire o a riscoprire un autore che ha molto da insegnarci ancora oggi, in un'epoca di crisi e di confusione dei valori e delle identità.
“Vico dei Miracoli” è un libro che merita di essere letto e diffuso, perché restituisce a Vico il ruolo di grande maestro del pensiero italiano, e perché ci offre una chiave di lettura della nostra storia e della nostra cultura, che non può prescindere dalla ricchezza e dalla diversità delle esperienze umane.

Marcello Veneziani, “Vico dei miracoli”
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 inserito:: Maggio 29, 2024, 11:50:21 pm 
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Benetton, il Comitato Vittime del Ponte Morandi: schifati dall’intervista al fondatore. Basta dare le colpe ai manager

Posta in arrivo

ggiannig <ggianni41@gmail.com>
mar 28 mag, 08:16 (1 giorno fa)
a me

https://www.milanofinanza.it/news/benetton-il-comitato-del-ponte-morandi-schifati-dall-intervista-al-fondatore-202405261907294874

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 inserito:: Maggio 29, 2024, 01:21:07 pm 
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Liberi Oltre incoraggia e favorisce la costituzione di gruppi locali (capitoli) al fine di diffondere i principi dell’associazione, di sviluppare il dibattito intellettuale, di promuovere il metodo scientifico e tutti gli altri scopi sanciti dallo Statuto.

REGOLAMENTO DEI CAPITOLI
     I capitoli sono organizzati su base spontanea per iniziativa di uno o più iscritti all’Associazione e la partecipazione agli incontri organizzati è libera a tutti. Possono essere creati su base regionale, provinciale o cittadina. È consentita, oltre che raccomandata, la creazione di capitoli su base interzonale
    Perché un capitolo possa essere riconosciuto è previsto che
    i) Sia composto da almeno dieci iscritti a LO
    ii) Si doti dello statuto rilasciato dall’Associazione; eventuali modifiche devono essere approvate da direttivo
    iii) Indichi un referente locale
    iv) Il referente locale indicato dal Capitolo deve essere comunicato ed approvato dal Consiglio Direttivo dell’Associazione
    v) Rinnovi le cariche con cadenza almeno pari a quella prevista per gli organi direttivi di LO
     Il Capitolo può utilizzare per la comunicazione con gli iscritti e i simpatizzanti qualunque piattaforma social; tuttavia, la raccomandazione è quella di uniformarsi alle prassi seguite dai capitolo principali per numero di iscritti e dai canali ufficiali utilizzati dall’associazione (es. Telegram)
     Il Capitolo può organizzare eventi locali, dibattiti culturali, incontri sia formali che informali. Per gli incontri formali è raccomandato che riporti le decisioni al Direttivo dell’Associazione in modo che si possa, qualora ce ne siano le possibilità, coinvolgere esponenti del direttivo stesso o esperti individuati di comune accordo
     È consentita la raccolta di fondi. I fondi raccolti per mezzo di eventi vanno versati su un conto corrente e devono essere rendicontati al tesoriere dell’Associazione. Non è consentita la raccolta di contanti né attività di commerciale. In caso di organizzazione di eventi dove è prevista la raccolta di fondi e donazioni, il capitolo è tenuto ad informare il direttivo e a versare quanto raccolto in un conto corrente
     Su richiesta del referente, il Capitolo può far ospitare sulla newsletter di LO e sul sito la pubblicità dell’evento organizzato.
     È fatto divieto di utilizzare il marchio Liberi Oltre se non sono rispettati i punti 2. e 5. L’utilizzo del marchio può essere revocato con decisione del direttivo presa a maggioranza semplice dei componenti qualora il capitolo metta in atto comportamenti non conformi ai principi elencati nello statuto, qualora intenda partecipare a competizioni politiche, qualora determini un danno reputazionale per l’associazione
     La partecipazione agli eventi in qualità di ospiti di politici locali e nazionali va concordata con il Direttivo dell’associazione. Il Direttivo è obbligato ad esprimere un parere motivato in caso di diniego dell’autorizzazione
     
    I referenti locali eletti o nominati possono far richiesta di partecipazione alle riunioni di direttivo se all’ordine del giorno c’è la discussione sulle iniziative intraprese dal capitolo, o possono chiedere al presidente dell’associazione la convocazione di un consiglio direttivo straordinario per questioni che riguardino il Capitolo stesso
   Il referente del capitolo può chiedere che venga fornito l’elenco degli iscritti alla regione o alla zona per cui è competente. Può altresì organizzare la comunicazione agli iscritti della relativa zona dandone preavviso al Direttivo o all’organo da questi designato e può fare inviti all’iscrizione e alla partecipazione al capitolo di zona. Non è consentita l’iscrizione al capitolo di zona a titolo oneroso.
    È fatto divieto al referente locale di presentarsi a cariche elettive politiche; qualora intenda candidarsi a cariche politiche decade dalla carica di referente e il capitolo elegge o nomina un nuovo referente

GRUPPI TELEGRAM GIA’ COSTITUITI
Liberi Oltre - Canale Ufficiale   Liberi Oltre (link gruppi)
Liberi Oltre - Estero   Liberi Oltre - Piemonte
Liberi Oltre - Lazio   Liberi Oltre - Bergamo
Liberi Oltre - Campania   Liberi Oltre - Abruzzo
Liberi Oltre - Basilicata   Liberi Oltre - Puglia
Liberi Oltre - Emilia Romagna   Liberi Oltre - Calabria
Liberi Oltre - Friuli Venezia Giulia   Liberi Oltre - Liguria
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da - https://www.liberioltreleillusioni.it/chi-siamo/gruppi-locali

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 inserito:: Maggio 29, 2024, 01:14:13 pm 
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Gianni Gavioli
La ricerca della PACE DEVE essere per una Pace Attiva che deve coinvolgere le popolazioni delle varie Nazioni, non soltanto i vertici.
Perché la Pace Attiva non esclude la guerra!


Infatti, ai complici di Putin nella Federazione Russa, sarà necessario far saper che se Putin vuole la guerra mondiale, per l'Occidente Democratico sarà come se la Federazione l'avesse provocata, . . . la guerra.
Basta. considerare stupidamente che il MASSACRO DELL'UCRAINA sia un a lite di condominio!!
D'ora in poi Coloro che invadono sarà invaso.
Per molti di noi, spero presto moltissimi, il riferimento per la Pace Mondiale nel NUOVO ORDINE MONDIALE sarà l'Umanità prima di tutto il resto.

IO su FB

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 inserito:: Maggio 29, 2024, 01:06:32 pm 
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Il sonno dell’Europa La Georgia, l’Ucraina e la fuga degli intellettuali
Quello che succede oggi a Tbilisi è la replica di quanto successo dieci anni fa nella piazza principale, Maidan, di Kyjiv. L’imperialismo russo stringe le maglie, ma il mondo libero pensa ad altro, e i giornali tacciono

Le straordinarie immagini della folla pacifica ed europea di Tbilisi, in Georgia, incredibilmente ignorate dalle televisioni e dai grandi giornali, sono la prova drammatica dell’ennesimo svarione morale che l’Europa e il mondo libero continuano a commettere, non riuscendo mai a imparare dal recente e tragico passato.
L’errore ricorrente è quello di trascurare il desiderio vitale dei popoli delle ex repubbliche sovietiche e dei paesi del defunto Patto di Varsavia di liberarsi dal giogo imperialista di Mosca, e di avvicinarsi ai valori europei fondati sulla democrazia liberale e sullo stato di diritto. Eppure questa che scende in piazza Tbilisi e resiste a Kyjiv è l’Europa in purezza, la definizione esatta di Occidente libero. Sarebbe sufficiente leggere i classici della letteratura ucraina, almeno quella sopravvissuta al genocidio culturale operato dai russi, dal cantico di Lesja Ukrajnka alle riflessioni del filosofo di Volodymyr Yermolenko, all’opera di Victoria Amelina. E sul perché i georgiani vogliono liberarsi dai russi basterebbe leggere la formidabile saga storica sul secolo rosso raccontata dalla scrittrice Nino Haratischwili in L’Ottava vita, un romanzo di oltre 1200 pagine edito da Marsilio.
E invece niente, il silenzio, anzi la fuga degli intellettuali dalla battaglia di idee più importante della nostra epoca. Neanche il precedente dell’invasione dell’Ucraina ha destato le coscienze europee.
Quello che sta succedendo oggi in Georgia è la replica, per il momento ancora senza vittime, ma temo ancora per poco, di quanto successo tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014 nella piazza principale, Maidan, di Kyjiv. Allora gli ucraini scesero in piazza, sventolando le bandiere europee, per protestare contro il presidente Yanukovych, un fantoccio del Cremlino, che aveva rinunciato a firmare, su ordine di Mosca, gli Accordi di associazione dell’Ucraina con l’Unione europea.
Oggi, a Tbilisi, i georgiani riempiono le strade della capitale per protestare contro la cosiddetta “legge russa” imposta dal partito di governo, il cui nome orwelliano è “Sogno georgiano” mentre quello reale è “Incubo russo”, che reprimerà il dissenso interno e limiterà il raggio d’azione dell’opposizione. Putin ha ordinato il passaggio di questa legge non solo per reprimere la libertà di espressione, ma soprattutto perché sa benissimo che, adottando questa legge liberticida, la Georgia non potrà entrare in Europa, per ragioni evidenti di violazione dei diritti politici in una società democratica, da qui le proteste della popolazione civile che da settimane riempie le piazze della capitale senza riuscire a fare notizia in un’Europa che non vuole parlare di altri potenziali conflitti a un mese dal rinnovo del Parlamento europeo.
A Maidan, gli ucraini riuscirono a far dimettere il presidente fantoccio di Putin, al costo di decine e decine di vittime civili, e il Cremlino rispose occupando illegalmente la Crimea e due regioni dell’est ucraino nell’indifferenza generale del mondo libero, che poi otto anni dopo, il 24 febbraio 2022, si è stupito che la concessione territoriale alla Russia non avesse saziato gli appetiti imperialisti di Mosca.
Che tutto ciò non sia sulle prime pagine dei giornali né argomento principale della campagna elettorale europea è incredibile, ma c’è un’altra questione che su Linkiesta, da soli, abbiamo più volte sottolineato: l’assoluta apatia della popolazione russa, l’assenza di una collera di massa dei cittadini russi, limitatasi a cinque minuti di proteste contro la guerra e a mezza giornata di omaggio alla salma di Navalny.
E non raccontiamoci che fare opposizione in Russia è pericoloso, intanto perché le proteste russe non si vedono nemmeno tra la diaspora russa in Occidente (con eccezioni che si contano sulle dita di una mano, come la “russa libera” Maria Mikaelyan, che però è di origine armena, oggi candidata alle Europee con Renzi e Bonino nel nord-ovest).
Il governo georgiano non è così repressivo come quello russo, d’accordo, ma solo perché i georgiani sono sempre scesi in piazza a difendere la libertà e non hanno permesso a nessun governo di trasformarsi in quello che oggi è il Cremlino, esattamente come è successo in Ucraina con le proteste civili di Maidan. Al contrario, la passività russa ha permesso a Putin di diventare un dittatore sanguinario.
Andate a raccontare ai resistenti ucraini il pericolo che si corre a opporsi alla violenza russa, o ai commoventi georgiani che coraggiosamente sfilano per le vie di Tbilisi.

Da – l’Inchiesta


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 inserito:: Maggio 29, 2024, 01:04:34 pm 
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Post della sezione Notizie


Davide Castiglione

Propongo un secondo carotaggio - da sciacallo d'argomenti quale sono - nella polemica poetica recente, ormai così nota nella piccola bolla che quasi non occorre fare nomi.
Se nel post precedente riflettevo sulla natura bifronte del non-intervento, e se il tema andava ricondotto a dinamiche di psicologia e interazione sociale (o social, dove la scomparsa dello pseudoprefisso -e ironicamente andrebbe a indicare un possibile prefisso e-, che sta per 'elettronico', come in e-mail: 'social' sarebbe più correttamente comprensibile come 'e-sociale'), ora mi preme invece calarmi nel nodo accademico-metodologico del contendere - quello oscurato del tutto da una battuta sessista. Il nodo è questo, si articola in almeno due punti e a breve spiegherò perché mi tocca da vicino:
1. l'accusa o perplessità o ammonizione (non riesco a poggiarmi su una sola scelta paradigmatica senza far torto alle sfumature dei commenti) che nell'intervento di Francesco Brancati non figurassero nomi di autrici e
2. il rischio polarizzante-riduttivista (se non persino conservatore-reazionario, a livello di implicazioni politiche) di ricondurre le scritture ai generi (questa, se ricostruisco bene da alcuni commenti di Renata Morresi, la vera ammonizione, da prendere sul serio alla luce dei gender studies)
Quello che dirò qui riprende e rielabora un bel commento di Erardo Gliandoli nei commenti al mio post precedente: ogni convergenza è non solo voluta ma reale, per palingenesi più che per adesione post-hoc. Premetto che ci sono moltissimi livelli in questo nodo-ginepraio, livelli che non mi pare siano emersi esplicitamente nel dibattito. Cerco di esplicitarli qui.
a) Esiste, sul lato metodologico, anzitutto un problema epistemologico di 'operazionalizzazione':
concetti/fenomeni/costrutti/entità quali quelli di attitudine etica (il punto di partenza nello studio di Francesco) e di genere (e in misura forse minore di 'sesso', e comunque punto di arrivo, o meglio conseguenza osservata nello studio di Francesco) sono complessi, proprio nel senso tecnico di non essere atomici: sono multidimensionali, stratificati, per cui occorrerà (nel saggio, non certo in un post fb!) operazionalizzarli, ovvero definirli in maniera articolata, onde garantire la verificabilità degli assunti di partenza e di arrivo. Avendo io per anni lavorato su costrutti multidimensionali quali difficoltà, empatia e saggezza, credo di poterne dire qualcosa.
b) sempre sul lato metodologico, esiste una gerarchia di precedenza, e quindi di enfasi procedurale:
il fattore dell'attitudine etica pesa più che quello sul genere, semplicemente perché la ricerca è costruita in modo che, formalizzando un po', l'attitudine etica è l'explanandum, la cosa da spiegare, e il genere uno dei possibili explantia, cioè uno dei possibili fattori che spiegano/spiegherebbero i risultati. Questa gerarchia non è assiologica, non riflette cioè consapevolmente una scala di valori, ma è un semplice prodotto del metodo di ricerca (che poi sia assiologica a livello 'latente', cioè a livello della scelta di explanandum ed explanans, è un altro discorso, e diventa un discorso di critica cultural-ideologica del metodo scientifico). Tanto è vero che sarebbe possibile, in un tipo diverso di ricerca, invertire le parti, e indagare per esempio se esista una correlazione tra genere e postura etica, e non tra postura etica e genere. Com'è ovvio, invertire la variabile dipendente e quella indipendente in uno studio è rivoluzionare lo studio, l'ordine è significativo come nella lingua e non come nelle sommatorie dove 4+1 è equivalente a 1+4.
c) la critica letteraria autentica è per sua natura induttivista, non parte con degli apriori:
se formula leggi generali (come nell'ambito di poetica e semiotica), lo fa partendo dalla lettura di un bacino o dataset di testi. Francesco, da lettore specialista qual è, ha formulato-proposto un'ipotesi, che, come tutte le ipotesi, è un qualcosa da sottoporre all'interrogazione dei dati (e della loro interpretazione) ed eventualmente da affinare o confutare (se scrivo come un seguace di Popper, è perché lo sono, e lo ero ante-litteram anche prima di leggerlo). Ciò che conta, dunque, oltre all'operazionalizzazione dei concetti di cui ho discusso in a), e della 'sintassi' della formula di ricerca discussa in b), è che il dataset in c) sia il più possibile differenziato, tale da riflettere con buona approssimazione la biodiversità delle scritture esistenti. Francesco si è mostrato apertissimo a suggerimenti e integrazioni, e (giustamente, credo, per quelle che sono le mie conoscenze) solo i nomi di Valentina Murrocu e di Claudia Crocco sono stati suggeriti, in base all'esplicitazione delle premesse di cui al punto a).
d) la scrittura creativa non è per sua natura determinista ma probabilista, il suo modello non è la fisica classica ma la sociologia o l'economia.
Pertanto, l'inferenza, che so, 'le donne/gli uomini non scrivono così' è assurda, quasi quanto la variante fatalista 'le donne/gli uomini non possono scrivere così'. Va riformulata, come mi pare Francesco abbia fatto, in termini probabilistici: 'esiste una tendenza più forte negli autori di sesso maschile (dove non si dia iato fra sesso e genere) a scrivere con questa attitudine, rispetto alle autrici, o a chi comunque non si identifica nel paradigma dell'uomo bianco cis-gender rappresentato dagli autori presi in esame'. Parlare di tendenze è diagnostico, ma non esclude la possibilità di controesempi, proprio perché il controesempio invalida solo le leggi scientifiche.
Non ha senso, per confutare la proposta, fare nomi di autori uomini che scrivono diversamente, o di autrici donne che scrivono in maniera simile. Il paradigma è quello probabilista, non quello determinista.
e) resta il problema delle conseguenze 'politiche' dei risultati o perfino delle premesse,
ovvero, del rischio che una descrizione dell'esistente possa scivolare in una prescrizione dell'esistente. Questo rischio non dovrebbe però limitare a monte la libertà di ricerca, non dovrebbe insomma agire come un'autocensura preventiva. Immaginiamo che il team di un politico neo-fascista si ispiri, per scrivere i discorsi del proprio candidato, a studi che analizzano retoricamente le strategie discorsive dei candidati avversari: dovrebbero forse i linguisti sentirsi corresponsabili di conseguenze al di fuori del proprio controllo? Dovevano preventivamente autocensurarsi? No, perché ricercare è la loro professione, e qualsiasi prodotto della ricerca, una volta pubblico (e quindi una volta entrato nel mondo 3 di Popper, il mondo semiotico) è manipolabile, strumentalizzabile, e si può solo sperare in anticorpi sociali e contronarrazioni. Lo intuì benissimo WH Auden quando di Yeats (e di sé, in filigrana), disse che le parole di un morto si trasformano nelle viscere dei vivi.
f) ultimo punto/aneddoto personale.
Anni fa scrissi un saggio sul realismo empatico in poesia (lo potete trovare su academia.edu). Volevo affrontare una gamma di scritture accumunate da una narratività estroflessa, oggettivante, omodiegetica o extradiegetica ma non psichica, e mi sono stupito, a cose fatte, di non aver quasi incluso nessuna autrice (lo sottolineo in coda al saggio). Ora, è possibilissimo che io abbia sbagliato in a) (nel rendere operativi i concetti di empatia e narratività secondo criteri troppo stringenti o selettivi quando non fuorvianti) o in c) (nell'attingere a un bacino troppo omogeneo), però non mi sembra un'ipotesi campata del tutto in aria quella di ipotizzare una tendenza maggioritaria in autori uomini verso l'estroflessione narrativa (archetipi: Dante, Whitman) e una tendenza verso l'introflessione psichica (archetipi: Petrarca, Dickinson) nelle autrici. Ipotesi ( = non affermazione ma postulato di realtà) e probabilistica ( = non affermazione né implicazione di determinismo - tanto più che autrici come Marianne Moore, Elizebeth Bishop, Cristina Annino, ma anche Rosaria Lo Russo nel 'Nosocomio' e in parte Giulia Rusconi in Linoleum, hanno forti tratti 'estroflessivi')
Da FB del 11 marzo 2024

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 inserito:: Maggio 29, 2024, 01:02:17 pm 
Aperta da Admin - Ultimo messaggio da Admin
Mettiamo ordine, almeno nei concetti base, perché INTESA OLIVO POLICONICO e NON PIU' ULIVO.
 Noi ForumUlivisti che l'abbiamo visto nascere e sparire, sappiamo che non fu l'ULIVO a spegnersi nel PD e Altri.
 Nella realtà dell'allora CentroSinistra furono i Partiti a RICOMPORSI, nel caso del PD e/o consumarsi sino a sparire, di fatto, sminuzzandosi in decine di mini-partiti intorno a MINI-LEADER.
 L'INTESA OLIVO POLICONICO da me immaginato NON È UN PARTITO ma, invero, mantenendo le radici nell'Idea Ulivista (Cattolici Progressisti e Socialisti Democratici Uniti) vogliamo farne un PROGETTO DI SVILUPPO COMPATIBILE DECENNALE, tra Progressisti Revisionisti, Europeisti Occidentali e Atlantisti, sarà UNA INTESA CONCORDATA tra diverse linee di pensiero coincidenti verso un unico FINE POLITICO, SOCIALE E CULTURALE.
 In questa INTESA la Politica dovrà essere in grado di garantire il Bene dei Cittadini come suo FINE UNICO.
 La Forma di Governo sarà la Repubblica, unica forma che garantisce il "vivere libero" e la partecipazione di tutti i Cittadini alle decisioni politiche (Machiavelli).
  Nel futuro dell'Intesa Olivo Policonico, quindi NON PIU' CORRENTI ma singoli progetti sociali e politici uniti e CONCORDANTI in un  PROGETTO ORGANIZZATIVO E SOCIALE.
Appunto: L'INTESA OLIVO POLICONICO.

ggiannig

P.S.: siamo in questo inizio di lavori e di studio, in POCHISSIME persone (insufficienti all’opera) ma resta inteso che in questa fase e sino alla stesura del progetto e dello statuto, NON ammetteremo la presenza di Movimenti o Partiti oggi esistenti e attivi. Ovviamente non ci chiuderemo in una torre (o sgabuzzino) e accetteremo pareri soltanto consultivi segnalandoli per chiarezza al pubblico.   

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