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106  Forum Pubblico / N.O.M. NUOVO ORDINE MONDIALE e Stati Uniti d'Europa. / Umberto Galimberti: Non lo Stato, ma la fratellanza e la cura della nostra ... inserito:: Ottobre 20, 2023, 07:35:08 pm
Umberto Galimberti: “Non lo Stato, ma la fratellanza e la cura della nostra Terra sono l’unica etica possibile”

- ilLibraio.it
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107  Forum Pubblico / ICR-E -/- COMUNICAZIONE OPERATIVA ORGANIZZATIVA. Editoria. / La frontiera dei confini - MARCO D'ERAMO inserito:: Ottobre 20, 2023, 07:28:12 pm
La frontiera dei confini - MARCO D'ERAMO

Non c'è niente di più mutevole di un confine. Non è una linea, non è una cosa, è un dispositivo socialmente costruito per generare un dentro e un fuori, e appunto perché costruito cambia, si sposta, scompare, riappare, producendo molto spesso sanguinose guerre, invenzioni architettoniche folli, dolore e morte.

“Il primo che, avendo recintato un terreno, ebbe l’idea di dire:  Questo è mio, e trovò persone abbastanza semplici da credergli, fu il vero fondatore della società civile”. Con questo celeberrimo incipit della seconda parte del Discorso sull’origine delle diseguaglianze (1750), Jean-Jacques Rousseau ci ricorda quel che c’è dietro l’istituzione del confine, e quanto problematico sia questo concetto. C’è prima l’introduzione di una discontinuità fisica nello spazio: una linea, un filo (spinato), un recinto, un muro. Poi c’è una proclamazione, l’affermare che quel che è dentro quella linea (quel recinto, quel muro) è mio. Infine c’è l’accettazione da parte della società della mia affermazione: io divento proprietario legittimo dell’interno del recinto, quando la società mi crede proprietario.

Rousseau ci spiega – quel che la storia ha dimostrato innumerevoli volte – che un confine non è una linea, una cosa, ma è un dispositivo socialmente costruito per generare un dentro e un fuori, un dispositivo che appunto perché costruito cambia, si sposta, scompare, riappare.

In effetti non vi è niente di così mutevole come i “sacri confini della patria”. Fa quasi tenerezza sfogliare gli atlanti di cinquanta anni fa. E viene un magone, come ogni volta che viaggio tra l’Italia e l’Austria e penso alle centinaia di migliaia di esseri umani uccisi (nella Prima guerra mondiale) per spostare un confine che non esiste più. Lo stesso quando percorro l’Alsazia e la Lorena passate dal Sacro Romano Impero germanico alla Francia nel tardo Seicento, ripassate dalla Francia alla Germania con la guerra del 1870, e di nuovo dalla Germania alla Francia con la Prima guerra mondiale. Al contrario, appaiono confini dove prima non c’erano: basti pensare alle lunghissime frontiere che corrono tutte all’interno dell’ex Unione sovietica: il Kazakistan confina non solo con la Russia, ma con l’Uzbekistan, il Kyrgyzstan, il Turkmenistan; la stessa Ucraina confina con Moldavia e Bielorussia oltre che con la Russia.

La stessa guerra in Ucraina non è altro che una disputa sui confini; confini dell’Ucraina e confini della Nato. Da qui il sapore ottocentesco, anacronistico di questo scontro, non solo perché sempre più ricorda il primo conflitto mondiale con la sua guerra di trincea, ma perché il suo obiettivo ultimo è in definitiva uno spostamento di confini. Ed è per questo spostamento di “confine” che il Pianeta è da più di un anno e mezzo sull’orlo dell’olocausto nucleare.

D’altronde, in quanto dispositivo socialmente costruito, il confine è sempre l’esito (temporaneo) di un rapporto di forza. E anzi, vi è una misura, quasi disumana nella sua astrattezza, della violenza con cui è stato tracciato il confine, e questa misura è la rettilineità. Dove i confini sono sinuosi, frastagliati, là ogni rientranza, ogni sporgenza racconta una secolare, o millenaria, storia di conflitti, compromessi, accordi, rivalse. Dove invece i confini sono rettilinei, potete essere sicuri che non c’è stato nessun negoziato tra due parti, ma un diktat autocratico è stato esercitato, uno strapotere, un arbitrio di cui la geometria è diretta espressione. Un confine nord-sud quasi rettilineo lo trovate per migliaia di chilometri tra Canada e Usa (anche con l’Alaska a ovest); rette anche tra vari stati degli Stati uniti, soprattutto a Ovest degli Appalachi, dove la storia dei precedenti abitanti fu ignorata, la terra considerata “vergine”, la geografia ordinata con riga e squadra sulle mappe. Le stesse frontiere rettilinee le trovate in Africa dove le potenze coloniali le imposero ai “selvaggi”. Fu sempre con una retta che le potenze coloniali divisero in due Papua Nuova Guinea. Lo stesso “disprezzo della retta” lo leggete in Medio Oriente dove confini tra i futuri stati di Siria e Iraq, e Iraq e Arabia saudita vennero decisi a tavolino da due funzionari, l’inglese Mark Sykes e il francese François-Georges Picot quando nel 1916 furono incaricati di smembrare i futuri assetti del morente impero ottomano.

Ma mentre i confini mutano, appaiono e scompaiono, si fa sempre più ingombrante il confine come istituzione fondante la geopolitica mondiale.

Sembra un paradosso che nell’epoca della globalizzazione, quando la Terra ci appare come un piccolo pianeta azzurro, quando le dimensioni dell’umano agire si moltiplicano sotto i mari, nello spazio, sulle onde dell’etere, proprio allora il problema dei confini sembra diventare più urgente che mai. Anzi, è proprio alla fine degli anni Novanta del secolo scorso e all’inizio di questo secolo, all’apogeo ideologico della globalizzazione, che si configura e consolida una nuova disciplina, i Border Studies che si dota delle sue riviste accademiche, dei suoi congressi e dei suoi padri ispiratori.

In quegli anni ne scrivono i sociologi più di tendenza, a qualunque bordo appartengano: Etienne Balibar (“The Borders of Europe”, 1998), Manuel Castells, M. (End of Millennium, 2000), Saskia Sassen (“New Frontiers Facing Urban Sociology at the Millennium”, 2000), Ulrich Beck (What Is Globalization? 2000; “The Cosmopolitan Society and Its Ennemies”, 2002), Zygmunt Bauman (Society Under Siege, 2002).

Con la globalizzazione economica, la caduta del muro di Berlino, l’integrazione europea, i confini tradizionali paiono obsoleti, nuove forme di delimitazione emergono e i confini sembrano cambiare di natura. Così Saskia Sassen: “Una caratteristica dell’attuale fase della globalizzazione è il fatto che un processo, che si produce all’interno del territorio di uno stato sovrano, non è necessariamente un processo nazionale. All’inverso, ciò che è nazionale (imprese, capitale, cultura) può sempre più essere situato fuori dal territorio nazionale, per esempio in un Paese straniero o nello spazio digitale. Questa localizzazione del globale, o del non-nazionale, furi dai territori nazionali, ha minato una contrapposizione chiave che percorre molti metodi e molte impostazioni concettuali delle scienze sociali, e cioè l’idea che nazionale e non nazionale si escludano a vicenda”.

È quella che Ulrich Beck chiama “globalizzazione dall’interno”, per cui i confini non seguono più i limiti territoriali dello Stato-nazione, ma si moltiplicano e si diversificano, si settorializzano (per esempio in uno stato multietnico, multiculturale o multireligioso, le linee di confine saranno tracciate dall’etnia, dalla cultura, dalla religione e possono non coincidere affatto): “Quando i confini culturali, politici, economici e legali non sono più congruenti, si spalancano contraddizioni tra i vari principi di esclusione. La globalizzazione interna, intesa come plurlizzazione dei confini, produce in altre parole una crisi di legittimazione della moralità nozionale di esclusione”. Perciò, “se il paradigma Stato-nazione delle società va a pezzi dall’interno, lascia spazio alla rinascita e al rinnovo di ogni tipo di movimenti culturali, politici e religiosi. Soprattutto va capito il paradosso etnico della globalizzazione. In un’epoca in cui il mondo si sta avvicinando e diventa più cosmopolita, in cui quindi confini e barriere tra nazioni e gruppi etnici vengono meno, le identità etniche e le divisioni si rafforzano di nuovo”.

È vero che con la rivoluzione dei trasporti appaiono forme inedite di confine. Già gli aeroporti rappresentavano un’anomalia, visto che la frontiera per uscire dal Paese si trova non al bordo del Paese stesso ma al suo interno. Oppure: un confine del Regno Unito si trova al centro di Parigi, alla Gare du Nord da cui parte l’Eurostar e in cui è situato il posto di frontiera britannico. Per la stessa ragione un altro posto di confine inglese si trova nel bel mezzo di Bruxelles. Ed è vero che col confinamento abbiamo assistito alla creazione di nuovi confini temporanei, come quelli che durante la pandemia da Covid-19 impedivano di entrare o uscire da metropoli cinesi anche decine di milioni di abitanti.

Ma fa comunque sorridere la sicumera con cui i più sagaci scienziati sociali dell’epoca davano la globalizzazione per irreversibile e, senza ammetterlo apertamente, si situavano all’interno dell’orizzonte concettuale della “fine della storia” proclamata da Francis Fukuyama, da tutti sfottuto, ma tacitamente condiviso. Proprio mentre costoro proclamavano la “globalizzazione dall’interno”, la definitiva cosmopolitizzazione della società umana, la deglobalizzazione era già lì dietro l’angolo a ripresentarsi con il martellante succedersi di Brexit, elezione di Donald Trump, Covid-19, guerra ucraina, decoupling dalla Cina. E intanto le buone vecchie frontiere di una volta si preparavano a prendersi la rivincita, e nella forma più antica e mitica della storia umana, quella del vallo (di Adriano), quella della Muraglia (cinese).

Intendiamoci, non si era mai cessato di erigere barriere o in cemento o in reticolati e fili spinati (la lista non è esaustiva):

1953: 4 km di muro tra Corea del Sud e Corea del Nord;

1959: 4.057 km della Line of Actual Control tra India e Cina;

1969: 13 km di peace lines in Irlanda tra la Belfast cattolica e la Belfast protestante;

1971: 550 km di line of control tra India e Pakistan per dividere il Kashmir;

1974: 300 km di cosiddetta linea verde tra zona greca e zona turca di Cipro;

1989: 2.720 km il Berm tra Marocco e Sahara occidentale;

1990: 8,2+11 km di muro tra le enclave spagnole di Ceuta e Melilla e il Marocco per   bloccare l’immigrazione;

1991: 190 km di barriera tra Iraq e Kuwait;

1994: 1.000 km di muro di Tijuana tra Usa e Messico

Ma la globalizzazione non ha fatto nulla per frenare la frenesia muraria degli stati, anzi:

2003: 482 km tra Zimbabwe e Botswana;

2007: 700 km tra Iran e Pakistan;

2010: 230 km tra Egitto e Israele;

2014: 30 km di muro antimigratorio tra Bulgaria e Turchia;

2013: 1.800 km tra Arabia saudita e Yemen;

2015: 523 km di barriera antimigratoria tra Ungheria e Serbia;

2022: 550 km di barriera antimigratoria tra Lituania e Bielorussia;

2022: 183 km di barriera antimigratoria tra Polonia e Bielorussia

Senza contare le muraglie acquatiche, gli sbarramenti navali per impedire lo sbarco via mare dei migranti.

Ma forse il caso che meglio descrive la sofisticazione, anzi la perversione che ha raggiunto il concetto di confine, è quello di Israele. Ecco come Eyal Weizman descrive il piano di pace di Clinton per la partizione di Gerusalemme, elaborato secondo il principio che “ogni parte della città abitata da ebrei sarà israeliana e ogni parte abitata da palestinesi sarà palestinese. In accordo coi principi di divisione di Clinton, 64 km di muro dovevano frammentare la città in due arcipelaghi  tracciati secondo linee nazionali. Quaranta ponti e tunnel dovevano connettere queste aree-enclaves isolate tra loro. Il principio di Clinton significava anche che qualche edificio nella Città Vecchia sarebbe stato diviso verticalmente tra i due Stati, con il piano terra e lo scantinato in cui si entrava dal quartiere musulmano e usato dai bottegai palestinesi, e i piani superiori a cui si accedeva dal quartiere ebreo, usato da ebrei membri dello stato israeliano.” Insomma la soluzione proposta era quella degli aeroporti, in cui l’area Arrivi e quella Partenze sono situate in due piani differenti non comunicanti tra di loro, ognuno con la sua entrata e uscita. Quindi il confine non come linea in un piano bidimensionale (una carta geografica), bensì come separazione in uno spazio tridimensionale, ma su una scala di complicazione labirintica.

Però dove la creatività umana si è sbizzarrita nella sua più immaginosa estrosità è nella costruzione del muro (730 km) iniziato nel 2002 che separa gli insediamenti ebraici dalle terre palestinesi: Weizmann dedica a questo muro e alle sue conseguenze un capitolo del suo bellissimo Hollow Land. Poiché le due parti al di qua e al di là del muro devono comunque interagire, il problema per i pianificatori israeliani è come garantire insieme l’interazione e l’isolamento, per esempio in un’autostrada che deve servire sia israeliani che palestinesi. Ecco la soluzione: “La strada è divisa al centro da un’alto muro in cemento, che sepra le corsie israeliane da quelle palestinesi. Si estende per tre ponti e tre tunnel prima di finire in un complesso nodo volumetrico che si aggroviglia a mezz’aria, incanalando separatamente israeliani e palestinesi lungo differenti soprelevate a spirale che sbucano e atterrano nei rispettivi lati del Muro. È emerso un nuovo modo di immaginare lo spazio. Dopo aver frammentato la superficie della West Bnak con muri e altre barriere, i pianificatori israeliani hanno cominciato a tesserle insieme come due geografie nazionali separate ma sovrapposte; due reti territoriali che si sovrappongono sulla stessa area in tre dimensioni, senza mai dover incrociarsi o venire a contatto.
108  Forum Pubblico / LA CULTURA, I GIOVANI, La SOCIETA', L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA, IL MONDO del LAVORO. / Le profezie di Italo Calvino - ALESSANDRO CARRERA. inserito:: Ottobre 20, 2023, 07:25:39 pm
Le profezie di Italo Calvino
ALESSANDRO CARRERA

A cento anni dalla nascita, di Italo Calvino possiamo valutare oggi la capacità profetica unica. Non ha mai sopravvalutato il capitalismo di casa sua, che conosceva meglio di quanto non lo conoscesse Pasolini, ma è stato un profeta delle trasformazioni del sapere, del processo di conoscenza che di continuo viene rinegoziato tra ciò che accade nella nostra mente interna, dovunque essa sia, e ciò che avviene nella grande mente esterna dell’universo, alla quale cerchiamo disperatamente di accedere. E ha previsto un mondo esterno che ci sorveglia e ci condanna, dove non ci si può più muovere, ogni angolo è affollato, anche per chi come Palomar sta cercando di compiere il gesto che tra tutti è il più semplice, quello di alzare gli occhi al cielo: il gesto fondatore dell’umanità.

“Una notte osservavo come al solito il cielo col mio telescopio. Notai che da una galassia lontana cento milioni d’anni-luce sporgeva un cartello. C’era scritto: TI HO VISTO”. Così inizia Gli anni luce, penultimo racconto delle Cosmicomiche di Italo Calvino. Passato lo stupore, il protagonista, che non ha nome ma è identificabile come Qfwfq, il proteico personaggio che attraversa l’intero ciclo stagionale dell’universo, fa subito i suoi calcoli. Se la luce di quella galassia impiega cento milioni di anni a raggiungere il suo pianeta, vuol dire che da quell’altro pianeta l’hanno visto con altri cento milioni di anni di ritardo. Quel cartello deve quindi risalire a qualcosa che è accaduto duecento milioni di anni prima. Ora, Qfwfq si ricorda che duecento milioni di anni prima, proprio quel giorno, aveva fatto qualcosa di cui non era propriamente orgoglioso, fino a sperare poi che nessuno l’avesse visto, oppure che tutti se ne fossero dimenticati. Ma non era andata così e quel cartello ne era la prova.

Qfwfq deve quindi decidere come rispondere, perché ignorare l’avvertimento non si può. Quale scritta innalzerà a sua volta, anche sapendo che sarà vista solo dopo cento milioni di anni? All’inizio pensa a una strategia obliqua come: “Lasciate che vi spieghi” o magari: “Avrei voluto vedere voi al mio posto”, ma una risposta del genere è troppo difensiva. Pensa allora di provocare l’anonimo autore di quel cartello rispondendogli: “Ma hai visto proprio tutto o appena un po’?” O magari: “Vediamo se dici la verità: cosa facevo?”.

Ma non basterebbero duecento milioni di anni per ricevere una risposta. Le galassie, come si sa, dal Big Bang in poi non hanno mai smesso di allontanarsi l’una dall’altra. E siccome più si allontanano dal nucleo iniziale più aumenta la loro velocità, ci vorrebbero duecento milioni di anni più qualche milione ancora per poter continuare la conversazione, se di conversazione si può parlare. Qfwfq decide dunque di rispondere con un puro e semplice: “E con ciò?”. Un’alzata di spalle, insomma, che dovrebbe convincere quel tale dell’altra galassia che lui, Qfwfq, non è minimamente preoccupato di essere stato visto in quella circostanza non proprio ideale. Dopotutto, pensa Qfwfq, nella mia vita non ho molte cose di cui mi devo preoccupare o pentire, quello che ho fatto è sotto gli occhi di tutti e in gran parte parla a mio favore. Anche se laggiù si sono fatti un’opinione negativa di me, prima o poi se ne dimenticheranno o in qualche modo gli passerà.

Però c’è una cosa che lo preoccupa, e non è tanto quell’isolato cartello ma la possibilità che altri potrebbero averlo visto in quella circostanza infelice. Magari c’è un’opinione negativa nei suoi confronti che proprio in quel momento sta circolando nel vuoto cosmico, ingigantendosi e rifrangendosi da una galassia a un’altra. Così Qfwfq riprende a osservare l’universo temendo di trovare un altro “TI HO VISTO” su un’altra galassia. E infatti lo trova. E non solo uno, altri ne spuntano. Qfwfq non vuole cedere e risponde con sdegno: “Ah sì? Piacere”, “M’importa assai”, o anche “Tant pis”.

Ma i cartelli continuavano a spuntare, inclusi quelli che dicevano: “Ho visto il ti ho visto”. Bisognava correre ai ripari. Per esempio, c’era stato un giorno in cui Qfwfq aveva compiuto un’azione di cui era abbastanza orgoglioso. Magari era sufficiente a cambiare l’opinione che sulle altre galassie si erano fatti di lui. Poteva anche essere il momento giusto per tirarla fuori perché i cartelli “Ti ho visto”, “Pare che ti abbiano visto”, “Di là sì che ti hanno visto” continuavano a spuntare. Se l’attenzione nei suoi confronti era così alta, non bisognava perdere tempo e scatenare la controffensiva. Qfwfq di nuovo fa i suoi conti e trova la galassia in cui proprio quel giorno dovrebbe essere arrivata, insieme alla luce del suo pianeta, l’immagine di quell’azione virtuosa di cui poteva vantarsi. Ma invece di essere congratulato dagli abitanti di quell’altra galassia vede solo un cartello con su scritto: “Hai la maglia di lana”. È vero che qualcun altro aveva innalzato un cartello con su scritto: “Quel tizio sì che è in gamba”, ma perché “quel tizio”? Possibile che nessuno l’avesse riconosciuto? No, non era stato riconosciuto, tant’è vero che qualcun altro aveva alzato un suo cartello con su scritto: “Chi sarà?”. Sempre meglio di quell’altro che diceva: “Non si vede un accidente” o di tutti quegli altri cartelli che ora Qfwfq vedeva spuntare ovunque. Pareva proprio che ogni giorno della sua vita fosse stato osservato, soppesato e giudicato in modo negativo, o magari positivo, ma comunque mai decisivo, mai senza lasciare qualche margine di dubbio. Anche i giudizi positivi si riferivano alle occasioni sbagliate. Uno “Stavolta mi sei piaciuto” era stato scritto quando Qfwfq si era reso responsabile di una seria dimenticanza che gli aveva pure danneggiato la carriera.

Che fare? Meglio dimenticarsi del passato e concentrarsi sul futuro, preparandosi a rendere pubbliche tutte le occasioni in cui ci sarebbe stata la possibilità di fare una bella figura. Ma i rischi si presentavano lo stesso. E se dopo aver avvertito l’universo che qualcosa di importante stava per succedere, magari proprio quell’azione virtuosa andava a catafascio e otteneva risultati contrari alle aspettative? Come rimediare allora? No, meglio lasciar perdere e sperare nel progressivo aumento di velocità delle galassie più lontane. Prima o poi avrebbero superato la soglia della velocità della luce, 300.000 chilometri al secondo, e sarebbero scomparse nel buio dell’infinito, dove nessuna informazione le avrebbe raggiunte e da dove non avrebbero più potuto giudicare quello che non avrebbero mai visto.[1]

Ora, sostituiamo il cartello “TI HO VISTO” con un tweet (o un X), che dice: “MI HAI OFFESO”. Sostituiamo il cartello che dice: “Ho visto il ti ho visto” con un re-tweet (o re-X) che dice: “Sono offeso che tu abbia offeso qualcuno”. Rileggiamo il racconto di Calvino come se fosse una profezia paurosamente accurata dai social media, dell’ansia che provocano, del terrore di essere incessantemente giudicati e condannati e allo stesso tempo dell’impossibilità di rinunciare alla brama di esporre all’universo intero ciò che si fa, si pensa, si crede di fare o si crede di pensare.

Mezza umanità – solo mezza, perché l’altra metà è troppo impegnata a schivare pallottole o a trovare acqua da bere – passa buona parte delle sue giornate, nonché nottate, col telescopio puntato nel timore di qualche “Ti ho visto” come nell’attesa di un “Mi sei piaciuto”, mentre allo stesso tempo inalbera il cartello con il quale rende pubblica la sua ultima grande impresa, la sua ultima indignazione nonché la sua ultima crisi di panico. Perché il mondo che sta nei nostri schermi, l’equivalente del telescopio di Qfwfq, è equamente diviso tra panico e indignazione. Ci esponiamo, non riusciamo a farne a meno anche se sappiamo quanto sia pericoloso e siamo dunque in ansia perenne per le conseguenze della nostra farisaica vanità. Dalle altre galassie, che sono gli altri account di Facebook, Tweet-X, Instagram e Tik Tok, ci rispondono con ben poca simpatia, parecchia altezzosità, superiorità morale, disprezzo, altrettanta vanità e magari altrettanto panico, che noi però non percepiamo, visto che ci arriva solo un messaggio strizzato in una frasetta o in un video di mezzo minuto. Non riusciamo a sentire nessuna solidarietà, nemmeno con coloro che ci approvano, e tantomeno misurare la differenza, magari nemmeno insormontabile, con coloro che ci condannano. Se abbiamo qualcosa in comune, non lo sapremo mai. L’unica differenza tra noi che alziamo i nostri poveri cartelli elettronici e i personaggi del racconto di Calvino è che loro, almeno, si allontanano gli uni dagli altri. Hanno la fisica dell’universo dalla loro parte. Prima o poi dovranno prendere congedo e, se non lo faranno, la velocità della luce lo farà per loro. Si perderanno di vista, rientreranno nel buio e forse si calmeranno, ma a noi questo sollievo è negato. Gli altri ci rimangono lontani ma non si allontanano, perché nello spazio virtuale dei social media non c’è spazio. Tutto è prossimo, tutto è vicino, tutto ci rinchiude anche se niente ci tocca. C’è il tempo, ma anche il tempo è compresso. Ce n’è solo quel tanto che basta per dire “mi hai offeso” o “so che hai offeso qualcuno e quindi hai offeso anche me”, ma non sarà mai sufficiente per spiegare le ragioni di nessuno e tantomeno le contro-ragioni. Può darsi che io senza saperlo abbia offeso qualcuno, ma questo qualcuno non lo verrà a dire a me, non mi guarderà negli occhi dicendomi che l’ho offeso. Lo dirà invece all’intera galassia che immediatamente mi condannerà perché la condanna è rapida, mentre l’assoluzione per non aver commesso il fatto o per godere almeno di attenuanti generiche richiede un tempo, una durata, che non abbiamo più a disposizione.

Le Cosmicomiche sono del 1965. Diciotto anni dopo, nel 1983, Calvino descrive il suo signor Palomar nell’atto di scrutare il cielo, questa volta non per cercare approvazione o per qualche azione che ha commesso ma per il puro piacere della contemplazione dalla quale – secondo Platone e Aristotele, e molti altri insieme a loro e dopo di loro – nascono la filosofia e anzi lo stesso sapere. S’intende una contemplazione attiva, tutt’altro che passiva, perché implica un’azione da parte del soggetto contemplante. Non si tratta solo di godere di una Theoría, di un corteo di Idee che ci passa davanti. Il filosofo-scienziato, anche quando è un dilettante come lo è Palomar, sa benissimo che la contemplazione è un lavoro impegnativo; comporta pratiche precise, circostanziate, e che non mancheranno di ricadere sulla vita personale, sociale e politica del contemplante. Palomar sa bene quali sono le pratiche che vuole mettere in atto, intende contemplare il cielo come lo facevano gli antichi navigatori o i pastori erranti, a occhio nudo. Non avrà un telescopio, ma si servirà di carte stellari che dovrà studiare e memorizzare ma anche controllare e ricontrollare. Meglio portarsi dietro una lampadina tascabile e sapere dove appoggiare gli occhiali, anche su una spiaggia buia di fronte al mare, perché Palomar è miope e deve continuamente togliersi e mettersi gli occhiali per passare dalle carte stellari al cielo vero e proprio. La Terra, pensa il signor Palomar, è il luogo delle complicazioni superflue e delle approssimazioni confuse. Il cielo dovrebbe dare almeno qualche certezza, nella sicura disposizione delle stelle e nell’immensa lentezza delle sue rotazioni. Il nostro mondo è così piccolo che già l’atto di porsi davanti all’estensione dell’universo dovrebbe darci qualche sollievo.

Ma non è detto che vada proprio così. Innanzitutto bisognerebbe percepire qualche sensazione di distanza, di misura, ma il cielo non ci dice niente di preciso. Se tutto ci sembra lontano è solo perché già sappiamo, in base alla nostra povera scienza, che in termini umani c’è davvero una grande lontananza dalle stelle, ma dal punto di vista dell’universo, che delle dimensioni umane non si cura, la distanza degli umani cade perfino al di sotto dell’irrilevanza. Protagora poteva affermare che l’uomo è misura di tutte le cose, ma quel tempo è passato e noi quella certezza non l’abbiamo più. Palomar non cita Protagora né tantomeno lo contesta, ma nei fatti testimonia la crisi dell’uomo come misuratore, che poi vuol dire creatore della Verità. Se il cielo è così elusivo, continua ad argomentare Palomar, forse ci si potrebbe rivolgere al nulla, allo spazio nero e vuoto che del nulla è l’immagine, se non fosse che nemmeno del nulla si può essere sicuri. Basta puntare l’occhio con attenzione dentro quel nero e cominceremo a vedere qualcosa che si muove, magari un minimo chiarore, anche solo un tenue pulviscolo illuminato da qualche stella lontana. E sarà sufficiente per farci capire che il nulla non è un rifugio e che anch’esso ci inganna,  perché il nulla dopotutto non c’è.

Come facevano gli antichi a rasserenarsi contemplando il cielo? Forse perché si radunavano ogni notte alla stessa ora, per anni, decenni e secoli fino a capire, infine capire, e poi scrivere, calcolare e cartografare secondo quale regola si muovevano gli astri, come gli astronomi babilonesi che dalle loro contemplazioni ricavarono infine la dubbia scienza dell’astrologia. Perché invece noi vediamo nel cielo, così pensa Palomar, solo un sapere instabile e contraddittorio? Forse invece di seguire le rivoluzioni celesti sarebbe necessaria una rivoluzione interiore, una contemplazione che è soprattutto introspezione, come hanno fatto Agostino e Petrarca – anche se Palomar questi nomi non li pronuncia – che distoglievano lo sguardo dalle montagne e dai fiumi della terra perché niente gli appariva preferibile all’esplorare se stessi.

Intanto passa una striscia luminosa che potrebbe essere una cometa, o magari è soltanto un aereo di linea. È un’altra conferma del fatto che Palomar non capisce più il cielo. E così passa la notte, mettendosi e togliendosi gli occhiali, stendendo le sue carte stellari e subito dopo ripiegandole, cercando conferma lassù in alto di ciò che ha calcolato qui in basso. O viceversa, assicurandosi tramite le carte che quello che gli dicono i suoi sensi è proprio vero, e dunque aprendo, chiudendo, strizzando gli occhi, seguendo i tracciati col dito, fin quando si accorge di non essere solo sulla spiaggia, anzi una piccola folla di innamorati, pescatori, doganieri e barcaioli si è radunata intorno a lui e sta osservando i suoi convulsi movimenti come se fossero quelli di un pazzo.[2]

Pasolini, il grande avversario di Calvino sulle pagine del “Corriere della Sera”, è passato alla storia, letteraria e non, come il profeta dell’Italia del dopoguerra. Condannava il Neocapitalismo con accenti degni di Savonarola, ma senza saperlo lo esaltava, attribuendogli una capacità razionale e calcolante che l’imprenditoria italiana, salvo poche eccellenze illuminate, era ben lontana dal possedere con saldezza. Il suo era un profetismo antropologico, per nulla sapienziale. Il sapere non era tra le sue preoccupazioni. Per Pasolini, anzi, meno sapere c’era in giro e più sani sarebbero cresciuti i futuri ragazzi italiani. Ma Calvino, che non ha mai sopravvalutato il capitalismo di casa sua, perché lo conosceva meglio, è stato un profeta delle trasformazioni del sapere, del processo di conoscenza che di continuo viene rinegoziato tra ciò che accade nella nostra mente interna, dovunque essa sia, e ciò che immemorialmente avviene nella grande mente esterna dell’universo, alla quale cerchiamo disperatamente di accedere. E ha previsto un mondo esterno che ci sorveglia e ci condanna, dove non ci si può più muovere, ogni angolo è affollato, anche per chi come Palomar sta cercando di compiere il gesto che tra tutti è il più semplice, quello di alzare gli occhi al cielo: il gesto fondatore dell’umanità, il momento in cui i bestioni delle foreste, come racconta Vico, entrano in una radura dalla quale possono levare lo sguardo al di sopra delle chiome degli alberi, vedono il fulgore delle costellazioni e per la prima volta sono presi da una sensazione che non conoscevano, e che poi chiameranno stupore.

Ecco, anche questo breve atto sembra diventato impossibile. Non causa più stupore, questo lo sappiamo, ma dovrebbe almeno servire a confermare ciò che ci dice la scienza. Questa conferma però, e Palomar lo sperimenta, non ci giunge mai con la stessa certezza di una rivelazione. Sarà sempre una relazione, relativizzata da quegli stessi parametri dei quali non possiamo più fare a meno, la distanza, le costanti, la velocità della luce, tutto ciò che ci spiega quello che vediamo nel preciso momento in cui ce lo sottrae. Palomar non è uno scienziato, anzi è l’ultimo dilettante rimasto sulla faccia della terra, eppure si ostina a contemplare solo attraverso quelle cocciute procedure scientiste che finiscono per sottrargli la meraviglia ingenua dalla quale i suoi antenati erano partiti. E agli occhi di chi non contempla e che nemmeno crede che ne valga la pena non può che apparire come un esagitato. Anch’egli è circondato da una barriera di “Ti ho visto”, anzi di “Ti sto vedendo, non capisco quello che fai e mi sembri strano”. La sensazione di affollamento che afferra i personaggi di Calvino non è soltanto quella di chi è prigioniero di una rete anonima che segue ogni suo movimento. Silas Flannery che ogni volta che sente suonare un telefono crede che la telefonata sia per lui (Se una notte d’inverno un viaggiatore, cap. VI) o il sovrano che cerca di decifrare i rumori della congiura che gli toglierà il trono (Un re in ascolto) sono altrettante incarnazioni di Qfwfq, avvertimenti paranoici che giungono dall’universo, e dunque profezie.

Calvino ha cercato quasi in ogni suo libro, non solo in quelli della sua maturità del suo periodo scientifico e combinatorio, un punto di vista esterno, non interiore, non psicologico, non introspettivo, che gli potesse garantire una partecipata neutralità. Anche il protagonista della Giornata di uno scrutatore è una prefigurazione di Qfwfq. Se non può scrutare il mondo come vorrebbe è perché il mondo gli sta troppo addosso. Molte delle creature di Calvino – non solo il Barone rampante – cercano di staccarsi da terra di quanto che sarebbe loro sufficiente per non farsi coinvolgere troppo. Ma l’impresa è disperata, e infine inutile. Bisogna piuttosto “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”, come dice una delle sue conclusioni più celebri.[3] Quel luogo Dante l’aveva descritto; era il Limbo. Calvino starebbe benissimo nel limbo di Dante. Non direbbe mai di essere il sesto o settimo tra il cotanto senno dei grandi autori che l’hanno preceduto, ma potrebbe finalmente sentirsi distaccato dal mondo (dall’inferno) quel tanto che gli basta.

C’è chi preferisce il coinvolgimento sensuale di Pasolini con la realtà, o per meglio dire con quel ritaglio della realtà che scatenava la sua sensualità. Ma Calvino, dai rami sui quali il suo Barone stava appeso, o dal Limbo che si tiene quanto più possibile distinto dall’inferno che lo circonda, ha visto più lontano. Oltre i mutamenti antropologici, che pure non ha ignorato, ha guardato verso le lontane mutazioni della semiosfera, che è ormai tanto reale per noi quanto il mondo della carne e del sangue.

Sapeva, Calvino, di avere doti profetiche? Se non ne avesse avuto nessuna idea, difficilmente avrebbe scritto un articolo come I nostri prossimi 500 anni, uscito sul “Corriere della Sera” il 10 aprile 1977. Se Pasolini voleva abolire la Scuola Media, Calvino scriveva invece: “Resta il fatto che ogni anno passato a non studiare, sono molti anni di dipendenza coloniale che ci aspettano. Chi si batte contro lo studio (…) vuole semplicemente che i nostri problemi economici e produttivi e teorici e di organizzazione sociale vengano affrontati in base a progetti elaborati dalle multinazionali con staff di tecnici formatisi in altri contesti”.[4] Le sue riflessioni, anche quelle politiche, volevano soprattutto cogliere le nuove modalità di trasmissione del sapere. La parola d’ordine “desiderio”, che nel 1977, l’anno di quell’articolo, aleggiava ovunque, gli appariva tanto vaga quanto un sinonimo del Nulla: “Deve essere ben chiaro a tutti che i prossimi quattrocento-cinquecento anni saranno i più duri della storia dell’umanità: altro che Desiderio!”

Si sbagliava, non sugli anni più duri a venire (dove non può essere smentito), bensì sul ruolo che vi avrebbe giocato il desiderio, ma è un errore retrospettivamente comprensibile. Le macchine desideranti che i movimenti del ‘77 sognavano di incarnare confezionavano una versione semi-hippy e piuttosto pasticciona dell’anarchismo sofisticato di Deleuze e Guattari, mentre già dieci anni prima, tra le mani di Lacan, la nozione di desiderio aveva assunto aspetti molto meno rassicuranti e anzi piuttosto sinistri. Calvino di quel dibattito ha colto la superficie, ma d’altra parte era proprio la superficie che riempiva le piazze inneggiando al rifiuto del lavoro e al disprezzo per ogni forma di competenza. (La destra prese nota e provvide: rifiutate il lavoro? Bene, ve lo pagheremo sempre meno. Rifiutate la competenza? Benissimo, per quando saremo al potere vi assicuriamo un’incompetenza della quale non avete mai visto l’uguale). La questione più seria, però, non era il 1977 ma i prossimi cinquecento anni. Dai tempi di quell’articolo sul “Corriere” al momento attuale ne abbiamo vissuti quarantasei, incominciando appena a capire che cosa ci porteranno. Dal Limbo, Calvino alza un cartello con su scritto: “VI HO VISTO”.

[1] Italo Calvino, Gli anni luce, da Cosmicomiche, in Romanzi e racconti, Vol. 2,a cura di Mario Barenghi e Bruno Falcetto, edizione diretta da Claudio Milanini, Mondadori, 1992, pp. 192-206.

[2] Italo Calvino, La contemplazione delle stelle, da Palomar, in Romanzi e racconti, Vol. 2, cit., pp. 909-913.

[3] Italo Calvino, Le città invisibili, in Romanzi e racconti Vol. 2, cit., p. 498.

[4] Italo Calvino, Saggi 1945-1985, Tomo II, a cura di Mario Barenghi, Mondadori, 1995, pp. 2297-2298.


LA FRONTIERA DEI CONFINI
Non c’è niente di più mutevole di un confine. Non è una linea, non è una cosa, è un dispositivo socialmente costruito per generare un dentro e un fuori, e appunto perché costruito cambia, si sposta, scompare, riappare, producendo molto spesso sanguinose guerre, invenzioni architettoniche folli, dolore e morte.

Ottobre 12, 2023

OLIMPIADI DI CITTÀ DEL MESSICO, QUANDO IL SESSANTOTTO ENTRÒ IN PISTA E IN PEDANA
55 anni fa si svolgevano le Olimpiadi di Città del Messico, quelle in cui il Sessantotto entrò anche in pista e in pedana. Gli atleti afroamericani Tommie Smith e John Carlos protestarono contro la discriminazione razziale, la ginnasta ceca Věra Čáslavská contro la repressione della Primavera di Praga. Tutti loro, tornati in patria, dovettero fronteggiare problemi e conseguenze per essere stati artefici di quegli atti di ribellione. Il tempo avrebbe riabilitato i coraggiosi atleti, consegnando le loro gesta sportive e il loro impegno politico e sociale alla storia, e non soltanto quella sportiva.

Ottobre 12, 2023

INTELLIGENZA ARTIFICIALE A SCUOLA: LA FORMATTAZIONE DELLE NUOVE GENERAZIONI
Nella cornice della riforma della scuola che prevede l’utilizzo dei fondi del PNRR per la tecnologizzazione invasiva del sistema scolastico, l’introduzione dell’Intelligenza artificiale a scuola è forse la novità che dovrebbe inquietare di più in assoluto, perché la simulazione dei processi mentali di apprendimento e pensiero rischia di privare gli studenti della possibilità di sviluppare le proprie capacità cognitive e di pensiero critico, in un ambiente che necessariamente è relazionale, fatto di rapporti umani, sentimentali, emotivi con altre persone. Il rischio è quello di produrre una infantilizzazione di massa delle nuove generazioni, rubando loro la possibilità di crescita.

Ottobre 12, 2023

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109  Forum Pubblico / LA CULTURA, I GIOVANI, La SOCIETA', L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA, IL MONDO del LAVORO. / Maria Carmela Miccichè · Intervista alla spigolatrice di Sapri. inserito:: Ottobre 20, 2023, 07:21:45 pm

Premio Letterario Internazionale Casinò di Sanremo Antonio Semeria

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Maria Carmela Miccichè
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Intervista alla spigolatrice di Sapri.
Dopo aver letto su ognidove, ogni cosa possibile riguardo la spigolatrice di Sapri, non mi restava che portarmi, come si direbbe ufficialmente, a Sapri e vedere di capirci qualcosa.
Arrivo al lungomare in tarda mattinata e non occorre chiedere dove si trovi la donna più famosa del golfo, basta seguire i gruppi di turisti. Lei è là, davanti al mare che scintilla più che mai. Se fossimo in qualche nazione nordeuropea, direi che c’è una notevole “fila”, ma siamo in un luogo dove i colori e la fantasia parlano italiano e quindi, la gente sta a gruppi eterogenei, sparsi come nuvole fluttuanti su un cielo azzurro, insomma, ammucchiati disordinatamente attorno al bronzeo corpo statuario.
Aspetto. Osservo i vari cellulari, scattare un numero considerevole di foto, osservo i sorrisi compiaciuti quasi fosse merito loro, osservo quella variegata umanità contenta di essere lì, ascolto i commenti e… vabbè, mi distraggo volontariamente. Più avanti, la stele che reca scolpita la poesia di Luigi Mercantini, sta sola, come una pietra miliare coperta di foglie morte… sì, forse sto diventando troppo melodrammatica, mi ero fatta prendere dal testo della poesia: lui, Carlo, bello, biondo con gli occhi azzurri e quei trecento ragazzi che vanno in contro alla morte… va bene, erano galeotti che il Carlo di cui sopra, aveva fatto evadere dalla prigione di Ponza, ma sempre trecento erano, anzi a essere cavillosi, trecentoventitre. Mentre io e la stele ci facciamo compagnia, arriva l’ora di pranzo, di conseguenza, le nuvole sparse, i gruppi e i singoli attorno alla spigolatrice, sciamano verso qualcosa di più pratico.

Mi avvicino.

Mi presento, chiedo scusa per l’ora poco opportuna e le chiedo se posso farle qualche domanda.
S. - Eccome no, mi fa molto piacere fare due chiacchiere.
I. - Come sta?
S. - Eh, e come devo stare? Tengo na cervicale che… ma vulesse sapè, na posizione decisa no? O ‘nfront o mare o ‘nfront o paese! Aè chillo invece, ‘o scultore, ha voluto fare l’artista… m’ha fatto che, secondo lui, vado verso il paese ma guardo il mare, per fortuna che sto ferma sinnò sai quante carute!
I. - Beh, in effetti, ha ragione, con quella posizione e l’umidità del mare, la cervicale è garantita, ma gli artisti sono bravi perché fanno immaginare…
S. - E che vuol dire? Anche il Cristo di Maratea è stato fatto da un’artista, ma sta bello dritto, vabbuò, l’hanno girato dalla parte sbagliata però sta bello dritto che è nu piacere a guardarlo.
I. - A proposito di artisti, il suo a chi si è ispirato?
S. - Volete dire per il viso?
I. - Sì, certo.
S. - Amica bella, ma davvero pensate che qualcuno m’abbia guardato in faccia? Io potrei avere certi baffi da far invidia a Carlo mio, ma verament’ pensate che s’accurgessero che tenev’ e baffi?
I. - Hem… ma come andò quella storia con Carlo suo? Sono indiscreta?
S. - Ma che vi devo dire, chillo ca m’ha ‘nguaiato è stato il Mercantini, io vendevo panini e panelle al forno di mio padre e chillo, o poeta, passa e spassa davanti al forno, tutti i giorni e tutte le ore e io, niente… insomma, non mi piaceva granchè, perchè ammè piaceva Carlo, no chillo ca doveva arrivare con la barca a vapore, Carlo, o figlio del barbiere e iss, il Mercantini, per vendicarsi m’ha misa in questa storia d’una tristezza… Maronna mia che tristezza…
I. - Quindi, non se ne andava a spigolare?
S. - Ma quando mai! A Sapri i campi di grano? Chiedete pure in giro… mai stati campi di grano ca’. Ve l’aggia ritt’, è tutta colpa del Mercantini , ha inventato tutto per mettermi in questo guaio… Carlo, chillo famoso con la barca a vapore, manco è arrivato a Sapri, è sbarcato a Vibonati, nu paese che sta ca’ vicino, e da certe conoscenze, aggia saputo che neanche gli occhi azzurri teneva, marroni erano.
I. - Sconvolgente. Lei sa che generazioni di bambini hanno studiato: eran trecento, erano giovani e forti…
S. - … e sono morti. Mamma mia che tristezza! Chillo accussì era, Luigi, uno triste, sempre pensieroso… ma io potevo “invaghirmi” di uno così? Semp’ a pensare a cose pesanti… teneva semp’ a malincunia. Guardate che posto incantevole, che mare, che profumi… e chill’ pinsava a Pisacane, che teneva ll’uocchi marrone, no azzurri, e a barca a vapore. Ma vi pare normale? Per fortuna che, grazie all’artista, ‘o scultore Emanuele Stifano, mò a gente viene ca’ per cose allegre.
I. - Ho sentito qualcuno chiedersi se la bisnonna di Belen non fosse passata da Sapri…
S. - (ride) A gente ha voglia e’ cose che tengono a mente fresca, ri nun pensà a nient’, e alla fine, sta cosa, fa comodo a tutti. Anche pecché, parlammoci chiaro, i ragazzi di oggi a poesia non la studiano più, e mò l’hanno riscoperta, dopo tutto il polverone… e comunque, a gente viene, si sposta, alcuni fanno domande, altri sono allegri e basta.
I.- Quindi, non le danno fastidio tutte quelle persone che… toccano.
S. - Veramente nu poco e fastidio lo danno, ma tengo sto’ collo girato, ogni tanto, vuliss guardà abbasc accussì a qualcuno u potess fulminà cu ll’uocchi. Provano a pizzicà… ci credete che provano proprio a pizzicà! Ecco, a chilli là… se putess moviri a mano… na soddisfazione ma levassi, poi penso alla mia collega e me ne faccio na ragione: su sciemm, su sciemm e senza spiranz.
I. - Quale collega?
S. - Giulietta, chella che sta a Verona, anche là, l’artista allegro assaje, tanto fece e si confuse che morì lei e Romeo, na storia ‘nvintata pur’iss, ma na storia tristissima, a fine su tutti muort…
I. - Scusi, ma non capisco il nesso… il paragone…
S. - Issa, Giulietta, mi dicett che qualcuno mettet in giro a voce che se le toccavano una zizza… come dite voi, u seno, insomma se toccavano, aviss portato fortuna. Accussì tocca e cà e tocca e llà, a zizza se n’è scinnuta proprio, aveva perso un paio di taglie e ogni tanto l’hanno a restaurare.
I. - Mi pare di capire che, paragonandosi a Giulietta, lei non si senta come la donna oggetto, la donna vista come ammiccante verso l’uomo…
S. - Aè allora non avete capito niente? Ma re che stamm’ parlannno? La spigolatrice di Sapri non esiste proprio, nun teneva nient' da spigolare, se l’è inventata Mercantini, mò Stifano, ‘o scultore, ne ha inventata una a modo suo ed è succiesso quello che è succiesso. Song venuti ca’, tutti vestiti eleganti, tenevano a fascia Tricolore ca mi emozionò assaje, si facettero nu gir torno torno e poi… fu tutto n’arricciamento e labbra, nu scuotimento e capo: “Sta statua è sessista assaje, sà da levà.”
All’inizio, nun mi rendette conto, ma stavn’ parlann e me? O pover scultore l’hanno pigliat pe’ maschilista, pe’ uno ca teneva nu gust e cafone, e tutto chest… pecché song scostumata, poco vestita, troppo provocante co chelle chiappe rotonde e sode… ma o’veramente i politici nun tengono nient’ e megl’ a’ fà che dare della scostumata a me?
Fatemi capire, Mercantini s’inventa na’ storia dove na guagliona sta a spigolare spighe ca nun ci stann’, a fa nnammurà e uno ca tiene ll’uocchi azzurri e invece so marroni, o fa sbarcare a Sapri, e fà mmurì a tutti quanti ed è n’eroe, nu poeta. O scultore mie, che m’ha ‘nventat’ accussì nun va bbene, me doveva vestire pesante… e volete nata verità: m’aveva vestita pesante, me song spugliat’ io, tenevo troppo caldo a spigolare….
I. - Quindi a lei va bene così?
S. - Amica mia bella, avete visto quanta gente c’era? A ogni statua piace essere ammirata, fotografata e tutto sto movimento fa bene a tutti, se nunn’avessero arricciato e labbra nessuno si sarebbe accorto e me, dello scultore, della poesia, del Mercantini e di Sapri.
I. - Sono d’accordo, la pubblicità muove il mondo! E… mi conceda l’ultima domanda: come vede il suo futuro?
S. - Beh, pe’ come vanno e’ cose, non mi farebbe meraviglia che qualche scrittore, sta già immaginando na’ storia a puntate, magari con una ispettrice, una comandante dei carabinieri, che tiene na’ casetta proprio ca’ davanti, una con la divisa accussì nunnè sessista, ma ca tiene a quarta e reggiseno ed è bella assaje, che indaga su muort ammazzati e s’ennammora e chillo collega sciupafemmine, ma senz’essere sessista, pecché so e’ femmine sciemm ca s’ennamuran e’ iss… e io, in tutta sta confusione e muort ammazzati e ispettrice e sciupafemmine ne approfitto per andare in televisione.
I. - In effetti, è molto probabile. Bene, stanno già arrivando i suoi ammiratori, la lascio a loro. Grazie per essere stata franca e simpaticamente gentile. Se passerò da queste parti, tornerò a trovarla.
S. - Grazie a voi… io qua sto, quando venite è sempre un piacere! Ma perché non ci diamo del tu?
I. - Certo, ma qual è il tuo nome?
S. - Annarella.
I. - Ciao Annarella.
S. - Ciao Carmè.

m.c.m.

da FB 19 ottobre 2023
110  Forum Pubblico / LA CULTURA, I GIOVANI, La SOCIETA', L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA, IL MONDO del LAVORO. / Miseria dello storicismo, di Karl Popper. inserito:: Ottobre 20, 2023, 07:17:14 pm
Miseria dello storicismo, di Karl Popper.
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Storicismo
Enciclopedia on line

storicismo Movimento filosofico che, a partire dalla metà del 19° sec., ha posto l’accento sull’irriducibilità della conoscenza storica a leggi universali e necessarie, come quelle tipiche delle scienze naturali, giungendo, nei suoi esiti più rappresentativi, a proclamare la superiorità della conoscenza storica su quella delle altre discipline, in quanto solo tale conoscenza sarebbe capace di cogliere gli aspetti individuali e i valori che costituiscono l’essenza più profonda della vita e della realtà spirituale, e in particolare, il suo continuo mutare, il suo irriducibile dinamismo.
 Il termine compare saltuariamente in Novalis e più di frequente nella prima metà del 19° sec., ma solo alla fine del secolo assume il senso poi codificato da opere come quella di E. Troeltsch (Der Historismus und seine Probleme, 1922) e F. Meinecke (Die Entstehung des Historismus, 1936) per indicare una concezione della storia in contrasto sia con la filosofia romantica e idealistica della storia, sia con l’equiparazione positivistica delle scienze umane alle scienze della natura.
Nato in seguito al grande sviluppo degli studi storici nella Germania del secondo Ottocento, lo s. annovera tra i suoi maggiori rappresentanti W. Dilthey, M. Weber, G. Simmel, O. Spengler e, in certa misura, i neokantiani della scuola del Baden, H. Rickert e W. Windelband. Suo obiettivo fu soprattutto di dare una fondazione gnoseologica alla conoscenza storica, avvertita come un tipo di conoscenza sui generis, interessata a eventi individuali, unici e irripetibili, e quindi radicalmente diversa da quella degli eventi naturali, di tipo essenzialmente nomologico, oggetto delle scienze naturali.
Grande rilievo ha avuto in questa prospettiva la distinzione diltheyana tra Naturwissenschaften («scienze della natura») e Geisteswissenschaften («scienze dello spirito»), le prime basate sull’Erklären, lo spiegare causalmente, le altre sul Verstehen, il comprendere ermeneuticamente, una forma di conoscenza le cui categorie di scopo, valore, significato, diverse da quelle della conoscenza del mondo naturale, sono desunte dalla vita. Gli obiettivi metodologici dello s. avrebbero trovato la loro maggiore espressione in Weber, la cui opera è in larga misura un tentativo di conciliazione tra i due tipi di conoscenza radicalmente separati (anche sul piano ontologico) da Dilthey. In Italia B. Croce elaborò una concezione storicistica, distinta da quella dello s. tedesco, in cui tutta la realtà è concepita come storia, nel senso di un radicale immanentismo. Per l’insistenza sul legame tra i valori e la situazione storica in cui essi emergono e si realizzano, lo s. è stato talvolta considerato una forma di relativismo (in questa direzione va soprattutto la teoria delle Weltanschauungen di Dilthey, con la quale veniva messa in discussione la validità assoluta di ogni singola forma di vita, religione o filosofia). Attraverso la fenomenologia husserliana e l’ontologia heideggeriana lo s. è stato in parte ripreso dalla filosofia ermeneutica (in particolare da H.G. Gadamer), che ha posto al centro della conoscenza storica il linguaggio come dimensione nella quale soltanto la verità si manifesta storicamente in modo sempre nuovo e irripetibile.
Un significato completamente diverso dai precedenti ha attribuito al termine s. K.R. Popper (The poverty of historicism, 1944-45), che ha designato con esso l’insieme delle dottrine (materialistiche, evoluzionistiche, idealistiche) che concepiscono la storia umana come uno sviluppo necessario retto da proprie leggi, sulla base delle quali sarebbe prevedibile il suo corso futuro, e volto alla realizzazione di scopi che travalicano le azioni e gli obiettivi dei singoli individui. In quest’accezione il termine è stato applicato da Popper soprattutto alla filosofia della storia di G.H.F. Hegel e alle concezioni dialettiche del marxismo, a suo avviso basate su errori logici e responsabili di giustificare teoreticamente il totalitarismo politico.


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relativismoConcezione fondata sul riconoscimento del valore soltanto relativo, e non oggettivo o assoluto, sia della conoscenza, dei suoi metodi e criteri (relativismo gnoseologico), sia dei principi e dei giudizi etici (relativismo etico), variando tutti da individuo a individuo, da cultura a cultura, da epoca ... Wilhelm DiltheyDilthey ‹dìltai›, Wilhelm. - Filosofo e storico tedesco (Biebrich 1833 - Seis, od. Siusi, 1911). Tra i più importanti esponenti dello storicismo contemporaneo, venne  influenzato dalla cultura neokantiana, positivistica, e dalla cultura romantica tedesca. Nel suo pensiero, espresso compiutamente nella ... Max WeberSociologo e storico (Erfurt 1864 - Monaco di Baviera 1920). La sua sociologia, concepita come scienza pura, è immune da concetti naturalistici e da costruzioni speculative: polemico al tempo stesso contro positivismo e storicismo, Weber, Max si proponeva di studiare le azioni tipiche, le probabilità ... Sir Karl Raimund PopperFilosofo della scienza (Vienna 1902 - Croydon 1994). Tra i maggiori filosofi della scienza del sec. 20º, ha esercitato grande influenza per la sua concezione fallibilistica della conoscenza e del metodo scientifico. Pur vicino alle posizioni del «Circolo di Vienna», non ne accettò il criterio di significanza, ...

da – treccani.it
111  Forum Pubblico / ICR-E -/- COMUNICAZIONE OPERATIVA ORGANIZZATIVA. Editoria. / I dati delle indagini conoscitive saranno sempre più indispensabili alla Società inserito:: Ottobre 20, 2023, 07:14:52 pm
Riconfermato Eugenio Brentari alla presidenza dell’International Academy of Sensory Analysis - Olio Officina Magazine
Posta in arrivo

ggiannig <ggianni41@gmail.com>
07:53 (4 ore fa)
a me

https://www.olioofficina.it/magazine/terra-nuda/terra-nuda-2/riconfermato-eugenio-brentari-alla-presidenza-dell-international-academy-of-sensory-analysis.htm
112  Forum Pubblico / N.O.M. NUOVO ORDINE MONDIALE e Stati Uniti d'Europa. / STORIE LEGGENDE E SACRALITÀ DELLA QUERCIA inserito:: Ottobre 14, 2023, 09:48:24 pm
STORIE LEGGENDE E SACRALITÀ DELLA QUERCIA

Quercia
LA MADONNA DELLE QUERCE
Intorno alla quercia vi è un’aurea di sacralità. Moltissime delle storie e delle leggende nate intorno a  questo albero sono in qualche modo legate al sacro. Dagli antichi greci all’attuale religione cattolica, questa pianta, considerato il re (o la regina) degli alberi, è stata venerata e considerata simbolo di lunga vita, maestosità e forza. Nell’antica Grecia la quercia era l’albero consacrato a Zeus. I Romani usavano donare una corona fatta di rami di quercia a colui che in guerra aveva dimostrato valore, difendendo dalla morte un cittadino. Anche i Celti veneravano questa pianta, così grande e imponente. Nella religione cattolica la Quercia è legata anche alla figura Madonna, poiché pare che esista un legame particolare fra quest’ultima e questa pianta, tanto che in passato in alcuni luoghi della penisola si era diffuso il culto della “Madonna delle Querce”.
Proprio in Toscana è possibile percorrere un vero e proprio itinerario attraverso i luoghi in cui sorgono queste querce sacre, presso le quali la Madonna sarebbe apparsa o avrebbe compiuto dei miracoli. Uno di questi luoghi si trova a Lucignano dove è situato il Santuario di Santa Maria della Querce. La leggenda narra che il pittore Feliciano Batone dipinse  in una piccola maestà, situata sotto una grande quercia, una Madonna Addolorata. La storia afferma che proprio in quel luogo, nel 1467, avvenne un miracolo. Un senese inseguito dai suoi nemici si fermò a pregare l’immagine della Madonna di essere salvato. La quercia e l’immagine lo nascosero e lo salvarono. Spostandoci nel comune di Montepulciano è possibile trovare un’altra Madonna della Querce.
In questo caso la storia narra di un tale Antonio di Giulio Rossi che il 10 giugno 1690, passando a cavallo nella località che oggi prende il nome dal santuario, incontrò dei demoni. Per sfuggire a quegli essere infernali l’uomo decise di collocare su una quercia che si trovava un’immagine in gesso della Madonna col Bambino. All’interno del bosco di Valiano, a San Romano, nel comune di Montopoli in Val d’Arno, sorge il Santuario Maria Madre della Divina Grazia che pare sia stato costruito intorno al cappo di una quercia su cui era apparsa l’immagine della Madonna. Nel cuore delle Cerbaie, vicino a Fucecchio, si trova invece la località Querce. Anche questa zona racconta una storia legata al culto della Madonna. Pare infatti che proprio qui, alla fine del 1500, all’interno di un bosco che circondava la chiesa di San Nazario sita in Cerbaia, vicino a Cappiano, fosse giunto un santo: Beato Gino da Lucca. La leggenda vuole che una notte nel bosco scoppiasse un terribile incendio impossibile da domare. Al santo però apparve, ancora una volta vicino a una quercia, l’immagine della Madonna che gli rivelò la presenza di una sorgente d’acqua, grazie alla quale fu possibile domare il fuoco e salvare il bosco dalla distruzione.
In segno di riconoscenza per l’intervento della Madonna, venne costruita sul luogo della sorgente una cappellina e il pittore Bastiano Gherardi da Lucca vi dipinse l’immagine della Madonna sulla parete sovrastante l’altare. Questa immagine venne chiamata Madonna della Querce.

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da - https://innocentiemangonipiante.it/it/blog/storie-leggende-e-sacralita-della-quercia.html#:~:text=Nell'antica%20Grecia%20la%20quercia,pianta%2C%20cos%C3%AC%20grande%20e%20imponente.
113  Forum Pubblico / ICR-E -/- COMUNICAZIONE OPERATIVA ORGANIZZATIVA. Editoria. / Gilberto Gavioli - Il Foglio Clandestino (Aperiodico Ad Apparizione Aleatoria) inserito:: Ottobre 14, 2023, 09:44:10 pm
L’Idea: “la Cultura, i Giovani e i Mondi del Lavoro e delle Produzioni”.

E per novi pensier cangia proposta (Dante)

Gentili Signore e Cortesi Signori,
noi non abbiamo esperienze di sponsorizzazioni o di azioni pubblicitarie a favore delle nostre produzione editoriali, la nostra capacità finanziaria non l’ha mai consentito, anche se avremmo argomenti e capacità adeguati a farne, con successo. Le nostre pubblicazioni lo meriterebbero.
L’Idea: “la Cultura, i Giovani e i Mondi del Lavoro e delle Produzioni”.
Sempre instancabili nella ricerca, non solo letteraria, cerchiamo di rafforzare ulteriormente e decisamente le edizioni, con nuove idee e con la ricerca di risorse adeguate.
Nel 2022 è stata avviata una nuova redazione per Il Foglio Clandestino (Aperiodico Ad Apparizione Aleatoria, attivo dal 1993), prevediamo eventi coinvolgenti e a breve, una collana di piccoli libri d’arte, rilegati a mano a fare da Cercine alla nostra vasta produzione libraria.
Ma sino ad ora e da decenni, ci siamo mossi sempre nella tradizione dello stampare libri, che abbiamo selezionato in collaborazione con gli autori, cercato di venderli con la collaborazione dei librai e dei distributori, per giungere finalmente ai nostri potenziali lettori.
E per novi pensier cangia proposta (Dante)
Oggi vogliamo “cangiare proposta” con un pensiero più aperto al Sociale, tenendo conto delle realtà accademiche e letterarie, basandosi su queste, a noi note per dialogare di Cultura, immergendoci noi, nel Mondo del Lavoro, delle Produzioni e dei Servizi (settori primario, secondario e terziario). 
La Cultura agisce e influisce nel sociale ed ha un compito fondamentale, nel proporre nuove forme di incontro e di convivenza per un futuro che sarà sempre più complesso e diversificato. 
Stiamo pensando di allargare la nostra Proposta culturale a chi ci sconosce e in questi decenni non siamo riusciti a incontrare.
Quindi non solo Libri per lettori, ma Libri per i Compratori di Cultura!
La nostra storia (sempre etica) ci identifica e ci rende distinguibili nel panorama poetico e editoriale, tra le micro-realtà culturali. Noi, anche se piccoli e indipendenti, sappiamo portare Cultura dove e a chi  possono ascoltarci e vivere con noi Eventi culturali. Magari dentro e vicini alla fabbrica.
Oppure poterlo fare con cura e stile in luoghi d’incontro sotto l’insegna di una Azienda o di una realtà produttiva che vuole valorizzare il proprio Capitale Umano.



Non si tratta quindi solo di reperire risorse economiche, ma anche di una restituzione non soltanto generosa, lo crediamo sinceramente, di quanto si è trascurato di mettere in bilancio per allontanare l’inconsapevolezza da chi lavora e far recuperare conoscenze nuove a chi non le ha ancora incontrate.   
Quindi chiediamo: potreste essere sensibili ad investire per la cultura, non ancora entrata in busta paga, anzi forse predata per interessi di altre categorie, perché chi vive del lavoro si senta gratificato?

Insieme percorrendo strade diverse da quelle calpestate sino a qui si può fare Meglio emergere il civismo oggi quasi assente tra noi.

P.S. Definiremo in dettaglio questa iniziativa umana e culturale.
Il Foglio Clandestino (Aperiodico Ad Apparizione Aleatoria,
Gilberto Gavioli

114  Forum Pubblico / ESTERO dopo il 19 agosto 2022. MONDO DIVISO IN OCCIDENTE, ORIENTE E ALTRE REALTA'. / News varie dal Medio Oriente Guerre comprese. inserito:: Ottobre 08, 2023, 11:06:56 pm
(nessun oggetto)
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https://tg24.sky.it/mondo/2023/10/07/israele-sotto-attacco-perche-proprio-ora?intcmp=nl_tg24_null_null
 
115  Forum Pubblico / LA MIA "ISOLA DI ARLECCHINO EURISTICO". TROVARSI SENZA ESSERSI CERCATI. / “Sei l’anima della mia anima, l’ultima forza che mi resta, l’ultima mia poesia”. inserito:: Ottobre 08, 2023, 06:03:54 pm
“Sei l’anima della mia anima, l’ultima forza che mi resta, l’ultima mia poesia”.

Le lettere di Ungaretti a Bruna - Pangea

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116  Forum Pubblico / CENTRO PROGRESSISTA e SINISTRA RIFORMISTA, ESSENZIALI ALL'ITALIA DEL FUTURO. / Marelli, tutte le accuse di Carlo Calenda agli Elkann e a Landini | LA7 inserito:: Ottobre 08, 2023, 05:57:53 pm
Marelli, tutte le accuse di Carlo Calenda agli Elkann e a Landini | LA7

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117  Forum Pubblico / N.O.M. NUOVO ORDINE MONDIALE e Stati Uniti d'Europa. / Storicismo Movimento filosofico che, a partire dalla metà del 19° sec., ha ... inserito:: Ottobre 03, 2023, 07:35:48 pm
Storicismo
Enciclopedia on line

Storicismo Movimento filosofico che, a partire dalla metà del 19° sec., ha posto l’accento sull’irriducibilità della conoscenza storica a leggi universali e necessarie, come quelle tipiche delle scienze naturali, giungendo, nei suoi esiti più rappresentativi, a proclamare la superiorità della conoscenza storica su quella delle altre discipline, in quanto solo tale conoscenza sarebbe capace di cogliere gli aspetti individuali e i valori che costituiscono l’essenza più profonda della vita e della realtà spirituale, e in particolare, il suo continuo mutare, il suo irriducibile dinamismo.

 Il termine compare saltuariamente in Novalis e più di frequente nella prima metà del 19° sec., ma solo alla fine del secolo assume il senso poi codificato da opere come quella di E. Troeltsch (Der Historismus und seine Probleme, 1922) e F. Meinecke (Die Entstehung des Historismus, 1936) per indicare una concezione della storia in contrasto sia con la filosofia romantica e idealistica della storia, sia con l’equiparazione positivistica delle scienze umane alle scienze della natura.

Nato in seguito al grande sviluppo degli studi storici nella Germania del secondo Ottocento, lo s. annovera tra i suoi maggiori rappresentanti W. Dilthey, M. Weber, G. Simmel, O. Spengler e, in certa misura, i neokantiani della scuola del Baden, H. Rickert e W. Windelband. Suo obiettivo fu soprattutto di dare una fondazione gnoseologica alla conoscenza storica, avvertita come un tipo di conoscenza sui generis, interessata a eventi individuali, unici e irripetibili, e quindi radicalmente diversa da quella degli eventi naturali, di tipo essenzialmente nomologico, oggetto delle scienze naturali.

Grande rilievo ha avuto in questa prospettiva la distinzione diltheyana tra Naturwissenschaften («scienze della natura») e Geisteswissenschaften («scienze dello spirito»), le prime basate sull’Erklären, lo spiegare causalmente, le altre sul Verstehen, il comprendere ermeneuticamente, una forma di conoscenza le cui categorie di scopo, valore, significato, diverse da quelle della conoscenza del mondo naturale, sono desunte dalla vita. Gli obiettivi metodologici dello s. avrebbero trovato la loro maggiore espressione in Weber, la cui opera è in larga misura un tentativo di conciliazione tra i due tipi di conoscenza radicalmente separati (anche sul piano ontologico) da Dilthey. In Italia B. Croce elaborò una concezione storicistica, distinta da quella dello s. tedesco, in cui tutta la realtà è concepita come storia, nel senso di un radicale immanentismo. Per l’insistenza sul legame tra i valori e la situazione storica in cui essi emergono e si realizzano, lo s. è stato talvolta considerato una forma di relativismo (in questa direzione va soprattutto la teoria delle Weltanschauungen di Dilthey, con la quale veniva messa in discussione la validità assoluta di ogni singola forma di vita, religione o filosofia). Attraverso la fenomenologia husserliana e l’ontologia heideggeriana lo s. è stato in parte ripreso dalla filosofia ermeneutica (in particolare da H.G. Gadamer), che ha posto al centro della conoscenza storica il linguaggio come dimensione nella quale soltanto la verità si manifesta storicamente in modo sempre nuovo e irripetibile.
Un significato completamente diverso dai precedenti ha attribuito al termine s. K.R. Popper (The poverty of historicism, 1944-45), che ha designato con esso l’insieme delle dottrine (materialistiche, evoluzionistiche, idealistiche) che concepiscono la storia umana come uno sviluppo necessario retto da proprie leggi, sulla base delle quali sarebbe prevedibile il suo corso futuro, e volto alla realizzazione di scopi che travalicano le azioni e gli obiettivi dei singoli individui. In quest’accezione il termine è stato applicato da Popper soprattutto alla filosofia della storia di G.H.F. Hegel e alle concezioni dialettiche del marxismo, a suo avviso basate su errori logici e responsabili di giustificare teoreticamente il totalitarismo politico.

VEDI ANCHE
relativismo Concezione fondata sul riconoscimento del valore soltanto relativo, e non oggettivo o assoluto, sia della conoscenza, dei suoi metodi e criteri (relativismo gnoseologico), sia dei principi e dei giudizi etici (relativismo etico), variando tutti da individuo a individuo, da cultura a cultura, da epoca ... Wilhelm DiltheyDilthey ‹dìltai›, Wilhelm. - Filosofo e storico tedesco (Biebrich 1833 - Seis, od. Siusi, 1911).
Tra i più importanti esponenti dello storicismo contemporaneo, venne  influenzato dalla cultura neokantiana, positivistica, e dalla cultura romantica tedesca.
Nel suo pensiero, espresso compiutamente nella ...
Max Weber Sociologo e storico (Erfurt 1864 - Monaco di Baviera 1920). La sua sociologia, concepita come scienza pura, è immune da concetti naturalistici e da costruzioni speculative: polemico al tempo stesso contro positivismo e storicismo, Weber, Max si proponeva di studiare le azioni tipiche, le probabilità ...
Sir Karl Raimund Popper Filosofo della scienza (Vienna 1902 - Croydon 1994).
Tra i maggiori filosofi della scienza del sec. 20º, ha esercitato grande influenza per la sua concezione fallibilistica della conoscenza e del metodo scientifico. Pur vicino alle posizioni del «Circolo di Vienna», non ne accettò il criterio di significanza, ...

da – treccani.it
118  Forum Pubblico / "INTESA DELL'OLIVO POLICONICO". PROGETTO DECENNALE DI SVILUPPO PER PRIORITA'. ANTE. / Ebbene alla fine Dario Fabbri, il mattatore televisivo con Mentana, prima con... inserito:: Ottobre 03, 2023, 07:08:59 pm

Franz Forti
 Preferiti  · tsdpoenSor982m28h5au79m1uh 8ttm8mhht9i7f205t22g18l701499c6c3  ·

Ebbene alla fine Dario Fabbri, il mattatore televisivo con Mentana, prima con Limes e poi con la sua creatura, Domino, ha ammesso di non essere laureato.
Qui il link all'ammissione https://www.dissipatio.it/dario-fabbri-intervista/

E quindi l'amico Riccardo Puglisi aveva (ha) ragione.
Ora a me non interessa la laurea, come pezzo di carta, di una persona competente su un certo tema. Ma non si deve millantare ciò che non esiste. A Oscar Giannino hanno fatto un mazzo tanto (giusto) e gli hanno rovinato la carriera politica e professionale (meno giusto). Eppure "parlava bene" sapeva raccontare, diceva cose interessanti. In tanti lo ascoltavano. Non voglio rivangare quell'episodio ma anche all'estero per molto meno (copiare una tesi) si finisce nei guai.
E devo dire che anche io ho avuto un'esperienza simile. Ho studiato Scienze Biologiche ma poi ho abbandonato. Mai, tuttavia, mi sono permesso di dire nel CV di essere laureato in Biologia o di dirlo nei vari colloqui di lavoro. Ma forse per millantare una laurea in Biologia o addirittura Medicina, ci vuole una notevole faccia di palta. Saremmo al limite della frode, perché si lavorerebbe in laboratori o in corsia dove la laurea e la specializzazione sono a tutela della salute delle persone.

Devo allora arguire che invece millantare una laurea in Scienze Politiche sia una bazzecola.
Cosa volete che valga? Nulla. "A dime a dozen". Pezzo di carta.
Non me ne vogliano i laureati, e soprattutto laureandi in tale disciplina ma forse è meglio abbandonare gli studi e concentrarsi sulla "geopolitica umana".

Sì, avete letto bene. Basta esaminare il testo che vi ho linkato e cercare "umana". E immagino che si aprano sul piano lavorativo "ampie" prospettive (spiritosi astenersi) per la geopolitica vegetale, animale, fungina, batterica e virale. Mi aspetto anche qualche nicchia lavorativa per muschi e licheni. Prima o poi incontreremo anche esseri di altre stelle o galassie e allora sì che avremo la geopolitica interstellare. Non vedo l'ora.
Ma non è tutto. Penso che la riflessione vera la dovremmo fare non sul personaggio ma sulla geopolitica (con o senza "umana").
Ma è presto e già l'ho fatta lunga. Rimandiamo questo aspetto.

Ma inserisco solo un indizio: Miseria dello storicismo, di Karl Popper.

da Fb del 3 ottobre 2023
119  Forum Pubblico / ARLECCHINO EURISTICO, Nickname che "INVITA ALLA PARTECIPAZIONE", Attraverso gli Scritti. / VISCONTE ALEXIS DE TOCQUEVILLE inserito:: Ottobre 01, 2023, 07:49:20 pm
Domenica 01 ottobre 2023

    “Le società devono giudicarsi per la loro capacità di fare in modo che le persone siano felici.”

VISCONTE ALEXIS DE TOCQUEVILLE


da frasicelebri.it

120  Forum Pubblico / LA CULTURA, I GIOVANI, La SOCIETA', L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA, IL MONDO del LAVORO. / Il sol dell'avvenire - Film (2023) inserito:: Ottobre 01, 2023, 07:47:26 pm
Il sol dell'avvenire - Film (2023) - MYmovies.it

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