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Autore Discussione: MICHELE BRAMBILLA  (Letto 63001 volte)
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« Risposta #45 inserito:: Settembre 24, 2011, 11:48:22 am »

24/9/2011

Romano un super rospo per la Lega

MICHELE BRAMBILLA

Proviamo a immaginare la faccia di un militante leghista - non c’è bisogno di pensare a quelli con in testa le corna da Celti: bastano quelli con un fazzoletto verde nel taschino - di fronte al curriculum vitae dell’onorevole Francesco Saverio Romano.

Intanto, è nato a Palermo. Poi, è stato democristiano. Quindi, dell’Udc di Casini (uno dei bersagli preferiti degli insulti di Bossi). Adesso è di un partito che non abbiamo capito bene come si chiama, visto che il sito ufficiale della Camera per comunicarlo impiega, anziché una riga, una mezza pagina: nella quale francamente ci si perde, essendo Romano passato in questa sola legislatura dall’«Unione di Centro» al «Gruppo Misto»; quindi da «Noi Sud - Libertà e autonomia, I Popolari di Italia domani» a «Iniziativa Responsabile», e infine a «Popolo e Territorio». Il motivo di tanto peregrinare è poi spiegato sul sito personale dell’onorevole Romano: «Insieme ai deputati meridionali Calogero Mannino, Michele Pisacane, Giuseppe Drago e Giuseppe Ruvolo aderisce al Gruppo Misto fondando il movimento Popolari di Italia domani (Pid) abbandonando quindi il ruolo di opposizione e schierandosi a sostegno della maggioranza parlamentare di centrodestra di Silvio Berlusconi». Sostegno ricompensato, il 23 marzo scorso, con la nomina a ministro dell’Agricoltura. Ultimo dettaglio: il Nostro è indagato per concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione. Adesso torniamo alla faccia del militante leghista che legge. Meridionale, democristiano, casiniano, trasformista premiato con un ministero, indagato per mafia: sembra il ritratto perfetto di quell’esemplare di politico che la Lega Nord ha sempre giurato di volere spazzare via. Ricordate gli slogan dei primi tempi? Quel «lumbard tas» (lombardo, taci) con cui i primi leghisti denunciavano lo strapotere dei professori meridionali nelle scuole? E il «via da Roma» scopiazzato a Martin Lutero? E il «Roma ladrona», e il cappio per gli inquisiti, e così via? Lungi da noi far pensare che Francesco Saverio Romano non sia una degna persona. Tutto ciò che c’è nel suo curriculum non è motivo di condanna. Nemmeno l’essere indagato per mafia, visto che ciascuno è innocente fino a sentenza definitiva. Stiamo solo dicendo che a un leghista un simile personaggio provoca l’indigestione. Tanto più se si pensa che il ministero occupato da Romano era, all’inizio della legislatura, proprio di un leghista: Luca Zaia.

Eppure, dopo aver digerito i salvataggi di Caliendo, di Cosentino e di Milanese, i militanti della Lega dovranno a quanto pare mandare giù anche questa. Mercoledì prossimo, 28 settembre, alla Camera si voterà infatti una mozione di sfiducia che Pd, Fli e Idv hanno presentato nei confronti di Romano in seguito al rinvio a giudizio chiesto dalla Procura di Palermo. E ieri Marco Reguzzoni, il capogruppo, ha già detto che la Lega voterà «no» alla sfiducia. Non è che Reguzzoni - e Bossi che ha preso la decisione - siano pazzi. Al contrario, seguono un calcolo più che razionale. Se il ministro indagato per mafia viene sfiduciato, il suo gruppo - i cosiddetti Responsabili - tornano da dove erano venuti, e tolgono la stampella offerta un anno fa a Berlusconi. Salvando Romano, la Lega salva il governo. Su questo non si discute. Resta da capire se salva anche se stessa. Al di là delle risentite smentite dei suoi colonnelli, la Lega è oggi un partito in difficoltà. C’è Bossi che non vuole mollare Berlusconi, a costo di cercar la bella morte. E c’è Maroni che pensa: prima ci smarchiamo dal Cavaliere che affonda, più probabilità abbiamo di non venire puniti alle prossime elezioni. La «base» sembra più in sintonia con Maroni. Pare sfiduciata e arrabbiata: alla festa di Venezia c’era poca gente, e a Radio Padania debbono filtrare le telefonate per non mandare in onda gli insulti. Checché se ne dica (anzi se ne strilli) ai comizi, ci sono segnali inequivocabili: quelli delle urne. In un anno la Lega è passata dal trionfo delle regionali al crollo delle comunali. Dunque mercoledì prossimo Bossi sarà di fronte a un dilemma. Salvare Romano vorrebbe dire restare al governo. Ma restarci grazie a una di quelle alchimie che la Lega chiama «il marciume del Palazzo». Per il popolo padano sarebbe un rospo, l’ennesimo, e non è detto che sia disposto a ingoiarlo.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9235
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« Risposta #46 inserito:: Settembre 25, 2011, 11:19:44 am »

22/9/2011

Un pesante distacco dalla realtà

MICHELE BRAMBILLA

Di che cosa si parla in questi giorni in Italia? Ascoltando i discorsi della gente comune, non solo degli imprenditori, ma anche dei semplici dipendenti o di chi si incontra al bar o al supermercato, diremmo che non ci sono dubbi sull’argomento più gettonato. Più che un argomento è una domanda: quanto durerà questo governo?

Dalle inchieste dei magistrati emergono comportamenti incredibili da parte di chi è incaricato di guidare il Paese; e già questo è un fatto che fa chiedere a molti che cos’altro debba ancora succedere. Ma poi, soprattutto, c’è una crisi economica senza precedenti. Quando mai s’è sentito parlare di un possibile fallimento dell’Italia? Saranno anche paure esagerate, ma molti italiani si sono precipitati in banca per vendere i propri titoli di Stato nel timore che possano non essere rimborsati.

Anche dall’estero si guarda all’Italia come a un Paese sull’orlo del baratro e quindi bisognoso di una svolta. L’Europa ci ha appena imposto un manovra di cui il nostro governo, se non altro per un bieco calcolo di consensi elettorali, avrebbe volentieri fatto a meno. Standard and Poor’s dopo aver declassato l’Italia ieri ha declassato sette nostre banche.

I grandi giornali di mezzo mondo ci chiedono che cosa aspettiamo a darci una mossa, per mossa intendendo il cambiamento della guida politica.

E questa è oggettivamente la richiesta che viene da grandissima parte del Paese. Non solo del Paese politicamente schierato, quello in servizio antiberlusconiano effettivo e permanente: ma anche di quel mondo che in Berlusconi ha sperato, più o meno convintamente. Da Confindustria a quegli imprenditori del Nord che, come ha raccontato Marco Alfieri in un reportage su questo giornale, per Berlusconi avevano messo anche la faccia, e che ora non ne possono più. Insomma: giusta o sbagliata che sia, sale la richiesta di un cambio di passo. Per essere più espliciti, di una nuova guida politica. Che è tutta da studiare, e che non è detto che debba comportare un ribaltone parlamentare con un cambio di maggioranza: ma che dia il segno tangibile di una novità, di un taglio netto con una gestione politica che ci ha portati sull’orlo del fallimento.

Tutti dunque ne parlano. Tutti tranne chi dovrebbe per primo porsi il problema. Ieri Berlusconi è salito al Quirinale e qualche povero illuso aveva messo in giro la voce che, di fronte al Capo dello Stato, il premier avrebbe affrontato il discorso su un suo possibile passo indietro. Ma lasciando il Colle il premier ha assicurato che l’argomento non è neppure stato sfiorato. E uno dei suoi uomini, il ministro Giancarlo Galan, l’ha liquidata così: «Ho parlato con Berlusconi e mi ha detto che posso rassicurare gli italiani: il Presidente della Repubblica non si è dimesso». Quanto a Bossi, le sue parole sono state le seguenti: «Il governo va avanti? Penso di sì. Non so cosa sia andato a fare Berlusconi dal presidente Napolitano».

Temiamo di saperlo noi. Al Capo dello Stato che gli riportava le preoccupazioni sue, del Paese intero e di mezzo mondo, il premier pare abbia risposto di stare tranquillo, che le cose vanno bene, che è tutta colpa degli speculatori stranieri, che non bisogna dare retta ai giornali, che le inchieste della magistratura lo rinvigoriscono e che presto tirerà fuori dal cappello un piano per lo sviluppo che farà ripartire l’economia.

Viene in mente il titolo di un film di una decina di anni fa: «Fuori dal mondo». Solo che quel film parlava dell’estraniarsi volontario, dal mondo, di una suora di clausura. Mentre qui fuori dal mondo ci sono ahimè coloro che il mondo dovrebbero guidarlo. Le battute di Galan, gli sproloqui di Bossi e il Berlusconi che annuncia l’arma segreta danno l’idea di una classe dirigente ormai totalmente staccata dalla realtà.

Ieri abbiamo letto un pezzo della prefazione che Giulio Andreotti ha scritto a un libro sulla storia della Dc. Rievocando i tempi del dopoguerra, della Costituzione e della ricostruzione, Andreotti ricorda che non solo la Dc, ma anche gli altri partiti fissavano sempre, prima di ogni iniziativa politica, un obiettivo a lungo termine, un progetto per il Paese futuro. Saranno anche nostalgie del passato. Ma la miopia di chi ha preso il posto di quei politici fa di tutto per alimentarle.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9228
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« Risposta #47 inserito:: Settembre 29, 2011, 04:57:23 pm »

29/9/2011

Quei gesti stonati della politica

MICHELE BRAMBILLA

Forse pensando di essere in sintonia con l’esplosione di gioia che verso sera ha attraversato tutto il Paese, il presidente del Consiglio ha calorosamente abbracciato il ministro Francesco Saverio Romano. Che cosa era successo? Il lettore scelga: a) Romano era sfuggito a un attentato. b) era stato finalmente liberato dopo essere stato ostaggio di guerriglieri libici. c) aveva portato a casa un accordo vantaggioso per la nostra agricoltura. d) imputato per mafia, aveva appena ottenuto la solidarietà del Parlamento. Anche Bossi ieri si è espresso a gesti. Ha mostrato il dito medio, cosa che non faceva più da almeno un paio di giorni. Qua è addirittura superfluo chiedere di scegliere tra un’opzione a (Bossi stava scherzando con degli amici) e un’opzione b (stava parlando di un argomento terribilmente serio come la manovra economica).

Purtroppo tutto questo è cronaca, e non Bagaglino. Il Paese rischia il fallimento, gli imprenditori non ce la fanno a tirare avanti (ieri hanno contestato il ministro Matteoli) e i lavoratori non ce la fanno a tirare la fine del mese. Ma nel governo si riesce perfino a litigare sul nome del nuovo governatore della Banca d’Italia, che a quanto pare deve essere scelto in base al luogo di nascita. Insomma noi siamo preoccupati. E chi ci governa che fa? Un po’ litiga, un po’ si abbraccia e un po’ ci mostra il medio. Forse pensando di essere in sintonia con il Paese.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9258
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« Risposta #48 inserito:: Ottobre 12, 2011, 11:56:55 am »

11/10/2011

Le crepe della Lega

Tra i leader legame più forte delle pressioni della base

MICHELE BRAMBILLA

Fa quasi tenerezza Marco Reguzzoni quando definisce «enfatizzazioni giornalistiche» i resoconti sulla protesta della base leghista di Varese.

Per essere più convincente, Reguzzoni aggiunge che «tra l’altro la stampa non era nemmeno presente». È un’aggiunta infelice che trasforma la smentita in una conferma. Certo che i giornalisti non c’erano: ma non c’erano perché i capataz della Lega non li avevano fatti entrare. E per quale ragione non li avevano fatti entrare, se non per il timore che vedessero l’invedibile, e cioè Bossi contestato a casa sua?

«Mi creda - ci confida un esponente leghista che domenica era in sala -, quello che hanno pubblicato i giornali non è enfatizzato, al contrario è riduttivo». Amministratori locali, militanti e semplici iscritti hanno urlato il loro dissenso contro un congresso provinciale che - alla faccia dell’autodeterminazione dei popoli - è sembrato degno di un Politburo. Bossi ne è rimasto sconvolto. Anche perché è stata una protesta spontanea, non organizzata: anzi l’ordine dei colonnelli dissidenti era quello di «non fare casino».

E così, la giornata di domenica scorsa potrebbe anche diventare storica. Primo, perché mai Bossi era stato contestato a Varese, cioè nella culla della Lega. Secondo perché la protesta, nonostante il niet imposto all’ingresso dei giornalisti, è diventata pubblica. Molti dissenzienti sono usciti allo scoperto, e così questa volta sarà più difficile parlare delle «solite balle della stampa». La spaccatura è ormai un fatto conclamato.

Bossi, nonostante la retorica anch’essa paragonabile a certi bollettini medici da Unione Sovietica, è un uomo stanco e malato. Non è neppure sempre lucido: è sgradevole dirlo, ma chiunque l’abbia seguito negli ultimi tempi sa di che cosa stiamo parlando. In queste condizioni, è accudito da una ristretta cerchia di persone: la moglie Manuela Marrone, Rosy Mauro, Reguzzoni, Belsito, Bricolo, ossia il cosiddetto «cerchio magico». Secondo molti leghisti, da costoro Bossi non è accudito ma commissariato. E questo è già un primo motivo di malcontento: l’avere un capo che è anche un sottoposto.

Ma Bossi è in difficoltà anche per altri motivi. Un secondo motivo è che la Lega si è presentata sulla scena politica come un movimento rivoluzionario, e non si possono lasciare a metà le rivoluzioni. Il peraltro impalpabile federalismo portato a casa in vent’anni non ha nulla a che fare con le promesse delle origini. Un terzo motivo di disagio è contingente: Bossi non vuole mollare Berlusconi a nessun costo, e molti temono che il matrimonio, oltre che indissolubile, si riveli mortale per il partito.

Roberto Maroni è il leader di tutti questi scontenti. Se fosse per lui, mollerebbe subito il governo e ripresenterebbe una Lega barricadiera e solitaria come ai bei tempi. Così nasce il cosiddetto scontro fra «maroniani» e «bossiani» (Roberto Calderoli invece non è né un maroniano, né un membro del «cerchio magico»: secondo alcuni sta giocando una partita tutta sua, fa il mediatore fra le due anime e spera di trarre beneficio tra i due litiganti).

Ma attenzione: sbaglia, e di grosso, chi pensa o spera che Maroni possa lavorare per prendere il posto di Bossi. Non lo farà mai. Tra i due c’è una amicizia troppo vecchia e profonda. Un mese fa, durante un incontro nel quale non sono mancati bruschi scambi di opinioni, a un certo punto Bossi è scoppiato a piangere e i due si sono abbracciati.

Perché, allora, Bossi e Maroni non riescono a raggiungere un’intesa politica? Il Senatùr si è molto arrabbiato quando «Panorama» ha sottolineato il ruolo decisivo di sua moglie. Ma nella Lega è questo che dicono: che il problema è la moglie. Bossi, al di là di quello che si possa pensare di lui, non è comunque uomo che si sia arricchito con la politica: e la moglie - si sussurra nella Lega - gli ricorda che, dopo aver dato tutta la vita al partito, adesso deve pensare ai figli. Per questo qualunque colonnello cresca nei consensi interni diventa un pericolo: nella Lega del futuro dopo Bossi ci dev’essere un altro Bossi, che sia Renzo la Trota o Roberto Libertà.

Maroni tutte queste cose le sa. E non vuol far la parte di chi accoltella nella schiena il vecchio amico per prendere il suo posto. Per amore di Bossi, domenica ha ritirato il suo candidato al congresso di Varese. Il problema, però, è che ormai molti «maroniani» sono partiti, e sarà difficile fermarli.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9308
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« Risposta #49 inserito:: Ottobre 15, 2011, 05:36:02 pm »

15/10/2011

La crescita delle poltrone

MICHELE BRAMBILLA

Il governo è stato di parola: appena ottenuta la fiducia alla Camera, ha varato gli annunciati provvedimenti per la crescita. Crescono infatti le poltrone del governo medesimo: ce ne sono tre nuove, due da viceministro e una da sottosegretario. Inutile aggiungere «a chi» tali poltrone siano andate: i due nuovi viceministri sono deputati che avevano appena votato la fiducia.

Deputati che fino a qualche tempo fa non l’avrebbero votata; e cioè una ex finiana e un ex dipietrista. Quanto al nuovo sottosegretario, ha un passato nell’Udc. Le opposizioni gridano al mercimonio. Ma forse, più che questa distribuzione di «premi di risultato», colpisce la tempistica. Una volta ci si preoccupava non dico di salvare le apparenze, ma perlomeno di cercare di far passare tutto nel dimenticatoio. Si aspettava qualche mese, e poi si distribuivano le medaglie. Ieri invece la ricompensa è stata fulminea: voto, fiducia, Consiglio dei ministri e nuove nomine in meno di mezza giornata. Com’è possibile che Berlusconi e i suoi ministri non capiscano che una simile sollecitudine è anche una plateale ostentazione? Come non tenere conto delle reazioni che un gesto del genere provoca nella gente comune? Ma l’impressione è che della gente comune, e quindi del Paese, non ci si preoccupi più. Pensino quello che vogliono, chi se ne importa.

Anche l’esultanza da stadio dei parlamentari della maggioranza dà il senso di un distacco fra il Paese e il Palazzo. Certo il governo ha ottenuto la fiducia, è legittimato a continuare e ha tutti i motivi per esserne rinfrancato. Ma che cosa ci sia da festeggiare, non lo si capisce.

Di certo non lo capiscono gli italiani, messi a dura prova - o come minimo spaventati - da una crisi finanziaria che non ha precedenti negli ultimi cent’anni. Le Borse crollano, il nostro debito viene declassato, si parla di default: e di fronte a tutto questo la classe politica che cosa fa? In altri Paesi questa temperie ha portato maggioranza e opposizione a collaborare con lo stesso spirito con cui si collabora quando c’è una guerra o un terremoto. Qui da noi, di un fronte comune contro la crisi non è neppure il caso di parlare. Almeno fosse unito il governo. Invece abbiamo un ministro dell’Economia pubblicamente sfiduciato da metà, per non dire due terzi, del suo stesso partito; opinioni diverse su pensioni, condono, patrimoniale, tasse; malpancisti vari nel Pdl e nella Lega.

È evidente che il centrodestra ha necessità di ripensarsi. Ma chiunque al suo interno ponga la questione è scomunicato come un traditore, o un ingrato, o un ambizioso in cerca di gloria personale. Era già successo a Casini, e poi a Fini: ora succede a Formigoni, a Pisanu, a Scajola, a Maroni. E in realtà sono poi molti altri ancora i parlamentari e i ministri che in privato dicono che così non si può più andare avanti, ma che in pubblico non hanno il coraggio di riconoscere che la barca affonda.

E così si rimane aggrappati, più che alla difesa del centrodestra (non parliamo neppure del Paese) a quella del suo premier, come se una parte politica dovesse coincidere in eterno con una sola persona. Si rimane aggrappati a qualche voto in più, da ricompensare con qualche inutile poltrona. Chiusi in un bunker mentale impermeabile agli umori degli italiani, elettori di centrodestra compresi.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9321
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« Risposta #50 inserito:: Ottobre 17, 2011, 09:31:24 am »

Politica

17/10/2011 - RETROSCENA

La lista degli epurati agita la Lega

Il leader del Carroccio in un comizio a Varese aveva dichiarato: «Tutto quello che guadagno lo metto in Lega, e mia moglie mi sgrida»

Continua a Varese il muro contro muro tra maroniani e uomini vicini al cerchio magico

MICHELE BRAMBILLA
INVIATO A VARESE

Pare che una delle chiavi per capire la politica italiana stia in una frase che Umberto Bossi s'è lasciato scappare poco meno di un mese fa a Somma Lombardo, in provincia di Varese, durante un comizio: "Tutto quello che guadagno lo metto in Lega, e mia moglie mi sgrida".
Bossi e famiglia abitano a Gemonio - all'imbocco della Valcuvia, il panorama dominato da un orribile cementificio in una villetta giallina, inizio Novecento. Meglio della casetta bianca del tempo Avanti Lega: ma comunque niente di che, una villetta piccolo borghese. Si può dire quel che si vuole, di Bossi: ma non che con la politica abbia fatto i soldi.

«Soprattutto da quando lui si è ammalato - racconta un importante leghista varesino - la signora è preoccupatissima per i figli.
Teme che all'università e nel mondo del lavoro vengano penalizzati perché si chiamano Bossi. Vuole allora che abbiano un futuro nel partito: dove, però, vede nemici dappertutto». La signora è Manuela Marrone, 57 anni, seconda moglie di Bossi e madre di Renzo, Roberto Libertà e Sirio Eridano. Un mese fa Bossi è andato su tutte le furie perché Panorama le ha dedicato un servizio. «Lasciate fuori mia moglie», ha urlato ai giornalisti, e avrebbe certamente ragione se la questione non fosse ormai diventata una bomba politica all'interno della Lega. Dove molti accusano la signora Manuela di essere il capo di quel "cerchio magico" che condiziona tutte le scelte di Bossi, alleanza con Berlusconi compresa. Insomma tra moglie e marito non mettere il partito.

A una settimana dal burrascoso congresso in cui Bossi è stato contestato, la situazione sta degenerando. Da giorni non si fa che parlare di una lista di proscrizione preparata proprio dal cerchio magico: elencherebbe 47 «maroniani» da espellere dalla Lega, tra i quali nomi eccellenti come lo stesso sindaco del capoluogo, Attilio Fontana. Immediatamente gli amministratori locali del Varesotto fedeli a Maroni si sono detti pronti a presentare una «contro lista nera» che punta diritto al cerchio magico. E non è cosa da poco perché i maroniani sono in netta maggioranza nel partito, oltre a Varese hanno molti sindaci importanti: a Tradate, a Morazzone, a Buguggiate, a Caronno Varesino, a Gazzada Schianna.

Ormai le sdegnate smentite dei vertici della Lega («le solite balle dei giornalisti, spazzatura») non bastano più. La guerra interna è pubblica. Se molti parlano solo dietro garanzia dell'anonimato è perché la tensione è altissima: però sono sempre più numerosi gli scontenti che escono allo scoperto: in tanti si sono sfogati sul quotidiano La Provincia di Varese, il primo ad aver tirato fuori la storia della black list con i 47 nomi. E lo stesso sindaco Fontana ha chiesto spiegazioni con una lettera al nuovo segretario provinciale, Maurilio Canton, imposto dal cerchio magico nel congresso bulgaro della scorsa settimana.

Canton dice che la lista non esiste. Ma che la guerra ci sia, e che sia combattuta pure a colpi bassi, è evidente.
Basta vedere su Internet il misterioso blog "Velina VerdE". È un attacco continuo a tutti i maroniani. Chi c'è dietro la Velina Verde?
Mah: la piattaforma internet è in Islanda, il server nelle Antille. I maroniani si dicono certi dello zampino del cerchio magico.
Nel mirino del blog c'è anche un'associazione culturale che si chiama "Terra Insubre", accusata di essere un centro di potere occulto dei maroniani. Uno degli animatori storici di Terra Insubre è un avvocato, Andrea Mascetti, considerato un ex simpatizzante dell’Msi: non è un caso che Bossi, dopo la contestazione della scorsa settimana, abbia parlato di «un gruppetto di fascisti». Anche se «di Terra Insubre - assicura un leghista varesino - al congresso non c'era nessuno».

Un brutto clima. «E tutto è nato - dicono i maroniani - quando la signora Manuela ha cominciato a preoccuparsi per suo figlio Renzo dopo le bocciature alla maturità. Ha iniziato a non parlarci più e a impedirci di parlare con Bossi. Si è convinta che Maroni abbia in testa chissà quali manovre per la successione. Invece, se c'è qualcuno che vuole bene a Bossi e ai suoi figli, è proprio Maroni».

Nipote di un martire della Resistenza (il siciliano Calogero Marrone, che da capo dell'Anagrafe del Comune di Varese forniva documenti falsi a ebrei e partigiani, e morì in un lager nazista), maestra elementare in pensione e ora direttrice di una scuola da lei fondata (la Scuola Bosina, a Varese), Manuela Marrone è sempre stata una donna riservata. La Lega è nata in casa sua: ma di lei si ricorda una sola intervista, quindici anni fa, a «Sette». L'ultima apparizione pubblica è a un comizio del marito a Cuveglio, nel settembre del 2010. Anche in quell'occasione non disse nulla. Ma nella Lega si sussurra che il vero capo sia lei, soprattutto da quando, nel marzo del 2004, il marito si sentì male. Attorno a quella sera sono circolate leggende metropolitane sulle quali è meglio lasciar perdere. Sta di fatto che da allora Bossi è sotto tutela di pochi fedelissimi guidati dalla moglie e dalla fedele Rosi Mauro, che da un anno ha preso casa a Gemonio a pochi metri dai Bossi. Ora si dice che proprio Rosi Mauro dovrebbe essere la protagonista di un nuovo repulisti, prendendo lei - al congresso che si terrà entro la fine dell'anno - il posto di segretario nazionale lombardo, che ora è del maroniano Giancarlo Giorgetti. Vero o falso? Se si andasse a voti, Giorgetti stravincerebbe. Insomma sarebbe una nuova battaglia di una guerra che, lo si voglia ammettere o no, è in pieno svolgimento.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/425131/
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« Risposta #51 inserito:: Ottobre 26, 2011, 04:39:34 pm »

25/10/2011

L'assist di Bruxelles al senatur

MICHELE BRAMBILLA

Il governo Berlusconi è stato dato per morto talmente tante volte che ormai viene da pensare che sia immortale. Magari in perenne agonia, ma immortale. Adesso, a una sola settimana dal voto di fiducia, è di nuovo in rianimazione. Ce la farà?

Non lo sappiamo. Ma questa volta pare si sia infilato in un pertugio senza vie d’uscita. Perfino il solito arruolamento di parlamentari dell’ultima ora sarebbe inutile.

C’è da superare una difficoltà ben più grave dei numeri alla Camera: l’appoggio della Lega a una riforma, quella delle pensioni, che l’Europa ha posto come condizione ineludibile.

Il problema è che anche Bossi considera le pensioni una condizione ineludibile: nel senso esattamente opposto, però, a quello richiesto dall’Europa. Su questo punto, il senatur pare non abbia alcuna intenzione di cedere. Ora, è vero che la Lega ci ha abituati a talmente tante retromarce - sulle aliquote Irpef, sul trasferimento dei ministeri, sulla guerra in Libia - che non ci sarebbe più da stupirsi di nulla. Però sulle pensioni è lecito pensare che non voglia fare retromarcia. Anzi, non possa.

Almeno per tre motivi. Primo: Bossi e i suoi ci hanno messo fin troppo la faccia, giurando sul «no» all’innalzamento dell’età pensionabile. Secondo: il 65 per cento delle pensioni di anzianità è al Nord e la Lega, andando a colpire i pensionati, andrebbe a svuotare il proprio bacino elettorale. Poi c’è il terzo motivo, che forse è quello determinante. Bossi sa che, se anche questa volta abbassa il capo «per non tradire l’amico Silvio», rischia di vedersi scappare di mano tutto il partito.

Per capirci: il grosso problema di queste ore di Berlusconi è che mai le sue difficoltà avevano coinciso così tanto con quelle di Bossi, cioè del suo più fedele alleato. Perché Bossi è in difficoltà? Perché la sua base gli chiede, con forza, di staccare la spina, di non trascinare il partito nel gorgo in cui rischia di sprofondare Berlusconi; gli chiede di tornare puri intrepidi e solitari come ai bei tempi. E vede, come possibile realizzatore di questo sogno, non più lui, il pur sempre amato ma ormai vecchio capo: bensì Roberto Maroni.

Tutto questo cova sotto la cenere da un pezzo. Però Bossi, per quanto possa sembrare incredibile, non se ne accorgeva. La ristretta cerchia che lo marca a uomo l’aveva convinto che certe voci erano le solite balle dei giornalisti. Ma c’è stato un momento, nei giorni scorsi, in cui è cambiato tutto: quando Bossi s’è visto contestare nella sua Varese. C’è un filmato, che il «Corriere della Sera» ha scovato e messo sul Web, in cui si vede un Bossi esterrefatto di fronte alle proteste dei delegati varesini per l’imposizione del nuovo segretario provinciale, di fronte alle grida «Vo-to vo-to» e «Bo-bo Bo-bo». Esterrefatto. Mai Bossi aveva assistito a una scena del genere, e mai aveva immaginato di potervi assistere.

Da quel momento, il senatur non è stato più lui. Non s’era mai visto infatti un Bossi così remissivo com’è stato qualche giorno dopo quando Flavio Tosi, uno dei principali dissidenti interni, ha detto che la Lega deve abbandonare Berlusconi. Prima Bossi ha reagito alla vecchia maniera, mostrando a Tosi il medio, dandogli dello stronzo e annunciandogli l’espulsione; ma poi, appena ventiquattro ore dopo, è dovuto passare dal bastone alla carota perché ha capito che come Tosi la pensa la stragrande maggioranza dei leghisti.

Paradossalmente l’ultimatum dell’Europa è ora un prezioso assist per Bossi. Il quale ha infatti la possibilità di staccare la spina su un tema, le pensioni, che è sempre stato suo; insomma senza dare l’impressione di aver ceduto alle pressioni dei «maroniani». Di fatto, Bossi ora può gestire lo strappo invocato da Maroni invocandone la paternità, e guadagnandosi di nuovo la standing ovation del popolo padano. Per quanto possa sembrare strano, sarebbe una soluzione gradita anche a Maroni, che otterrebbe ciò che vuole senza far la parte di chi fa le scarpe al vecchio amico e vecchio capo.

Questi i fatti. Poi, può darsi che Bossi accetti un compromesso sulle pensioni. Ma un compromesso non darebbe soddisfazione né al popolo leghista, né all’Europa. Ecco perché, nonostante tutto possa ancora succedere, la crisi di queste ore sembra davvero la più grave per Berlusconi e il suo governo.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9360
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« Risposta #52 inserito:: Novembre 11, 2011, 04:56:04 pm »

11/11/2011

Irresponsabili il partito trasversale

MICHELE BRAMBILLA

È nato un nuovo gruppo in Parlamento: quello degli Irresponsabili. È purtroppo molto numeroso. Lo compongono quei deputati e senatori che in queste ore non pensano agli italiani che temono di veder svanire i risparmi di una vita, o di perdere il lavoro: pensano a quale soluzione sarebbe più conveniente per la propria bottega.

Gli Irresponsabili stanno sia a destra sia a sinistra, sia fra i berlusconiani doc sia fra coloro che dell’antiberlusconismo hanno fatto la propria unica ragione sociale.

Di Pietro, per esempio. Ha tuonato contro Berlusconi per anni. E ora che Berlusconi cade, lui a che cosa pensa? Pensa che un governo Monti sarebbe una pacchia. Ma non per il Paese: Di Pietro pensa che sarebbe una pacchia per lui, che se ne starebbe fuori, facendo fare ad altri la partaccia di chiedere sacrifici agli italiani. Tra un anno e mezzo, il suo partito raccoglierebbe alle urne i frutti del malcontento.

Il caso della Lega è ancora più grave. Perché è più grave? Perché la Lega fa lo stesso ragionamento di Di Pietro - spera in un governo Monti per rimanerne fuori e guadagnare voti - ma con l’aggravante che, se siamo arrivati sull’orlo del precipizio, è anche per colpa di chi ci ha governato fin qui; e negli ultimi dieci anni la Lega è stata al governo per più di otto. Per pensare di rifarsi una verginità con un anno di opposizione occorre un bel pelo sullo stomaco: e in fondo anche una certa disistima dei propri elettori.

Provate poi a guardare l’elenco di coloro che, nel Pdl, non vogliono appoggiare un governo Monti. Pensiamo male se pensiamo che molti di loro corrispondono a chi nel nuovo governo non avrà più né posti né posticini? Anche nel Pd ci sono molti tormenti. La posizione ufficiale è quella di un appoggio a un governo di unità nazionale. Ma in realtà molti temono che una simile scelta verrebbe pagata duramente alle prossime elezioni.

Insomma il gruppo parlamentare degli Irresponsabili sta semplicemente pensando ai fatti propri. Che siano posizioni di potere personale o calcoli elettorali, non fa molta differenza. Sta girando in questi giorni quella frase di De Gasperi, «un politico pensa alle prossime elezioni, uno statista alla prossima generazione» e c’è da sorridere, o da rabbrividire, se pensiamo a come simili parole possano scivolare via in certe coscienze.

L’altro giorno a Montecitorio un deputato ci diceva che secondo lui questa è la crisi più grave della storia d’Italia dal dopoguerra a oggi. Gli ho obiettato che forse gli anni del terrorismo furono più bui. «È vero - mi ha risposto - allora c’erano le bombe e i morti ammazzati per strada. Ma c’erano parlamentari che, davanti al pericolo, fecero fronte comune per sconfiggere il mostro. E ci riuscirono».

Come dargli torto? Dc e Pci, ideologicamente, erano ben più distanti di quanto non siano oggi il centrodestra e il centrosinistra.
Ma quando rapirono Aldo Moro, in piazza vedemmo le bandiere bianche scudocrociate accanto a quelle rosse con la falce e il martello.
E in Parlamento democristiani e comunisti votarono insieme le leggi per l’emergenza.

Appunto, «emergenza». È la parola che ovunque e in ogni tempo spinge maggioranze e opposizioni a collaborare per il bene del Paese.
In Italia, prima ancora che negli anni Settanta, accadde nel primo dopoguerra, quando c’era da ricostruire tutto. Churchill mise insieme laburisti e conservatori. Ma è inutile continuare a fare esempi: sarebbero infiniti.

Oggi non siamo in guerra, ma sicuramente in un gravissimo pericolo. Tutto fa pensare che la strada da provare sia quella di un governo di unità nazionale. Qualcuno può credere che, viceversa, sia meglio andare al voto. Quel che è certo è che tutte le opinioni sono rispettabili solo se sincere. Se sono motivate da interessi di parte, non sono rispettabili per nulla. Anzi, in un momento come questo sono molti simili allo sciacallaggio.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9422
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« Risposta #53 inserito:: Novembre 13, 2011, 11:31:31 am »

Politica

12/11/2011 - INTERVISTA

"La Lega non pensi solo ai consensi elettorali"

L'sms di una fonte di Formigli a La7 "Silvio non lascia"

L'appello della Carfagna: "Andare alle urne sarebbe dannoso"

MICHELE BRAMBILLA
ROMA

Il consiglio dei ministri è appena terminato. Mara Carfagna sta per salire in macchina per raggiungere la sua Salerno, dove ha organizzato una scuola di formazione politica. Si prepara a una nuova vita? Sorride: «Se questo può contribuire al bene del Paese, sono ben lieta di lasciare il mio posto». Oggi sarà il suo ultimo giorno da ministro. Anche se l’altro ieri Europa, il quotidiano del Pd, le ha dedicato «Robin», la sua rubrica di prima pagina. Il titolo era «Totoministri»; il testo era: «Ehm, scusate, la Carfagna ce la potete lasciare?».

Quando fu nominata, su di lei si sprecarono le battute: espressione del berlusconismo, è ministro solo perché è bella, e così via. Ma meno di un anno dopo è arrivato il risarcimento di Dario Franceschini. Era l’aprile del 2009 e l’allora segretario del Pd disse in un’intervista a La Stampa: «Gli uomini hanno dimostrato tutto il loro razzismo inconsapevole, il loro tardo-maschilismo. Siccome è bella, si esclude che possa essere brava. Ma Mara Carfagna dice cose approfondite, è preparata».

Ministro, che cosa farà da domani?
«Le assicuro che non ci penso. Il mio obiettivo non è conquistarmi una posizione per il domani. Dobbiamo lavorare tutti per l’Italia, che è in un momento drammatico. Dobbiamo mettere il Paese al riparo con un governo largamente condiviso. Poi c’è il Pdl: un percorso politico che non va interrotto. Io credo anzi che il partito debba allargare il fronte dei moderati, e di questo progetto mi piacerebbe fare parte. Per quello che posso fare, con umiltà».

Per adesso però il Pdl è spaccato in due. Che cosa vi siete appena detti? Appoggerete un governo Monti o no?
«C’è ancora molta confusione. La situazione è complicata. È normale che nel partito ci siano posizioni diverse, e anche atteggiamenti diversi. Credo però che sia arrivato il momento di una sintesi».

Secondo lei si riuscirà in così poche ore a mettere tutti d’accordo?
«Io mi auguro che alla scelta si arrivi compatti».

E quale scelta si augura lei?
«Spero che si arrivi alla decisione che è stata auspicata dallo stesso presidente Berlusconi».

E cioè? Che cosa vi dice lui, in queste riunioni?
«Berlusconi ha fatto un sacrificio enorme. Si è fatto da parte. È stato un gesto di grande generosità nei confronti del Paese. La sua forza adesso sta nel contribuire a far nascere e rafforzare un nuovo governo».

Insomma: Berlusconi spinge per un governo Monti e lei è d’accordo con lui.
«Certo che sono d’accordo con lui. L’importante è che il partito resti unito».

Come mai questa volta nel Pdl non tutti seguono l’indicazione di Berlusconi?
«Ci sono posizioni diverse e sono tutte legittime. Ma credo che in questo momento siano in gioco interessi più importanti dei propri punti di vista particolari».

Qual è la scelta più facile per un politico, in una tempesta del genere?
«Quella di chiamarsi fuori. È facile anche perché si annuncia una stagione in cui si prenderanno provvedimenti impopolari. Chiamarsi fuori è facile ma non è un bene per l’Italia».

Ci faccia una percentuale: com’è diviso il partito? Cinquanta e cinquanta?
«Non me la sento di semplificare così. Ci sono posizioni che sono anche legate ai propri percorsi politici. Mi sembrerebbe ingeneroso schematizzare, dire che questo è per un governo di larghe intese e quell’altro per le elezioni subito. Credo che molti non abbiano ancora le idee chiare su che cosa sia meglio».

Lei ha le idee chiare?
«Io penso che le elezioni siano la strada maestra. Ma due o tre mesi di campagna elettorale sarebbero un tempo di instabilità troppo lungo per il Paese, che ne soffrirebbe. Non ce lo possiamo permettere. Non reggeremmo. L’Europa e il mondo chiedono all’Italia risposte tranquillizzanti e immediate».

Quindi lei non andrà alla manifestazione organizzata da Giuliano Ferrara a Milano per il voto subito?
«No, assolutamente».

Dicendo di no alle urne avete perso un alleato storico: la Lega.
«Mi auguro che la Lega ci ripensi. Mi auguro che capisca che non è il momento di pensare ai propri consensi elettorali. È il momento di pensare a salvare il Paese».

Come vede Berlusconi in questi giorni?
«Certo è provato, ma continua a sorprendermi per la sua grande forza d’animo».

L’altro giorno si è sentito male e il suo medico, il dottor Zangrillo, s’è detto preoccupato per la sua salute.
«Nessuno è una macchina, nemmeno Berlusconi».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/429469/
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« Risposta #54 inserito:: Novembre 16, 2011, 03:45:52 pm »

Politica

16/11/2011 - LA CRISI LE MOSSE DI BERLUSCONI

Il Cavaliere moderato tra azienda e politica

I fedelissimi: «Di Monti dice che è bravissimo e intelligente»

MICHELE BRAMBILLA

«E' bravissimo, intelligentissimo...». Le persone che gli stanno più vicine raccontano che Silvio Berlusconi non fa altro che ripetere queste due parole sul conto di Mario Monti: «è bravissimo, intelligentissimo...». L'altra sera l'ha perfino accompagnato a fare un giro di Palazzo Chigi ed era tutto sorridente nel dirgli guardi che bello di qua, guardi che meraviglia di là.

E pare proprio non essere un atteggiamento di circostanza, né tantomeno un bluff. Per quanto possa sembrare incredibile, oggi Silvio Berlusconi è, nel centrodestra, il primo sponsor di Monti for president. La Lega com'è noto se ne è andata per i fatti propri.
Mezzo Pdl voleva le elezioni subito. I falchi poi gridano al colpo di Stato e al complotto dei poteri forti. Ma mentre succede tutto questo lui, Berlusconi, spegne i fuochi, invita alla moderazione, cerca di convincere.

Chi è stato, se non Berlusconi, a spingere il Pdl a dire di sì al governo Monti? Certo accanto a sé ha avuto le tradizionali colombe: Cicchitto, Frattini, Lupi, Fitto, Quagliariello eccetera. Ma in quel partito si sa che non muove foglia che Silvio non voglia: e quindi se alla fine è stato dato via libera a Monti è perché il capo ha voluto così. Non sfugga che solo l'altro ieri - l'altro ieri, non una settimana fa - la posizione ufficiale del Pdl era: sì a Monti, ma solo per un governo di pochi mesi. Ieri invece, appena ventiquattr'ore dopo, Alfano è andato dal presidente incaricato a dare un «sì» senza chiedere alcuna scadenza.

Tutto quello che sta accadendo in queste ore pare confermare che il discorso di domenica sera, quello del videomessaggio, era un discorso sincero. L'addio alle armi forse è un addio reale. Berlusconi ha detto che, pur sentendosi ferito dagli schiamazzi contro di lui, non vuole reagire. Quel «basta faziosità, basta aggressioni» va inteso non solo come un appello ai nemici, ma anche come un messaggio ai più scalmanati dei suoi. Perché?

La risposta sta forse in quello che ci ha raccontato un suo deputato dopo l'ufficio di presidenza del Pdl di sabato sera: «Lui alla Camera aveva un'espressione tetra, tradiva una tensione spaventosa. Dopo le dimissioni pareva sereno, rilassato, come se si fosse tolto un peso». I suoi più stretti collaboratori ora riferiscono che il Cavaliere fa questo ragionamento: «Sono successe due cose in contemporanea. Una è il tradimento di alcuni dei miei, che mi hanno fatto mancare i numeri in Parlamento. L'altra è il meteorite che ha colpito l'Italia, cioè la crisi finanziaria. Due sciagure. Ma paradossalmente, la prima mi ha permesso di salvarmi dalla seconda». Ma sì: ecco perché Berlusconi è così felice nel mostrare le stanze di Palazzo Chigi a Monti. è come se gli dicesse: adesso il fardello ce l'hai sulle spalle tu. Questo vuol dire che il Cavaliere ha deciso di ritirarsi a vita privata? No. Ma da uomo pratico qual è, ha bene in mente tre scenari. Il primo riguarda le sue imprese. Dalle quali è arrivato un appello pressante a fare il famoso passo indietro. Gliel'ha detto Confalonieri, gliel'ha detto Doris, gliel'hanno detto forse anche i figli, chissà. Di sicuro dopo il crollo in Borsa di Mediaset lui ha capito che non c'era tempo da perdere.

Il secondo scenario è quello giudiziario. Chi parla di una trattativa per ottenere una specie di salvacondotto, vaneggia. è ridicolo pensare che una qualsiasi istituzione dello Stato possa imporre a tutti i magistrati d'Italia di sospendere l'azione penale. Però è verosimile che dopo le dimissioni la pressione - soprattutto la ricaduta mediatica dei processi - si allenti.

Terzo scenario: quello politico e internazionale. Con la scelta di non arroccarsi sulle barricate Berlusconi ha guadagnato punti in Italia e all'estero. In questo modo può recuperare sia credibilità fuori dai confini, sia rapporti all'interno. La telefonata avuta l'altro giorno con Fini è stata un mero dovere istituzionale: anzi, per prassi il premier dimissionario avrebbe dovuto andarci, dal presidente della Camera, e non limitarsi a telefonare. Ma che un minimo di disgelo si sia avviato è dimostrato dai toni morbidi con cui Fini, l'altro ieri alla radio, ha commentato la conversazione, ammettendo che al momento del divorzio da Berlusconi qualche torto ce l'aveva pure lui.

Solo così, solo dando un seguito vero all'addio alle armi annunciato nel videomessaggio Berlusconi può sperare di avere ancora un ruolo importante in un centrodestra che inevitabilmente va ora scomponendosi per poi ricomporsi. Quando domenica ha detto che non si sarebbe arreso e che avrebbe raddoppiato gli sforzi, l'ormai ex premier faceva riferimento proprio a questo tipo di impegno. Non a scatenare una guerra a Monti con la logica del «tanto peggio tanto meglio». «Ora occorre però - ci diceva l'altro giorno il deputato pidiellino Osvaldo Napoli - che a sinistra facciano altrettanto e la smettano con certi toni. La pessima performance di Franceschini alla Camera ha rischiato di far saltare tutto». Dare l'addio a una stagione di risse non è solo una necessità imposta dal bon ton, ma la condizione per permettere al governo Monti di salvarci dal disastro. Impresa peraltro già difficile di suo.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/430055/
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« Risposta #55 inserito:: Dicembre 03, 2011, 04:27:55 pm »

3/12/2011

Gli imbrogli della Lega

MICHELE BRAMBILLA

Nella nostra candida ingenuità, quando abbiamo saputo che Roberto Cota e Luca Zaia avrebbero disertato l’incontro di domani tra governo e Regioni per partecipare invece alla riunione del «Parlamento del Nord», abbiamo pensato che il nuovo presidente del Consiglio avrebbe più di un motivo per sentirsi offeso.

In un attimo siamo stati però riportati sulla terra dalle notizie d’agenzia, dalle quali abbiamo appreso che lo screanzato è Mario Monti, e gli «offesi» Cota e Zaia. «È una provocazione, uno sgarbo istituzionale», ha detto il presidente del Piemonte della convocazione a Roma. «Si è voluto fissare l’appuntamento alla stessa ora della nostra riunione, c’è stata poca sensibilità», ha aggiunto il presidente del Veneto.

Come nella manzoniana notte degli imbrogli, nella versione leghista dei fatti le vittime sembrano i ribaldi, e viceversa.
Lo sgarbo istituzionale diventa la convocazione, da parte del governo, dei rappresentanti delle Regioni, non il dar buca all’appuntamento. Allo stesso modo una riunione in cui si dovranno illustrare misure attese da tutto il mondo diventa «un’inutile formalità», come l’hanno definita Cota e Zaia, mentre il «parlamento del Nord» è un’irrinunciabile assise istituzionale. È solo il caso di ricordare che, se Monti ha deciso di incontrare le Regioni la domenica, non è per un capriccio, ma perché per il giorno dopo è previsto il varo del pacchetto anticrisi; e di ricordare pure che oltre ai governatori sono stati chiamati a Roma anche i sindacati.

Ma la Lega pare ormai aver imboccato una strada che già più volte aveva scelto di seguire: quella che porta a un mondo di cartapesta popolato di ministeri mai aperti, di gazebo per referendum che decidono la secessione, di giuramenti sui sacri suoli e di riti dell’ampolla, di parlamenti del Nord che si spostano negli anni da una villa di campagna del Mantovano a un’altra di Vicenza e infine - come sarà domani - a un padiglione della Fiera perché la «sede-del-parlamento-del-Nord» è occupata per una festa di battesimo la mattina e una festa di laurea il pomeriggio.

Ci sarebbe da sorridere di questa specie di Paperopoli o Topolinia della politica. Ma dietro a questo ritorno al folklore a tempo pieno c’è un preciso calcolo politico: trarre profitto dal malcontento che le misure del governo Monti inevitabilmente provocheranno; tornare partito di lotta, cavalcare la protesta, far dimenticare di essere stati al governo quasi nove anni negli ultimi dieci e mezzo; e infine raccogliere i frutti alle prossime elezioni. E così i governatori di due regioni-chiave per l’economia italiana non si degnano neppure di sentire dal nuovo governo quali saranno le misure decise per affrontare la crisi: nella convinzione che optando per Vicenza piuttosto che per Roma daranno soddisfazione al proprio elettorato.

Ma davvero Cota e Zaia pensano, con questa scelta, di rappresentare i propri territori? Davvero sono sicuri che gli imprenditori del Nord li preferiscano al parlamento padano piuttosto che al tavolo con Monti, Passera, Fornero? Nei giorni scorsi il nostro Marco Alfieri ha saggiato gli umori degli amministratori locali e della piccola e media impresa del Varesotto e del Nord-Est - terre leghiste quant’altre mai - e dalle sue inchieste non emerge affatto un entusiasmo per l’Aventino deciso da Bossi. In un momento in cui tutti - anche chi si scannava fino a poche settimane fa - hanno firmato un armistizio per cercare di fronteggiare un’emergenza che fa paura, la Lega continua a vivere nel suo mondo parallelo e fantastico.

O perlomeno la Lega ufficiale. Perché sotto sotto i dubbi si stanno facendo strada. Più di un colonnello è perplesso di fronte alla scelta radicale decisa da Bossi. C’è chi pensa che stare all’opposizione sia anche giusto, ma che vada ridefinito il «come» starci.
Dicendo di no a tutto? Urlando che il Nord se ne va per i fatti suoi? O magari annunciando unificazioni con la Svizzera? C’è chi pensa che questi slogan non solo non servono a niente, ma non incantano più neppure i gonzi. Non è un mistero che Roberto Maroni, ad esempio, stia incontrando imprenditori e rappresentanti di categorie per cercare di capire che contributo la Lega possa concretamente dare, al di là del fumo degli occhi come l’inesistente parlamento del Nord che si riunisce domani.

DA - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9510
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« Risposta #56 inserito:: Dicembre 05, 2011, 11:09:39 am »

Politica

05/12/2011 - LA CRISI PROVE DI SECESSIONE

Bossi scommette sul default dell’Italia

Il leader della Lega Umberto Bossi dal palco del "Parlamento del nord"

Il senatùr: in Europa c’è stata una guerra e ora bisognerà riscrivere i trattati e ridisegnare i confini

Michele Brambilla
Inviato a vicenza

Umberto Bossi compare sul palco del Parlamento del Nord alle 13,18. Non è in camicia verde: ha la giacca scura, una camicia azzurra e la cravatta. Ma il discorso che sta per fare è uno dei più rivoluzionari di sempre. Fa mostrare alle sue spalle una cartina dell'Europa sulla quale suo figlio Renzo ha colorato di arancione il nuovo Stato che sta per nascere. «Una macroregione», spiega il capo, «che comprenderà la Padania, la Svizzera, l'Austria, la Baviera e la Savoia».

Sembra stanco, non gli hanno alzato il microfono e a lui non viene in mente di alzarlo: così parla tutto curvo in avanti, appare più vecchio e malato del solito, la voce è fioca. Parlerà per soli nove minuti, alle 13,27 tutto sarà già finito. Forse è pure lui consapevole della troppa fatica che ha ormai accumulato, e infatti dice: «la gente che è qui non è venuta né per me né per nessun altro, ma per un' idea», e sembra quasi un testamento politico. Come tanti capi che avvertono l'imminenza del tramonto sente nostalgia delle origini, e infatti è a quelle che si richiama: la guerra allo Stato unitario, la secessione, l'indipendenza del Nord.

Ricorda di quando Gianfranco Miglio, nel 1994, gli rimproverò l'alleanza con Berlusconi: «Allora c'erano due strade: o allearsi per prendere i voti e andare a Roma per fare da là una battaglia politica e democratica, oppure scatenare la nostra gente». Non lo dice esplicitamente, ma fa capire quasi un pentimento per non aver seguito la seconda strada; e aggiunge che tuttavia non è mai troppo tardi: «È tempo di scatenarsi. La nostra gente è stanca di essere schiava, oppressa. Siamo pronti a partire».

Parla meno di quanto ha parlato a Pontida e a Venezia perché dà l'impressione di avere meno forza; infatti non grida neppure i soliti slogan, non scandisce il canonico «Padaniaaaa.... Libera!». Però questa volta il suo discorso pare più centrato, più lineare, più logico. Ovviamente ciascuno è autorizzato a pensare che ci sia della follia, in questa logica: ma di certo Bossi mostra un disegno preciso: «Miglio aveva capito che sarebbe stata l'Europa a fare la Padania. In Europa c'è stata una guerra, una guerra economica. Adesso è finita e l'Italia ha perso. Alla fine di ogni guerra si riscrivono i trattati e si ridisegnano i confini».

E i nuovi confini sono appunto quelli della cartina colorata dal Trota: un nuovo Stato che annette la Padania al Nord e abbandona l'Italia centro-meridionale a un destino nordafricano. «Al tavolo della pace», spiega, «noi padani ci presenteremo come popolo vincitore perché queste cose le diciamo da anni, lo sapevamo che l'Europa che stavano costruendo sarebbe fallita. L'Italia invece sarà lì come popolo sconfitto».

La logica del discorso di Bossi è insomma questa: scommettere sul default dell'Italia. Il fallimento economico riuscirà, secondo lui, là dove non sono riuscite né la politica le brigate in camicia verde. Una volta disfatta l'Italia, sarà automatica l'unificazione della Padania con i popoli del Nord. «Si apre ora una finestra importante nella storia, e noi dobbiamo essere pronti a buttarci. Il nostro popolo deve lanciarsi da questa finestra». Prima di lui Calderoli aveva spiegato che la scelta dell'opposizione non è stata fatta «per portare a casa dei voti ma per portare a casa l'indipendenza della Padania», e che d'ora in poi ogni leghista dovrà giurare per iscritto, al momento di prendere la tessera, che l'obiettivo è quello: la secessione.

«La Padania è possibile e presto diventerà realtà», aveva poi aggiunto Roberto Maroni, che dell'Italia è stato fino a poche settimane fa ministro degli Interni. E ora Bossi assicura che finalmente il nemico è vinto: «Il nostro oppressore ha perso. Ci ha solo portato via un po' di soldi, ma non ci ha sconfitto. Adesso bisogna combattere per la Padania. Poi la storia farà la sua parte. Ma noi avremo la coscienza a posto».

Più che un semplice «no» al governo Monti, quello «dei tecnocrati e dei banchieri», l'obiettivo della Lega tornata all'opposizione è dunque questo. La nostalgia dei tempi eroici è alimentata nel padiglione della Fiera di Vicenza da una commemorazione di Gianfranco Miglio nel decennale della morte. Non è un caso che proprio questa commemorazione, affidata al professor Stefano Galli, preceda immediatamente l'intervento di Bossi; che abbia, insomma, il posto più nobile nella scaletta.

Le foto sullo schermo ritraggono il professore ideologo della Lega d'antan insieme con l'allora Senatur. Sarebbe sconveniente ricordare come poi finì l'idillio, con Miglio che definisce Bossi «un incolto, buffone, arrogante, isterico, arabo levantino mentitore»; e con Bossi che replica definendo il suo ex mentore «una scoreggia nello spazio».

Parole che ora Bossi vuol far dimenticare per sempre, così come cercherà di far dimenticare che l'Italia che rischia il fallimento è stata governata, per nove anni negli ultimi dieci e mezzo, anche dalla Lega. È la sua sfida, forse l'ultima.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/433049/
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« Risposta #57 inserito:: Dicembre 19, 2011, 04:54:02 pm »


19/12/2011
 
Il partito degli smemorati
 
MICHELE BRAMBILLA
 
È ricomparso ieri il più importante dei ministri del governo Berlusconi, Giulio Tremonti. Intervistato su Rai Tre da Lucia Annunziata, ha criticato la manovra del governo Monti: «Troppe tasse, pochi tagli alla spesa pubblica e niente per la crescita», ha detto in sintesi.

È probabile che, sentendolo, molti suoi colleghi di partito (o forse «ex» colleghi, visto che Tremonti ha cominciato la trasmissione dicendo che ormai «lavora in proprio», e l’ha finita non smentendo un suo passaggio alla Lega) si siano stropicciati gli occhi, credendo di sognare. Sono quei molti esponenti del Pdl che in questi anni hanno accusato proprio Tremonti di essere il «signor no» che ha bloccato ogni iniziativa volta alle liberalizzazioni, alla crescita, al taglio delle tasse. È vero che in questo Paese si dimentica tutto in fretta: ma ci vorrebbe un clamoroso deficit di fosforo per scordare che proprio all’interno del Pdl Tremonti è stato contestato da tutta un’ala (Brunetta, Crosetto e molti altri, per non dire di Martino che ormai da molto tempo è fuori dai giochi) che l’ha accusato di essere un ministro più statalista che liberista.

E non è un mistero che lo stesso Berlusconi abbia più volte considerato Tremonti un ostacolo alla linea che avrebbe voluto seguire.

Sempre facendo un piccolo sforzo di memoria, ci si ricorderebbe che nella manovra proposta in agosto da Tremonti era addirittura previsto un aumento dell’Irpef chiamato «contributo di solidarietà», nome un po’ beffardo perché di solito si solidarizza con i terremotati e con gli alluvionati, non con il debito pubblico. Furono due quotidiani di centrodestra come «il Giornale» e «Libero» a fare una campagna contro quell’aumento delle tasse, che alla fine fu ritirato dal governo.

Ma d’altra parte proprio lo stesso Tremonti ieri da Lucia Annunziata ha ricordato quanta ostilità abbia ricevuto, all’interno del Pdl, per le sue scelte considerate «poco coraggiose», tutte rivolte al contenimento dei conti e non allo sviluppo. «Dopo le sconfitte elettorali di maggio - ha detto - ci sono stati interventi estemporanei nella nostra coalizione da parte di personaggi che volevano più coraggio, non comprendendo che interventi di quel tipo si sarebbero potuti fare solo in Paesi senza debito pubblico». Più avanti ha aggiunto che la maggioranza è andata in crisi proprio perché «da maggio in poi è emersa una classe politica che non voleva seguire il rigore».

E dunque come può Tremonti oggi criticare una manovra che è certo criticabile, ma che va in gran parte nella direzione di quelle che ha fatto lui, e che è perfino stata scritta da molti uomini che erano con lui al ministero dell’Economia? Ieri Tremonti, poi, ha detto pure che uno dei gravi problemi dell’economia italiana è la mancanza di libertà, visto che «un imprenditore non può neanche tirare su un muretto». Giustissimo: però da chi è stata governata, l’economia italiana e non solo l’economia, negli ultimi dieci anni?

Ma sarebbe sbagliato accusare di incoerenza solo Tremonti. Il suo è un atteggiamento molto diffuso. Lo stiamo vedendo in queste quattro settimane di governo Monti: da Berlusconi che dà del disperato al nuovo premier alla Gelmini che si lamenta per la manovra e per le tasse; dai deputati del Pdl che disertano l’Aula perché hanno il mal di pancia alla Lega che urla contro Roma e contro la crisi. Tutte cose comprensibili e a volte condivisibili. Ma a tutti costoro viene spontaneo rivolgere la stessa domanda di prima: scusate, non c’eravate voi, al governo, fino a un mese fa? E non ci siete stati per otto anni negli ultimi dieci?

La smemoratezza di questi giorni è in realtà un qualcosa di già visto, un vizio che colpisce tutti, destra e sinistra e in fondo ognuno di noi, che appena passiamo da un ruolo di governo (di qualsiasi genere) a un ruolo di opposizione (di qualsiasi genere) ci dimentichiamo quanto sia difficile fare e quanto sia facile criticare.
 
 
da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9563
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« Risposta #58 inserito:: Dicembre 22, 2011, 12:32:30 pm »

22/12/2011

Scandalo al Pirellone: super liquidazione all'arrestato

MICHELE BRAMBILLA

Il fatto è semplice: la Regione Lombardia ha deliberato di versare una liquidazione di 340.000 euro e un vitalizio di cinquemila euro al mese a Franco Nicoli Cristiani, che l’altro ieri s’è dimesso da vicepresidente del Consiglio regionale e da consigliere. L’antefatto è un po’ meno semplice: Nicoli Cristiani non si è dimesso perché è stufo di fare politica e vuol dedicarsi al suo hobby preferito, ma perché il 30 novembre scorso è stato arrestato con l’accusa di avere intascato una tangente di centomila euro per autorizzare una discarica di rifiuti tossici.

Come sempre in questi casi, ci sono anche delle premesse da fare. La prima: i 340.000 euro sono esattamente il trattamento di fine rapporto fissato dalla legge per chi, come Nicoli Cristiani, ha fatto quattro legislature da consigliere regionale; stesso discorso per il vitalizio: non c’è un solo euro che non spetti di diritto. Seconda premessa: stiamo parlando di una persona che non è ancora stata condannata, anzi che non è ancora stata neppure rinviata a giudizio, e quindi non può essere considerata colpevole.

A rigor di norme, dunque, le cose devono procedere così: il politico arrestato incassa Tfr e vitalizio; se poi sarà condannato, risarcirà i danni. Questo a rigor di norme. Ma a rigor di logica e di buon senso, non si può dar torto a chi reagisce a notizie del genere con sbigottimento e anche con rabbia. Ieri il presidente del Senato Schifani ha tirato un po’ le orecchie ai giornalisti, dicendo loro che spesso alimentano nella gente un pericoloso sentimento di «antipolitica»: avrà le sue ragioni, ma sarebbe interessante sapere se pensa che anche una vicenda come questa rientri nelle esagerazioni della stampa. O se spesso non siano gli stessi politici a dare di sé l’idea di una (tanto per usare un termine abusato) «casta».

Intanto, le stesse cifre in ballo fanno immediatamente scattare paragoni imbarazzanti. Quale lavoratore, anche dirigente d’azienda, prende 340.000 euro più un vitalizio di cinquemila euro a mese per vent’anni di servizio? Possiamo pensare davvero che gli italiani debbano digerire somme del genere proprio nel momento in cui si chiede loro di andare in pensione più tardi? Altro paragone imbarazzante: un dipendente di una ditta privata che venisse arrestato con l’accusa di aver rubato sul lavoro, sarebbe invitato a dimettersi con tutti i diritti e le prebende, o verrebbe licenziato in tronco?

Ma poi: che questa sia una di quelle notizie destinate a dar scandalo, è testimoniato dalle parole pronunciate dallo stesso presidente del Consiglio Regionale, il leghista Davide Boni (e quindi alleato con Nicoli Cristiani, che è del Pdl). «Ci aspettiamo un segnale importante dalla giunta», ha detto Boni, che suggerisce a Roberto Formigoni una via d’uscita. Se infatti la Regione si costituisse parte civile, il Tfr e il vitalizio verrebbero congelati; in caso contrario, i pagamenti dovrebbero essere eseguiti entro sessanta giorni. «Non sono convinto che la costituzione di parte civile possa bloccare liquidazione e vitalizio - dice Pippo Civati, consigliere regionale del Pd - ma in ogni caso la giunta la dovrebbe presentare, anche per dare un segnale politico».

Interpellato, Formigoni fa sapere dal suo staff che tecnicamente la Regione non si può ancora costituire parte civile, non essendoci un rinvio a giudizio; e che comunque sta valutando la possibilità di farlo. Decidesse per il no, ci sarebbe da stupirsi. Intanto perché, poco dopo l’arresto di Nicoli Cristiani, Formigoni intervenne in aula con parole molto dure. E poi perché darebbe l’impressione che le istituzioni non si sentono danneggiate da chi finisce in galera per corruzione. Il che sarebbe un danno ancora maggiore dei 340.000 euro che stanno per uscire dalle tasche dei contribuenti.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9572
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« Risposta #59 inserito:: Gennaio 07, 2012, 11:26:03 am »

Politica

06/01/2012 - intervista

Calderoli: "Il cenone? Monti smetta di fare il maestrino"

"Meglio Berlusconi: le cene le faceva a Palazzo Grazioli"

Michele Brambilla
Milano

Il giorno dopo Roberto Calderoli non ripone la clava, anche se è rimasto solo ad agitarla. Ha chiesto le dimissioni di Monti per il cenone a palazzo Chigi con i familiari ma, pur in un momento in cui i politici sono nel mirino, non è facile trovare qualcuno che accusi di scialo un premier che pare la reincarnazione di Quintino Sella: niente stipendio, spesa al mercato, al lavoro durante le feste.

Ministro...
«Senatore. Non sono più ministro».

Ah, già: a proposito di forme da rispettare. Senatore, lei fa un’interrogazione e Monti le risponde elencando i negozi in cui la moglie ha comperato i tortellini e il cotechino. Non le pare di aver preso un abbaglio?
«Si è creato ad arte un certo equivoco. Nessuno si è mai sognato di pensare che Monti avesse fatto pagare la cena allo Stato».

E quindi dov’è lo scandalo?
«Non s’è mai visto un presidente del Consiglio che utilizza palazzo Chigi per una cena di capodanno o di Natale».

Ma Monti era a Roma per lavorare. Preferiva un premier a Cortina?
«In quel momento non stava lavorando. Avesse cenato con, che so, dei politici stranieri, capisco. Ma era lì con i suoi familiari».

Un premier ha l’appartamento lì, come il capo dello Stato ce l’ha al Quirinale, no?
«No. Al Quirinale c’è una residenza, a palazzo Chigi un alloggio di servizio. È diverso».

Francamente non sembra grave una cena con figli e nipoti.
«E invece è assolutamente inaccettabile. Se nessun premier l’ha mai fatto prima, ci sarà pure un motivo. Lei ha mai visto un sindaco fare il cenone in municipio con la famiglia?».

Monti assicura di non aver speso un centesimo pubblico. Ha spiegato che nel palazzo era aperto solo il suo alloggio, e che non c’era personale di servizio.
«Forse non ci saranno stati i camerieri, anche se non mi vedo la signora Monti che sparecchia e lava i piatti. Ma sicuramente c’erano quelli della sicurezza e c’erano i commessi. O lei crede che sia sceso Monti ad aprire il portone?».

Lei ha mai fatto cene di famiglia al ministero?
«Mai. L’avessi proposto, avrebbero chiamato il 118».

Voi della Lega siete stati alleati per anni con Berlusconi, che di feste se ne intendeva. Non avevate nulla da eccepire allora, e adesso vi scandalizzate per una cena di famiglia?
«Berlusconi le feste se le pagava di tasca sua, ad Arcore o a Palazzo Grazioli».

Dove però gli ospiti arrivavano con auto della scorta pagate dallo Stato.
«Io non ho mai letto un comunicato in cui Berlusconi dice: i miei ospiti sono stati scortati da polizia e carabinieri. Invece ho letto un comunicato in cui Monti dice: la mia famiglia ha fatto il cenone a palazzo Chigi».

E tanto basta per chiedere le sue dimissioni?
«Il fatto è che Monti è un po’ troppo supponente. Fa vedere che lui si sposta in treno, che la moglie fa la spesa al mercato, insomma dà lezioni di rigore e di morale. E quando uno fa il maestrino, deve essere inattaccabile».

Lei mette in dubbio la rettitudine di Monti?
«Metto in dubbio che sia un tecnico. Quell’immagine di uomo integerrimo e sobrio gli serve per raggiungere un obiettivo politico».

Secondo lei Monti vuole ricandidarsi a premier nel 2013?
«No, lui ha in mente il percorso di Ciampi: vuole il Quirinale. A premier candideranno Passera».

Senatore Calderoli, davvero non ritirerà la sua interrogazione?
«Ci mancherebbe. Voglio una risposta nelle sedi istituzionali, non mi accontento certo di un comunicato stampa».

Chiederà le dimissioni?
«Dipende. Se Monti scenderà un po’ sulla terra fra i comuni mortali, vedremo».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/437108/
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