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Autore Discussione: Casson: «Tangentopoli non è finita. E riguarda anche noi»  (Letto 2630 volte)
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« inserito:: Luglio 20, 2008, 09:37:19 am »

Casson: «Tangentopoli non è finita. E riguarda anche noi»

Massimo Solani


«La mia sensazione è che in tutti questi anni le strutture delle amministrazioni non siano state assolutamente toccate dall’epoca di Tangentopoli». Felice Casson ha una idea precisa sul fenomeno corruzione in Italia. Una idea che, pur fermandosi in attesa di ulteriori sviluppi sulla vicenda di Ottaviano Del Turco, parte da un assunto forse non troppo popolare: «è come se ci fosse una specie di continuità del fenomeno», spiega.

Senatore Casson, secondo molti Tangentopoli è tornata. Lo crede anche lei?

«Io piuttosto direi che non è mai finita. C’è stato un periodo, subito dopo l’esplosione dello scandalo milanese, in cui sembrava che le cose fossero davvero cambiate. Ma è stata una illusione. In poco tempo chi si era salvato dalle indagini, ha ripreso a comportarsi come se nulla fosse successo. Per questo, nel corso degli anni, è stata più volte sollevata l’esigenza di una analisi in grado di comprendere e delineare adeguatamente il fenomeno. Ma purtroppo nessuna iniziativa legislativa è andata in questa direzione».

Che cosa intende?

«Mi riferisco ad esempio alla convenzione Onu anti corruzione. È stata sottoscritta dal nostro paese nel 2003 ma non è mai stata ratificata. Nella scorsa legislatura, in rappresentanza del Senato, partecipai a Pechino ad una conferenza Onu su questa materia. Fu imbarazzante costatare che oltre 100 paesi di tutto il mondo avevano già firmato la convenzione e che l’Italia non era fra questi».

Il fenomeno dilaga e in Italia, per fare un esempio, viene tagliato l’Alto commissariato anti corruzione. Un ente inutile secondo il governo.

«Certamente, ma è solo uno dei segnali. Il testo quella convenzione Onu e dagli studi fatti dalla banca Mondiale indicano che il fenomeno è in continua estensione, con un enorme danno provocato all’economia e alla finanza. Specie nei paesi in via di sviluppo dove altissimo è il tasso di corruzione. Per questo la Convenzione punta a dotare le strutture nazionale e internazionali di strumenti diversi e più approfonditi. Strumenti che servono con urgenza, per questo ho già ripresentato il testo di ratifica che nella scorsa legislatura venne approvato alla Camera ma non al Senato per dotare il paese di nuovi strumenti per rendere più efficiente la cooperazione internazionale».

Intanto in Italia le armi investigative vengono indebolite. A partire dalla minacciata stretta sull’uso delle intercettazioni.

«Gli strumenti previsti dal nostro ordinamento giuridico ci sono e funzionano. Bisognerebbe lasciarli come sono o addirittura migliorarli. Non spuntarli come invece sembra intenzionato a voler fare il presidente del Consiglio. Ma sbagliamo se pensiamo di affrontare il problema solo dal punto di vista repressivo. È arrivato il momento di ricominciare a parlare seriamente di etica della politica e responsabilità personale dell’agire politico».

Il problema, inutile negarlo, è trasversale. A prescindere dalle vicende abruzzesi nessuno può dichiararsene immune.

«Purtroppo sì, non possiamo negarlo. Non mi riferisco alla vicenda di Ottaviano Del Turco, che magistrati e avvocati chiariranno nel corso delle indagini e dell’eventuale processo, ma ci sono fatti che hanno portato a condanne di amministratori e politici del centrosinistra. Il che significa che il problema riguarda anche noi. E la nostra gente lo sa, e ha consapevolezza della distorsione e sensibilità per il fenomeno. Per questo ci chiede una maggiore riflessione».

Lei diceva: mancano prevenzione e controllo. Da dove iniziare?

«L’aspetto repressivo non può rappresentare la soluzione al problema. Lo dicevo anche ai tempi di Tangentopoli: le inchieste, gli arresti, i processi e le condanne non bastano a risolvere la piaga della corruzione. Ricominciamo a parlare di prevenzione, a partire dalle pubbliche amministrazioni. Ricominciamo a parlare di semplificazioni delle norme, di trasparenza degli atti e delle decisioni. Poi, a costo di ripetermi, ricominciamo ad affrontare il nodo dell’etica nella politica. Insegniamo ai ragazzi a pensare, a ragionare e a vivere in un modo diverso».

Pubblicato il: 18.07.08
Modificato il: 18.07.08 alle ore 12.54   
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« Risposta #1 inserito:: Luglio 22, 2008, 11:03:55 pm »

Politica


Al Senato il Lodo Alfano Il Pd: un sovrano senza limiti

Casson: chiamatelo Lodo Berlusconi


«Non è né molto urgente né poco urgente, é semplicemente giusto». Il ministro della Giustizia Angelino Alfano parla così del Lodo che martedì sera sancirà l’immunità delle quattro più alte cariche dello Stato. Sarà anche giusto, come dice Alfano, ma nel dubbio si è scelta anche l’urgenza.

Il Lodo arriva infatti al Senato, e più in generale all’attenzione del Paese, con una rapidità che in campagna elettorale si diceva sarebbe stata dedicata ad altri temi. Ma tant’è, si va avanti spediti. Martedì mattina, in meno di mezz’ora, la maggioranza ha respinto tutti e 58 gli emendamenti presentati dall’opposizione. E continua a chiedere il dialogo, nonostante non mostri il minimo interesse per le ragioni della controparte. La capogruppo del Pd al Senato Anna Finocchiaro dice chiaramente che sembra che «l'intenzione della maggioranza sia di costruire un sovrano senza limiti e francamente non mi convince». Per questo, ribadisce, «è ben difficile che si possa trovare un filo comune di ragionamento».

La Finocchiaro non è sola, si scaglia contro «una furia legislativa cieca, quasi iconoclasta, per approvare qualsiasi norma che possa non arrecare noia al premier, anzi al princeps» anche il senatore Pd, Felice Casson.

Casson ci tiene a chiamare il Lodo con il suo nome: non Alfano, dunque, ma Berlusconi, perché «è stato lo stesso premier a dire nella lettera inviata al presidente del Senato che aveva bisogno di questo scudo protettivo ritenendolo indispensabile contro quelli che lui ha definito attacchi della magistratura».

Pubblicato il: 22.07.08
Modificato il: 22.07.08 alle ore 19.08   
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