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Autore Discussione: ALLA SANITA' ACCUMULANO PERDITE E I PAZIENTI PAGANO IN SERVIZI MUTILATI...  (Letto 2314 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Dicembre 02, 2015, 07:51:33 pm »

Sanità, Bocconi: “Aziende del Ssn hanno accumulato perdite per 33,7 miliardi.
Spazi di razionalizzazione? Finiti”
Dal rapporto 2015 emerge che il 75% dei macchinari è obsoleto, ma la spesa per investimenti è al palo perché i bilanci sono zavorrati dai debiti.
Così risulta "annullato il beneficio del pareggio di bilancio".
Non c'è più spazio per economie e il sistema ricorre a "tattiche di razionamento" come l'allungamento delle liste d’attesa


Di F. Q. | 27 novembre 2015

Macchinari obsoleti, che hanno “esaurito il proprio ciclo economico e tecnologico”. Spazi di razionalizzazione “esauriti”, a dispetto della retorica sulle differenze di spesa eccessive, tra le diverse zone d’Italia, per le siringhe e tutti gli altri dispositivi medici. Conto economico in avanzo, ma al prezzo di una spesa per investimenti congelata perché sui bilanci pesano perdite consolidate per 33,7 miliardi. E’ il quadro delle finanze del sistema sanitario nazionale delineato dal nuovo Rapporto Oasi (Osservatorio sulla funzionalità delle aziende sanitarie italiane) del Centro di ricerche sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale (Cergas) e della Sda Bocconi. Il Ssn “raggiunge l’equilibrio di bilancio per il terzo anno consecutivo, anche nelle regioni storicamente in disavanzo“, spiega lo studio. “Ma aumentano i bisogni di salute non soddisfatti. Gli spazi per la razionalizzazione sembrano esauriti e la strada del razionamento presenta molti lati oscuri”.

Preoccupante la descrizione delle dotazioni degli ospedali pubblici: il 75% delle attrezzature è “vecchio e superato” ma “non essendoci denaro da investire continua a essere utilizzato”. Utilizzato poco, peraltro, perché “i macchinari sono troppo capillarmente distribuiti tra i presidi ospedalieri e finiscono per rimanere spenti troppo a lungo”. Se la spesa corrente del Servizio sanitario è di 1.800 euro l’anno per ogni cittadino, quella per investimenti è ferma a soli 60 euro. Questo perché, nonostante il conto economico sia “per il terzo anno consecutivo in lieve avanzo”, sul sistema pesano appunto i debiti pregressi: lo stato patrimoniale aggregato delle aziende è in rosso per 33,7 miliardi di euro (dato aggiornato a fine 2013). Secondo Francesco Longo, docente del dipartimento di Analisi delle politiche e management pubblico dell’ateneo milanese e curatore del rapporto, “un debito di queste dimensioni riesce ad annullare il beneficio del pareggio di bilancio, perché è foriero di ricorsi amministrativi e cause civili, oltre ad assorbire tempo e risorse. Finché non si troverà una soluzione, il sistema è condannato a continuare a gestire il passato anziché il futuro”.

La spesa sanitaria pubblica risulta “sotto controllo”: tra il 2009 e il 2014 è cresciuta solo dello 0,7% l’anno, invertendo una tendenza che l’aveva vista crescere, tra il 2003 e il 2008, del 6% l’anno. Ne deriva però, stando al rapporto, che mentre il governo continua a limare le risorse a disposizione “gli spazi per la razionalizzazione della spesa sembrano davvero esauriti” e “il sistema ricorre già troppo spesso a tattiche di razionamento“. Dall’allungamento delle liste d’attesa alla riduzione dei budget per i privati accreditati. Tattiche “che vanno a detrimento dell’efficienza”.

“La vera sfida – secondo Longo – è una riorganizzazione che consenta di fare fronte al cambiamento del quadro epidemiologico, il cui aspetto più dirompente è la crescita della cronicità. Il numero delle unità operative, ospedali in primis, dovrà inevitabilmente essere ridotto, per liberare le risorse necessarie alla cura dei cronici e degli anziani“. Al contrario, gli interventi messi in campo finora sono di tipo istituzionale e mirano a rivedere i perimetri aziendali piuttosto che a riprogettare i servizi.

Dal 2001 al 2015 le fusioni hanno ridotto il numero delle aziende da 330 a 244 (-26%) e altre aggregazioni sono in vista, ma la geografia dei servizi e i processi produttivi del settore si trasformano a un ritmo molto più lento. Le strutture ospedaliere che erogano prestazioni solo per acuti sono ancora 395, il 35% del totale, e la metà (198) ha meno di 100 posti letto. Al di sotto di questa soglia però, afferma il rapporto, si rischia di non avere una dotazione di tecnologia e di competenze e una casistica sufficiente per rispondere in maniera adeguata ai bisogni sanitari con sicurezza e qualità.

Di F. Q. | 27 novembre 2015

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/11/27/sanita-bocconi-aziende-del-ssn-hanno-accumulato-perdite-per-337-miliardi-spazi-di-razionalizzazione-finiti/2258068/
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« Risposta #1 inserito:: Dicembre 04, 2015, 07:28:13 pm »

Salve,
ti segnaliamo questo nuovo intervento pubblicato sul sito:
Quando allo spreco si aggiunge l’iniquità, estendere l'Isee alla sanità per un sistema più equo
   
Di Lelio Violetti

Estendere l'utilizzo dell'Isee alle prestazioni sanitarie per rendere il sistema più equo e contrastare i cosiddetti 'furbetti del ticket'. Un’operazione semplice che consentirebbe di ridurre i vantaggi connessi all'evasione ed elusione in termini di accesso al welfare sanitario che l'esecutivo continua a non prendere in considerazione. Infatti mentre per l'accesso alle prestazioni dello stato sociale, dagli asili nido all'Università, si utilizza l'Isee per l'esenzione dal ticket e in genere per la sanità si fa riferimento al reddito fiscale dichiarato. Una scelta che oltre a favorire lo sperpero di denaro pubblico per carenza di controlli, determina situazioni paradossali in cui chi è ricco, possedendo solo rendite e patrimonio, è legalmente esentato dal pagamento del ticket. Per un governo impegnato nella spending review, almeno a parole, si tratterebbe di un intervento semplice e ovvio, quello di estendere l'Isee alle prestazioni sanitarie, in grado di coniugare risparmio, razionalizzazione della spesa ed equità nella fruizione del servizio sanitario. Ma paradossalmente si continua ad operare tagli generici che finiscono per ridurre le prestazioni alle fasce più deboli gestendo le esenzioni dalla compartecipazione alla spesa sanitaria con una normativa vecchia e fonte di sprechi e iniquità.

La legge in oggetto fu approvata dal Parlamento a novembre 1993 con l’introduzione della compartecipazione degli assistiti al pagamento delle prestazioni del Servizio sanitario nazionale (Ssn), conosciuta con il termine inglese “ticket” (commi 14 e 15 dell’articolo 8 della Legge del 24 dicembre 1993 n. 537). La legge prevedeva anche che a partire dal gennaio del 1995 venissero esentati dal pagamento della compartecipazione i soggetti con meno di 5 anni e/o più di 65 anni appartenenti a nuclei familiari con un reddito complessivo inferiore a 70.000 milioni di lire (36.151,98 euro). La famiglia a cui si fa riferimento è quella fiscale composta da marito e moglie e dagli altri soggetti fiscalmente a carico (figli ed altri soggetti presenti nel nucleo con diverso grado di parentela). Alcune regioni hanno ampliato il campo d’azione di questa disposizione, legando l’importo del ticket alle fasce di reddito complessivo, sfruttando il decreto interministeriale dell’11 dicembre 2009 che consente la verifica e il controllo del diritto alle esenzioni e alla ridotta compartecipazione alla spesa, concesse in base al reddito complessivo del nucleo familiare, attraverso il sistema informativo della tessera sanitaria, costituito presso l’Anagrafe tributaria.

Il problema è che dal punto di vista dell’equità rispetto a questa formulazione originaria, basata sul concetto di reddito complessivo, non contribuiscono più alla progressività dell’imposta alcune tipologie di reddito. In particolare non fanno più parte del reddito complessivo:

- dall’anno d’imposta 2004 gran parte dei redditi di capitale in quanto con l’abolizione dei crediti d’imposta è stata cambiata la loro tassazione e sono assoggettati ad una ritenuta alla fonte a titolo d’imposta; -

- per il periodo dal 2008 al 2011 i redditi dei soggetti (cosiddetti “minimi”) con ricavi inferiori ai 30.000 euro derivanti dall’esercizio di attività commerciali o professionali; questi soggetti hanno avuto la possibilità di determinare il reddito in modo semplificato pagando un’imposta sostitutiva di Irpef (e relative addizionali), Irap ed va-

- dall’anno d’imposta 2012 il regime dei minimi è stato modificato e ristretto il campo ai soli soggetti (imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità), con ricavi inferiori ai 30.000 euro, che intraprendono l’attività o che l’hanno intrapresa successivamente al 31 dicembre 2007; questi soggetti pagano una imposta forfetaria sostitutiva; -

-dall’anno d’imposta 2011 i proprietari di abitazioni date in locazione possono assoggettare i relativi affitti ad un imposta sostitutiva (cosiddetta cedolare secca), di questo reddito si deve comunque tener conto nella richiesta di agevolazioni fiscali e non;

- dall’anno d’imposta 2012 il reddito derivante (rendita maggiorata) dalle abitazioni a disposizione in seguito all’introduzione della nuova Imposta Municipale Unica sugli immobili e per quest’anno d’imposta anche il reddito derivante dall’abitazione principale non è più imponibile IRPEF e quindi questa componente, seppur in precedenza interamente deducibile, non fa più parte del reddito complessivo; -dall’anno d’imposta 2013 sono tornati a far parte del reddito complessivo il reddito derivante dall’abitazione principale e il 50% del reddito delle abitazioni a disposizione situate nel comune in cui il dichiarante possiede anche l’abitazione principale.

I nuclei familiari con soggetti che posseggono, nell’anno d’imposta di riferimento della esenzione/riduzione, tali tipologie di reddito (escluso quello derivante dalla cedolare secca) sono pertanto, ingiustamente, avvantaggiati rispetto agli altri. Una norma fatta per agevolare i meno abbienti rischia di favorire proprio chi possiede di più (redditi da capitale). In un paese come l’Italia, inoltre, dove l’evasione dell’imposta sui redditi è altissima, non considerare il patrimonio mobiliare e immobiliare nella determinazione della ricchezza d’un nucleo familiare appare illogico ed ingiusto. Infatti chi evade in genere trasforma il non dichiarato proprio in patrimonio immobiliare o mobiliare. Tutto ciò è ancora più illogico ed iniquo se si tiene conto del fatto che in Italia dal 1998 è attivo uno strumento, l’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (Isee), che misura in modo neutrale ed oggettivo la ricchezza d’un nucleo familiare (Decreto Legislativo del 31 marzo 1998 n. 109). L’Isee, oltre a considerare tutti i redditi del nucleo (compresi quelli non soggetti alla progressività dell’irpef e non facenti parte del reddito complessivo), tiene conto anche del patrimonio accumulato dalla famiglia.

Recentemente, inoltre, l’Isee è stato rivisto dal Dpcm n. 159 del 5 dicembre 2013 che ha risolto le principali criticità che avevano caratterizzato l’uso dello strumento nei primi quindici anni di applicazione, migliorando la definizione di nucleo familiare, che non fa più riferimento a quello fiscale, e le componenti reddituale e patrimoniale che contribuiscono a determinarlo. Sono state semplificate anche le modalità dichiarative e sono stati rafforzati i controlli in tempo reale (compreso il patrimonio mobiliare) di quanto indicato dai nuclei richiedenti. Con l’utilizzo dell’Isee non ci sarebbero più anche quei problemi di evasione collegati alle false auto-dichiarazioni. La coesistenza delle due modalità di misurazione della ricchezza dei nuclei familiari origina anche uno spreco economico in quanto convive, insieme alla gestione dell’Isee, la necessità di tenere aggiornato, con la manutenzione delle relative applicazioni informatiche, l’archivio, costituito presso l’Anagrafe tributaria, per controllare la sussistenza e la validità delle esenzioni e delle relative compartecipazioni nell’ambito del sistema informativo della tessera sanitaria.

L’Isee sarebbe, pertanto, lo strumento più idoneo da adottare per la concessione di agevolazioni in campo sanitario (ticket compresi). Il sospetto che tuttavia non lo si voglia fare è perché gli anziani, che dispongono di più patrimonio, votano.

Inoltre in questo modo indirettamente si penalizzano i giovani e i loro redditi; è la stessa logica, sbagliata, dell’abolizione della Tasi sull’abitazione principale che utilizza risorse di tutti per sgravare le imposte sul patrimonio a scapito di quelle eccessive che gravano sui redditi e sono pagate in prevalenza dalla popolazione attiva.

RICEVO Da – Fisco Equo
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