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Autore Discussione: URSS Il manifesto degli scrittori perduti - di VITTORIO STRADA  (Letto 2760 volte)
Admin
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« inserito:: Agosto 08, 2007, 12:04:33 am »

   Data  07/08/2007
 alle 10:14:56  (Nessun oggetto)

Riceviamo da:
egaeus



Nel 1934, mentre Stalin stringeva le maglie della dittatura sul mondo culturale, un gruppo di intellettuali cercò di avvertire l’Occidente delle persecuzioni in atto. Ma fu ridotto al silenzio

URSS Il manifesto degli scrittori perduti

di VITTORIO STRADA

Dal 17 agosto al 1° settembre 1934 a Mosca si svolse un avvenimento centrale non soltanto per la letteratura sovietica ma per l’intera ideologia comunista: il Primo Congresso degli scrittori dell’Urss. Vi parteciparono quasi 600 delegati che, per usare una terminologia democratica, rappresentavano i 2500 membri dell’organismo (l’Unione degli scrittori) che per molti decenni, praticamente fino al crollo dell’Urss, doveva controllare l’attività letteraria dell’intero Paese. Nel 1932 il Comitato centrale del Partito comunista, signore supremo di ogni parte della realtà sovietica, quella letteraria e culturale compresa, con una risoluzione intitolata «Sulla perestrojka (cioè sulla «ristrutturazione» n.d.a.) delle organizzazioni artistico-letterarie», aveva decretato lo scioglimento di tutti i raggruppamenti degli scrittori ancora ammessi, leali quindi al potere comunista, e in particolare l’Associazione degli scrittori proletari che era, tra tali raggruppamenti, il più potente, e tiranneggiava gli altri, in quanto, proclamandosi fedelissima all’ideologia del Partito e dello Stato, il marxismo-leninismo, deteneva una sorta di appalto, della tutela dell’ortodossia.
Ma all’inizio degli anni Trenta la politica di Stalin accentuò il principio dell’unità, dell’omogeneizzazione, della centralizzazione in ogni campo economico e politico, quindi anche culturale e letterario, e revocò l’«appalto» all’Associazione degli scrittori proletari, assumendo direttamente la gestione della letteratura (con un impiego, però, anche dei funzionari letterari proletari che seppero adattarsi prontamente alla svolta). Il Primo Congresso nel 1934 fu appunto la grande manifestazione di questa volontà di «serrare le file» del «fronte letterario». Per usare la terminologia militare allora in uso, issando un nuovo vessillo, quello del «realismo socialista», e nominando un ambizioso generale, Maksim Gorkij, il vecchio scrittore amico di Lenin e sodale di Stalin. Il Congresso del 1934 fu una di quelle parate che un regime e un partito totalitario, qualunque ne sia il colore ideologico, ama organizzare in ogni campo, militare, sportivo o intellettuale, come manifestazione di forza e compattezza (e di obbedienza da parte dei suoi sottoposti). Non mancò, tuttavia, qualche nota che suonò stonata al direttore d’orchestra (che era Andrej Zhdanov, sotto la superdirezione di Stalin). «Stonato» fu soprattutto il discorso di Nikolaj Bucharin, un tempo anche lui ultraproletario e ultragiacobino, ma ammorbiditosi con gli anni, tanto che quel suo discorso al Congresso, sullo sfondo cinereo di un conformismo senza spiragli, potè apparire non privo di qualche sprazzo di luce: ma era il discorso di un moribondo.
Scopriamo oggi, grazie a preziosi materiali d’archivio di recente pubblicati in Russia, che nel 1934 a Mosca attorno a quel Congresso avveniva qualcosa di sbalorditivo, anzi sovversivo: era stato scritto, da anonimi letterati sovietici un appello agli scrittori stranieri, più o meno simpatizzanti col regime comunista, affinché aprissero gli occhi e intervenissero coraggiosamente in difesa delle vittime del comunismo così come nobilmente intervenivano in difesa delle vittime del nazismo. Prontamente sequestrato, quell’appello (dattiloscritto) è stato però conservato (risale al 20 agosto 1934).
Per prevenire una distorta lettura, una precisazione: gli anonimi autori dell’inaudito appello non provavano alcuna simpatia per Hitler, naturalmente, ma nel 1934, non sapendo quello che sarebbe poi successo, persino Hitler poteva sembrare meno «totalitario» di Stalin e il giusto antifascismo degli intellettuali occidentali, secondo loro, avrebbe dovuto essere coerentemente esteso a quello che, gli autori dell’appello, chiamano, «fascismo sovietico».
Ancora un’osservazione. Sempre dai materiali d’archivio della suddetta organizzazione poliziesca, cioè dei rapporti informativi che i suoi agenti delatori facevano pervenire al Cremlino, apprendiamo che non pochi scrittori, parlando tra loro, si espressero allora, nell’agosto 1934, in termini tutt’altro che lusinghieri sul quel Congresso faraonicamente grandioso. Babel: «Il Congresso si svolge in modo mortifero, come una parata militare dei tempi dello zar». Altri parlavano di «noia e burocratismo», come delle caratteristiche del Congresso, e di Gorkij come di un «vecchio meschinamente vendicativo». Un poeta ucraino, a suo tempo futurista, Semenko, definito il Congresso una «cerimonia menzoniera», ricorse a espressioni colorite: «Tutto si svolge in modo così perbene che mi viene una voglia matta: prendere un pezzo di merda o un pesce marcio e gettarlo tra la presidenza del Congresso».
Intanto Gorkij e Zhdanov pontificavano solennemente e il loro dio, al Cremlino, in nome di quella «partiticità» della letteratura che Lenin aveva teorizzato, si preparava a rendere sempre più stretti i ranghi del suo esercito nazionale e internazionale, del quale gli «ingegneri di anime», scrittori e intellettuali, erano una parte essenziale. Per fortuna, e per l’onore della letteratura russa, c’erano «anime» che non si prestavano ad essere manipolate come meccanismi.

LA DENUNCIA

«Siamo come prostitute in una casa chiusa»
Noi, un gruppo di scrittori che comprende rappresentanti di tutte le tendenze politico-sociali esistenti in Russia, fino ai comunisti, riteniamo dovere della nostra coscienza rivolgerci con questa lettera a Voi, scrittori stranieri. (...) Tutto ciò che sentirete dire e di cui sarete testimoni al Congresso pansovietico degli scrittori sarà il riflesso di ciò che vedrete, di ciò che vi faranno vedere e vi racconteranno nel nostro Paese! Non è esclusa la possibilità che molti di noi, che hanno preso parte alla stesura di questa lettera, o che l’hanno approvata interamente, al congresso o persino in una conversazione privata con voi parleranno in tutt’altro modo. Per rendervene conto, dovete capire, per quanto ciò sia difficile per voi che vivete in condizioni totalmente diverse, che il nostro Paese ormai da diciassette anni si trova in una condizione che esclude in modo assoluto ogni possibilità di libera espressione. Noi, scrittori russi, sembriamo delle prostitute di una casa chiusa con l’unica differenza che quelle fanno commercio del corpo e noi dell’anima; come per loro non c’è via d’uscita, tranne la morte per fame, così è per noi... Anzi, per il nostro comportamento a rispondere sono le nostre famiglie e le persone a noi care. Persino a casa spesso evitiamo di parlare come pensiamo perché nell’Urss esiste un sistema totale di delazione. Ci impongono di fare delazioni l’uno contro l’altro, e noi le facciamo contro i nostri amici, parenti, conoscenti (...). Voi formate a casa vostra vari comitati per la salvezza delle vittime del fascismo, organizzate congressi contro la guerra, create biblioteche di libri bruciati da Hitler; tutto ciò è bello. Ma perché noi non vediamo una vostra azione per salvare le vittime davvero innocenti, che feriscono e offendono i sentimenti dell’umanità moderna molto più delle vittime dell’intero globo terrestre a partire dai tenpi della fine della guerra mondiale (...) Possibile che non vediate che tutta l’Urss è un campo militare in attesa del momento in cui il fuoco divamperà in Occidente per portare sulle proprie baionette all’Europa occidentale la reale espressione delle vette della cultura contemporanea: la filosofia di Marx, Engels, Lenin e Stalin? Il fatto che la Russia sia in miseria e alla fame non vi salverà. (...) Siete spaventati dal fascismo tedesco, ma a noi Hitler non fa paura. Hitler non ha abrogato il voto segreto e rispetta il plebiscito... Per Stalin si tratta, invece, di pregiudizi borghesi. Capite ciò che qui è scritto? Capite a che gioco state giocando? Oppure anche voi, come noi, prostituite il vostro sentimento, la vostra coscienza, il vostro senso del dovere? Ma allora non ve lo perdoneremo (...).
(traduzione di Clara Strada Janovic)

 
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