FAME: "Impatto drammatico"

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La Banca mondiale: un miliardo di persone vive con un dollaro al giorno

Bisogna dimezzare il numero degli affamati nel mondo: tocca al G7 occuparsene

Fame, l'allarme di Draghi "Impatto drammatico"

dal nostro inviato ELENA POLIDORI


 WASHINGTON - Allarme cibo e dunque allarme poveri: è l'altra faccia della crisi finanziaria che sta scuotendo i mercati. I continui rincari dei prezzi dei prodotti commestibili, uniti a quelli energetici, dei carburanti e dei fertilizzanti, gravano sulle spalle del Terzo Mondo: c'è il serio rischio di uno choc alimentare. Ne è consapevole Mario Draghi, governatore della Banca d'Italia, che dai microfoni del Developement Committeee, il comitato per lo sviluppo del Fondo monetario lancia un sos. La rincorsa dei prezzi ha "un impatto drammatico sulla povertà"; costituisce un "ulteriore ostacolo" al processo di sviluppo dei paesi più dimenticati; mette a repentaglio la crescita di alcune tra le nazioni già fragilissime dell'Africa sub-sahariana che consuma principalmente cibo. Spiega: "Elevati prezzi dell'energia fanno crescere i costi dei trasporti, mettendo così una pressione addizionale sui prezzi alimentari". Risultato: s'allarga il divario tra ricchi e poveri.

Le parole di Draghi, seguono i conti da brivido forniti da Robert Zoellick, presidente della Banca Mondiale, che l'altro giorno s'è presentato in conferenza stampa con un filone di pane in mano: più di un miliardo di persone vive ancora con meno di 1 dollaro al giorno. "Servono progressi rapidi nella lotta alla povertà", esorta il banchiere ricordando che secondo il Millennium Development Goal, entro il 2015, bisogna dimezzare il numero degli affamati nel mondo: tocca ai capi di stato e di governo del G7 occuparsene.

Le ultime notizie sul fronte cibo dicono che - con la crisi, riso, mais, latte, grano, soia - i prezzi stanno diventando proibitivi ovunque. Ma per alcune nazioni sono alimenti-base. I poveri spendono il 75% del loro reddito, già misero, proprio in cibo; sopravvivere in queste condizioni è difficile. A livello globale, spiega Zoellick, il riso costa il 75% in più negli ultimi due mesi, il grano il 120% nell'ultimo anno. Il costo del filone che brandisce "vale" dunque un'enormità per chi già fatica a mangiare. In paesi come lo Yemen - ricorda - una famiglia media spende più di un quarto delle sue entrate proprio in pane. Sempre il Fmi calcola che i prezzi dei prodotti alimentari sono cresciuti del 48% a livello globale dalla fine del 2006, mentre secondo l'Ocse sono diminuiti dell'8,4% gli aiuti dei paesi ricchi, per il secondo anno consecutivo.

La Fao, che pure s'appella ai capi di Stato, stima che i prezzi dei cereali e del grano sono raddoppiati nell'ultimo anno, quelli del mais sono saliti di un terzo e aumenti consistenti si registrano anche per la soia. Il tutto mentre calano le scorte mondiali e si moltiplicano le restrizioni all'esportazione.

A livello nazionale: in Sudan il grano è aumentato del 90%, in Armenia del 30%, in Senegal è raddoppiato. In Uganda il mais costa il 65% in più, in Nigeria il miglio costa il 50% in più. La Washington Post dava conto ieri del grave disagio delle Filippine dove il prezzo del riso, il nutrimento fondamentale, è cresciuto dell'80% da gennaio 2007. In certe zone del mondo, dal Burkina Faso all'Etiopia, al Madagascar, i governi sono intervenuti con la forza per evitare assalti al cibo. Proprio ieri la Banca mondiale ha stanziato 10 milioni di dollari per aiutare Haiti a combattere la crisi alimentare: un team di esperti partirà alla volta del paese per mettere a punto un piano d'emergenza. Zoellick ricorda che "c'è una emergenza che non può essere affrontata solo con analisi, parole, convegni"; s'appella alla comunità internazionale.

Draghi assicura che, nonostante le restrizioni di bilancio, l'Italia ha mantenuto la sua quota storica di contributi alle istituzioni che sostengono i paesi poveri e ha anche ottenuto l'approvazione del Parlamento per contribuire alla cancellazione dei debito dei più bisognosi su un periodo di 40 anni.

(14 aprile 2008)

da repubblica.it

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14/4/2008 (9:43) - RIUNIONE FMI E BANCA MONDIALE

Allarme prezzi alimentari, è lotta alla povertà
 
Zoellick, presidente della BM, chiede aiuto alla comunità internazionale e un «New Deal»


WASHINGTON
Nell’ultima giornata delle riunioni dell’Fmi e della Banca Mondiale che si sono svolte a Washington, la parola che è stata pronunciata più delle altre è stata quella di allarme crisi alimentare. Il balzo dei prezzi dei beni alimentari sta creando infatti serie difficoltà soprattutto ai paesi in via di sviluppo e, stando a quanto ha detto oggi lo stesso presidente della Banca Mondiale Robert Zoellick, «più di un miliardo di persone al mondo vivono con meno di un dollaro al giorno».

Un quadro preoccupante, dunque, che ha portato lo stesso Zoellick ad auspicare un «New Deal», ovvero un «nuovo accordo» sulla politica di gestione della crisi alimentare: accordo volto ad aiutare i più poveri alle prese con la fame, e che, ed è questa la buona notizia, ha ricevuto il sostegno del Development Committee, la Commissione congiunta dei board dell’Fmi e della Banca Mondiale, come si legge nel comunicato.

«L’impatto dei prezzi più elevati delle materie prime è diverso tra i diversi paesi, a seconda che si tratti di importatori netti o esportatori - si legge nel documento -All’interno dei paesi, sono molte le persone povere che sono gravemente influenzate dai prezzi energetici e alimentari nell’area dei paesi in via di sviluppo». Dunque, la commissione «chiede alla Banca Mondiale e all’Fmi di rispondere alle richieste dei paesi in via di sviluppo che hanno per oggetto suggerimenti sulla gestione del fatturato che proviene dalle risorse naturali». Si chiede anche ai due istituti di essere pronti ad adottare una pronta politica e ad erogare sostegni finanziari «verso i paesi vulnerabili, che stanno facendo fronte a shock negativi quali i prezzi dei beni energetici e alimentari». E ancora, «accogliamo con favore l’appello del presidente della Banca Mondiale volto a combattere la fame e la malnutrizione attraverso un nuovo accordo per una politica globale, che gestisca la crisi alimentare».

Il problema del balzo dei prezzi dei beni alimentari è stato sollevato anche dal governatore di Bankitalia Mario Draghi che, in comunicato in cui ha parlato della missione della Banca Mondiale, ha affermato che, allo stato attuale delle cose, ovvero a metà strada nel raggiungimento degli obiettivi fissati dal Millennium Development Goals «che mira a dimezzare la povertà nel mondo entro il 2015», sono stati compiuti «molti passi in avanti, ma il ritmo è stato sbilanciato tra le regioni e i diversi paesi».

È anche vero che il problema è sicuramente complesso. Da un lato, infatti, «il recente incremento dei prezzi ha dato ai paesi che esportano le materie prime una opportunità unica di accelerare il ritmo delle (proprie) riforme, diversificando l’economia e rafforzando la sostenibilità fiscale». Dall’altro lato però «i paesi più poveri - in particolare quelli della zona dell’Africa sub-sahariana - potrebbero ora vedere la loro crescita minacciata dal balzo dei prezzi energetici e dei prezzi dei beni alimentari, materie prime che incidono sui consumi dei paesi poveri per più del 70 per cento».

Dunque, «sosteniamo l’appello di Zoellick a fare della lotta contro la fame e la malnutrizione una priorità globale», scrive Draghi nel comunicato. In tal senso, «incoraggiamo la Banca a promuovere la produttività globale, lavorando insieme alla FAO e all’IFAD (International Fund for Agricultural Developmente, ovvero fondo internazionale per lo sviluppo dell’agricoltura».

Via libera a Zoellick, insomma, e al suo «New Deal» che, tra le altre cose, propone che i fondi sovrani investano 30 miliardi di dollari in Africa. «L’allocazione di anche l’1% degli asset dei fondi sovrani in investimenti in Africa potrebbe fornire 30 miliardi alla crescita, allo sviluppo e alle opportunità», ha detto, stando a quanto riporta il comunicato. «Sono soddisfatto del fatto che abbiamo ricevuto un feedback positivo su questa idea e continuiamo a discutere con i fondi sovrani».

da lastampa.it

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POLITICA IL COMMENTO

Marx e il mercato travolti dal nuovo vento del Nord

di ALBERTO STATERA


TORINO - "From Marx to market", aveva pontificato, immaginifico e colto come sempre, Giulio Tremonti di fronte al mutare dell'egemonia culturale dominante in questo Paese sull'abbrivio della globalizzazione. Gli operai sono più vicini a noi che ai sindacati, ha proclamato Luca Cordero di Montezemolo, nel giorno dello storico penultimo addio alla presidenza della Confindustria celebrato ieri nell'immenso auditorium dell'evocativo Lingotto operaista. Ma, destino cinico e baro, chissà se il nuovo sentimento nascente dalle elezioni del 13 e 14 aprile è proprio quello del Montezemolo supermercatista o se bisogna invece chiedersi: "From market to?". Di lì veniamo, d'accordo, ma dove andiamo sull'onda di flussi elettorali inediti e imprevisti per un "salotto buono" confindustriale che a occhio e croce puntava su un pareggio mallevadore di larghe intese o di coesione nazionale, come la definisce il presidente dell'Unione industriale torinese Alberto Tazzetti, per fare le necessarie riforme?

Sulle magnifiche sorti e progressive del mercato Montezemolo aveva incardinato tutto il suo mandato confindustriale, aveva condannato le imprese che si adagiavano sugli aiuti di Stato, aveva invocato la competizione con tutti e contro tutti, aveva respinto la cultura anti-impresa e le ideologie vetero-marxiste che classificavano gli imprenditori come nemici di classe.
Tanto aveva ragione da sostenere che oggi gli operai sono più vicini a lui che ai sindacati. Ma davvero è così?

Da lunedì, con la vittoria elettorale del Pdl di Berlusconi e Fini, ma soprattutto di Bossi e della Lega, lo scenario cambia: non più la difesa degli interessi tout court, che la Confindustria montezemoliana ha incarnato nel "dio-mercato", ma il gagliardetto delle "comunità locali di interessi", secondo la definizione di Giuseppe De Rita, che sarà innalzato da una maggioranza di governo con un azionista dotato di golden share rappresentante dei microimprenditori della Pedemontana e, al tempo stesso, dei loro operai. Non più destra-sinistra, ma una polarizzazione centro-perifera.

Un bel problema per la pur tosta Emma Marcegaglia che dovrà gestire una Confindustria sempre più frastagliata. I piccoli arrabbiati, cui la Cina e l'India fanno paura, che considerano la globalizzazione come il governo dei demoni sul mondo, i grandi privilegiati dei salotti e i "banchieri travestiti da statisti" (copyright sempre di Giulio Tremonti).

"Nessun consiglio al nuovo governo - ha avvertito Sergio Marchionne - ma noi siamo per un sistema industriale al massimo della competitività". Un'ovazione? Neanche per sogno, gli applausi dei due o tremila in sala sono andati al professor Roberto Perotti, della Bocconi, soprattutto quando ha detto che sui muri di Barcellona non ci sono i graffiti e murales come qui da noi dove s'imbratta tutto. Low, order e pulizia dei muri. Ma dove è andato in vacanza il professor Perotti? Marchionne ha votato in Svizzera, dove risiede, qualche giorno prima di domenica scorsa e noi crediamo di sapere per chi.

Crediamo persino di sapere che lunedì sera non ha fatto festa, ascoltando Beethoven nell'interpretazione del pianista turco che predilige. La platea del Lingotto, luogo mitico dell'ex classe operaia, deve aver invece stappato prosecco a fiumi lunedì sera. Ma per il mercato globalizzato e la competizione, o per le rispettive comunità locali d'interessi? Mai più Vicenza, con il Berlusconi sciatalgico che salta sul palco e fa a pezzettini i "poteri forti" e i professionisti della Confindustria. In prima fila sonnecchia soltanto il mite Fedele Confalonieri, l'ambasciatore.

Ma il clima prevalente si percepisce anche questa volta. Il povero Andrea Pininfarina che, come un ufficiale austroungarico, fa una relazione perfetta su dieci anni d'Italia, parla della voglia di scala mobile e di spesa senza copertura che torna, dell'evasione fiscale, che è la forma più odiosa di concorrenza sleale, ma conciona nel gelo. Gli applausi scrosciano per i graffiti. Meglio la competizione globale o la sicurezza in villa che garantiranno i sindaci eroi della Lega, che hanno fatto scuola a quelli di sinistra a Padova come a Bologna?

Chissà se Luca Montezemolo ricorda quella cena torinese, ancora vivo l'Avvocato Agnelli, cui Tremonti si presentò a braccetto con Bossi, per la prima volta ammesso tra i poteri elitari di Torino, ed entrando nella sala proclamò: "Io e Bossi riscriveremo Marx".
Perché Montezemolo ha forse ragione di compiacersi del fatto che gli impegni delle forze politiche che hanno vinto le elezioni contengono molte delle proposte del suo "decalogo", può anche gioire del fatto che una delegata della Cgil sia stata eletta parlamentare nelle liste della Lega Nord o che la Marcegaglia avrà a che fare con Rosy Greco invece che con Guglielmo Epifani.

Ma ora Tremonti, che del braccio Bossi si presenta come la mente, Gianfranco Miglio dei tempi moderni, crede forse di averlo riscritto davvero Marx in salsa leghista, denunciando la "cambiale mefistofelica" firmata col mercato nel suo "La paura e la speranza". Tanta paura e poca speranza, quando i grandi processi non si possono bloccare, ma si devono cavalcare. "Se si coltiva troppo la paura rispetto alla speranza - fa il sindaco di Torino Sergio Chiamparino - appaiono inevitabilmente i fantasmi".

Ecco che l'addio di Montezemolo irrompe in un'Italia che è cambiata, che oscilla tra mercatismo e antimercatismo, tra pancia e interessi. In una confusione di interessi. I piccoli imprenditori dell'Alta Padovana mandano in Parlamento il sindaco leghista di Cittadella Massimo Bitonci con il 42 per cento dei voti. Il decreto antisbandati che l'ha reso famoso ha già bloccato l'afflusso di stranieri. Se, come sembra, dilagherà in Veneto, in Lombardia e in Piemonte presto non si troverà più un operaio per far funzionare le fabbriche. "Immigrazione, invasione vitale", proclama però il capo dell'Ufficio studi della Confindustria Luca Paolazzi. Ma non scioglie il nodo tra interessi tout court e comunità locale di interessi, tra destra-sinistra e centro-periferia.

"In America - ride Mario Carraro, ex presidente di Confindustria veneta con stabilimento a due passi da Cittadella, criticando i suoi colleghi che non sanno decidere se vogliono cacciare gli immigrati o trovare gli operai che servono - entra un milione e mezzo di immigrati ogni anno. Senza drammi. E - ride - hanno mezzo milione di italiani irregolari".

Come si metterà tra tante contraddizioni la Confindustria liberista e mercatista che lascia Montezemolo, quando gli azionisti-leghisti del governo si opporranno alla privatizzazione delle aziende municipalizzate, all'abolizione dell'Ici promessa da Berlusconi o a quella delle province, epitome della casta politica che nasce dal basso e poi prolifera avviluppando la società?

Corrado Passera, grande banchiere, ascolta l'intervento pieno di meraviglie nazionali di Hjort Frederiksen, ministro del Lavoro danese e chiosa: se l'Italia fosse come il Veneto, la Lombardia o il Piemonte, sarebbe più gestibile, come è la Danimarca. Potrebbe persino sembrare un assist alle voglie secessioniste che molti continuano ad attribuire alla Lega, al di là della secessione leggera che molti politologi danno per già avvenuta nei fatti, ma naturalmente non lo è.

La grande industria, la grande banca e la finanza, non mettevano nel conto un vento elettorale come quello che ha scompigliato santuari votati all'eternità. Pensate la felicità dei poteri finanziari di Verona, roccaforte finanziar-cattolica, nel veder assurgere il sindaco Flavio Tosi, quello del "leon che magna el teròn" a plenipotenziario del Nordest della Lega di governo. O l'aristocratica Brescia cattolico-bancaria di Mino Martinazzoli e Giovanni Bazoli, del prodismo dei poteri elitari, doversela vedere con la traumatica perdita del governo della città.

Luca Montezemolo le cose le fa sempre in grande. Persino il pre-addio alla Confindustria certifica per la prima volta senza molti dubbi l'eclisse dei salotti buoni. Fedele Confalonieri, l'ambasciatore dell'eterno escluso, è lì in prima fila a dimostrarlo.

(19 aprile 2008)

da repubblica.it

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CREMASCHI: «Vedremo fabbrica per fabbrica, sciopero per sciopero»

Bonanni: «Via a nuova concertazione»

Fiom accetta la «sfida» di Montezemolo

I sindacati si riorganizzano in vista del Berlusconi ter.

Il leader Cisl: «Posizione unitaria per aiutare governo»



ROMA - Il duro attacco di Montezemolo ai sindacati, «casta di professionisti del veto», arriva nel momento in cui, con il passaggio al governo Berlusconi ter, le rappresentanze dei lavoratori sono chiamate a riprendere le fila del dialogo su contratti e salari. E se Giorgio Cremaschi della segreteria nazionale della Fiom raccoglie il «guanto della sfida» («La sfida è accettata. Vedremo fabbrica per fabbrica, sciopero per sciopero se è vero quello che sostiene Montezemolo»), il leader della Uil Luigi Angeletti risponde al presidente di Confindustria dicendo che «se fosse così saremmo tutti contenti. Gli industriali trattassero meglio i lavoratori, così questi saranno ancora più vicini».

BONANNI - Diversa la posizione del leader della Cisl Raffaele Bonanni si dice disponibile ad aprire il campo a una nuova stagione di concertazione con il governo lancia la proposta di un patto tra le forze sociali, sindacati, imprese e associazioni, sui temi più importanti di politica economica. Dal fisco al lavoro, dalle infrastrutture ai servizi, serve - spiega il segretario - una posizione unitaria «per aiutare il governo nelle sue azioni. Serve un nuovo clima di collaborazione così potrà governare più agevolmente il Paese». Bonanni si dice anche ottimista sulla possibilità di annunciare un accordo con Cgil e Uil sulla riforma dei contratti già il 1° maggio. Per il segretario della Uil, Luigi Angeletti, un accordo entro fine mese «è una ragionevole speranza ma non è una certezza» e ricorda che «la discussione sul nuovo modello contrattuale ce la stiamo trascinando da tempo immemorabile ma ancora non riusciamo a trovare un punto comune, una posizione unitaria, con Cgil e Cisl». Confindustria, come detto, attacca il sindacato «professionista del veto»: sui contratti, ha detto Montezemolo, in quattro anni non sono riusciti a trovare un accordo «non con noi, badate bene, ma tra di loro».

DETASSAZIONE - Intanto Berlusconi ha annunciato i primi provvedimenti dell'esecutivo, come l'abolizione dell'Ici, che Cgil, Cisl e Uil non ritengono una priorità, al contrario dei redditi dei lavoratori dipendenti. Bonanni si dice d'accordo con l'abolizione della tassa sulla casa a patto che non comporti altri carichi fiscali con le addizionali Irpef. Per Epifani bisogna evitare di usare il «tesoretto» per interventi che non siano prioritari e «restituire quanto prelevato con le tasse ai lavoratori e ai pensionati. Se ci sono soldi si può fare anche l'Ici». Angeletti: «Tra la riduzione dell'Ici, la detassazione degli straordinari e della tredicesima, quest'ultima è delle tre misure la cosa che preferiamo in assoluto». Bonanni ha detto che il sindacato «si aspetta che il governo ci coinvolga su tutto, confermando il taglio delle tasse per i lavoratori e per i pensionati a partire dal secondo livello di contrattazione»; la stessa detassazione degli straordinari «sarebbe una buona occasione per fare ciò che noi chiediamo da tempo». Netto il giudizio di Confindustria che saluta con favore l'interevento annunciato dal governo: è «un'inversione di tendenza di fondamentale portata nel modello di relazioni industriali che noi vogliamo fortemente innovare».


18 aprile 2008

da corriere.it

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Denuncia del relatore delle Nazioni UnitE Jean Ziegler.

In un anno aumenti del 40%

L'Onu: l'aumento dei prezzi del cibo «è un silenzioso omicidio di massa»

Cresce l'emergenza nei paesi poveri. «Le multinazionali sono responsabili di una sorta di violenza strutturale»

 
(Epa)
VIENNA - L'aumento globale dei prezzi del cibo sta conducendo a un «silenzioso omicidio di massa». Lo ha detto l'inviato delle Nazioni Unite per il cibo, Jean Ziegler, relatore speciale Onu sul diritto al cibo, ha detto algiornale austriaco Kurier am Sonntag che la crescita nei biocarburanti, le speculazioni nel mercati e i sussidi all'esportazione dell'Unione Europea, significano che l'Occidente è responsabile per la morte per fame nei paesi più poveri. Ziegler ha detto di voler sottolineare la "follia" di chi pensa che la fame dipenda dal fato. «E' un omicidio di massa silenzioso», ha ribadito nell'intervista.

«I POVERI SI RIBELLERANNO» - Ziegler ha accusato la globalizzazione di «accentrare il monopolio fra i ricchi della Terra» e ha detto che le multinazionali sono responsabili di una sorta di «violenza strutturale». Ziegler ha detto di ritenere che un giorno la gente che muore di fame potrebbe ribellarsi contro i suoi persecutori. «E' possibile proprio come lo fu la Rivoluzione francese», ha detto.

BAN KI-MOON: «SERVONO MISURE URGENTI» - Il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha invitato la comunità internazionale a prendere in tempi brevi misure per arrestare l’aumento del prezzo dei generi alimentari. In occasione dell’apertura della conferenza internazionale sullo sviluppo organizzata dall’Onu in Ghana, Ban Ki Moon ha osservato che la situazione «è molto preoccupante» e pone particolari problemi a molti paesi, soprattutto in Africa.

AUMENTI DEL 40% IN UN ANNO - L’aumento del prezzo degli alimentari è salito nel corso di un anno di circa il 40% scatenando sommosse in diversi paesi africani come Camerun, Egitto, Burkina faso. Ban dovrebbe incontare anche il presidente del Ghana John Kufuor. Alla vigilia del vertice, Ban ki Moon ha detto che con Kufour discuterà diverse "crisi regionali, dallo Zimbabwe, al Darfur al Kenya",


20 aprile 2008

da corriere.it

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