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Autore Discussione: Nando Pagnoncelli - I NUOVI SCENARI DI VOTO  (Letto 3656 volte)
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« inserito:: Aprile 28, 2014, 06:18:34 pm »

I NUOVI SCENARI DI VOTO

Al Pd il 13% dei grillini delusi e quasi 1 consenso su 2 da chi votava altro
Ma tra l’elettorato del Pd cresce anche l’astensionismo.
Chi aveva scelto il centrodestra nel 2013 per il 59% preferisce Forza Italia mentre l’8% va al partito di Alfano

Di Nando Pagnoncelli

Le elezioni dello scorso anno sono risultate un vero e proprio terremoto politico. Secondo il Cise del professor D’Alimonte si è registrato il più elevato tasso di volatilità di sempre, ossia la percentuale di elettori che hanno modificato il proprio comportamento di voto rispetto alla tornata elettorale precedente. Ebbene, nel 2013 quasi due elettori su cinque (39,1%) hanno cambiato la scelta del 2008, tradendo il partito votato allora. È un dato che risulta ancor più eclatante se si considera il confronto internazionale: infatti analizzando le 279 elezioni legislative che si sono tenute in 16 paesi europei dal 1945 al 2013, il dato italiano dello scorso anno si colloca al terzo posto. L’emorragia di voti dei principali partiti è stata davvero impressionante: il Pdl, che aveva trionfato nel 2008, ha perso 6,3 milioni di elettori; il Pd ne ha persi 3,5 milioni, la Lega Nord ha più che dimezzato il proprio elettorato perdendo 1,6 milioni di voti, e così via.

Il calo di voti dei principali partiti ha determinato anche una sorta di sconvolgimento nel profilo degli elettorati, facendo perder loro i tradizionali riferimenti sociali e mettendoli in forte difficoltà nell’individuare domande e aspettative e nell’elaborare nuove proposte. Il Movimento 5 stelle, al debutto nazionale, si è affermato come primo partito ottenendo circa 8,7 milioni di voti. L’analisi dei flussi elettorali, che consente di stimare gli spostamenti di voto da un partito ad un altro, ha messo in evidenza la straordinaria trasversalità del movimento di Grillo che lo scorso anno è stato capace di intercettare quasi in egual misura gli elettori delusi dai partiti di centrosinistra e di centrodestra e di richiamare al voto elettori che nel 2008 non avevano votato. A poco più di un anno da quel terremoto è interessante verificare le dinamiche elettorali attuali, per capire se siamo in presenza di un perdurante «sciame sismico» oppure se le «scosse di assestamento» abbiano lasciato spazio a un nuovo equilibrio. Dall’analisi, effettuata su più campioni per aumentare l’affidabilità delle stime, emerge un livello di fedeltà ai partiti decisamente più elevato rispetto a quanto registrato lo scorso anno. In particolare circa due terzi degli elettori del Pd e della Lega Nord appaiono propensi a confermare il proprio voto e il 59% degli elettori del M5S risulta fedele alla scelta del 2013.

Tra coloro che avevano votato il Pdl il 59% intenderebbe votare Forza Italia, l’8% Ncd e il 7% Pd. Quest’ultimo è un dato davvero inedito, tenuto conto della tradizionale impermeabilità tra il partito di Berlusconi e il principale partito antagonista. D’altra parte si è più volte sottolineato il grande appeal di Matteo Renzi presso l’elettorato di centrodestra e quello centrista. Gli indecisi e gli astensionisti sono più numerosi tra le fila della sinistra (Sel e Rc 39%), di Fratelli d’Italia (27%), di Udc e Fli (26%) e del Pd (26%), a conferma del fatto che il nuovo corso renziano attrae sì nuovi elettori ma determina anche delusione in una parte di elettorato più tradizionale del Pd che al momento preferirebbe astenersi anziché scegliere altri partiti. I flussi di provenienza del voto di ciascun partito evidenziano infatti che tra quanti oggi voterebbero il Pd solo la metà (54%) aveva votato per lo stesso partito lo scorso anno: più bassa è questa percentuale e più elevata risulta la capacità di attrazione di nuovi elettori che, nel caso del Pd, si stima provengano soprattutto da M5S (13%), da Scelta civica (12%), dal Pdl (5%) ma anche da chi si era astenuto lo scorso anno (8%).

Il movimento di Grillo ha una fortissima componente di elettori del 2013 (80%) e attrae in misura uguale elettori Pd e Pdl (4%). Fi ha un elettorato concentrato tra gli ex elettori del Pdl (77%) e fatica ad attrarne di nuovi. La Lega dopo il severo risultato dello scorso anno appare in crescita, attirando voti dal Pdl (15%) da Scelta civica (12%) e dal M5S. Da ultimo, Ncd e Fdi, due partiti molto trasversali: il partito di Alfano al momento avrebbe un elettorato proveniente per quasi la metà dal bacino originario (31% da elettori Pdl e 15% da elettori Udc e Fli), per il 20% da Scelta civica, per l’8% dal M5S, per il 6% da Fdi e per l’8% da chi nel 2013 si era astenuto. Tra gli elettori del partito di Giorgia Meloni solo un quarto proviene da elettori che avevano votato per Fdi nel 2013 mentre il 23% proviene da elettori Pdl, il 15% dal M5S, il 7% dalla Lega e ben 11% da astensionisti. E analizzando le intenzioni di voto rilevate dopo le festività pasquali l’unica novità di rilievo è costituita dalla lieve crescita del consenso per Fdi che al momento si collocherebbe al di sopra della soglia del 4%. Gli altri partiti presentano scostamenti minimi rispetto alla scorsa settimana: d’altra parte, è difficile immaginare spostamenti di voto di centinaia di migliaia di elettori in poco tempo. E, ancora una volta, è opportuno ricordare che non si tratta della previsione dell’esito finale delle europee ma di stime: va tenuto in debito conto l’elevata incertezza che ancora permane, l’incognita dell’astensione e il fatto che le campagne elettorali servono a «smentire» le stime dei sondaggi, dato che ogni partito investe tempo, energie e denaro per mobilitare elettori e aumentare il proprio consenso, contraddicendo quanto i sondaggi fotografano nel corso della competizione.

26 aprile 2014 | 08:02
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_aprile_26/al-pd-13percento-grillini-delusi-quasi-1-consenso-2-chi-votava-altro-5e49cbac-cd05-11e3-8231-7e1a669c55f6.shtml
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« Risposta #1 inserito:: Settembre 16, 2014, 05:58:24 pm »

Il decisionismo di Renzi piace agli italiani. Insufficienza per i ministri
Lo stile di conduzione dell’esecutivo è giudicato positivo da 56% degli intervistati Prevalenza di giudizi negativi per la squadra di governo, su Padoan pareri divisi a metà


Di Nando Pagnoncelli

Al contrario il 26% degli intervistati, con percentuali più elevate (sopra il 30%) tra i ceti dirigenti e quelli impiegatizi, ritiene che Renzi disponga di una squadra debole, poco esperta, che rischia di concludere poco.

Riguardo allo stile di conduzione del governo molto incentrata sul premier, spesso definito «un uomo solo al comando», la maggioranza degli italiani (56%) ritiene che sia positivo perché rende le scelte più forti e rapide, mentre il 33% è di parere opposto: fare troppo da solo rende più difficile per Renzi portare avanti le cose. E la maggioranza degli elettori di Forza Italia e del Movimento 5 Stelle è di questo parere.

In sintesi: il governo e il premier godono del consenso della maggioranza degli italiani, la squadra per quanto giovane e un po’ inesperta viene preferita rispetto a quelle del passato e lo stile «accentratore» di Renzi conferisce autorevolezza e rapidità alle decisioni. Tutto bene, quindi? Non esattamente, a conferma che l’opinione pubblica non sempre procede per linee rette. Infatti, se analizziamo i dati sulla fiducia riscossa dai principali ministri, registriamo per tutti una prevalenza, in qualche caso netta, di giudizi negativi. Fa eccezione il ministro Padoan per il quale le opinioni positive e negative si equivalgono. È pur vero che i dati sono influenzati dal livello di conoscenza dei singoli ministri che in taluni casi risulta davvero bassa: per esempio, quasi un italiano su due non conosce o non si esprime sui ministri Poletti e Orlando, nonostante di lavoro e di giustizia si discuta abbondantemente sui media. Persino due ministri come Padoan e Boschi, di cui si parla molto per l’attività del loro dicastero (e non solo), risultano sconosciuti a un terzo degli elettori.

Come si spiega questa ennesima contraddizione nell’opinione pubblica che apprezza il governo nel suo insieme e risulta critico nei confronti dei singoli ministri? I motivi sono svariati e, alcuni di questi, non sono del tutto nuovi. Innanzitutto, ed è scontato, i giudizi sui ministri sono fortemente influenzati dal partito al quale appartengono: gli elettori di quel partito in larga parte esprimono valutazioni positive «a prescindere». In secondo luogo dipende dall’ambito di cui si occupano e dalla differenza tra le aspettative e i risultati ottenuti. Ne è un esempio il ministro Poletti, che si occupa del tema che più sta a cuore agli italiani: il lavoro. L’elevato livello di disoccupazione non lo rende molto popolare.

Inoltre risulta importante l’immagine pregressa dei ministri, alcuni dei quali hanno una più o meno lunga storia politica alle spalle che influenza le opinioni molto più dei risultati ottenuti dal loro dicastero. Ne sono un esempio i ministri Alfano e Lupi, entrambi più apprezzati tra gli elettori del Pd rispetto a quelli del partito di provenienza, Forza Italia, da cui si sono staccati fondando un nuovo partito che ha sostenuto i governi Letta e Renzi.

Infine, la sempre più forte personalizzazione della politica punta i riflettori sul leader che nel bene e nel male rappresenta la squadra, indipendentemente dal merito o dal demerito dei singoli.
Da anni abbiamo numerosi riscontri nei Comuni e nelle Regioni: quasi sempre i giudizi sul primo cittadino e sull’amministrazione sono nettamente più positivi rispetto a quelli sui singoli provvedimenti o ambiti d’azione. E spesso i sindaci e i presidenti di Regione più apprezzati hanno assessori ignoti o criticati dalla maggioranza dei cittadini. Parafrasando un’espressione in voga qualche tempo fa, potremmo dire che i leader personalizzano il consenso e socializzano le critiche.

15 settembre 2014 | 07:37
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_settembre_15/decisionismo-renzi-piace-italiani-insufficienza-ministri-d86618ee-3c92-11e4-95e1-a222c06f54b6.shtml
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« Risposta #2 inserito:: Novembre 17, 2014, 05:27:02 pm »

Scenari

Più imprenditori, meno impiegati Così si trasforma l’elettorato del Pd
Consensi al 38,3%, in calo di 2,5 punti.
Balzo della Lega (+1,9%), unico partito in crescita

Di Nando Pagnoncelli

Sei mesi dopo le elezioni europee gli orientamenti di voto degli italiani ripropongono lo stesso scenario politico. La graduatoria dei principali partiti, infatti, risulta confermata dal sondaggio odierno: il Pd si conferma al primo posto con il 38,3% delle preferenze, seguito da Movimento 5 Stelle (20,8%), Forza Italia (16,1%) e Lega Nord (8,1%). Più staccati Sel (4%), Ncd (3,2%), Fratelli d’Italia An (3,0%), Udc (1,7%) e Rifondazione (1,1%). I restanti partiti si collocano al di sotto dell’1%.

Nel complesso la partecipazione al voto risulta più elevata: gli elettori indecisi e astensionisti rappresentano circa un terzo mentre nel maggio scorso il 41,3% degli elettori disertò le urne, e a costoro si aggiunse il 3,1% di schede bianche o nulle. Rispetto alle Europee si osserva una flessione del Pd (-2,5%), una sostanziale stabilità di M5S e FI (rispettivamente -0,4% e -0,7%) e una crescita della Lega Nord (+1,9%), coerente con la crescente popolarità di segretario Matteo Salvini che si conferma il secondo leader più apprezzato dopo Renzi.

L’area moderata (Ncd e Udc) e la sinistra (Sel e Prc) nel loro insieme non mostrano variazioni di rilievo rispetto al maggio scorso: si collocano intorno al 5%. È un dato interessante in relazione alla discussione in corso sulla soglia di sbarramento prevista dalla nuova legge elettorale. Al momento entrambe le possibili alleanze supererebbero il fatidico 4% (che potrebbe essere abbassato al 3%) ma è noto che le alleanze tra partiti, con pochissime eccezioni, determinano risultati inferiori rispetto alla somma algebrica degli elettorati di provenienza. In altri termini, le alleanze fra partiti solitamente producono più disaffezione tra gli elettori dei soggetti che si coalizzano rispetto al consenso aggiuntivo e alla capacità di attrazione di nuovi elettori.

Dunque il Pd, sebbene in calo, mantiene un largo vantaggio e risulta il primo partito tra tutti i segmenti sociali con le sole eccezioni degli elettori tra 25 e 44 anni, i disoccupati e coloro che si informano prevalentemente tramite Internet, tra i quali prevale il M5S.

Come già avvenuto in modo in modo inedito alle Europee, il Pd di Renzi si conferma un partito molto trasversale, «pigliatutto» ( catch-all party , secondo la definizione del politologo Otto Kirchheimer) che si afferma tra ceti molto diversi: gli imprenditori, gli operai, le casalinghe, gli studenti e i pensionati, i più istruiti e quelli con licenza elementare o nessun titolo di studio, i cattolici praticanti, i non praticanti e i non credenti, coloro che si informano con la Tv, quelli che privilegiano i giornali e la radio, i residenti al Nord, al Centro e al Sud, nei piccoli, medi e grandi Comuni.

Nonostante questa grande trasversalità, analizzando i dati cumulati dei sondaggi realizzati da ottobre ad oggi, si registrano alcuni interessanti cambiamenti nel consenso al Pd che aumenta solo tra imprenditori, dirigenti e liberi professionisti e si riduce soprattutto tra impiegati (in particolare del settore pubblico), operai e studenti; inoltre tra le donne, le persone di età compresa tra 25 e 34 anni (giovani preoccupati per il loro futuro) e tra 45 e 54 anni (famiglie con figli e spese crescenti). Infine tra coloro che si collocano a sinistra. Il Jobs act e gli effetti della crisi economica sembrano quindi alla base di questi cambiamenti. Il M5S pur mantenendo una prevalente componente maschile, aumenta tra le donne (in particolare le casalinghe), i più giovani, gli studenti e coloro che si collocano a sinistra, mentre diminuisce nelle fasce centrali di età, tra i lavoratori autonomi, i ceti dirigenti e i disoccupati.

Forza Italia riduce il proprio consenso tra le persone meno giovani e meno istruite, gli imprenditori e i ceti dirigenti, le casalinghe, i residenti nelle regioni meridionali e i cattolici; al contrario aumenta soprattutto presso artigiani e commercianti e, in misura minore, tra i giovani (25-34 anni), gli operai e i dipendenti pubblici.

Da ultimo, la Lega Nord. Il partito di Salvini risulta l’unico partito in crescita e aumenta in particolare tra i più giovani (18-24 anni) e gli adulti (45-54 anni), tra gli imprenditori e i ceti dirigenti, tra gli impiegati, gli operai e, più in generale, tra i dipendenti del settore privato nonché tra gli elettori che si collocano a destra o non si collocano politicamente.

Il cambiamento della leadership del Pd e della Lega ha prodotto un significativo incremento del consenso (testimoniato dai risultati delle Europee e dai successivi sondaggi) ma anche un profondo cambiamento della propria base elettorale. In particolare i nuovi elettori del Pd (che rappresentano circa il 40% degli elettori del partito di Renzi) hanno valori diversi ed esprimono aspettative diverse rispetto agli elettori «storici». Pertanto sono portatori di opinioni e atteggiamenti differenti rispetto al centrosinistra tradizionale.

Alla luce di questi cambiamenti Renzi sembrerebbe di fronte a un bivio, come peraltro abbiamo potuto osservare in queste settimane con il Jobs Act, la legge di Stabilità e l’ltalicum: da un lato, armonizzare domande e interessi sempre più disomogenei, facendo sintesi e cercando punti di mediazione; dall’altro puntare alla convergenza delle aspettative incentrate sul cambiamento, la modernizzazione e il superamento delle ideologie. Nel primo caso si tratterebbe di un Pd rinnovato, nel secondo di un partito post ideologico e inclusivo: il partito della nazione.

16 novembre 2014 | 10:43
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/politica/14_novembre_16/piu-imprenditori-meno-impiegati-cosi-si-trasforma-l-elettorato-pd-47014e3a-6d72-11e4-a925-1745c90ecb18.shtml
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« Risposta #3 inserito:: Marzo 09, 2015, 05:22:12 pm »

Scenari
Lo spostamento a destra di Salvini spaventa il fronte dei moderati

Di Nando Pagnoncelli

L a manifestazione organizzata a Roma dalla Lega contro il governo Renzi ha avuto ampia risonanza mediatica ma, come spesso accade quando si tratta di politica, è stata seguita distrattamente dall’opinione pubblica. Solo il 16% dichiara di aver seguito con attenzione l’evento, il 35% l’ha fatto superficialmente e il 41% ne ha solo sentito parlare.

La reazione prevalente degli italiani è stata quella del disincanto: quasi un intervistato su due (46%) lo giudica un evento senza importanza, il 19% un fallimento e solo il 14% un successo. Quest’ultima opinione prevale solo tra gli elettori leghisti, in misura netta (72%).

In realtà la manifestazione, da molti definita «marcia su Roma», ha fatto scalpore perché sembra aver segnato un netto spostamento a destra della Lega, testimoniato dalla presenza di esponenti e sostenitori di CasaPound che si sono esibiti in saluti romani e hanno portato simboli del fascismo (e un fotomontaggio di Mussolini che saluta Salvini). A questo proposito le opinioni oscillano tra il ridimensionamento e la stigmatizzazione: il 40% pur ritenendo che sarebbe stato meglio evitare questo tipo di manifestazione pensa che non si debbano sopravvalutarne le conseguenze: per il 37% si è trattato di un fatto molto grave da censurare. Solo l’8% lo giudica positivamente (29% tra i leghisti).

Lo scetticismo prevale anche rispetto al possibile «sfondamento» della Lega al Sud dopo la manifestazione di Roma: il 51% pensa che non cambierà molto, il 19% prevede una riduzione dei consensi e il 17% un aumento. A questo proposito, due terzi dei leghisti si mostrano ottimisti e ritengono che la manifestazione di Roma possa accreditare il partito come la sola alternativa al governo Renzi, favorendo la crescita del consenso al Sud.

L’accentuazione del posizionamento politico di destra da parte di Salvini non è privo di conseguenze rispetto alla leadership di una possibile alleanza di centrodestra, in particolare presso l’elettorato più moderato di quest’area. Dopo la manifestazione, solo il 29% degli italiani ritiene che Salvini possa assumere questo ruolo mentre a metà febbraio era di questo parere il 45% degli elettori. Il calo più vistoso (55%) è tra gli elettori di Forza Italia. Se prima della manifestazione quasi 9 su 10 si dichiaravano favorevoli alla leadership di Salvini, oggi l’elettorato di FI si mostra profondamente diviso: un terzo si dichiara favorevole, un terzo contrario e un terzo sospende il giudizio.

Il consenso per una sua eventuale leadership diminuisce maggiormente tra le persone meno giovani e meno istruite, i disoccupati, i cattolici praticanti e tra coloro che risiedono nelle regioni del Nord-Est e del Sud e Isole, dove nelle scorse settimane si era registrato un elevato favore per Salvini.
Mentre in Veneto, in vista delle Regionali, si acuiscono le tensioni interne: il sindaco di Verona Tosi, in rotta con Salvini, non esclude di candidarsi contro l’attuale governatore leghista Zaia. Eventualità che per circa un italiano su due (47%) potrebbe danneggiare la Lega, mentre il 17% non ritiene che Zaia ne risentirebbe. Gli elettori leghisti sono divisi: il 44% è ottimista, il 43% paventa un calo di consensi per Zaia.
   
La strategia di Salvini presenta il duplice rischio della classica «coperta corta»: se accentua la connotazione nazionale e l’interesse per le regioni lontane dalle sue roccaforti tradizionali può aumentare il proprio consenso ma rischia di «scoprirsi» al Nord; se si sposta a destra accentuando i toni forti può allargare il proprio bacino recuperando una parte degli astensionisti e degli elettori delusi, ma rischia di perdere l’elettorato moderato.

Non è detto che tutto ciò si possa tradurre in un saldo negativo in termini elettorali: è probabile che la manifestazione di Roma non lasci traccia in un’opinione pubblica sempre più distratta, annoiata dalla politica e disincantata.

8 marzo 2015 | 10:04
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Da - http://www.corriere.it/politica/15_marzo_08/spostamento-destra-salvini-spaventa-fronte-moderati-b304221a-c56f-11e4-a88d-7584e1199318.shtml
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