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Autore Discussione: Bronislaw Geremek: «Dalle urne la fine del populismo dei gemelli» (Polonia)  (Letto 3324 volte)
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« inserito:: Ottobre 22, 2007, 09:12:17 am »

Bronislaw Geremek: «Dalle urne la fine del populismo dei gemelli»

Gabriel Bertinetto


Bronislaw Geremek è fiducioso: il partito dei Kaczynski non governerà più la Polonia. Ma «i prossimi due anni saranno difficili», perché Lech, il gemello presidente, rimarrà comunque in carica fino al 2009, ed ha già promesso di fare largo uso del suo potere di veto contro un esecutivo che fosse guidato dall’attuale opposizione. Parlamentare europeo, ex-ministro degli Esteri, e prima ancora massimo esponente dell’ala laica e liberaldemocratica di Solidarnosc, Geremek incontra l’inviato dell’Unità al termine di una lezione presso l’università di Studi europei a Natolin, vicino a Varsavia.

Professor Geremek, con le loro iniziative, dalla caccia al comunista (lustracija) all’ostilità anti-europea, i Kaczynski hanno stupito il mondo e una buona parte dei connazionali. C’è una logica nella loro azione di governo?
«L’Europa intera soffre il vento del populismo che di quando in quando riprende a soffiare, particolarmente nei paesi ex-comunisti. In maniera demagogica si fa appello al nazionalismo oppure si organizza l’odio collettivo contro le elite e i ricchi. I populisti polacchi si sono rivolti ai sentimenti di esclusione di una parte della società che si sente tagliata fuori dai benefici della trasformazione economica. Con il loro modo di governare hanno stimolato conflitti radicati nella storia ( il regolamento di conti con i comunisti) o nel presente (la lotta alla corruzione). E l’hanno fatto favorendo l’onnipotenza dei servizi speciali. In generale hanno tentato di stuzzicare sentimenti di inquietudine nei rapporti fra cittadini e Stato. Presentando lo Stato come proprietario della verità contenuta negli archivi, cercavano di seminare la paura nella società. Negli ultimi due anni il populismo ha vinto. Credo però che tutto ciò sia finito. Sono contento di dire che questa amministrazione ha perso il sostegno necessario a governare. Il partito dei Kaczynski, Pis (Diritto e giustizia), non sarà in grado di formare un esecutivo, perché non troverà partner disponibili».

Cosa spiega l’appoggio consistente di cui hanno comunque goduto sinora?
«Oltre alla frustrazione di chi si sente emarginato dai cambiamenti economici, conta il fatto che obiettivamente le differenze di condizioni materiali di esistenza si sono accentuate. In epoca comunista il tenore di vita era più miserevole, ma gli scarti meno visibili. Il Pis ha trovato terreno facile per alimentare l’idea che i ricchi sono dei ladri, ma con slogan simili non si crea speranza. Ha trovato consensi con una propaganda nazionalista anti-tedesca, che in un Paese che abbia vissuto l’oppressione nazista nel modo in cui l’ha patita la Polonia, poteva facilmente fare breccia nelle coscienze. E si è giovato del sostegno completo di quella corrente fondamentalista cattolica che si esprime attraverso la influentissima Radio Maryia».

Radio Maryia non è la voce della Chiesa polacca. Però non viene apertamente criticata dai vescovi. Perché?
«Sono stupito che l’episcopato non si preoccupi delle ambizioni di padre Rydzyk (direttore dell’emittente). Ma non credo che la Chiesa sia schierata. I vescovi hanno rivolto un appello molto bello ai credenti, esortandoli ad andare alle urne, ma non dando indicazioni di voto».

Cosa resta oggi in Polonia dello spirito dell’89, quella volontà di cooperare per una società nuova che produsse prima la Tavola rotonda fra Solidarnosc e il potere comunista e poi l’avvio della costruzione democratica?
«È indebolito, ma non scomparso, spero. Alla tradizione di Solidarnosc attingono sia il Pis che il Po (Piattaforma democratica, i liberali di Tusk), sia i democratici (il partito di Geremek, alleato agli ex-comunisti di Sinistra democratica nella lista Lid). L’eredità è comune, ma non basta ad unire. Mi auguro comunque che rimanga nella vita politica come un riferimento possibile. E confido che il futuro governo abbia la saggezza di ispirarvisi».

Si parla di una coalizione fra Po e Lid, con il partito dei Kaczynski all’opposizione. Ma i programmi di Po e Lid sono piuttosto diversi.
«Una coalizione è sempre difficile, ma la possibilità c’è. Del resto era complicato anche mettere d’accordo democratici e socialisti nella Lid, eppure ci siamo riusciti. L’alternativa, se le elezioni daranno l’esito previsto, è un monocolore minoritario del Po. Ma è rischioso in una situazione dove bisognerà non solo riparare ai guasti lasciati dal governo uscente, ma anche fronteggiare le iniziative già preannunciate dagli ambienti presidenziali. Lech Kaczynski ha detto che ricorrerà largamente al suo potere di veto se il suo partito perderà le elezioni. E allora per contrastarlo il governo dovrà avvalersi di una larga maggioranza parlamentare».

Lei in passato accettò di dichiarare per scritto di non avere collaborato con l’intelligence comunista. Ha rifiutato di farlo quando la richiesta è arrivata da un organo creato dai Kaczynski (Istituto della memoria nazionale) che agisce fuori da ogni controllo della giustizia. Come giudica questa vicenda?
«Spero sia un dossier chiuso. Sono felice che la Corte costituzionale abbia invalidato la legge anti-democatica sulla lustracija. Temo però che non sia un soggetto già sparito dalla scena politica, e che il Pis tenterà ancora di usare quei 75 chilometri di documenti degli archivi segreti come strumento di lotta politica».


Pubblicato il: 21.10.07
Modificato il: 21.10.07 alle ore 8.12   
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« Risposta #1 inserito:: Ottobre 22, 2007, 06:28:56 pm »

Polonia, batosta per i Kaczynski trionfa Tusk

Gabriel Bertinetto


Un incredibile prolungamento delle operazioni di voto ha impedito sino a tardissima ora la diffusione dei primi dati sulle elezioni parlamentari svoltesi ieri in Polonia. Stando a indiscrezioni trapelate all’ora in cui avrebbero dovuto chiudere i seggi, le 20, il Pis (Diritto e giustizia) dei gemelli Kaczynski sarebbe stato nettamente sconfitto dalla Piattaforma civica (Po) di Donald Tusk. Il Po sopravanzerebbe il Pis di circa dieci punti percentuali, ma sono notizie ufficiose e prive di conferma. Sempre stando alle stesse fonti, supererebbero la soglia del 5% necessaria ad essere ammessi alla Sejm, la Camera bassa da cui dipende la fiducia al governo, altri due partiti d’opposizione: la Lid (che raggruppa i democratici di Bronislaw Geremek e la sinistra post-comunista di Aleksandr Kwasniewski), e il partito contadino Psl. Resterebbero fuori dal Parlamento invece due ex-alleati del Pis, di orientamento ultranazionalista e cattolico-fondamentalista: la Lega delle famiglie polacche e Samoobrona (Autodifesa).

La Commissione elettorale ha giustificato il ritardo con l’affluenza molto superiore al previsto, con il 55% (la più alta dal 1989) che ha provocato l’esaurimento delle schede in alcuni seggi di Varsavia e Danzica. Il tempo perso per procurare il materiale mancante è stato recuperato allungando l’orario delle votazioni. È stato deciso di consentire la pubblicazione degli exit-poll e dei conteggi parziali che nel frattempo erano iniziati nella maggior parte delle sedi elettorali, solo quando avesse chiuso anche l’ultimo seggio.

Se le notizie ufficiose sull’esito del voto corrispondono al vero, è chiaro che la svolta negli orientamenti dell’opinione pubblica ha coinciso con il confronto televisivo tra i leader dei due maggiori partiti, dieci giorni prima del voto. Quella sera Donald Tusk ha sorprendentemente strapazzato Jaroslaw Kaczynski, sfoggiando un’aggressività polemica prima ignota al pubblico, e smascherando spietatamente l’ignoranza del suo interlocutore sui prezzi dei prodotti di largo consumo e altri aspetti della vita quotidiana di quei polacchi semplici e poveri, lungamente corteggiati dalla propaganda populista del premier uscente e del suo partito. Sino ad allora i sondaggi predicevano equilibrio, se non una prevalenza di Diritto e giustizia. Da quel momento hanno imboccato senza incertezze una direzione favorevole alla Piattaforma civica.

Gran parte degli ambienti imprenditoriali speravano nella vittoria dei liberali, che hanno promesso misure loro gradite, come l’abolizione della tassazione progressiva sui redditi e l’introduzione di un’aliquota unica. Più in generale Tusk ha conquistato il sostegno di una parte dei ceti medi prospettando la scelta di una «via irlandese» allo sviluppo, con sgravi fiscali, incentivi agli investimenti, e un mercato del lavoro molto flessibile. Altro punto chiave del programma economico dell’opposizione al Pis era l’ingresso il più presto possibile in Eurolandia, un obiettivo verso cui i Kaczynski, notoriamente a dir poco euroscettici, si sono sempre dimostrati piuttosto tiepidi.

L’europeismo sarebbe certamente un potente collante della coalizione di governo fra Po, Lid e Psl, che può scaturire dall’esito elettorale. Più complesso sarà trovare un punto di incontro sulla politica economica. I contadini e la componente socialista della Lid cercheranno certamente di arginare il liberismo senza freni cui pare ispirarsi Tusk. Europa a parte, è più in generale la politica estera ad offrire un buon terreno d’intesa alle tre forze del potenziale centrosinistra alla polacca. Tusk ha esplicitamente promesso il ritiro dei 900 soldati del contingente polacco dall’Iraq, pur tranquillizzando Washington sull’intenzione di effettuarlo in maniera graduale. Una presa di posizione che è sembrata andare incontro agli orientamenti di un’opinione pubblica sempre meno convinta dell’opportunità di partecipare all’avventura mesopotamica di George Bush.

Non è bastato a Diritto e giustizia dunque insistere sui soliti cavalli di battaglia, che gli garantirono la vittoria nel 2005 e la conservazione di un forte sostegno popolare sino ad epoca recente. Nell’ultimo appello televisivo Jaroslaw Kaczynski aveva in particolare chiesto un nuovo mandato per combattere la piaga della corruzione e per continuare la de-comunistizzazione della società polacca, che per lui ed il gemello deve essere ancora compiuta. Come se non ci fosse mai stato un 1989 nella storia del Paese.

Non è bastata nemmeno, e magari è stata addirittura controproducente, la minaccia di sabotare l’azione di governo qualora la vittoria fosse andata agli avversari. Forse l’elettorato non ha gradito il tono intimidatorio con cui quattro giorni prima del voto, il capo di Stato, Lech, gemello del premier, ha preannunciato che in caso di sconfitta avrebbe fatto ricorso alle proprie «prerogative costituzionali», cioè la facoltà di porre il veto sulle leggi del Parlamento.

Il rischio che il pesante monito sia seguito dai fatti esiste, e per questo sarà importantissimo vedere la definitiva distribuzione dei seggi alla Sejm, la Camera bassa, quella da cui dipende la fiducia al governo. Se i deputati di Po, Lid e Psl globalmente fossero almeno i tre quinti del totale, potrebbero a norma di legge rovesciare i veti presidenziali.

Evidentemente, sempre se le indiscrezioni sui risultati elettorali saranno confermate, non è stato sufficiente ai Kaczynski nemmeno l’apporto della martellante propaganda pro-Pis di Radio Maryia. L’emittente diretta da padre Tadeus Rydzyk in passato aveva suddiviso le proprie simpatie fra il Pis ed un altro gruppo ultraconservatore, la Lega delle famiglie polacche. In questa campagna ha concentrato il proprio sostegno sulla formazione dei Kaczynski, dopo avere constatato il fallimento della coabitazione con la Lega nell’esecutivo scaturito dalle elezioni del 2005. Se si è arrivati allo scioglimento anticipato delle Camere infatti è stato proprio per la crisi che in agosto è sfociata nell’uscita dal governo dei ministri della Lega e di un altro piccolo partito reazionario, Samoobrona, che contendeva agli alleati la palma dell’integralismo religioso, della xenofobia e dell’antisemitismo.

La scelta di campo di Radio Maryia non è stata efficacemente contrastata dalla gerarchia cattolica, benché alcuni vescovi abbiano manifestato disapprovazione. Ma è stato significativo a due giorni dal voto il gesto di Stanislaw Dziwisz, cardinale di Cracovia, ed ex-segretario di Giovanni Paolo secondo. Quasi a correggere l’immagine diffusa di un episcopato sostanzialmente allineato con il Pis, Dziwisz ha ricevuto Tusk.

Pubblicato il: 22.10.07
Modificato il: 22.10.07 alle ore 17.21   
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« Risposta #2 inserito:: Ottobre 23, 2007, 11:38:45 pm »

«Ecco la bussola di Tusk.Così la Polonia chiuderà l’era Kaczynski»
Gabriel Bertinetto


Nel suo ufficio in Parlamento, Rafal Grupinski, consigliere politico del futuro premier Donald Tusk, e deputato rieletto del Po (Piattaforma civica), spiega a l’Unità le linee guida cui intendono attenersi i vincitori delle elezioni polacche. Probabile alleanza con il Psl. Forse sostegno esterno della Lid. Fine dell’occupazione dello Stato da parte di un partito (il Pis dei Kaczynski).

Come spiega, signor Grupinski, un successo assolutamente impensabile stando ai sondaggi di 15 giorni fa?

«Tutto è dipeso dalla grande mobilitazione elettorale, segno che i cittadini ne avevano abbastanza dello stile dei Kaczynski. La maggioranza dei votanti ha visto nel Po l’unica forza che potesse sconfiggerli. Del resto noi siamo gli unici che alla fine della campagna elettorale abbiamo presentato un programma per migliorare l’economia nazionale. Ci siamo tirati fuori dalle liti politiche e abbiamo spiegato come i nostri progetti consentissero di compiere un salto di civiltà per raggiungere il resto dell’Europa».

I numeri non vi consentono di governare da soli. Su che basi potrete accordarvi con i potenziali alleati, Psl (partito contadino) e Lid (democratici di Geremek ed ex-comunisti)?

«Non posso ancora dire con chi ci alleeremo. Dipenderà dall’andamento dei negoziati nei prossimi giorni. Ovviamente la base di ogni discussione e intesa sarà l’accettazione delle linee guida del nostro programma economico e sociale, visto che siamo noi la forza principale».

«Proprio sul terreno economico-sociale, non ritiene arduo conciliare il vostro liberismo con le posizioni di Psl e Lid?

«Non vedo grandi difficoltà nel merito. Con il Psl governiamo insieme da un anno in 12 dei 16 voivojdati polacchi, collaborando senza problemi intorno a programmi comuni»

Ma se nella coalizione di governo entrasse anche la Lid?

«Oggi non sappiamo bene quale sia il programma economico della Lid, perché essa è composta di vari partiti, ciascuno con progetti diversi. Del resto non penso che al momento una coalizione allargata alla Lid venga presa seriamente in considerazione».

Però senza la Lid non arrivate a disporre di tre quinti dei seggi in Parlamento, e siete esposti ai veti del capo di Stato Lech Kaczynski.

«Probabilmente è così. Ma non crediamo che il presidente, se aspira ad essere rieletto, si metta a bloccare tutte le leggi proposte dal Po, tanto più se gradite ai cittadini. D’altra parte, faccio fatica a immaginare la Lid impegnata ad appoggiare i veti di Kaczynski. Come potrebbero spiegarlo ai loro elettori?».

Vi aspettate allora l’appoggio esterno della Lid ad un esecutivo Po-Psl?

«Per quanto riguarda le questioni più importanti vogliamo un accordo che vada oltre due soli partiti».

Avete criticato i Kaczynski per il modo in cui conducevano la lotta alla corruzione. Come vi comporterete su questo terreno?

«Vogliamo un patto sovra-partito per una lotta alla corruzione che parta dall’abolizione dell’eccessivo numero di concessioni e licenze necessarie ad esercitare un’attività imprenditoriale. Questo servirà a ridurre la tentazione della corruzione. Vogliamo unire in un unico corpo i vari organi di polizia finanziaria e tributaria attualmente esistenti in Polonia».

Un cavallo di battaglia della propaganda e della prassi di governo dei Kaczynski è stata la lustracija (denuncia dei collaboratori dei servizi segreti del passato regime). E voi che farete?

«Siamo sempre stati per l’apertura degli archivi, per porre fine alle speculazioni sulle biografie delle persone attive ai tempi del comunismo. E restiamo di quella opinione».

Pensa anche lei che la lustracija in mano al Pis fosse uno strumento di intimidazione anziché di ricerca della verità?

«Proprio per questo vogliamo impedire quel gioco rendendo pubblici i documenti in maniera trasparente».

Si può dire che oggi in Polonia non si confrontano più veterani del comunismo e reduci di Solidarnosc, ma due distinte famiglie nate dal sindacato fondato da Walesa?

«Non esattamente. A parte il fatto che la divisione fra post-comunisti e post-Solidarnosc rimane viva nelle generazioni più anziane, è vero che si contrappongono due forze (Po e Pis) a cui si addice la definizione di post-Solidarnosc. Ma una, il Pis, è in qualche modo figlia dello Stato comunista, ha molte abitudini e tendenze tipiche di quel regime, specialmente per quanto concerne il rapporto con lo Stato e i servizi di sicurezza».

Si riferisce ad una concezione autoritaria e proprietaria dello Stato?

«Sì, al metodo di impossessarsi delle istituzioni pubbliche e dei media statali, e farli diventare strumento di un partito».

Firmerete la Carta dei diritti europei?

«Sì, il Po ha sempre voluto firmarla. Quindi non credo che cambierà strada».

Avete promesso il ritiro delle truppe dall’Iraq. Quando?

«Preferirei non dire nulla sull’argomento. La nostra intenzione è terminare la missione appena possibile. Ma è una materia delicata, di stretta competenza del governo, e non vorrei fare ipotesi. Certo la chiusura della missione era nel nostro programma».

Cosa cambierà nei rapporti con Russia e Germania?

«Posso solo dire che il governo a guida Po farà tutto ciò che è conforme all’interesse nazionale ed aiuterà le relazioni con quei due Paesi».

Che tipo di opposizione si aspetta dal Pis?

«Molto dura. Avranno difficoltà ad accettare il cambiamento di ruolo. Anche perché istituiremo subito alcune commissioni d’inchiesta tra cui quella sull’attività del Cba (agenzia anti-corruzione)».


Pubblicato il: 23.10.07
Modificato il: 23.10.07 alle ore 8.37   
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« Risposta #3 inserito:: Ottobre 24, 2007, 06:34:48 pm »

«Abbiamo perso ma 5 milioni di polacchi sono con noi»

Gabriel Bertinetto


Qualche autocritica, molta autogiustificazione nelle parole di un dirigente del Pis (Diritto e giustizia), il partito dei gemelli Kaczynski sconfitto nelle elezioni parlamentari di domenica scorsa in Polonia. Pawel Poncyljusz, giovane vice ministro dell’Economia nel governo uscente, risponde alle domande dell’Unità, e sottolinea che nonostante tutto «per noi hanno votato cinque milioni di concittadini».

Signor Poncyljusz, conta più per lei il fatto di avere perso o di avere comunque mantenuto un consistente consenso elettorale?
«Augurerei a qualunque altro partito che abbia governato in Polonia, di essere riuscito a conseguire la stessa quantità di voti che siamo stati capaci di avere noi domenica. Sinora non è mai avvenuto, e chi governava ha sempre subito tracolli alle elezioni successive. Certo ci sono alcuni sbagli che abbiamo compiuto nell’arco dei due anni in cui siamo stati al governo. In primo luogo ci siamo concentrati troppo sulle aree rurali del Paese, e questo è avvenuto anche durante la campagna elettorale. Il fatto è che non immaginavamo che una tale massa di elettori si riversasse alle urne dalle aree urbane. Inoltre abbiamo trovato difficoltà nello spiegare ai nostri sostenitori le ragioni dell’alleanza con altri due formazioni politiche, Samoobrona e Lega delle famiglie polacche, che per qualche tempo avevano fatto parte con noi dell’esecutivo. Anche questo ci è venuto a costare nel momento in cui i cittadini si sono recati ai seggi. Ricordo poi quello che disse il primo ministro Jaroslaw Kaczynski alcuni giorni fa, e cioè che nella nostra azione di governo abbiamo commesso alcuni errori. Alcuni elementi non erano probabilmente adeguati ai compiti che erano stati affidati loro. Inoltre se tu vuoi realizzare dei cambiamenti e vuoi trasformare ogni cosa, è inevitabile che ti crei dei nemici in vari settori della società. Ad esempio gli avvocati. Oppure certi docenti universitari. Questo ha influito sul risultato elettorale. Che non è stato però così negativo come certi analisti vogliono far credere».

Lei parla di errori, ma si riferisce a questioni di tattica o alla necessità di rivedere in modo sostanziale le vostre strategie politiche?
«Io rilevo che cinque milioni di persone hanno votato per noi. E non mi pare un livello di sostegno trascurabile. Per questo non ritengo che sia necessario modificare la nostra strategia e l’approccio ad alcuni temi di pubblico dibattito, in maniera così profonda come alcuni si aspettano da noi in questo momento».

Il suo partito è stato molto criticato in patria e all’estero per il modo in cui ha condotto la lotta alla corruzione e la cosiddetta lustracija (la denuncia dei complici occulti dell’intelligence sotto il passato regime). Avete dato l’impressione di combattere meno per la verità che per danneggiare i vostri avversari. Avete qualcosa da rimproverarvi?
«Risolvere una volta per tutte il problema del rapporto con il passato sarà compito anche del prossimo governo. È l’ultima chance che rimane per far sapere alla gente quali politici abbiano collaborato con i servizi speciali in epoca comunista. Se poi vogliamo parlare di corruzione, anche quello è un tema di fondamentale importanza. Nelle ultime due settimane lo stesso Donald Tusk, il leader di Piattaforma civica, ha regolarmente affrontato quell’argomento nei suoi discorsi. La corruzione è il problema, è il male che ha rovinato tutta la vita sociale in Polonia, non solo nel campo legale, ma anche nel mondo degli affari e in altri settori ancora. È stata una conquista significativa rimuovere alcuni ostacoli ed aprire un libero dibattito sulla corruzione in Polonia. Dopo quello che ha fatto il nostro governo, qualunque altro esecutivo venga dopo si troverà in una posizione molto più facile per valutare se e quando c’è corruzione. Così spero che finalmente questo problema sarà del tutto risolto».

Il presidente Lech Kaczynski ha preannunciato che userà spesso i suoi poteri di veto, e ha dato l’impressione di lanciare un monito ricattatorio nei confronti di un eventuale esecutivo non di suo gradimento. Cosa risponde all’accusa?
«E una cosa che risale già a varie settimane fa. Disse semplicemente che potrà usare le sue prerogative costituzionali. Penso sia una cosa del tutto normale. Talvolta anche Kwasniewski (leader della sinistra ex-comunista), quando era capo di Stato, fece ricorso a quello strumento per bloccare progetti di legge proposti da noi. Vedremo concretamente che cosa significherà l’uso del veto da parte del presidente Kaczynski. Alla fine potrebbe risultare che il suo sia stato un semplice avvertimento. Forse nemmeno li metterà in pratica questi poteri».

Il governo Kaczynski si è comportato in maniera che ha spesso suscitato le critiche degli altri Paesi membri della Ue. Cambierete atteggiamento nei confronti dell’Europa?
«No. Il nostro approccio è molto chiaro e rimarrà quello che è».

Pubblicato il: 24.10.07
Modificato il: 24.10.07 alle ore 8.45   
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