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Autore Discussione: Umberto DE GIOVANNANGELI -  (Letto 93524 volte)
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« Risposta #105 inserito:: Dicembre 28, 2008, 11:41:31 pm »

«Se ci invadono la Striscia sarà un nuovo Libano»

di Umberto De Giovannangeli


Israele «continua ad affamare il popolo palestinese, ad applicare odiose punizioni collettive. E tutto questo nel silenzio complice della comunità internazionale. Ma Israele ha commesso un grave errore: l’assedio non ci ha indeboliti. La resistenza palestinese è ancora più forte e unita. Provino pure a invadere Gaza. Gaza sarà il loro nuovo Libano». A parlare è l’uomo forte di Hamas: Mahmud al Zahar.

Israele ammassa truppe ai confini con Gaza. E a Tel Aviv c’è chi parla di una imminente offensiva militare.
«Israele ha inteso l’”hudna" (la tregua, ndr.) come una resa della resistenza palestinese. Ma ha commesso un grave errore. Ha continuato l’assedio di Gaza, pensando così di poter piegare la resistenza. Ha invece ottenuto l’effetto contrario: ha rafforzato la resistenza. Vogliono invadere Gaza? Ci provino. Siamo pronti a respingere l’aggressione. Israele ricordi cosa è accaduto in Libano due estati fa».

Le autorità Israele ribattono sostenendo che è stato Hamas a rompere la tregua proseguendo il lancio di razzi Qassam contro Sderot, Ashqelon.
«Hamas ha dimostrato per lungo tempo di saper rispettare gli impegni assunti. Ma Israele ha proseguito l’assedio di Gaza, ha proseguito con le odiose punizioni collettive, in spregio ai più elementari diritti umani. Ha continuato ad agire come una forza di occupazione. Ed ora si meraviglia della reazione palestinese. La tregua non può essere a senso unico. Hamas ha sempre sostenuto la disponibilità ad una "hudna" di lunga durata con Israele ma a precise condizioni».

Quali?
«La fine del blocco a Gaza; lo stop alla colonizzazione dei Territori; la liberazione dei palestinesi prigionieri nelle carceri israeliane».

Nell’immediato, cosa chiedete a Israele per ripristinare il cessate il fuoco?
«Il prezzo è la vita della popolazione palestinese».

In concreto?.
«Il ripristino di forniture regolari di cibo ed elettricità sia per Gaza che per la Cisgiordania».

Da oltre due anni, a Gaza è tenuto prigioniero il soldato israeliano Gilad Shalit . C’è speranza di rivederlo in libertà?
«Tutto dipende da Israele. Israele non può sottrarsi all’obbligo di scarcerare mille prigionieri palestinesi. Se Israele farà la sua parte Shalit farà ritorno a casa in un solo giorno. Ma se invaderanno Gaza, nessuno potrà dirsi al sicuro».

Il presidente Abu Mazen intende intenzione di indire elezioni anticipate per l'inizio del nuovo anno.
«Abu Mazen non ha alcun diritto di fissare una nuova data per le elezioni e nemmeno quello di estendere il suo mandato presidenziale oltre il 9 gennaio 2009. Una volta di più egli ignora il Consiglio legislativo palestinese (il Parlamento dei Territori, ndr.). Una volta di più vorrebbe violare la legge».

Abu Mazen non ha chiuso la porta al dialogo con Hamas.
«Siamo pronti al dialogo ma senza precondizioni. E nel rispetto del voto espresso liberamente dal popolo palestinese nelle elezioni del gennaio 2006. Quel voto, e non le armi, ha sancito la vittoria di Hamas».
udegiovannangeli@unita.it



23 dicembre 2008
da unita.it
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« Risposta #106 inserito:: Dicembre 30, 2008, 05:16:40 pm »

«Tregua, Abu Mazen mente. Noi di Hamas non siamo responsabili della rottura»

di Umberto De Giovannangeli


La sua voce va e viene. Spesso è sovrastata dal clamore delle bombe che scuotono Gaza. L’uomo al telefono è colui al quale Hamas ha affidato il compito di raccontare al mondo la sua «verità». Oggi Fawzi Barhoum, portavoce di Hamas nella Striscia, è l’uomo più ricercato dai media internazionali. L’Unità lo ha intervistato. «I morti - dice - sono più di 400, molti dei quali sono donne,bambini, anziani. Questo è terrorismo di Stato». Sul futuro, Barhoum è perentorio: «Possono invadere Gaza, ma la resistenza palestinese non alzerà mai bandiera bianca».
Per il secondo giorno, Israele ha proseguito i suoi raid aerei su Gaza e ha ammassato i carri armati al confine con la Striscia.
«La resistenza è pronta ad affrontare sul campo il nemico. Se Israele invaderà Gaza pagherà un prezzo altissimo per i suoi crimini».

Il presidente Abu Mazen afferma che Hamas poteva evitare i massacri...
«Abu Mazen mente sapendo di mentire. Israele preparava i piani di attacco già sei mesi fa, quando fu sancita la hudna (tregua, ndr.). La verità è un’altra....».

Quale sarebbe la «verità» di Hamas?
«Israele ha pensato di annientare militarmente Hamas già il giorno dopo la nostra vittoria nelle elezioni (gennaio 2006). Per ottenere questo obiettivo ha usato ogni mezzo: le “eliminazioni mirate”, i bombardamenti indiscriminati, fino a giungere alle più odiose punizioni collettive. Israele intende far pagare al popolo palestinese l’aver scelto Hamas. Ma attaccandoci, Israele rafforza l’unità della resistenza. La gente di Gaza sa chi è il nemico: chi li bombarda, chi li affama, chi li ha chiusi in gabbia: Israele ».

Insisto: Israelehaintesoagireperporre fine al lancio di razzi Qassam contro le città e i villaggi frontalieri.
«La tregua per reggere doveva impegnare le due parti: la fine del lancio dei Qassam in cambio della fine dell’assedio di Gaza. Così non è stato. Hanno preteso sicurezza per la propria gente continuando ad opprimere la nostra gente. Gaza è stata trasformata in una prigione a cielo aperto. Noi rivendichiamo il diritto a combattere con ogni mezzo i “carcerieri”».

Il mondo chiede una nuova tregua. Qual è la risposta di Hamas?
«Israele non cerca una tregua. Vuole la resa della resistenza palestinese. Siamo pronti al cessate il fuoco ma la condizione è che sia posto fine all’aggressione sionista...».

Se così non sarà?
«Siamo pronti al martirio».

Fonti di Ramallah dicono chel’Anpè pronta a riprendere il controllo di Gaza.
«Cosa vorrebbero instaurare, un regime collaborazionista? Non credo che Abu Mazen voglia diventare il “Pétain” palestinese».

Non è con il terrore che i palestinesi vedranno riconosciuti i loro diritti.
«Per Israele ogni palestinese che resiste è un terrorista. Per noi è un eroe».

Come può giudicare «eroi» coloro che seminano la morte negli autobus, nei ristoranti, colpendo civili inermi?
«Noi non abbiamo carri armati. Non abbiamo F16. Non abbiamo la potenza militare del nemico sionista. Ciò che abbiamo è la determinazione di migliaia di “shahid” pronti a sacrificarsi in nome della Palestina».

Abu Mazen ha il sostegno di Hosni Mubarak
«E noi quello dei popoli arabi. Non farei a cambio».


29 dicembre 2008
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« Risposta #107 inserito:: Dicembre 30, 2008, 05:39:03 pm »

«Siamo all’inferno. Il mondo non resti indifferente»

di Umberto De Giovannangeli


Le notizie «che giungono da Gaza da parte dei nostri operatori sul campo sono sconvolgenti. A quanto ci risulta, sono almeno 58 i civili palestinesi uccisi, tra cui 21 bambini e sette donne, ma è un bilancio destinato a crescere, come quello dei feriti, ad oggi oltre 1400. La comunità internazionale non può essere spettatrice passiva di questa tragedia. Le armi devono tacere».

A parlare è Karen Koning Abu Zayd, statunitense, Commissario generale dell’Unrwa, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi.
Quale sono le notizie in suo possesso sulla situazione a Gaza?
«La situazione per la popolazione di Gaza era già tremenda prima dei bombardamenti ed ora è ulteriormente peggiorata. La gente è privata praticamente di tutto, dalle medicine all’elettricità, dalla benzina all’acqua. Ed ora è sotto costante bombardamento. Francamente mi è difficile definire in altro modo questa situazione se non come una punizione collettiva inflitta alla popolazione palestinese; una pratica contraria al Diritto umanitario internazionale e alla stessa Convenzione di Ginevra».

Israele rivendica il diritto alla difesa dai lanci dei missili palestinesi.
«Il minimo che si può dire è che ci sia un uso sproporzionato della forza da parte israeliana. In discussione, almeno per me, non è il diritto alla difesa di Israele. Ma questo diritto, assolutamente legittimo, non può fondarsi sulla negazione dei diritti dei palestinesi. Diritti dimenticati, spesso calpestati con la forza. D’importanza centrale, fra tutti questi diritti, è il diritto all’autodeterminazione, il diritto ad uno Stato, del quale i palestinesi sono stati privati attraverso 60 anni di esilio e di espropri. I diritti sono protetti al meglio nel contesto di uno Stato, e noi dell'Unrwa incaricati di portare assistenza fino a quando la questione dei profughi non sarà risolta nel contesto di un accordo di pace definitivo, siamo consapevoli di questo come qualsiasi altro operatore umanitario che lavora oggi in Medio Oriente. L’abisso che separa le parole dalle azioni desta incredulità in molti palestinesi. Rinchiusi all’interno di Gaza, ed ora sottoposti agli incessanti bombardamenti israeliani, o in attesa davanti ai checkpoint della Cisgiordania, essi sono in prima linea fra quelle aree in cui l’assenza di protezione è avvertita più acutamente. Il risultato è stato un crudele isolamento dalla comunità mondiale, alimentato dall’inazione del sistema internazionale. Un isolamento che conduce ad un senso di disperazione e di abbandono. In simili circostanze, il radicalismo e l'estremismo prendono piede facilmente. E non è con la forza delle armi che potrà cambiare la situazione. Semmai è destinata a peggiorare, perché sulle macerie di Gaza non potranno mai crescere speranze di pace e di giustizia».

In questa situazione così drammatica cosa si sente di chiedere all'Europa?
«Di non chiudere gli occhi di fronte ad una tragedia che non ha nulla di "naturale". L’Europa può svolgere un ruolo importante, per molti versi decisivo, per il raggiungimento del cessate il fuoco. Può farlo perché è in grado di parlare con entrambe le parti senza esserne influenzata. Come è avvenuto in Libano».

Nel Sud Libano è stata schierata una forza internazionale sotto egida Onu. Può avvenire anche a Gaza?
«Qualsiasi assunzione diretta di responsabilità da parte della comunità internazionale a garanzia della sicurezza delle popolazioni colpite sarebbe non solo auspicabile ma necessaria. E urgente».

E cosa si sente di chiedere alle milizie palestinesi?
«Di porre fine al lancio di razzi contro le città israeliane. Perché la vita di ogni civile è sacra, perché non è così che il popolo palestinese potrà vedere realizzati i suoi diritti».

udegiovannangeli@unita.it


30 dicembre 2008
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« Risposta #108 inserito:: Gennaio 03, 2009, 04:30:00 pm »

«Rappresaglia israeliana ingiustificata. Atrocità contro i civili»

di Umberto De Giovannangeli


Per Israele è un uomo di parte, un «ospite indesiderato», pregiudizialmente ostile allo Stato ebraico. Comunque, una personalità scomoda. Ma Richard Falk - ebreo americano, Relatore speciale delle Nazioni Unite per i Diritti umani nei Territori, professore emerito di Diritto internazionale all'Università di Princeton e membro del Foro di New York - rigetta con forza questa etichetta: «Non c’è in me – dice - alcuna ostilità preconcetta verso Israele. Mi limito ad evidenziare i fatti, e questo non è certo un atteggiamento pregiudizialmente ostile. È la realtà dei fatti, purtroppo, a inchiodare le autorità, politiche e militari, israeliane alle loro pesanti, e documentabili, responsabilità. Sono i fatti, secondo il professor Falk, a «inchiodare » oggi Israele.
Il relatore Onu denuncia senza mezzi termini le «scioccanti atrocità» commesse da Israele nell’offensiva contro la Striscia di Gaza.

Professor Falk, su cosa base questa gravissima denuncia?
«Sul fatto che Israele impiega armi moderne contro una popolazione inerme che già sopportava da mesi un durissimo embargo».

L’embargo. Israele sostiene che si è trattato di una via obbligata, per quanto dolorosa, per porre fine al lancio dei razzi contro le città del Suddello Stato ebraico.
«Usare armi moderne contro una popolazione inerme, attuare una punizione collettiva come è l'embargo imposto a Gaza, tutto ciò non si configura come legittima difesa. E nemmeno come uso sproporzionato della forza. È ben altro. È una politica molto simile a un crimine contro l’umanità che, come tale, dovrebbe essere sanzionato dalla Corte pena- le internazionale di fronte alla quale dovrebbero comparire i responsabili di questo crimine. Così come non devono sussistere atteggiamenti pregiudiziali verso Israele, non deve nemmeno sussistere un atteggiamento opposto: quello di una assoluzione pregiudiziale. Il blocco di Gaza non assolve alcuna funzione legittima da parte di Israele. Le autorità israeliane ripetono che sia stato imposto come rappresaglia per il lancio di razzi di Hamas e della Jihad islamica contro Sderot e le altre città del Sud d'Israele…».

Il lancio di questi razzi, professor Falk, è indiscutibile...
«Nessuno lo mette in dubbio. L’illegalità di lanciare questi razzi è indiscutibile, ma non giustifica in alcun modo l’indiscriminata rappresaglia israeliana contro la popolazione di Gaza».

Israele prosegue l’offensiva militare contro la Striscia.
«Gaza è ridotta a una città-cratere. Israele afferma di essere in guerra con Hamas e non con la popolazione palestinese. Ma a Gaza è l’intera popolazione palestinese ad essere bersaglio delle bombe israeliane. Stiamo parlando di esseri umani, non di numeri. Di fronte a questa tragedia, la comunità internazionale deve accrescere le sue pressioni su Israele perché ponga fine agli attacchi. Deve essere fatto per una ragione etica, prim’ancora che politica. Perché a Gaza, lo ripeto con la morte nel cuore, è in atto un massacro che non può essere giustificato né minimizzato. Sulla Striscia, in sei giorni di raid aerei, Israele ha sganciato oltre 120 tonnellate di bombe; almeno il 25% di coloro che sono stati uccisi a Gaza erano civili, e tra questi donnee bambini. Ed è una stima in difetto, destinata a crescere. Mentre noi stiamo parlando altri civili stanno morendo… Come si fa a sostenere senza arrossire dalla vergogna che siamo di fronte ad operazioni "selettive"?».

Professor Falk, per le sue denunce, Lei viene considerato, non solo dentro Israele, come un «ebreo che odia se stesso», se non addirittura un antisemita.
«Queste accuse mi feriscono profondamente. A questi attacchi contro la mia credibilità ribatto sottolineando che non mi sento mai antiamericano quando critico la politica estera del governo americano. È una tattica incresciosa utilizzata da molti sionisti, quella di equiparare ogni critica allo Stato di Israele o alla sua politica all’antisemitismo. Secondo me, questo atteggiamento è profondamente antidemocratico, e minaccia di trasformare il "cittadino" in un "suddito". Credo che la misura di un buon senso della cittadinanza sia la coscienza, non l’obbedienza. Per tutte queste ragioni, non ho rimpianti. Non potrei fare altro».
udegiovannangeli@unita.it



02 gennaio 2009
da unita.it
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« Risposta #109 inserito:: Gennaio 06, 2009, 11:29:07 am »

«Fermate il massacro. Sulle ceneri di Gaza crescerà altro odio»

di Umberto De Giovannangeli


«Israele potrà riconquistare con la forza Gaza. Ma così non "conquisterà" mai la pace. Perché sulle rovine di Gaza cresceranno solo odio, rabbia, spirito di vendetta».
Ad affermarlo è una colomba palestinese: Sari Nusseibeh, rettore dell'Università Al Quds di Gerusalemme Est, considerato, a ragione, il più autorevole intellettuale palestinese. «Un crimine contro il popolo palestinese. Non trovo altre parole per definire ciò che Israele sta compiendo nella Striscia di Gaza. Il volume di fuoco, la massa militare mobilitata, i proclami roboanti: non c'è nulla di "moderato", di difensivo, in questo esercizio di potenza».

Nusseibeh non crede che l'offensiva militare israeliana porterà alla fine di Hamas: «Questa - avverte - è una illusione. Sul sangue dei martiri, Hamas costruirà la sua fortuna futura. A pagarne il prezzo saranno quanti di noi continuano a battersi per il dialogo, a credere in una pace giusta, tra pari. Chiunque oggi in campo palestinese si azzardasse a parlare di dialogo, verrebbe visto e trattato come un traditore. Ciò deve essere ben chiaro a tutti, soprattutto a voi europei: la guerra cancella ogni spazio di confronto. Militarizza le coscienze».

Professor Nusseibeh, a Gaza è guerra totale. Israele afferma: il nostro nemico è Hamas e non il popolo palestinese.
«Sotto le bombe e tra le macerie, questa è una distinzione che non regge, direi che è un insulto all'intelligenza di ciascuno di noi. Il primo palestinese ucciso da una cannonata sparata da un carro armato israeliano entrato a Gaza è stato un bambino. Negli otto giorni di raid aerei, sono morti oltre novanta bambini palestinesi… Cos'erano, terroristi in erba? Stamani, prima che lei mi chiamasse al telefono, ho incontrato alcuni miei studenti. Persone tranquille, per niente simpatizzanti di Hamas. Mi hanno detto: siamo pronti a combattere, vendicheremo il sangue dei nostri fratelli di Gaza…. Questo è lo stato d'animo di quel popolo palestinese che Israele afferma di non avere come nemico. È uno stato d'animo impastato di dolore e di rabbia. D'indignazione e spirito di vendetta. Nessuno, neanche tra i più critici verso Hamas, e io mi annovero tra gli ipercritici, oggi pensa: ben gli sta, hanno quel che si meritano. Israele potrà riconquistare con la forza Gaza, ma in questo modo non "conquisterà" mai la pace».

C'è chi in Israele sostiene che la guerra di Gaza finirà per rafforzare la leadership del presidente dell'Autorità nazionale palestinese, Mahmud Abbas (Abu Mazen).
«È' una sciocchezza. Hamas andava e va sconfitto con la politica e dai palestinesi. A Gaza non sono arrivati i "nostri", i liberatori. A Gaza è entrato l'esercito di una forza d'occupazione. Hamas ha fallito come movimento politico, come forza di governo, non dando seguito alle promesse su cui aveva costruito la sua vittoria elettorale nel gennaio di tre anni fa. Tutti i sondaggi, prima dell'offensiva israeliana, davano Hamas in perdita di consensi, anche a Gaza. L'attacco israeliano permette ad Hamas di tornare a vestire i panni della forza che resiste all'invasore. Su questo terreno, Hamas è vincente. Vince quando ci si sente abbandonati, traditi dagli stessi "fratelli arabi", che usano la "causa palestinese" per i loro giochi di potere. Vince quando la comunità internazionale si mostra impotente, se non complice, di fronte alla protervia delle armi. Vince quando ogni spazio di dialogo viene chiuso brutalmente. Vince per assenza di alternative. Vince perché agli occhi dei miei studenti, Israele è identificato come il pilota di caccia che sgancia bombe che uccidono donne e bambini».

È una strada senza uscite quella imboccata a Gaza?
«Se continua l'offensiva terrestre israeliana, certamente sì. Occorre fermare le armi, porre fine all'assedio di Gaza. E a garanzia della sicurezza, della popolazione della Striscia e di quella del Sud d'Israele, dispiegare una forza internazionale sotto egida Onu. Non vedo altre soluzioni alla tragedia in atto».

L'operazione "Piombo Fuso" potrà essere estesa ulteriormente, dichiara il ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak.
«I toni sono quelli da campagna elettorale. Condotta sul sangue di Gaza».
udegiovannangeli@unita.it

05 gennaio 2009
da unita.it
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« Risposta #110 inserito:: Gennaio 06, 2009, 11:31:59 am »



Fassino. «Basta mosse inutili. Il governo si impegni per la tregua subito»

di Umberto De Giovannangeli


«Al governo italiano chiediamo di non limitarsi a dichiarazioni formali o a generici quanto inutili auspici, ma di agire in sede europea e in ogni altra sede internazionale perché, come si fece due anni fa per il Libano, si assumano concrete iniziative utili a spegnere l'incendio che sta infiammando il Medio Oriente». A chiederlo è Piero Fassino, ministro degli Esteri del governo-ombra del Pd.

A Gaza è guerra totale. E la comunità internazionale sta a guardare.
«Serve immediatamente una iniziativa internazionale analoga a quella che, su spinta italiana, fu messa in campo per porre fine, nell'estate del 2006, alla guerra in Libano. E cioè convincere le parti a sospendere le ostilità, inviare osservatori internazionali e se necessario una forza di pace, per garantire il mantenimento e il rispetto della tregua. Ed è una iniziativa che deve essere portata avanti sin dalle prossime ore, sollecitando l’Unione europea ad assumerla».

Quale ruolo può avere in questo senso il governo italiano?
«Al governo chiediamo di non limitarsi a dichiarazioni formali o a generici quanto inutili auspici. Occorre invece che si agisca in sede europea e in ogni altra sede internazionale perché vengano assunte concrete iniziative utili a spegnere l'incendio che sta infiammando il Medio Oriente. Insisto su questo: serve ottenere subito una tregua per spezzare una spirale di violenza che sta scavando, tra palestinesi e israeliani, un solco sempre più profondo di incomunicabilità, di odio e di negazione reciproca. Il passato dovrebbe servire a tutti da lezione».

Quale lezione?
«Le tante drammatiche vicende che ormai da sessant'anni sconvolgono il Medio Oriente ci dicono che il tempo non lavora per la pace. Bisogna agire adesso e con determinazione per evitare che sia compromessa definitivamente ogni possibilità di negoziato. E questo significa che, ottenuta la tregua, occorre avviare da subito la preparazione di una Conferenza internazionale di pace che metta attorno al tavolo tutti i protagonisti della Regione, e consenta di giungere a quella pace negoziata che è l'unica via per garantire i diritti sia di Israele che dei palestinesi. Naturalmente la possibilità di arrivare alla pace richiede che tutti i protagonisti di questa crisi non rivendichino solo il proprio diritto ma riconoscano anche il diritto dell'avversario. Il che significa che occorre una forte azione della comunità internazionale per dire chiaramente ad Hamas che se vuole essere parte del processo di pace deve riconoscere a sua volta il diritto d'Israele ad esistere. Questo è un passaggio essenziale».

Essenziale perché?
«Perché in Medio Oriente sono in conflitto non già un torto e una ragione, ma due ragioni, ed è solo riconoscendole entrambe che quel conflitto potrà trovare soluzione. Peraltro, un passaggio analogo la comunità internazionale l'ha già vissuto».

A cosa si riferisce?
«Penso agli anni '70 e '80. quando si disse all'Olp di Yasser Arafat che solo riconoscendo il diritto d'Israele ad esistere, anche i palestinesi avrebbero potuto veder realizzati i propri diritti. E fu proprio la soppressione dell'articolo della Carta costitutiva dell'Olp, che parlava di distruzione d'Israele, ad avviare la stagione del dialogo e della ricerca di una pace negoziata».

Per tornare all'Italia. La destra accusa il Pd di sottovalutare le ragioni di difesa d'Israele.
«Di fronte a un dramma così enorme, non è davvero il tempo di polemiche meschine. Il Pd ha sempre riconosciuto i diritti di Israele e anche il suo diritto all'autodifesa. Ma tutti devono essere consapevoli che la pace non sarà figlia di una soluzione militare. Per questo è urgente far tacere le armi e restituire parola alla politica e al negoziato. E l'Italia deve fare la sua parte come abbiamo fatto in Libano due anni fa».

udegiovannangeli@unita.it



05 gennaio 2009
da unita.it
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« Risposta #111 inserito:: Gennaio 08, 2009, 12:30:01 pm »

«Fatah e Abu Mazen non torneranno a Gaza sui tank israeliani»

di Umberto De Giovannangeli


L'ex «uomo forte» di Gaza respinge con forza le accuse di collusione con il nemico lanciate da esponenti di Hamas ad Al Fatah, il movimento guidato dal presidente Mahmud Abbas (Abu Mazen). «Non decideremo di tornare a Gaza sui risultati di questa guerra. Torneremo solo a seguito di una intesa tra tutte le fazioni palestinesi. Stiamo lavorando a questo». A parlare è Mohammed Dahlan, consigliere per la sicurezza nazionale del presidente dell'Anp, Abu Mazen.
Nella Striscia è guerra totale. A Gaza City si combatte strada per strada. C'è chi accusa Al Fatah e il presidente Abu Mazen di collusione con Israele.
«È un'accusa infame, che si ritorcerà su chi l'ha pronunciata. Oggi nelle strade di Gaza a resistere alla brutale aggressione israeliana sono anche militanti di Fatah. In questo momento la cosa più importante è unire tutte le fazioni palestinesi nella resistenza. Questo non è tempo di divisioni strumentali».

Insisto: fonti israeliane sostengono che Fatah è pronto a rientrare a Gaza e assumerne il controllo una volta assestato
un colpo mortale ad Hamas.
«So bene di queste voci, messe in giro ad arte per dividere i palestinesi e screditare il presidente Abbas agli occhi del suo popolo. Ma non cadremo in questa trappola. Non decideremo di tornare a Gaza sui risultati di questa guerra. Torneremo solo a seguito di un'intesa tra tutte le fazioni palestinesi. A questo il presidente Abbas sta lavorando».

Resta il fatto che Fatah è stato cacciato a forza dalla Striscia da un colpo di mano militare di Hamas.
«Questa ferita continua ancora a sanguinare. Ma è un problema che non può essere risolto dagli israeliani con la loro guerra di aggressione. Il presidente Abbas è stato chiaro su Hamas: per riprendere il dialogo occorre che Hamas riconosca le istituzioni dell'Anp tornando alla situazione precedente il putsch del giugno 2007. Ma questo non può avvenire tra le bombe mentre i civili sono uccisi. In questo momento così drammatico, il popolo palestine se chiede unità non divisione».

Il 9 gennaio prossimo scade il mandato presidenziale di Abu Mazen. Cosa succederà quel giorno?
«Il presidente resterà in carica, tanto più di fronte all'emergenza nazionale determinata dalla guerra a Gaza. Si tratterà poi di trovare una intesa per svolgere, assieme, le elezioni presidenziali e quelle legislative. Mi creda: Abu Mazen non teme il giudizio del popolo. E con lui Fatah: abbiamo imparato la lezione del 2006 (le elezioni vinte da Hamas, ndr.)».

L'Unione Europea si è detta disposta a inviare osservatori ed anche una forza di peace keeping per garantire un eventuale accordo di cessate il fuoco. Israele ha rifiutato. E l'Anp?
«Siamo favorevoli a una forza d'interposizione che sia garante della sicurezza della popolazione di Gaza. E siamo pronti a sostenerla sul campo e in ogni sede politica».

All'inizio di questo conflitto, il presidente Abbas aveva criticato Hamas per non aver rinnovato l'accordo di tregua.
«Hamas non doveva offrire pretesti a Israele per realizzare un piano congegnato da tempo. Ma questa responsabilità non giustifica la brutale aggressione che Israele sta portando avanti a Gaza».

Lei è considerato da Hamas un nemico. Come risponde?
«Rispondo con la mia storia, con il ruolo avuto nell'organizzare la prima Intifada: una rivolta di popolo che ripose al centro dell'attenzione del mondo la questione palestinese. Io c'ero. Molti capi di Hamas non possono dire altrettanto».

udegiovannangeli@unita.it


07 gennaio 2009
da unita.it
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« Risposta #112 inserito:: Gennaio 09, 2009, 04:34:31 pm »

Gaza, perchè questo governo è ininfluente

di Umberto De Giovannangeli


Irrilevante. È il minimo che si possa dire dell’inazione diplomatica italiana sul tormentato e insanguinato scenario mediorientale. Irrilevante, tanto più se raffrontata all’attivismo francese che, non da oggi, sta rubando spazi alla presenza italiana in questa area nevralgica del mondo. Questa irrilevanza non può essere contestata, da parte del ministro degli Esteri Franco Frattini, facendo la conta delle telefonate, dei comunicati, delle interviste che hanno scadenzato questi angoscianti dodici giorni di guerra.
Così come non è possibile misurare l’incidenza della nostra politica estera dal numero delle «pacche sulle spalle» elargite dallo stranamente silente presidente del Consiglio a sempre sbigottiti interlocutori internazionali.

Alla base di questa irrilevanza vi è una linea politica, un fare diplomazia in Medio Oriente, che ha azzerato quel credito che l’Italia era riuscita a conquistarsi sullo scenario mediorientale nel vivo di un’altra drammatica contingenza: quella della guerra in Libano dell’estate 2006. Irrilevanti perché «partigiani». Irrilevantemente partigiani. Perché non si aiuta Israele, non si è «amici di Israele» se si perde credito e credibilità nel mondo arabo.
Ai tempi della guerra in Libano, l’Italia del governo Prodi seppe trainare l’Europa, e non solo, a farsi carico, sul campo e non a parole, anche della della sicurezza di Israele bersagliato dai razzi degli Hezbollah. Si incide se si è capaci di parlare, ed essere ascoltati, da tutte le parti in conflitto. Si incide se si è percepiti, da tutte le parti in conflitto, come mediatori davvero super partes. È ciò che rende forte l’iniziativa diplomatica messa in campo su Gaza dal presidente francese Nicolas Sarkozy. Ed è ciò che aveva reso forte l’iniziativa italiana in Libano.

Irrilevanti. Perché «orfani» della presidenza americana di George W.Bush, un «grande presidente che passerà alla Storia», ha sentenziato nell’ultimo incontro con l’«amico George», Silvio Berlusconi. Orfani di una Presidenza Usa che in Medio Oriente ha oscillato tra disastri (l’Iraq) e petizioni di principio contraddette drammaticamente dai fatti (la pace fra israeliani e palestinesi entro la fine del 2008). Ininfluenti perché subalterni. E privi di un indirizzo politico che sia altro e di più del ripetere un assunto in sé assolutamente condivisibile: il diritto alla sicurezza d’Israele. Ma non è recitandolo in ogni occasione, che si aiuta davvero Israele a conquistare la sua sicurezza. Che non potrà mai venire dal solo esercizio della forza. Essere amici di Israele è farsi carico anche delle ragioni dei palestinesi. E sostenere, con i fatti e non con generiche aperture, una leadership, quella di Abu Mazen, messa in crisi non solo dall’estremismo di Hamas ma anche dalla colonizzazione dei Territori e dalle scelte unilaterali compiute da Israele.

Ma questo il Cavaliere silente non l’ammetterà mai.

udegiovannangeli@unita.it

08 gennaio 2009
da unita.it
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« Risposta #113 inserito:: Gennaio 10, 2009, 06:25:02 pm »

«Fermate il terrore contro Israele. Non basta la tregua»

di Umberto De Giovannangeli


«Le parlo da soldato prima che da ministro. E da persona che ha combattuto tante, troppe guerre, so che è nel codice genetico di Tsahal fare tutto il possibile per evitare vittime civili. Ma ciò non sempre è possibile, soprattutto quando hai a che fare con un nemico che usa cinicamente i civili come scudi umani, che trasforma abitazioni private, scuole, moschee in arsenali. Un nemico che non ha mai fatta alcuna distinzione tra civili e soldati israeliani come bersagli da colpire. Guai ad abbassare la guardia di fronte a un nemico del genere. Gaza rischia di trasformarsi nell'avamposto jihadista in Medio Oriente. Uno "stato del terrore" in mano all'Iran. Se ciò avvenisse sarebbe una sciagura per tutti, non solo per Israele».

A parlare è una delle figure di primo piano del governo d'Israele: Benjamin Ben Eliezer, laburista, già ministro della Difesa nel governo guidato da Ariel Sharon, un passato da guerriero, oggi ministro delle Infrastrutture.
A Gaza si continua a combattere, mentre l'allarme è scattato anche nel Nord d'Israele. Al Cairo si negozia un accordo di cessate il fuoco sulla base del piano franco-egiziano. Qual è il punto di vista del governo di cui Lei fa parte?
«Tregua non può voler dire tornare alla situazione precedente, in attesa che Hamas possa tornare a riarmarsi per poter riprendere i suoi attacchi missilistici contro le nostre città del Sud…».

Ciò significa che ogni negoziato è destinato a fallire?
«Ciò significa che Israele è intenzionato a discutere seriamente non il cessate il fuoco ma la fine del terrore. La fine del terrore: questo è il nostro obiettivo. Il che significa, tra le altre cose, la fine del contrabbando di armi dall'Egitto per Gaza. Nei mesi di tregua, che Israele ha rispettato nonostante non si fossero fermati i lanci di razzi su Sderot e il Neghev, Hamas ha portato avanti la costruzione di un vero e proprio esercito, e si è impadronita con la forza del potere uccidendo decine di palestinesi contrari al loro regime. Da mesi Hamas stava preparandosi alla guerra».

Porre questi paletti significa che Israele ha di fatto bocciato il piano franco-egiziano?
«Le cose non stanno così. Abbiamo dato la nostra disponibilità a discutere quel piano, ma sia chiaro: Israele non si sente sul banco degli imputati, e dunque non è alla ricerca di una assoluzione internazionale. Israele sta difendendo i suoi cittadini, quasi un milione di persone che vivono ogni giorno con il terrore di veder colpita la loro casa, la scuola dei loro figli da un razzo. Noi dobbiamo loro la sicurezza. Se è possibile garantirla con la diplomazia bene, altrimenti quella militare è una via obbligata».

Una via che può portare anche all'apertura di un secondo fronte: quello con il Libano.
«Il Libano è uno Stato sovrano, con tutto ciò che comporta in termini di diritti e di doveri. Uno Stato ha la responsabilità di ciò che avviene sul territorio nazionale. Beirut non può cavarsela prendendo le distanze da coloro che stamattina (ieri, ndr.) hanno sparato razzi contro l’Alta Galilea».

C'è chi sostiene che nella decisione di scatenare l'offensiva militare a Gaza vi siano anche calcoli elettorali, soprattutto da parte del leader del suo stesso partito, il Labour.
«È un’accusa ignobile, infondata, strumentale. Israele è stato costretto ad agire militarmente. Non avevamo altra scelta. Oltre l'80% degli israeliani l'hanno capito, e non credo, purtroppo, che siano tutti elettori laburisti».

C'è chi si appella a Barack Obama per porre fine alla guerra di Gaza.
«Ricordo la visita dell'allora candidato alla presidenza Usa a Sderot. Ricordo le sue parole: se la casa dove vivono le mie figlie fosse un possibile bersaglio di razzi, farei tutto il possibile per contrastare questo pericolo. È ciò che Israele sta cercando di fare».

udegiovannangeli@unita.it

09 gennaio 2009
da unita.it
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« Risposta #114 inserito:: Gennaio 10, 2009, 06:26:26 pm »

«Al mio popolo dico: la via è la resistenza non violenta»

di Umberto De Giovannangeli


«Guardate quei filmati su YouTube. Imprimetevi nella mente lo sguardo terrorizzato dei bambini di Gaza.
Guardateli negli occhi: troverete una paura senza fine. Molti di quei bambini sono morti di paura, quando non sono stati uccisi dai bombardamenti israeliani. Guardate quei corpi estratti dalle macerie delle scuole dell’Onu rase al suolo dall’artiglieria israeliana. Guardateli e chiedetevi: cosa c’è di “difensivo”, di moderato, in questo massacro d’innocenti?. Guardateli. E pensate cosa possono provare i loro fratelli o i loro padri, Su questi massacri sta crescendo in tutto il mondo arabo un odio profondo verso Israele».

La sua voce è incrinata dalla commozione e dalla rabbia. Le sue parole sono impastate di sdegno. Se c’è una dirigente palestinese lontana anni luce dai fondamentalisti di Hamas, questa dirigente è Hanan Ashrawi, più volte ministra dell’Anp, prima donna portavoce della Lega Araba, paladina dei diritti umani nei Territori. «Ho sempre combattuto Hamas, ma non ho mai pensato che la sua sconfitta potesse venire da una prova di forza militare, per di più condotta da Israele. Già in passato Israele ha provato a decapitare la leadership di Hamas, assassinando il suo stesso fondatore (sheikh Ahmed Yassin, ndr.). Il risultato è stato il rafforzamento di Hamas. Israele aveva una carta da giocare per sconfiggere veramente Hamas: realizzare una pace giusta, fondata sulle risoluzioni Onu. La carta della nascita di uno Stato palestinese realmente indipendente, sovrano su tutto il suo territorio nazionale. Invece ha spacciato per uno “Stato in fieri” i bantustan della Cisgiordania».

A Gaza si continua a combattere. Le armi si sono fermate per sole tre ore. È ancora guerra totale.
«No, a Gaza non è in atto una guerra totale. A Gaza è in atto un massacro totale. A morire, a centinaia, sono donne e bambini, come quelli sepolti sotto le macerie delle scuole dell’Onu bombardate nella Striscia».

Israele afferma che la sua è un’azione difensiva.
«Difensive sono le tonnellate di bombe sganciate sull’area più densamente popolata al mondo? Inorridisco al solo pensarlo. Ho sempre denunciato la militarizzazione dell’Intifada. Hamas è parte di questa degenerazione che ha fatto solo il gioco dei falchi israeliani. Da tempo ritengo che tra terrorismo e rassegnazione, vi sia una terza via più efficace e coraggiosa: quella della resistenza non violenta...».

Linea contestata da Hamas.
«Lo so bene. Ma niente può giustificare la mattanza che Israele sta praticando a Gaza. Niente. In tempi meno tragici avevo chiesto il dispiegamento di una forza d’interposizione ai confini fra Gaza e Israele. Prima di Hamas, a dire un no secco è stato Israele, perché intendeva quella forza di pace come il cedimento ad una “internazionalizzazione” del conflitto israelo-palestinese. E invece solo una “internazionalizzazione” del conflitto può ridare una chance al negoziato».

Può essere Al Fatah del presidente Abu Mazen la vera alternativa a Hamas?
«Hamas ha costruito le sue fortune elettorali sul discredito di una classe dirigente accusata, e a ragione, di corruzione e incapacità. Senza un profondo rinnovamento non solo di persone ma della concezione stessa di governo, l’alternativa a Hamas sarà la disgregazione...».

Pace è una parola impronunciabile?
«No, è una parola che va riempita di contenuti, alla quale i legare un’altra parola-chiave, altrettanto importante: . Giustizia. Quella che da decenni il mio popolo reclama invano».


udegiovannangeli@unita.it

08 gennaio 2009
da unita.it
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« Risposta #115 inserito:: Gennaio 12, 2009, 01:12:42 am »

«Crimini di guerra a Gaza. Un tribunale Onu deve processare Israele»

di Umberto De Giovannangeli


Chiedo giustizia per i bambini, le donne, gli anziani, gli esseri umani massacrati a Gaza. Chiedo che si onori la loro memoria sancendo per ciò che è stata la loro morte: un massacro di innocenti. Chiedo, e per questo ho scritto una lettera al segretario generale delle Nazioni Unite Ban ki-moon, che i responsabili di questi massacri e i loro mandanti siano processati da un Tribunale internazionale istituito dall'Onu, per i crimini di guerra compiuti nella Striscia di Gaza, crimini che si aggiungono a quelli già perpetrati prima del 26 dicembre (l’inizio dell'offensiva militare israeliana a Gaza, ndr.) contro la popolazione palestinese della Striscia, sottoposto ad un embargo illegale e disumano che ha portato ad una crisi umanitaria.

Una crisi che ancora qualche giorno fa, la signora Livni (Tzipi Livni, ministra degli Esteri d'Israele, ndr.) aveva sprezzantemente negato». Giustizia. È una parola che Mairead Corrigan Maguire, nordirlandese, Premio Nobel per la Pace nel 1976, presidente della Fondazione dei Nobel Peace Laureate, ripete più volte nel corso del nostro colloquio. «Giustizia, sì. Lo dobbiamo ad un popolo a cui da sessant'anni viene negata».
A Gaza è guerra totale….
«Questa guerra contro un popolo non nasce due settimane fa. Due settimane fa Israele ha deciso di scatenare una devastante potenza di fuoco contro un fazzoletto di terra popolato da un milione e mezzo di persone. La guerra era iniziata già prima e nel silenzio complice della diplomazia internazionale».

A cosa si riferisce?
«All’embargo imposto da Israele, alla trasformazione di Gaza in una enorme prigione a cielo aperto. L’ho ricordato nella lettera che ho scritto alcuni giorni fa al segretario generale delle Nazioni Unite. E voglio ripeterlo al suo giornale che non ha scoperto l’esistenza della tragedia di Gaza ai primi bombardamenti israeliani... Nel novembre 2008 visitai la Striscia e rimasi scioccata dalla sofferenza della popolazione di Gaza sotto assedio da oltre due anni. Questa punizione collettiva da parte del governo israeliano ha condotto a una grave crisi umanitaria. La punizione collettiva contro una comunità civili, da parte del governo israeliano, viola la Convenzione di Ginevra, è illegale, è un crimine di guerra e un crimine contro l'umanità. Invece di proteggere la comunità civile di Gaza e alleviare la sua sofferenza sollevando l'assedio, da ormai due settimane l'esercito israeliano esegue bombardamenti di cielo e mare contro i civili disarmati. Lanciare bombe, centinaia di tonnellate di bombe, contro civili disarmati, molti dei quali donne e bambini, distruggere moschee, ospedali e case, e devastare le infrastrutture di Gaza è illegale e costituisce crimini di guerra. I morti del popolo di Gaza sono ora quasi 800, i feriti superano i 3.200, molti dei quali donne e bambini. Le infrastrutture di Gaza sono state distrutte e la popolazione è tagliata fuori dal mondo - compresi i giornalisti, gli osservatori e gli attivisti umanitari, tutti chiusi fuori da Gaza e impossibilitati a entrare ad aiutare la popolazione. Questa è la realtà».

Cosa chiede all'Onu?
«L’Onu deve sostenere il rispetto dei diritti umani e della giustizia nei confronti del popolo palestinese, prendendo in seria considerazione l'istituzione di un Tribunale Criminale internazionale per Israele, così che il governo israeliano sia ritenuto responsabile di crimini di guerra».

Israele rivendica il diritto di difesa dal lancio dei razzi contro la popolazione del Sud.
«Ho condannato quei lanci ma non c'è diritto di difesa che possa giustificare i massacri di civili attuati a Gaza».
udegiovannangeli@unita.it


10 gennaio 2009
da unita.it
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« Risposta #116 inserito:: Gennaio 14, 2009, 06:02:38 pm »

«La guerra nella Striscia è un regalo agli integralisti»

di Umberto De Giovannangeli


«So bene che Israele pretende di essere l’unica democrazia nella regione. Ma i metodi utilizzati a Gaza, così come nella demolizione di case palestinesi o in altre punizioni collettive inflitte alla popolazione dei Territori, questi metodi non appartengono a un regime che si vuole democratico.
La verità è che quello che sta accadendo a Gaza è una vera catastrofe».

A parlare è una delle personalità che hanno fatto la storia della diplomazia egiziana, proiettandola ai più alti livelli di responsabilità internazionale: a parlare è Boutros Boutros-Ghali, 87 anni, ex Segretario generale delle Nazioni Unite, ministro degli Esteri egiziano sotto la presidente di Anwar al-Sadat che accompagnò nello storico viaggio a Gerusalemme nel 1977.

Con Moshe Dayan come controparte israeliana, Boutros-Ghali è stato uno dei principali negoziatori che portarono alla pace di Camp David del 1979.

La guerra a Gaza, ribadisce a l’Unità l’ex numero uno del Palazzo di Vetro, «è un regalo che Israele fa ai fondamentalisti. Rafforzerà l’estremismo e il fondamentalismo in tutti i Paesi arabi e anche all’interno della stessa Israele. Indebolirà tutti i moderati, tutti coloro che sono a favore del dialogo».

A Gaza è guerra totale. Israele ammassa altre truppe nella Striscia e ribadisce: nessun accordo è possibile con Hamas. Qual è in merito la sua opinione?
«Quello che sta avvenendo a Gaza è una vera catastrofe. Non solo per la popolazione civile ma anche per il futuro del mondo».

In particolare per il mondo arabo?
«Certamente sì. L’azione israeliana, l’uso assolutamente sproporzionato della potenza militare, l’uccisione di centinaia di civili, tra i quali molte donne e bambini, questa sciagurata prova di forza ha indebolito tutti i moderati nel mondo arabo e tra i musulmani nel mondo. Un’altra conseguenza è che gli estremisti diventeranno più forti, pensiamo a quanto è successo in Libano con Hezbollah, dopo la guerra del 2006. Ora è uno dei partiti più forti del Paese. Come fa Israele, i suoi governanti, a non rendersi conto di tutto ciò. Come fa a non comprendere che oggi, rispetto a tre settimane fa (prima dell’inizio dell’operazione "Piombo Fuso", ndr.) chiunque tra i leader arabi ponesse l’accento sulla necessità del dialogo con Israele verrebbe visto dalla sua gente come un traditore dei fratelli palestinesi? E come può Israele non fare i conti con il fatto che più del 50% della popolazione di Gaza ha meno di 16 anni».

Lei si riferisce al numero altissimo di adolescenti uccisi nell’offensiva.
«Non solo a questo. Vede, quei bambini saranno i kamikaze, gli estremisti di domani con i quali sarà 10 volte più difficile tentare di avere negoziati rispetto a quanto è stato possibile negli anni scorsi. C’è poi da tener in conto che Gaza costituisce solo il 2% dei territori palestinesi e che raccoglie più di un milione e 400mila di abitanti. Questo mette la situazione politica nelle stesse condizioni dell’apartheid che abbiamo visto in Sudafrica, sia in Cisgiordania sia a Gaza. A denunciarlo, tra i tanti, è una personalità che della battaglia contro l’apartheid in Sudafrica è stato tra i protagonisti: il reverendo e Premio Nobel per la Pace, Desmond Tutu. In più entro 20-30 anni ci saranno molti più palestinesi in territorio di Israele considerato che il tasso di crescita demografica è di 2-2,5 bambini palestinesi per 1-1,5 bambini israeliani. E contro questa "bomba demografica" non ci sono Muri o prove di forza che possano tenere».

In una intervista a l’Unità, lo scrittore israeliano Amos Oz ha affermato che i contenuti di un accordo di pace sono già tutti sul tavolo, ciò che manca è il coraggio politico di attuarli.
«Condivido questo giudizio di Oz. Aggiungo che un compromesso accettabile per le due parti è stato delineato anche su uno dei temi più delicati: quello del diritto al ritorno per i rifugiati palestinesi. Ciò che sembra mancare è una visione lungimirante, proiettata nel futuro. Ciò che manca sono leader coraggiosi, come furono Anwar al-Sadat e Yitzhak Rabin».

Due statisti che pagarono con la loro vita scelte di pace, uccisi da fondamentalisti ebrei e arabi.
«Purtroppo è così. E fino a quando questi opposti fondamentalismi continueranno a segnare l’immaginario dei due popoli, il cammino della pace sarà sempre in salita».
udegiovannangeli@unita.it


14 gennaio 2009
da unita.it
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« Risposta #117 inserito:: Gennaio 16, 2009, 11:30:55 pm »

«Noi israeliani saremo costretti a parlare con Hamas»

di Umberto De Giovannangeli


«Come risposta è stata anche tardiva, come guerra è un azzardo, di più, un’avventura dalla quale dobbiamo tirarci fuori il più presto possibile. Quando ho sentito Ehud Barak (ministro della Difesa e leader laburista, ndr) annunciare che l’operazione militare a Gaza sarebbe durata a lungo, ho subito pensato: ma allora non abbiamo imparato nulla dalla lezione libanese ».
A parlare è lo scrittore israeliano più attento al mondo dei bambini, Meir Shalev. «Israele – osserva lo scrittore - non poteva non rispondere al continuo lancio di razzi contro le città del Sud . Era una risposta inevitabile, occorreva mettere in guardia e punire Hamas, ma scatenare una guerra di queste dimensioni con l’obiettivo di distruggere Hamas, questa è stata una decisione irresponsabile. Come fu in Libano, così oggi a Gaza, la potenza militare non può mascherare l’assenza di una strategia politica».

Il mondo guarda con sempre maggiore angoscia a quanto accade a Gaza. Ma esiste davvero una soluzione militare alla questione-Hamas?
«No, non esiste. Chi lo pensa spaccia una illusione. Chi lo pratica è un pericoloso avventurista. Sia chiaro: un’operazione contro Hamas era inevitabile. E come azione punitiva è venuta anche in ritardo. Ma in tempi non sospetti, e cioè il giorno stesso in cui i nostri caccia si levavano in volo verso Gaza, ho espresso la mia convinzione: ero assolutamente contrario ad una offensiva massiccia, prolungata, nella Striscia di Gaza. Venti giorni dopo, la mia convinzione si è rafforzata. E non solo per il bilancio delle vittime, per i civili uccisi. Questo appartiene a un rigetto morale,ma c’è anche una considerazione di carattere politico».

Quale?
«Non ho mai creduto che movimenti come l’Hamas palestinese o Hezbollah libanese possano essere sconfitti con la forza delle armi. Sono invece convinto che Israele dovrà un giorno parlare con Hamas, come Hamas dovrà parlare con noi. Avvenne così anche venti anni fa con l’Olp di Yasser Arafat. E sa perché ci convincemmo allora che occorreva aprire il dialogo con il "super terrorista con le mani lorde del sangue degli Ebrei"? Decidemmo di farlo perché avevamo trovato un altro nemico con cui non dovevamo parlare. Quell’arci nemico, il male assoluto, era Hamas».

Ed oggi?
«Se non oggi, tra qualche anno, ci troveremo a parlare con Hamas, perché nel frattempo avremo scoperto un nemico ancora più minaccioso con cui sarà impossibile dialogare. Forse sarà la Jihad islamica, o cos’altro, ma sarà così».

Resta il fatto che, almeno all’inizio delle operazioni militari, anche buona parte della sinistra israeliana era favorevole a «Piombo Fuso».
«Questo sostegno è anche il prodotto di una delusione che data qualche anno fa».

Vale a dire?
«All’estate del 2005, ai giorni del ritiro unilaterale di Israele dalla Striscia di Gaza. Noi, è un ragionamento che mi sono sentito ripetere da tante persone dichiaratamente di sinistra e favorevoli al dialogo con i palestinesi, abbiamo rispettato la nostra parte di impegni, e loro invece hanno continuato a bersagliarci con i razzi».

Israele ha vietato alla stampa internazionale l’ingresso a Gaza.
«Un errore. Tanto più grave perché nell’era di Internet, di YouTube, pensare di censurare la realtà, oscurarla, oltre che sbagliato è illusorio. Stupidamente illusorio».

Visto dalla parte israeliana, cosa deve accadere per ridare senso e prospettiva all’idea della pace?
«Cosa deve accadere? Occorre che la grande maggioranza dei palestinesi prenda atto che lo Stato d’Israele, lo "Stato degli Ebrei" non è uno scherzo della Storia, e che noi qui siamo e qui intendiamo restare. Solo quando questo concetto sarà metabolizzato si potrà marciare speditamente verso l’unica soluzione ragionevole: quella di due Stati per due popoli».


udegiovannangeli@unita.it

16 gennaio 2009
da unita.it
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« Risposta #118 inserito:: Gennaio 19, 2009, 03:07:11 pm »

«Olmert ha sbagliato, la sua guerra non è stata giusta»

di Umberto De Giovannangeli


È tornato ai suoi, affollatissimi, corsi universitari. Ma non è venuto meno a quella passione civile e a quel coraggio intellettuale che lo ha portato per molti anni ad essere il leader riconosciuto della sinistra pacifista israeliana: parliamo di Yossi Sarid, fondatore del Meretz, più volte ministro nei governi a guida laburista. Oggi, Yossi Sarid è una voce fuori dal coro, la voce dell’Israele che non crede nella «guerra giusta» di Gaza. «No - afferma deciso Sarid - quella condotta a Gaza non è stata una guerra giusta. È semmai una guerra terapeutica che libera da inibizioni morali, guerra fatta per roteare gli occhi. Per questo è ancora più pericolosa».

Professor Sarid, nel vivo della guerra a Gaza, le autorità israeliane hanno reagito duramente ad una immagine utilizzata dal cardinal Martino per definire la condizione di Gaza e della sua gente: Gaza, ha sostenuto il cardinale, è un grande campo di concentramento. È una forzatura della realtà?
«No, non è una forzatura. A Gaza un milione e mezzo di esseri umani, la maggior parte dei quali profughi abbattuti e disperati, vivono nelle condizioni di una gigantesca prigione, terra fertile per un altro giro di bagni di sangue. Terra in cui giovani che non hanno futuro rinunciano facilmente al loro futuro, che non possono scorgere all’orizzonte. Il fatto che Hamas possa essersi spinta troppo oltre con i suoi razzi non è una giustificazione per la politica di Israele degli ultimi decenni, per la quale si merita giustamente una scarpa irachena in fronte».

Considerazione durissima. Alla quale si potrebbe rispondere che nell’estate del 2005, Israele si è ritirato unilateralmente da Gaza.
«La parola chiave resta sempre quella: unilateralmente. Israele ha preso tutte le decisioni più importanti in questa chiave: il ritiro da Gaza, il tracciato della Barriera in Cisgiordania, la realizzazione degli insediamenti, il continuo stop and go ai negoziati. E ora il cessate-il-fuoco nella Striscia. È come se la controparte non esistesse o non avesse voce in capitolo. Questo ha finito per delegittimare ogni controparte. E sulla delegittimazione dell’altro non si costruisce un percorso negoziale».

Insisto: Israele afferma che è stato Hamas a violare la tregua, sparando missili contro il Sud d’Israele.
«Il punto non è giustificare Hamas, cosa che mi guardo bene dal fare. Il punto è che è difficile far credere che sia esistita una tregua a un milione e mezzo di persone che hanno continuato a vivere in una gigantesca prigione. Cosa ci attendevamo da loro? Che prendessero le armi contro Hamas? Il fatto è che in questi anni la cecità della nostra politica ha finito per rafforzare Hamas e i gruppi radicali. E per spiegarle questo convincimento voglio raccontarle una storia…»

Quale storia, professor Sarid?
«La scorsa settimana ho parlato con i miei studenti della guerra a Gaza nel contesto di un corso sulla sicurezza nazionale. Si è sviluppata una discussione appassionata, e uno studente, che si era dichiarato "molto conservatore", mi ha detto: "Se io fossi (stato) un giovane palestinese avrei combattuto ferocemente gli Ebrei, perfino col terrorismo. Chiunque ti dica delle cose differenti, mente. Quelle parole mi hanno scosso nel profondo. Le sue osservazioni suonano familiari, le ho già sentite nel passato. Improvvisamente ricordo: circa 10 anni fa erano proferite dal nostro ministro della Difesa, Ehud Barak. Il giornalista di Ha’aretz Gideon Levy gli chiese allora, come candidato a primo ministro, cosa avrebbe fatto se fosse nato palestinese e Barak, con franchezza, rispose: "Mi unirei ad una organizzazione terroristica". E qui il cerchio si chiude…».

In che senso si chiude?
«Io ho odiato tutti i terrorismi nel mondo, quale che fosse il fine delle loro lotte. Comunque, sostengo ogni attiva rivolta civile contro ogni occupazione, e Israele è fra i più deprecabili occupanti. E fino a quando varrà ciò che quello studente ha detto, "se fossi palestinese combatterei gli Ebrei", e ammesso da Barak, "mi unirei ad un’organizzazione terroristica", non vi sarà mai spazio per la pace, ma solo per nuove, devastanti "guerre terapeutiche", o per tregue destinate a fallire se restano tali e non, come è necessario, la premessa di una vera strategia del dialogo».


19 gennaio 2009
da unita.it
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« Risposta #119 inserito:: Gennaio 20, 2009, 11:23:58 pm »

«Il valico di Rafah si può controllare con 1300 uomini»

di Umberto De Giovannangeli


Per tre anni - dal novembre 2005 al novembre 2008 - ha comandato la missione europea EUBAM che ha monitorato il valico di Rafah, tra la Striscia di Gaza e l’Egitto. Per questo il generale dei carabinieri Pietro Pistolese è oggi l’interlocutore più autorevole per comprendere la delicatezza e le difficoltà del controllo di quell’area caldissima.

Generale Pistolese, molto si parla di una missione di controllo del valico di Rafah. Ci aiuti a capire la questione.
«La missione EUBAM-RAFAH è stata operativa fino al 13 giugno 2007, quando le milizie di Hamas con un atto di forza si impadronirono del controllo della Striscia, compreso il valico di Rafah, e la polizia palestinese e i servizi di sicurezza dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) furono praticamente dissolti. A quel punto, io ritirai le forze dal valico, in quanto noi eravamo al valico di Rafah in virtù di un accordo con Israele e l’Anp, e non certo con Hamas che era soltanto una fazione armata e l’Unione Europea non ha alcun contatto con quelle che sono le fazioni armate. Va anche detto che la missione è rimasta presente anche al di fuori della Striscia, manifestando con questa presenza l’impegno dell’Ue a favore della popolazione palestinese della zona (Cisgiordania) e pronta ad assolvere gli impegni assunti con entrambe le parti, non appena si fossero create le condizioni per portare avanti il lavoro già intrapreso».

Questo per il passato. Ed oggi?
«Oggi esistono due possibilità: la missione EUBAM può essere rivitalizzata e riprendere le attività. E per fare questo la missione ha già predisposto tutto quello che occorre per richiamare ogni osservatore dall’Europa e riprendere le attività . Vorrei sottolineare che le attività della missione sono focalizzate al valico di Rafah con attività di monitoraggio e di addestramento delle forze di sicurezza e anche del personale di dogana, al valico di Rafah. Bisogna però distinguere il confine dal valico. Non è il confine il compito della missione EUBAM, ma soltanto il valico di Rafah. È questa è una distinzione sostanziale».

Qual è dunque il problema più dirimente oggi?
«Il problema più importante è la vigilanza del confine per evitare che vengano scavati i tunnel (tra l’Egitto e la Striscia) attraverso i quali passa ogni cosa. Questo dovrà essere oggetto di un differente meccanismo che le due parti - l’Anp e il governo d’Israele - e tutti gli altri attori di questa vicenda, potranno mettere in opera creando un nuovo sistema che sia in grado di soddisfare le aspettative di entrambe le parti».

Ma un accordo del genere può funzionare senza o contro Hamas?
«Il problema è legato alle capacità reali dell’Anp di convincere Hamas o di raggiungere con essa le opportune intese. Quindi la riconciliazione delle due parti palestinesi, o almeno un accordo tra di loro, è essenziale.»

Ammettiamo che questa intesa venga raggiunta. Quale dovrebbero essere la dimensione della missione?
«Dipende dai compiti stabiliti. Questo è un problema politico-diplomatico che va risolto a questo livello. Se si tratta di una missione di monitoraggio oppure di peace and forcing, questo dovrà essere deciso dai soggetti che si troveranno attorno a un tavolo per decidere. Teniamo presente che parliamo di un’area di 13-14 chilometri: vanno previsti almeno 1300 uomini per poter attuare un vero controllo».
udegiovannangeli@unita.it


20 gennaio 2009
da unita.it
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