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5686  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Cristina MARANESI. Ritrovare i luoghi della politica per superare la crisi inserito:: Gennaio 24, 2017, 05:31:48 pm
   Opinioni
Cristina Maranesi - @cccricri
· 19 gennaio 2017

Ritrovare i luoghi della politica per superare la crisi

A livello non solo locale, dalla nascita del Partito Democratico ad oggi è cambiata la politica e le sue forme di organizzazione, e sono entrate in campo nuove forze che pericolosamente tentano di incanalare il risentimento dei cittadini verso la crisi economica nel populismo e in forme di partecipazione diverse da quelle a cui siamo abituati.

In tutto ciò diviene quindi sempre più necessario rinforzare i luoghi della politica perché a tutti i livelli – da quello prettamente locale passando per le federazioni provinciali fino ad arrivare al livello nazionale ed europeo – si riesca a dare risposte ai cittadini che stanno affrontando un periodo di cambiamento e sono spesso impreparati.

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un mutamento radicale del sistema economico, con gli effetti della crisi finanziaria globale che, non solo nel nostro Paese, hanno impattato sulle economie nazionali e locali: questo ha causato una ridefinizione della geografia del lavoro e dello sviluppo e di conseguenza della società tutta, dalla quale la politica non può prescindere. E’ necessario invece che la politica ed in particolare il Partito Democratico raccolgano questa sfida e sappiano essere dentro al cambiamento, spiegandolo ai cittadini e formando una nuova coscienza collettiva. E’ necessaria la piena consapevolezza del fatto che laddove la politica è poco presente o non incassa la fiducia dei cittadini e non sa dare risposte, i cittadini cercheranno quelle risposte altrove.

La tendenza demografica di invecchiamento della popolazione e diminuzione della natalità unita a flussi di popolazione migrante sempre più complessi da governare si unisce inscindibilmente al tema del lavoro per i giovani e del necessario rinnovamento del sistema pensionistico, e ci pone allo stesso tempo di fronte ad un confronto costante e quotidiano con l’altro: chi ha il compito di preparare i cittadini a questo confronto? Il sistema educativo certamente può fare molto per quanto riguarda le nuove generazioni, ma è indispensabile che sia la politica con le sue scelte e il suo modo di comunicarle a farsi carico dell’integrazione dei migranti e della loro inclusione attiva nel tessuto sociale; un’inclusione che può essere portata avanti in modo attivo e positivo dalle amministrazioni locali democratiche nelle realtà dove hanno una forza e una coesione data da un comune quadro di valori di sinistra.

Il progressivo impoverimento di un ceto medio a rischio di vulnerabilità sociale inoltre non è estraneo neanche alle città di solito più benestanti; i modelli culturali e i processi di produzione e riproduzione dei saperi, legati in modo ormai inestricabile a tecnologie informatiche e comunicative in costante evoluzione e di cui non tutti i cittadini tuttavia sono oggi partecipanti attivi, costituiscono l’ultimo elemento che va a comporre il quadro delle sfide che la sinistra dovrà affrontare nei prossimi anni.

Questa complessità, ed il suo impatto sulla comunità e il territorio, richiede un investimento straordinario in analisi, riflessione, elaborazione, al fine di comprendere le tendenze in atto e fare rete tra i diversi circoli ricominciando a costruire progettualità politiche che si concretizzino in azioni di Governo ed in sostegno attivo ai rappresentanti dei vari in Regione e in Parlamento: la base deve ritornare ad essere un incubatore di idee, un luogo attivo di informazione e formazione dei cittadini, una guida nell’analisi della complessità del nostro tempo, i nostri luoghi della politica devono tornare ad assomigliare di più ad un laboratorio di ricerca o ad un cantiere che a un’assemblea di condominio.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/ritrovare-i-luoghi-della-politica-per-superare-la-crisi/
5687  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / Giovanni Pulvino. Gli yesman del M5s e l’utopia della democrazia diretta inserito:: Gennaio 24, 2017, 05:30:09 pm
Opinioni
Giovanni Pulvino - @PulvinoGiovanni
· 18 gennaio 2017

Gli yesman del M5s e l’utopia della democrazia diretta
Un popolo di yesman ecco cosa sembrano gli iscritti al blog di Beppe Grillo

Le ultime decisioni, prese dal M5S con il consenso quasi unanime degli iscritti al blog di Beppe Grillo, evidenziano una scarsa coerenza in molti sostenitori ed una preoccupante mancanza di dialettica politica interna al MoVimento.

Le vicissitudini della giunta romana di Virginia Raggi stanno preoccupando i vertici dei pentastellati a tal punto da proporre e far approvare ai militanti una sostanziale modifica del Codice di comportamento interno al MoVimento. Le nuove disposizioni non prevedono più in modo automatico la sospensione o l’espulsione dei militanti raggiunti da un avviso di garanzia. A decidere, ora, sarà una commissione etica (probiviri) sotto la ‘supervisione’ di Beppe Grillo e Davide Casaleggio.

In altre parole, l’esclusione non sarà più immediata, ma la decisione sarà presa, di volta in volta, da una commissione interna al M5S. La stessa procedura utilizzata dagli altri partiti. La votazione sull’adesione all’Alde (Alliance of Liberals and Democrats for Europe), gruppo politico del Parlamento europeo d’ispirazione liberale, ha sorpreso opinionisti e sostenitori a tal punto che il ‘matrimonio‘ non si è fatto, ma non per volontà del M5S bensì per il ‘ripensamento’ degli stessi liberali che hanno declinato la proposta.

I cambiamenti di linea politica del M5S non solo non sono sorprendenti, ma sono anche inevitabili se il MoVimento si vuole candidare al Governo del Paese. Quello che meraviglia e preoccupa è la facilità con cui i sostenitori grillini cambiano opinione se lo chiede il Capo. Un popolo di ‘yesman’ (termine usato da un ex grillino come il Sindaco di Parma Federico Pizzarotti), ecco cosa sembrano gli iscritti al blog di Beppe Grillo. Si tratta di poche decine di migliaia di elettori, nell’ultima votazione sono stati circa 40.000.

Una ristretta minoranza se si considera che il popolo italiano, secondo l’ultimo censimento, è composto da circa 60 milioni di cittadini. Se è questa la democrazia diretta di cui si vantano i grillini allora, forse, è meglio quella rappresentativa che come diceva Winston Churchill: ‘E’ la peggior forma di governo, eccenzion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora’.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/gli-yesman-del-m5s-e-lutopia-della-democrazia-diretta/
5688  Forum Pubblico / ECONOMIA e POLITICA, ma con PROGETTI da Realizzare. / Preso il Pd, Renzi lo uccide. E ora? (Tre ipotesi sul tavolaccio della morgue) inserito:: Gennaio 24, 2017, 05:28:09 pm
Preso il Pd, Renzi lo uccide. E ora? (Tre ipotesi sul tavolaccio della morgue)

Michele Fusco
23 gennaio 2017

Prima i fatti e i fatti dicono che in questi anni il Partito Democratico è stato desiderato ardentemente soltanto da Matteo Renzi, che lo ha considerato finalmente “contendibile” al pari di un’azienda di Borsa, gli ha lanciato un’Opa (vagamente ostile) e dopo duplice battaglia – la prima persa, la seconda vittoriosa – ne ha preso legittimamente la maggioranza azionaria. Vogliamo considerare l’ex presidente del Consiglio come un Bollorè politico? Facciamolo pure, ma intanto si abbia la decenza di considerarne almeno il coraggio politico visto che da Occhetto in qua, l’era moderna in sostanza, i segretari di questo benedetto partito si sono succeduti per eredità dinastiche o magheggi assembleari (per tutti, ricordare il popolo dei fax che nel ’94 scelse l’ingenuo Veltroni che poi venne regolarmente segato da D’Alema in Consiglio nazionale). Di gazebi veri e di primarie altrettanto calde prima di Renzi neppure l’ombra e i quattro milioni e passa che incoronarono Prodi nel 2005, peraltro a leader della coalizione, ne certificarono semplicemente e appassionatamente una scelta già evidente e scontata. Questo per dire che l’attuale segretario del Partito Democratico ha i titoli – per coraggio, incoscienza, visione e senso della sconfitta – che nessun altro ha. Da qui la domanda più retrospettiva e angosciante per un elettore del Partito Democratico: perchè conquistato il Pd con epica e improba fatica, Matteo Renzi se ne è poi completamente disinteressato? Solo avendo una risposta credibile a un quesito così pesante, si potrà tracciare il futuro di questa sinistra (e di conseguenza del Paese).

Mettiamo in fila le ipotesi del caso.
La prima: ottenuto lo strumento-giocattolo che gli consentisse lo sbarco nel Potere con la P al posto giusto, il ragazzo se n’è fottuto del partito, considerandolo un’organizzazione arcaica, antimoderna, fumosa, persino fastidiosa nelle sue dinamiche partecipative e correntizie. Se questo fosse, dovremmo dargli dello stupidotto in vacanza a Roma, non avendo considerato l’ipotesi – sempre possibile – di poter essere espulso dalla porta centrale (cosa avvenuta per via referendaria) per poi non trovare nemmeno la via della porta secondaria, quella del Pd, non essendo riconosciuto neppure dal portinaio al pianterreno. Ma Renzi stupido non lo è affatto, anzi è molto sveglio, anche se resta discretamente aperto il dibattito s’egli sia o non sia un uomo intelligente.

La seconda ipotesi è che credeva di avere con sé della gente sveglia, dinamica (dinamico è un termine perfetto per definire uno che gironzola intorno a lui, lo devi essere, anzi meglio, lo devi prima di tutto sembrare). Qui l’asino non solo casca, ma si fa tragicamente male. Nessuno ha potuto nulla in “assenza” di Renzi al partito. Ma se nessuno muove neppure un portacenere, una matita, un foglio di carta per paura che il capo s’incazzi, significa che nessuno ha delega su nulla, di ordinario o straordinario che sia. È proprio in questi casi difficili che emergono le personalità, le quali si prendono le libertà del caso e poi “aspettano” il Capo anche per scontrarsi, ma sempre mostrando un risultato finale con il quale metterlo di fronte alla risoluzione di un problema. A Renzi è capitato esattamente quello che è successo a certi direttori di giornali, che non hanno mai veramente e convintamente delegato ai primi collaboratori, che pur sulla carta avevano un ruolo di responsabilità, con il risultato che per ogni piccola, anche stupida cosa, si dovesse interpellare il numero uno. Ezio Mauro, giornalista fuoriclasse, è stato storico e infaticabile portabandiera di questa categoria, solo che a differenza dal giovane toscano Mauro passava nel giornale 12-14 ore della sua vita ogni santissimo giorno, sapeva tutto e di tutti, nulla gli poteva sfuggire, e non gli passava neppure per il cervello l’idea di prendere il posto dell’Editore. Nel suo mestiere era il migliore. (Detto questo, tra i collaboratori di Renzi aquile non se ne scorgono, e neppure rapaci di una certa caratura, se non per la gestione corrente di affari da bar).

La terza ipotesi, la più accreditata in certi ambienti, è che una volta conquistato il partito, gli sia sceso di interesse per un semplice e banalissimo motivo: che il Pd  è storicamente un partito di sinistra. Qui la questione è sottile e anche molto controversa. Renzi ha sempre sostenuto di volerlo portare nella modernità, con un riformismo deciso e in parte spregiudicato, chi lo criticava ne sintetizzava l’assunto con la sua berlusconizzazione. Certo, la spregiudicatezza di questo ragazzo è uno snodo molto sensibile nella sua stessa storia, ma anche nella storia di ogni italiano che vuole ancora credere in una certa sinistra. Ci si dovrà fermare ai fatti acclarati. Crediamo che la sua spinta genuina verso i diritti civili più larghi e riconosciuti per tutti sia autenticamente di sinistra, un vero valore di sinistra. Quel poco o tanto che si è riusciti a portare a casa, mette Renzi tra i combattenti più valorosi e più in prima linea. Non è poco, va detto. Ma la sinistra, o quel che ne resta, vorrebbe una condivisione di sentimenti, che appunto comprendano i diritti di cui sopra e i doveri del decoro e della dignità, che non sono meno importanti. Il decoro (politico) di Matteo Renzi non è onestamente da uomo di sinistra, questo lo deve capire lui stesso prima che sia troppo tardi per tutti. Non è solo la singola alleanza con questo o con quello, non è il famigerato Verdini, oggi è lui domani chissà, no, è proprio un modo di stare, un modo di intepretare il Potere all’interno della propria vita, concedendo poco, pochissimo, a quella tentazione di farsene risucchiare, è un certo rigore, stilistico e di sentimenti, è circondarsi di uomini e donne totalmente autonomi, nel pensiero, nelle parole, nella possibilità del confronto e, se necessario, dello scontro, è perdere parti di arroganza in favore di una condivisione maggiore, è stare in mezzo agli altri, ai dimenticati, agli ultimi, agli sfortunati della vita, senza quell’incombente e maledetto sospetto che lo si stia facendo soltanto per un abile maquillage. Ecco, il giorno in cui non ci accorgeremo di Renzi in mezzo agli altri, quello sarà un buon giorno.

Probabilmente noi abbiamo ancora bisogno di Renzi, e di “quel” Renzi. Ma lui ha (ancora) bisogno di noi?

Da - http://www.glistatigenerali.com/partiti-politici/preso-il-pd-renzi-lo-uccide-e-ora-tre-ipotesi-sul-tavolaccio-della-morgue/
5689  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Maria Zegarelli. Prodi spinge l’Ulivo: non è irripetibile, uniti in un mondo... inserito:: Gennaio 24, 2017, 05:26:40 pm
Focus
Maria Zegarelli - @mariazegarelli

22 gennaio 2017

Prodi spinge l’Ulivo: non è irripetibile, uniti in un mondo che si disgrega
L’ex premier: con Trump e Brexit o si sta insieme o si finisce male.

Guerini: Mattarellum mezzo migliore

Quella di un centrosinistra unito non è una stagione finita, tanto più adesso. Ne è convinto il fondatore dell’Ulivo, Romano Prodi, che dice «non penso sia un’esperienza irripetibile. Non penso sia irripetibile, soprattutto dopo quello che sta succedendo. Il punto, poi, non è se ci sia o meno un nuovo Prodi, come auspica l’ex segretario Pd Pier Luigi Bersani, «non mi interessa, non partecipo a questo dibattito. Io vedo che la gente, in questo mondo che si disgrega, ha bisogno di sentirsi unita, con Trump, con la Brexit, con le crepe che arrivano dappertutto.

Io vedo che c’è un naturale desiderio di riunirsi ma è uno sforzo che non mi sembra impossibile». Prodi guarda all’America di Donald Trump, a quel discorso pronunciato l’altro ieri che sembrava un frullato di populismo e protezionismo. «È proprio la rivoluzione del mondo -dice-. Quando uno parte dicendo, ‘America first’ l’America prima contro gli altri, perché questo è il discorso di Trump, questo ci rende preoccupati. Io lo interpreto subito come una necessità dell’Europa di mettersi assieme perché di fronte a un’America che vuole rompere i rapporti, a un’America che mette muri è chiaro che noi o siamo uniti o finiamo male».

È questo il cruccio del Prof che pensa al ruolo di un centrosinistra unito e forte in Italia e dunque del ruolo del nostro Paese a Bruxelles per porre un argine alle tentazioni populiste. Ma il cammino è tutt’altro che facile. A Milano ci sta provando Giuliano Pisapia con il suo Campo progressista, mentre a Roma Sinistra italiana si dilania e rischia, proprio su questo di implodere.

E ci prova il Pd, con l’obiettivo di allargare il suo orizzonte e aprirsi ad un mondo più vasto di quello che finora si riconosce nei dem, ma l’impresa è complicata perché prima di tutto nel Pd è in atto una battaglia tutta interna. «Penso che siano parole sacrosante e che sia l’ora, per chiunque la pensi così, di metterci impegno e generosità», commenta l’ex segretario Pier Luigi Bersani facendo appello quanti vogliono costruire un’alternativa al Pd renziano. «In queste settimane – aggiunge Davide Zoggia- ci sono state diverse prese di posizione da D’Alema a Orlando, Boldrini, da ultimo Grasso».

Gelido il commento di Roberto Speranza: «Per unire il centrosinistra è indispensabile rimettere al centro la questione sociale e archiviare la stagione dell’uomo solo al comando». Lorenzo Guerini, il numero due del Nazareno dice di aver «molto apprezzato le parole di Romano Prodi sul riformismo e il lavoro che attende il campo progressista. Un impegno che prosegue e trae nuova forza dall’analisi dell’ex Presidente della Commissione Europea. È per questo, ad esempio, che il Pd ritiene proprio il Mattarellum lo strumento migliore per corrispondere alla sfida dell’Ulivo».

Meno ottimista e più polemico il sottosegretario allo Sviluppo Economico, Ivan Scalfarotto, «scontato provare a lavorare a un centro sinistra unito. Tanto che lo facciamo dal 1996e ci è andata sempre male…». La dimostrazione, aggiunge, è l’intervista di Massimo D’Alema che «non aiuta il lavoro in quella direzione. Così come non aiutava nel 1996. Bisogna essere in due per ballare il tango, dicono gli inglesi». Dunque meglio guardare altrove per il sottosegretario, a realtà «come a Milano, con Pisapia e Sala, e Cagliari, con Zedda» anziché a chi ha lavorato «per affossare le riforme».

Alla fine, di fatto, il tema resta la ferita aperta con il referendum del 4 dicembre sulla riforma costituzionale per il quale un pezzo di Pd si è saldato con le altre opposizioni. Tanto più che ora i Comitati per il No cercano di mettere a frutto la propria struttura per tentare la scalata dentro il Pd e far fuori l’attuale segretario Matteo Renzi. La lotta intestina che si ripete dalla nascita del Pd.

Ruota anche attorno a questo tema il tentativo di una buona fetta di dem di far arrivare la legislatura fino al 2018: logorare Renzi per provare a prendersi il partito prima e il governo poi. D’Alema e Bersani oggi su un obiettivo sembrano vicinissimi: riprendersi la Ditta. «Con Renzi non vinceremo mai. Dobbiamo trovare un nuovo leader», ha detto qualche giorno fa l’ex premier. Speranza punta al Nazareno, mentre per Palazzo Chigi si lavora “al nuovo Prodi “per il quale Bersani assicura di avere in mente un nome preciso.

Nel frattempo tutto è sospeso nel Pd. Perché anche lo schema con cui si arriverà al voto è fortemente condizionato da quanto deciderà la sentenza della Consulta sull’Italicum. Soltanto allora si capiranno le mosse di Renzi e dunque il tavolo che si aprirà, e con chi, per una legge elettorale. Se dovesse andare come raccontano i rumors, cioè bocciatura sonora del ballottaggio, il risultato sarebbe un proporzionale con sbarramento al 3% e, se non toccato, premio di maggioranza per chi supera il 40%. Secondo il giurista Stelio Mangiameli, «la Corte può sicuramente demolire il ballottaggio.

Quello che non può fare è interferire con la discrezionalità del legislatore. – spiega all’Ansa – Uno dei punti più deboli dell’Italicum, sottoposto all’esame della Corte, è quello dei capilista. Nella sentenza sul Porcellum del 2014 la Consulta aveva detto che spetta all’elettore stabilire chi eleggere: deve essere rispettata la regola della riconoscibilità dei candidati. Questo si può ottenere con collegi piccoli, tendenzialmente uninominali o con pochi candidati; oppure prevedendo il voto di preferenza, come fa l’Italicum, che però esclude da questo criterio il capolista, che è “bloccato”, indicato dai partiti e sottratto al voto di preferenza. Una scelta contraddittoria che non si giustifica». Nel frattempo tutto resta immobile.

Da - http://www.unita.tv/focus/prodi-spinge-lulivo-non-e-irripetibile-uniti-in-un-mondo-che-si-disgrega/
5690  Forum Pubblico / ITALIA VALORI e DISVALORI / FABIO TONACCI. La funzionaria: "La valanga sull'albergo inventata da imbecilli" inserito:: Gennaio 24, 2017, 05:24:39 pm

Rigopiano, la telefonata. La funzionaria: "La valanga sull'albergo inventata da imbecilli"
Il caso. Ecco la conversazione che dimostra come il primo allarme dopo la sciagura fu ignorato

Dal nostro inviato FABIO TONACCI
24 gennaio 2017

PESCARA. "Sono Marcella di cognome, Quintino di nome". Per quattro volte il ristoratore di Silvi Marina declina le sue generalità, durante la telefonata del grande equivoco. Quella delle 18.20 di mercoledì 18 gennaio. Per quattro volte l'uomo si sente rispondere da una funzionaria di alto livello della prefettura, con tono infastidito, che "l'hotel Rigopiano non è crollato", che "questa storia gira da stamattina" e che si sta sbagliando perché a essere crollata è "la stalla di Martinelli, quello delle pecore".

CINQUE MINUTI. Un equivoco, appunto. Gigantesco. Durato per tutti i cinque minuti circa della chiamata che il centralino del 113 girò alla sala operativa del Ccs, il Centro di coordinamento dei soccorsi attivato la mattina stessa nella prefettura di Pescara.

Marcella: "Mi sente?"
Funzionaria: "Sì che la sento".
M: "Sono Marcella di cognome, Quintino di nome. Il mio cuoco mi ha contattato su WhatsApp cinque minuti fa, l'albergo di Rigopiano è crollato, non c'è più niente... Lui sta lì con la moglie, i bimbi piccoli... intervenite, andate lassù".
F: "Questa storia gira da stamattina. I vigili del fuoco hanno fatto le verifiche a Rigopiano, è crollata la stalla di Martinelli".
M: "No, no! Il mio cuoco mi ha contattato su WhatsApp 5 minuti fa, ha i bimbi là sotto... sta piangendo, è in macchina... lui è uno serio, per favore".
F: "Senta, non ce l'ha il suo numero? Mi lasci il numero di telefono (...). Ma è da stamattina che circola questa storia, ci risulta che solo la stalla è crollata. Che le devo dire?".

IL PRIMO ERRORE. È questo il primo drammatico errore. Pietropaolo Martinelli è un piccolo imprenditore di Farindola. Produce un formaggio assai conosciuto da queste parti, il pecorino di Farindola. La sua stalla si trova a pochi chilometri di distanza dall'hotel Rigopiano, e quella mattina il terremoto ne ha danneggiato gravemente il tetto: è piombato su 300 pecore, rimaste incastrate. Per questo motivo il proprietario aveva segnalato il crollo a chi stava gestendo i soccorsi, attraverso la Guardia Forestale. Quando la funzionaria sente parlare di Rigopiano, pensa alla fattoria. Non è sola nella sala operativa, e chi le sta vicino concorda con lei. La telefonata tra la funzionaria della prefettura e Quintino Marcella continua.

F: "Come si chiama quel cuoco?".
M: "Giampiero Parete. È quello della pizzeria, è il figlio di Gino...".
F: "Sì, lo conosco benissimo il figlio di Gino, conosco lui, conosco la mamma. È da stamattina che gira 'sta cosa. Il 118 mi conferma che hanno parlato col direttore due ore fa, mi confermano che non è crollato niente, stanno tutti bene".
M: "Ma come è possibile?".
F: "La mamma dell'imbecille è sempre incinta. Il telefonino... si vede che gliel'hanno preso...".
M: "Ma col numero suo?".
F: "Sì".

IL DIRETTORE ALL'OSCURO. La funzionaria pensa a uno scherzo. Ipotizza che qualcuno possa aver preso il cellulare di Giampiero Parete e abbia mandato un finto allarme a Quintino. Il quale, incredulo, le ribadisce che Pareti è "uno serio", uno che non permetterebbe mai una cosa del genere, che ha moglie e figli nell'albergo crollato, che la situazione è gravissima. La funzionaria, però, è irremovibile. Anche perché alle 17.40 dal Ccs dove lei si trova hanno effettivamente chiamato il direttore dell'Hotel Rigopiano, Bruno di Tommaso, per informarsi sulla situazione. Lo hanno fatto perché Parete, prima di rivolgersi a Marcella pregandolo di diffondere l'Sos, aveva contattato il 118 lanciando lui stesso l'allarme (nei tabulati telefonici, la chiamata risulta essere partita dal suo cellulare alle 17.08). È questa la primissima segnalazione del disastro dell'albergo: il centralino la gira prima alla Croce Rossa e poi, da questa, al Ccs. Di Tommaso però è a Pescara, non a Farindoli. Non sa della valanga, non lo può sapere. E quando lo contattano per verificare, risponde basandosi sulle uniche informazioni di cui dispone in quel momento: l'hotel è a posto, non gli risulta che sia successo niente. Per questo la funzionaria, di fronte alle insistenze di Marcella, sbotta.

F: "Due ore fa, le confermo, al 118 hanno parlato con l'hotel. Non le dico una bugia! Ma se fosse crollato tutto, pensa che rimarremmo qua?"
M: "Si metta in contatto col direttore...".
F: "Non so se si rende conto della situazione... Abbiamo gente in strada, gente con la dialisi, anziani. E io per lei... Provi lei a mettersi in contatto con il direttore. Non è scortesia. Arrivederci".

© Riproduzione riservata
24 gennaio 2017

Da - http://www.repubblica.it/cronaca/2017/01/24/news/rigopiano_la_telefonata_la_funzionaria_la_valanga_sull_albergo_inventata_da_imbecilli_-156725715/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_24-01-2017
5691  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / EUGENIO SCALFARI. La forza dell'Io sul percorso di Donald Trump e Matteo Renzi inserito:: Gennaio 23, 2017, 11:27:50 am
La forza dell'Io sul percorso di Donald Trump e Matteo Renzi
Le due figure più interessanti e più attuali per noi cittadini italiani ed europei sono il neopresidente Usa e l'ex premier italiano

Di EUGENIO SCALFARI
22 gennaio 2017

DA MOLTI anni della mia lunga vita ho trovato il tempo, nonostante le tante attività pratiche del giornalismo e dell'editoria, di studiare due elementi essenziali che distinguono la nostra specie da quella animale da cui proveniamo: l'Io che la fa da padrone con Narciso, l'amore di sé, che accompagna l'Io e lo rafforza aumentandone la superbia e il desiderio del potere. L'altro elemento sono le contraddizioni altrettanto essenziali che in qualche modo accrescono la ricchezza dell'Io ma contemporaneamente lo indeboliscono rendendolo più fragile anche perché ne individuano la propensione verso il potere e il comando.

Le contraddizioni sono nascoste nel profondo del Sé, dove nascono gli istinti, cioè nel profondo di noi stessi e sono cosa diversa dall'Io. Freud, Jung ed anche Spinoza prima e Nietzsche dopo studiarono contemporaneamente gli istinti, il Sé, l'Io. Sdoppiarono quest'ultimo affiancandogli il Super-Io, una sorta di guardiano per conto della società nella quale ogni individuo, cioè ciascuno di noi, vive, a cominciare dalla famiglia e allargandosi all'amicizia verso gli altri, verso la propria comunità, verso la propria Nazione, verso i poveri e anche verso i ricchi e i potenti, verso il prossimo anche se lontano. Non a caso una delle regole principali del cristianesimo è "ama il prossimo tuo come te stesso", riconoscendo la legittimità dell'amore verso di sé ma nella stessa misura verso gli altri.

Questi elementi hanno fatto e fanno la storia della nostra vita la quale, dominata da questi istinti, si estende ad altri due che possono sembrare contraddittori e invece non lo sono affatto: il destino e il caso. Il primo altro non è che il carattere di ciascuno di noi che si forma dal lascito dei genitori, dall'amore in cui quel lascito è nato, dall'educazione impartita anche con l'esempio, dal genere di cultura del luogo e della società in cui viviamo. Il destino riflette insieme il carattere delle persone.

Il caso invece è una sorta di legge di probabilità: gli incontri che fai, le guerre che ti coinvolgono, l'amicizia e l'inimicizia, la gelosia, l'invidia. Il caso non è contraddittorio rispetto al destino, lo completa e lo mette alla prova. Non si dovrebbe modificare il carattere per gli eventi suscitati dal caso. Ne volete un esempio letterario che ci fu offerto dal Manzoni dei Promessi Sposi? È la conversione dell'Innominato che era stato per molti anni la fonte del male e improvvisamente diventò fonte del bene dopo aver rapito Lucia per favorire un altro nobilastro come don Rodrigo, ma si commosse e si pentì trasformando il suo carattere e quindi il suo destino.

Credo d'aver enumerato le passioni e le caratteristiche che determinano la vita di ciascuno. Salvo un punto che condividiamo con gran parte degli animali dai quali la nostra specie discende e cioè l'istinto fondamentale che domina tutti gli altri ed è presente in quasi tutti gli individui: l'istinto di sopravvivenza, che si divide in due sentimenti, la sopravvivenza di se stessi e quella della specie animale da cui proveniamo. Noi siamo una specie socievole, se fossimo soli a vivere su questo pianeta non reggeremmo alla solitudine. Perciò siamo socievoli e la nostra sopravvivenza si estende agli altri esseri e perfino agli animali domestici. L'intensità di questa sopravvivenza è tuttavia non determinabile: a volte è molto avvertita, altre volte poco o niente. E questa è la vera distanza tra il bene e il male, tra la guerra e la pace. La vita è un'avventura, determinata da tutti gli elementi più emeriti. Cerchiamo ora di vedere quale tipo di vita stiamo vivendo.

***

Le due figure più interessanti e più attuali per noi cittadini italiani ed europei sono Donald Trump e Matteo Renzi. Non si somigliano affatto, almeno in apparenza, ma a guardar bene qualche tratto analogo in entrambi c'è. Del resto è vero che ciascuno di noi differisce dagli altri ma è altrettanto vero che apparteniamo alla medesima specie. La vera differenza tra i due sta nel diverso raggio d'azione: Trump si rivolge agli americani nella sua qualità di presidente degli Stati Uniti d'America, la più grande potenza del mondo. Renzi è invece il leader del Partito democratico italiano, un partito che ha il proprio influsso sul governo Gentiloni e come tale ha anche una funzione indiretta sull'Europa. Molto indiretta ed anche di rilievo assai limitato. È vero che l'Italia è uno dei Paesi fondatori dell'Unione europea, con origini lontane che risalgono alla Comunità del carbone e dell'acciaio e ai trattati firmati a Roma dai fondatori d'un primo nucleo verso un'Europa federale, con organi sovrani e regole e strumenti comuni. È ovvio che il potere di Trump e quello di Renzi, che peraltro è stato presidente del Consiglio per quasi tre anni e come tale esercitò poteri sovrani condivisi con i 27 Paesi che fanno parte dell'Ue e con gli altri 18 che fanno parte dell'eurozona, non sono equiparabili, ma in ogni caso a noi cittadini italo-europei interessano entrambi e quindi cerchiamo di capire le loro funzioni, le loro facoltà, la nostra considerazione per l'uno e per l'altro cominciando dal presidente degli Usa che ha appena giurato con un discorso davanti al Congresso americano durato appena venti minuti ma non per questo meno significativo.

Trump si è di fatto definito un populista. Non ha un partito, i repubblicani lo hanno appoggiato elettoralmente ma lui non è repubblicano. Lui è lui, si sente il capo degli americani, cioè crede di rappresentare la grande maggioranza del suo popolo, al quale propone una politica di protezionismo economico, di chiusura alla immigrazione, di politica imperialista che si sceglie secondo i suoi interessi gli interlocutori e gli avversari. Per ora l'interlocutore principale è Putin. Attenzione: interlocutore, non alleato. L'avversario è invece la Cina, un Paese territorialmente enorme, ostile, che finora ha investito cifre imponenti in titoli del debito pubblico americano, il che la rende al tempo stesso importante e fragile nei confronti dell'America, sul cui territorio ha numerose comunità molto attive che Trump considera sgradite perché tolgono lavoro agli americani.

A guardar bene Trump coltiva una tendenza di tipo dittatoriale: un capo e l'America, nessun partito, uno staff personale composto da uomini di finanza e da alcuni militari che hanno il solo pregio di un'amicizia personale con lui. Lui è contro l'establishment americano e questo evidentemente piace agli americani. Il populismo di Trump va incontro al populismo di un ceto medio in tragica decadenza ed anche ai giovani. Non sopportano una classe dirigente. Questo corrisponde a ciò che sta accadendo in gran parte del mondo, alle prese con la società globale, con l'emigrazione di interi popoli, dalla quale i cittadini dell'impero vogliono proteggersi delegando questa funzione a chi si propone come loro portavoce. La dittatura populista non pesa. Noi ne abbiamo un esempio relativamente recente con Mussolini. Neanche lui aveva un partito. Aveva origini socialiste ma rivoluzionarie. Poi, nello spazio di pochi anni diventò dittatoriale e della dittatura fece un regime. Con una cultura però che andò addirittura a ripescare l'Impero di Roma di duemila anni fa. Questa fu la genialità di Mussolini che arrivò ad assumere come simbolo storico i fasci romani, il Colosseo e le mura dell'antica Roma. Lui e il popolo, le adunate oceaniche.

Trump vede questa strada ma senza cultura il suo è un comando solitario, la cultura non ce l'ha e non la può avere perché l'America è nata dall'immigrazione: inglesi, francesi, irlandesi, italiani, messicani, caraibici, ebrei. Questi popoli hanno fondato l'America distruggendo gli aborigeni e chiudendone i residui nei territori designati dallo Stato.

Questo è Trump e una parte minoritaria dell'America di oggi. Le dittature sono sempre minoritarie. Se sanno interpretare i malanni e le debolezze del Paese diventano forti e durevoli almeno per un paio di generazioni. Altrimenti durano pochi anni perdendo progressivamente forza fino a scomparire. Da come ha esordito, Trump non sembra un leader duraturo. Il mondo è diventato un grosso punto dubitativo.

***

Ed ora il Renzi di oggi. Continua ad essere il leader del Pd con la carica, mai lasciata anche quand'era capo del governo, di segretario del partito. Forse farà le primarie, ma gli iscritti sono ridotti a meno di 400 mila, una misura minima. In compenso quelli che al referendum hanno votato Sì sono stati il 40 per cento dei votanti, l'affluenza fu altissima, i No hanno incassato il 60 per cento. Il 40 per cento dei Sì non sono tutti renziani, comunque è un voto molto rilevante. L'intenzione di Renzi è di votare a giugno oppure, mal che vada, ad ottobre. Dopo quella data si entra nel 2018 anno in cui termina la legislatura ed allora tanto vale attendere la fine col governo Gentiloni. È ciò che Mattarella vorrebbe ed anche il presidente del Senato. Tra pochi giorni si conoscerà la sentenza della Corte costituzionale sulla legge elettorale. L'ipotesi più diffusa è l'abbandono del ballottaggio, un impianto proporzionale per entrambe le Camere ed un premio di seggi al primo arrivato con lista singola o anche con una coalizione.

Se questa ipotesi sarà effettivamente quella adottata è molto probabile che il Pd ottenga il premio maggiore e sia al Senato la più forte minoranza. Quindi la lista unica o una coalizione consente al Pd di estendersi a sinistra con Pisapia, il sindaco di Cagliari, i transfughi dai 5 Stelle, Pizzarotti in testa e forse anche Laura Boldrini. Questo è l'indispensabile impianto elettorale. I moderati di Parisi non voterebbero per quella lista ma sarebbero pronti a convergere su un'alleanza post-elettorale che al Senato sarebbe molto opportuna.

Uno schieramento di questo genere taglierebbe fuori Grillo eliminando finalmente il sistema tripolare che è quanto di peggio per una democrazia e questo sarebbe il risultato più importante dal punto di vista elettorale. Ma al servizio di quale politica? Renzi finora è stato molto avaro di dichiarazioni pragmatiche che riguardano le emergenze nazionali, la politica economica e fiscale, l'atteggiamento verso l'Europa. E riguardano anche, ovviamente, un atteggiamento definitivo verso la dissidenza interna del Pd.

Partiamo da quest'ultima questione che coinvolge il senso di responsabilità di entrambe le parti. A nostro avviso l'iniziativa deve partire da Renzi perché tocca a lui distribuire le carte del gioco. Dovrebbe coinvolgere i dissidenti, a cominciare da Bersani, affidando a lui e a quelli che lo fiancheggiano crescenti incarichi di lavoro. Due soprattutto: lavorare nei circoli per reclutare ed educare politicamente una nuova e giovane classe dirigente del partito, soprattutto territoriale e rappresentativa di quella cultura liberal-socialista che il Pd veltroniano ereditò dal Partito d'azione con lo slogan Giustizia e Libertà. E poi lavorare insieme a lui in Europa e nel Partito socialista europeo avendo già a disposizione, dal punto di vista istituzionale, Tajani da pochi giorni eletto alla presidenza del Parlamento avendo già Mogherini come autorità europea di politica estera ed anche il capogruppo del Partito socialista europeo.

Qual è l'obiettivo da raggiungere nell'Europa di oggi? Dovrebbe essere quello d'una stretta alleanza con Angela Merkel dandole il contributo elettorale da parte dei deputati socialisti italiani che metterebbero in tal modo in causa la scelta degli eurodeputati socialisti tedeschi nonché quelli spagnoli e quelli greci. Nel Partito socialista europeo gli italiani sono i più numerosi. L'attuale dissidenza interna al Pd dovrebbe essere incaricata di affiancare Renzi nella sua azione europea ed europeista nell'appoggiare Merkel a condizione che, una volta vinte le elezioni, si dichiari favorevole agli Stati Uniti d'Europa, senza di che le singole nazioni, ancorché confederate, sarebbero prive di peso in una società sempre più globale, con problemi estremamente impegnativi per piccole nazioni, Germania compresa, che non diano vita ad un'Unione federata. I compiti principali di detta Unione e dell'Italia dentro di essa sono essenzialmente tre:

1. La lotta decisiva contro l'Isis in Libia, in Iraq, in Siria e in particolare a Mosul e a Raqqa.

2. La politica economica di crescita, il ministro del Tesoro unico dell'eurozona, eletto dai 19 Paesi interessati e non nella Commissione di Bruxelles. L'alleanza con Draghi, politica oltreché economica perché Draghi pensa soprattutto all'Europa federata, ad un'Unione bancaria europea, ad una politica di bilancio sovrana europea con relativa emissione di eurobond, ed ad un aumento della produttività sia da parte dei lavoratori sia da parte degli imprenditori.

3. Una politica fiscale che combatta soprattutto le disuguaglianze e il mercato nero, puntando sull'abolizione di un'ampia quota dal cuneo fiscale, non inferiore al 25 per cento del totale, che aumenterebbe considerevolmente la domanda dei consumatori, gli investimenti delle imprese e le esportazioni. Cioè un mercato finanziario ed economico sia pubblico sia privato, una crescita dell'interscambio europeo con la Germania al centro e il socialismo liberale italiano strettamente al suo fianco.

A questo punto nella nuova legislatura toccherà a Renzi tornare al vertice del governo italiano condividendo da quella posizione sia la battaglia di crescita economica e culturale italiana, sia quella europea. Uno Stato europeo di dimensioni continentali ma aperto, al contrario della demagogia del mercato americano chiuso.

Ricordo, con Renzi, che siamo noi europei ad aver costruito l'America. La nostra è e deve essere una democrazia

Liberalsocialista ed abbiamo secoli di storia in proposito. Abbiamo creato noi le banche, le lettere di credito, l'impero marittimo di Venezia e di Genova e prima ancora di Amalfi e di Pisa, di Taranto, di Siracusa, di Zara, di Bisanzio. Questo, mi auguro, dovrebbe essere il nostro futuro.

© Riproduzione riservata 22 gennaio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/01/22/news/la_forza_dell_io_sul_percorso_di_donald_e_di_matteo-156594941/?ref=HRER2-1
5692  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / Gianluca FERRARA. Donald Trump, perché potrebbe essere l’ultimo presidente elett inserito:: Gennaio 23, 2017, 11:26:29 am
Mondo
Donald Trump, perché potrebbe essere l’ultimo presidente eletto   

18 gennaio 2017

Di Gianluca Ferrara
Saggista e direttore editoriale di Dissensi Edizioni

Venerdì, 20 gennaio, sarà il giorno dell’insediamento (Inauguration day): Donald Trump e il suo vice Mike Pence, dinanzi al presidente della Corte Suprema (John Roberts) giureranno sui gradini del Capitol Building a Washington. Barack Obama lascerà il suo posto a Trump, un passaggio di consegne che forse mai nella storia è stato tanto traumatico.

Per mesi prima delle elezioni legioni di opinionisti, giornalisti e intellettuali si sono stracciati le vesti per le dichiarazioni di Donald Trump, ma hanno sistematicamente celato i decennali legami economici di Hillary Clinton e della Clinton foundation con il sistema finanziario e degli armamenti. La parzialità della stampa statunitense è stata un boomerang per tanti giornalisti. Molti, come è accaduto in Italia dopo gli esiti referendari, devono ancora elaborare il lutto. Si pensi che l’Huffington post Usa, nella fase iniziale della campagna elettorale, inseriva le dichiarazioni di Donald Trump nella sezione del sito sotto la voce entertainment news (notizie d’intrattenimento) e non sotto la voce politics (politica).

Questo atto di snobismo, insieme a tanti altri praticati dai media Usa, ha accentuato il fastidio verso un regime mediatico così asimmetrico contribuendo a rendere Trump simpatico e credibile a una fetta emarginata del Paese. In molti si sono immedesimati in questo “non politico” generando quell’effetto d’identificazione che nel 1921, Sigmund Freud spiegò in La psicologia delle masse. Un vero paradosso dei nostri tempi constatare che tanti diseredati abbiano davvero creduto che un miliardario opportunista come Trump possa fare i loro interessi.

La vittoria di Donald Trump è maturata proprio perché lui, come fece Berlusconi, è riuscito a far passare a un elettorato deluso dalla democrazia della rappresentanza, la fallace idea di essere fuori dai giochi, di essere diverso. Come se fosse possibile nel sistema americano (e quindi anche italiano) raggiungere tali risultati economici senza una saldatura con l’establishment.

Ma la verità è un’altra e per poterci avvicinare bisogna liberarsi dall’immensa quantità di notizie che la soffocano. Dopo il secondo conflitto mondiale ai governi Usa è stato inserito una sorta di pilota automatico che ha come fine una sempre crescente egemonia. Le 725 basi ufficiali Usa presenti in tutti i continenti, escluso l’Antartide, sono una rete di controllo che impone con le armi la propria presenza. Una presenza non solo militare ma, che, specie prima dell’11 settembre 2001, si è imposta con l’arma economica. Fmi e Banca Mondiale sono stati usati come teste di ponte per imporre politiche neoliberiste.

Trump non ha nessuna intenzione di discostarsi dal vigente pensiero unico. Il suo governo è composto essenzialmente da un mix di maschi in larga parte miliardari: la sommatoria delle loro ricchezze è maggiore dell’economie di quella di interi continenti. Alcuni personaggi, a dispetto dei proclami elettorali e a dimostrazione del reale rapporto di forza tra politica e finanza, appartengono al mondo delle banche speculative. Si pensi alla nomina di Gary D. Cohn (dal 1990 in Goldman) a direttore del National Economic Council e Steven Mnuchin, altro ex Goldman Sacks ove ha lavorato per ben 17 anni, nominato segretario al Tesoro. Wilbur Ross che è stato scelto per il Commercio è noto negli ambienti come “re del debito” per la sua attività di acquisto d’aziende in crisi dopo aver ricevuto in prestito capitali.

L’intolleranza e l’ignoranza manifestate da Trump è l’immagine di un Impero decadente, oramai vittima, proprio come Roma, del militarismo e della sua crescente voracità di conquistare il mondo. Più volte ho sollecitato la riflessione sul fatto che stiamo vivendo la fine di un’epoca storica e, in questo momento delicatissimo, non è da escludere che Trump possa essere l’ultimo presidente eletto. Nei prossimi anni, dinanzi alle crescenti diseguaglianze sociali, alla gravissima crisi ambientale e al collasso finanziario le strutture portanti della vigente democrazia formale potrebbero collassare. Persino Obama nel suo commiato di Chicago ha manifestato preoccupazione. Il grumo di potere che occultamente ha sempre governato gli Usa potrebbe esser costretto a gettare la maschera e mostrare anche in patria il suo volto dispotico e violento. Quel volto che si è palesato in Giappone, Corea, Iran, Guatemala, El Salvador, Indonesia, Vietnam, Cile, Panama, Sudan, Iraq, Afghanistan e tutti gli altri Paesi vittime del “Grande Satana”.

Donald Trump potrebbe essere l’odierno Augusto che portò Roma da essere una Repubblica a un Impero.

Di Gianluca Ferrara | 18 gennaio 2017

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/01/18/donald-trump-perche-potrebbe-essere-lultimo-presidente-eletto/3324597/
5693  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / Arlecchino. Da FB. 1944 - 2017 caro Dalla Chiesa ricordare l'onore che merita... inserito:: Gennaio 23, 2017, 11:24:32 am
1944 - 2017 caro Dalla Chiesa ricordare l'onore che merita la classe operaia è argomento da portare nelle scuole.
Noi adulti c'eravamo.

Da personaggi di prestigio come sei tu ci aspettiamo (noi della sinistra non marxista) proposte e progetti per ll futuro dell'Italia.
Siamo in UMERGENZA, la tua parte poitica cosa inende fare, oggi, nel "governo" del paese.
Grazie. Ciaooo

Da FB del 22/01 post di Dalla Chiesa.
5694  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / MARCELLO SORGI. Raro dialogo a distanza fra ex rivali inserito:: Gennaio 23, 2017, 11:22:18 am

Raro dialogo a distanza fra ex rivali

Pubblicato il 23/01/2017
Marcello Sorgi

Non sembri un’esagerazione: le interviste a Prodi e a Berlusconi che pubblichiamo oggi su La Stampa rappresentano un eccezionale documento politico contemporaneo. 

I due leader, presidenti del Consiglio e avversari dei primi quasi vent’anni della Prima Repubblica concordano a distanza, inaspettatamente, nell’analisi della situazione, su più punti rispetto a quelli su cui non sono d’accordo. Comune è l’attesa, venata di timori non nascosti, per l’esordio di Trump alla presidenza Usa e per le conseguenze sull’economia mondiale, gravata ancora dalle incertezze e dai sintomi non del tutto scomparsi della crisi di questi anni; comune la sollecitazione per un riavvicinamento alla Russia di Vladimir Putin, «amicizia» la definisce Berlusconi, che secondo Prodi addirittura l’Europa dovrebbe cominciare prima dell’America.

LEGGI ANCHE - Prodi: “I progressisti devono rispondere al malessere della classe media” 

Comune la preoccupazione per lo stato dell’Europa, divisa da muri anti-immigrati e da tensioni distruttive, soffocata da burocrazie opprimenti, minacciata dalla rincorsa del populismo, incalzante in varie forme e sotto diverse facce anche in Paesi fondatori come Francia e Germania; comune, ancora, l’apprezzamento per Gentiloni e per il modo pacato e razionale con cui sta cercando di affrontare la complicata eredità di problemi ricevuta da Renzi (del quale, in modo più o meno esplicito, entrambi mostrano di non avere uguale considerazione); comune, infine, la consapevolezza che dalle difficoltà del momento, che riguardano l’Italia non meno che l’Europa o il resto del mondo, si possa uscire sfidando il decadimento della politica, non con gli stessi argomenti con cui si manifesta, ma con un di più di riformismo e di serietà. 

 LEGGI ANCHE - Berlusconi: “Trump ha ragione su Putin. Ma l’isolazionismo è un errore” 

Tal che, non senza sorpresa, si potrebbe osservare che i due uomini-simbolo della stagione del bipolarismo, impegnati da sempre a presentarsi come alternativi, nelle rispettive convinzioni ideali, nei programmi, nella scelta dei metodi, delle persone e degli alleati per portarli avanti, confermano come nei frangenti più difficili, come l’attuale, governare sia sempre più far quel che si deve e non quel che si vuole, e due avversari rimasti tali, ma in grado di mostrare senso di responsabilità, già solo per questo mantengono un ruolo anche in una stagione che non è più la loro. 
Dove invece la distanza tra il Professore e il Cavaliere è rimasta intatta, e se possibile s’è accresciuta, è sul terreno della politica interna. Mentre Prodi - a dispetto di una realtà in cui agisce ormai stabilmente un terzo polo (primo nei consensi nel 2013 e oggi ancora in testa ai sondaggi), rappresentato dal Movimento 5 Stelle -, rimpiange la stagione del bipolarismo e suggerisce, per riproporla, di superare le divergenze tra alleati per ricostruire le coalizioni, Berlusconi non sembra più nutrire quella speranza.   

Sarà perché un pezzo del populismo nostrano ce l’ha in casa, con Salvini, Meloni e con quelli nel suo partito, come Toti, che pensano di schierarsi con loro, sarà anche per via della stabilità delle sue imprese minacciata dall’estero, ma l’ex-premier appare ormai tutto interno alla logica del proporzionale e della partitocrazia rinascenti, che proprio in forza dell’impossibilità di guadagnarsi una maggioranza da soli, costringerebbe i partiti singoli alle larghe coalizioni, ridando un peso indispensabile a Forza Italia.

Che questa, poi, possa essere la soluzione del futuro per l’Italia, dopo oltre un ventennio di inconcludente transizione, sarà tutta da vedere. Ma non ci sarà molto da aspettare: l’ultima parola in materia, infatti, la dirà domani la Corte Costituzionale chiamata a pronunciarsi sulla legge elettorale.

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Da - http://www.lastampa.it/2017/01/23/cultura/opinioni/editoriali/raro-dialogo-a-distanza-fra-ex-rivali-S4aUBJ8eJnqveS7t6tKZaI/pagina.html?wtrk=nl.direttore.20170123.
5695  Forum Pubblico / AMBIENTE & NATURA / FRANCESCO GRIGNETTI. Dimenticate e da rinforzare. Le grandi dighe spaventano inserito:: Gennaio 23, 2017, 11:21:08 am
Dimenticate e da rinforzare. Le grandi dighe spaventano
La Protezione Civile: allarme con sisma e maltempo
Pubblicato il 22/01/2017
Ultima modifica il 22/01/2017 alle ore 06:39

FRANCESCO GRIGNETTI
Inviato a PESCARA

E ora c’è un altro incubo: le dighe. Dopo le scosse telluriche, sommate alle gran precipitazioni, a preoccuparsi è la Commissione Grandi Rischi della Protezione civile, che si è riunita venerdì sera. «I recenti eventi - scrivono gli esperti italiani di sismologia e vulcanologia - hanno prodotto importanti episodi di fagliazione superficiale che ripropongono il problema della sicurezza delle infrastrutture critiche quali le grandi dighe». 

Ecco, le grandi dighe. Da Nord a Sud, quelle che superano i 15 metri di altezza e contengono almeno 1 milione di metri cubi d’acqua, classificate di interesse nazionale, sono 541. Ma le dighe sono sempre state un argomento poco sexy per la politica. Eppure si sa che sono vecchie e malandate, e che andrebbero quantomeno rinforzate. Il rimedio, finora, è stato di svuotarle per metà (quelle dei privati, tipo Enel) o addirittura per due terzi (quelle dei consorzi pubblici). E peccato se ci si rimette in elettricità idroelettrica o in riserve idriche. 
 
Il warning di venerdì della Commissione Grandi Rischi, però, non è arrivato del tutto inatteso sul tavolo del governo. Il ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, da un anno ha messo gli uffici al lavoro, quando si è reso conto che le dighe erano una bomba a orologeria. Ad agosto ha ricevuto un primo rapporto. Il 1° dicembre, su quella base, il governo ha stanziato 294 milioni di euro per intervenire sulle 101 dighe più a rischio. 
 
Commissione Grandi Rischi: possibili altre forti scosse. È allarme dighe
Ora però, dopo le scosse di terremoto sommate alle cosiddette “bombe di neve”, il rischio cresce. Il primo bacino sotto osservazione è Campotosto, dove ci sono tre dighe in sequenza: Rio Fucino, Sella Pedicate e Poggio Cancelli. I controlli tranquillizzano, ma in questi giorni la Direzione generale Dighe del ministero ha affiancato l’Enel per nuovi rilievi ed è stato chiesto di esaminare il piano di emergenza della Regione Abruzzo. L’invaso è 10 metri sotto il livello di regolazione, il volume della metà rispetto al massimo.
 
«I sistemi di monitoraggio e controllo installati - si legge in documenti interni al ministero delle Infrastrutture - hanno segnalato, per il rilevato di terra della diga di Poggio Cancelli, effetti strumentali delle scosse sismiche del 24/8 e 30/10 in termini di spostamenti verticali dei terreni di fondazione dell’ordine della decina di millimetri e analoghi a quelli osservati nel corso della sequenza sismica aquilana».
 
Per quanto riguarda la sequenza sismica attivata il 18 gennaio con 4 eventi di magnitudo superiore a 5, con l’epicentro proprio in questa area, l’Enel ha comunicato di avere «attivato i controlli straordinari previsti dalle vigenti disposizioni, senza rilevare sulla base delle prime verifiche danni alle dighe. I controlli sono tuttavia ancora in corso e resi parziali e difficoltosi dalle condizioni di innevamento, tanto da richiedere accessi anche in elicottero».
 
Ma non c’è solo l’Abruzzo. Ci sono altre dighe nel Lazio e nelle Marche che preoccupano, dipendenti queste dai Consorzi di bonifica. L’associazione nazionale Anbi da qualche mese avverte di temere «le conseguenze sotterranee dei sommovimenti tellurici, che potrebbero avere attivato frane e faglie...». Preoccupa l’impianto idrovoro di Ripasottile, a Colli sul Velino, già danneggiato dal sisma umbro del ’98 e da quello dell’Aquila. Nelle Marche, sono le dighe di Gerosa, San Ruffino, Cingoli, Rio Canale e Mercatale ad essere costantemente monitorate. «Nessuna anomalia è stata finora registrata». La diga di Cingoli si porta dietro anche il dramma di un viadotto con gravi deficit strutturali che è chiuso dal 30 ottobre e solo nelle prossime settimane potrà essere riaperto dopo un intervento straordinario dell’Anas. 
 
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Da - http://www.lastampa.it/2017/01/22/italia/cronache/dimenticate-e-da-rinforzare-le-grandi-dighe-spaventano-s21iRns9pwvP92xd8LuYuJ/pagina.html
5696  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / Arlecchino. Da FB. Poteri straordinari a persone o gruppi di persone in Italia.. inserito:: Gennaio 23, 2017, 11:19:37 am
Poteri straordinari a persone o gruppi di persone in Italia non sono igienici, troppa corruzione impunita.
Pensare poi di dare quel tipo di poteri per la ricostruzione è folle (o complice).
La ricostruzione richiede un Piano ben strutturato.
L'emergenza non è ricostruzione, ridiamo l'energia elettrica, diamo abitazioni salubri anche se provvisorie, mettiamo in sicurezza i Cittadini. Questa è l'emergenza che non deve essere posta sotto sequestro dalla burocrazia.
La ricostruzione deve tenere conto che i terremoti saranno ricorrenti, idem per nevicate record e alluvioni, la si deve studiare molto bene!   

Da FB del 23,01 ore 00,01 post che tratta di emergenza a fondi persi (e derubati)
5697  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Gentiloni: “Poteri straordinari a Protezione civile e Vasco Errani per il Centro inserito:: Gennaio 23, 2017, 11:17:21 am
Gentiloni: “Poteri straordinari a Protezione civile e Vasco Errani per il Centro Italia”
Il presidente del Consiglio difende i soccorsi: «Attenzione alla voglia di trovare capri espiatori.
Temo un Paese incattivito». «Il mio governo punta al reddito di inclusione»


Pubblicato il 22/01/2017 - Ultima modifica il 22/01/2017 alle ore 21:42

Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni per la sua prima uscita televisiva come capo del governo ha scelto il salotto di Che tempo che fa. Fabio Fazio, dopo avere chiesto rassicurazioni sul suo stato di salute («Sto bene, ma devo dire, senza farmi sentire dai medici, che ho saltato la convalescenza»), ha iniziato l’intervista parlando dell’emergenza in Centro Italia. Gentiloni ha annunciato che per gestire al meglio la situazione si devono dare poteri straordinari a chi gestisce emergenza e ricostruzione, ovvero alla Protezione Civile e al commissario per la ricostruzione Vasco Errani.
 
«Nei prossimi 3-4 giorni ci concentriamo, e lo faremo con l’Anac e con il Parlamento, su quali possono essere questi poteri straordinari, non possiamo avere strozzature burocratiche, dobbiamo dare un segnale di accelerazione forte e chiaro» ai cittadini, tra i quali «si è diffusa la disperazione».

«La paura di quelle popolazioni è che questa diventi un’emergenza cronica», ha spiegato, per poi ammonire: «Abbiamo un doppio nemico: la lentezza e la corruzione». Ma «attenzione a scatenare questa voglia di trovare capri espiatori. Temo di lasciarci andare, temo un Paese incattivito che cerca subito il giustiziere e il capro espiatorio. La verità serve a far funzionare le cose meglio, non a cercare vendette». La difesa dei soccorsi è netta: «La reazione all’emergenza straordinaria, a mio avviso, è stata straordinaria. Noi abbiamo un sistema di Protezione civile tra i migliori del mondo».
 
“Non metteremo le mani in tasca ai pensionati al minimo” 
La conversazione si è poi spostata sui temi economici, su Trump, immigrazione ed elezioni, con Gentiloni che ha detto che «la rigidità sugli zerovirgola non ha senso, troveremo una soluzione con Bruxelles nei prossimi mesi, forse attorno alla stesura del Def; se un aggiustamento è necessario, faremo in modo che non deprima la crescita ma aiuti a crescere» Ma «non recupereremo tra i pensionati al minimo o con pensioni basse quegli euro in più che erano stati dati in base alle previsioni di un inflazione maggiore. Mettere le mani in tasca ai pensionati che guadagnano cinque o seicento euro al mese sarebbe stato scandaloso».
 
“Lavoreremo con Trump ma abbiamo valori diversi” 
Rispondendo alla domanda sui rapporti con il nuovo presidente degli Usa, ha detto «Abbiamo lavorato con Kennedy e con Nixon, con Bush e con Obama, lavoreremo anche con Trump ma abbiamo dei valori nei quali noi, come governo italiano ed Europa, ci riconosciamo e ai quali non rinunceremo». Perché «per noi il protezionismo non è una soluzione, per noi l’immigrato e il diverso devono certamente accettare regole ma devono essere accolti non semplicemente respinti», ha aggiunto il premier, «per noi la società aperta è un valore, è paradossale che a Davos ne parlasse il presidente cinese dato che la Cina non è un modello da questo punto di vista. Noi europei, Trump o non Trump, abbiamo questi valori e li dobbiamo difendere».
 
“Confido in un accordo sulla legge elettorale” 
Per quanto riguarda, invece, il ritorno alle urne, «c’è molto da fare. In quanto tempo non lo decide Paolo Gentiloni, lo deciderà il Parlamento Le elezioni non sono una cosa che decido io, noi lavoriamo fino a che c’è la fiducia del Parlamento. L’importante è non mettersi nella disposizioni di chi si sente già alla fine». «Mi auguro - è il suo auspicio - che, a prescindere dalla durata del governo, tra le forze parlamentari ci sia in modo tempestivo un dialogo per leggi elettorali per Camera e Senato possibilmente non troppo disarmoniche, questo è un requisito di efficienza del sistema democratico. Confido nel fatto che dopo la decisione della Corte tra le forze politiche si arrivi ad un’intesa». 
 
“Lavoriamo su chi è danneggiato dalla globalizzazione” 
Prima del voto, però, quali sono gli obiettivi del governo Gentiloni? «Non so se sia mai esistito il renzismo. Se è la spinta di Renzi per le riforme la rivendico, C’è molta continuità con il governo precedente. La discontinuità è ovvia, io non sono Renzi anche perché non ho l’età. Voglio dare attuazione delle riforme del governo precedente. Già abbiamo dato attuazione a scuola e unioni civili. Ora lavoriamo su tre cose: primo su chi è danneggiato dalla globalizzazione, pensiamo al reddito di inclusione. Poi dobbiamo accompagnare la ripresa e ci sono mille misure da prendere, dalla giustizia alla concorrenza. Infine il lavoro, concentrandosi soprattutto su giovani e Sud». «Chi pensa allo Stato sociale come relitto del Novecento si sbaglia di grosso - è la precisazione del presidente del Consiglio -. Lo Stato sociale è una caratteristica del futuro non un relitto del passato. Noi abbiamo bisogno di efficienza e capacità delle strutture pubbliche, ma questo stato sociale ha a che fare con un modo di lavorare e di vivere diverso da quando ero ragazzo. Abbiamo a che fare con una realtà più mobile». Infine: «Abbiamo tante lentezze burocratiche ma non abbiamo un cattivo sistema sociale. L’Italia non parte troppo indietro. Non abbiamo, in generale, una cattiva scuola». 
 
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Da - http://www.lastampa.it/2017/01/22/italia/politica/gentiloni-poteri-straordinari-a-chi-gestisce-lemergenza-in-centro-italia-gVjRa23JMsWvaYZ3lv8hpN/pagina.html
5698  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / FRANCESCO BEI. Berlusconi: “Trump ha ragione su Putin. Ma l’isolazionismo è un.. inserito:: Gennaio 23, 2017, 11:14:53 am
Berlusconi: “Trump ha ragione su Putin. Ma l’isolazionismo è un errore”
“Sono molto deluso dall’astensione della Lega su Tajani. Serve una legge proporzionale. No alle preferenze, sì ai collegi piccoli”
Silvio Berlusconi tra il 1994 e il 2001 è stato alla guida di quattro governi

Pubblicato il 23/01/2017
FRANCESCO BEI - ROMA

Presidente Berlusconi, le celebrazioni del 60° anniversario dei Trattati di Roma colgono l’Unione in una crisi potenzialmente fatale: i 27 divisi su tutto, con la Gran Bretagna che annuncia una «hard Brexit» e Donald Trump che sembra voltare le spalle sia all’Ue che alla Nato, considerando l’alleanza atlantica «obsoleta». C’è ancora una possibilità per l’Europa? 
«Il sogno europeo oggi è più attuale che mai. La costruzione dell’Europa come è stata realizzata dai burocrati di Bruxelles invece è fallita e sta suscitando crescenti reazioni di rigetto. Vede, il sogno europeo è quello con il quale è cresciuta la mia generazione: era il sogno di un grande spazio di libertà, economica, politica e civile; di pace e sicurezza condivisa. Cosa ne è rimasto oggi? Una cosa, importante: la pace nel nostro continente. Ma tutto il resto è svanito, si è dissolto. L’Europa deve ripensarsi a fondo, oppure muore. Parola di un convinto europeista». 
 
L’Ue ci ingiunge di fare una manovra correttiva di 3,4 miliardi di euro. Il governo sembra intenzionato a tenere duro, respingendo la richiesta di nuovi tagli e tasse. Come sta operando Gentiloni nel rapporto con Bruxelles? 
«In questa vicenda si sommano due torti, uno europeo e uno italiano. Entrambi vanno al di là della responsabilità contingente del governo Gentiloni, che si trova a gestire una situazione che ha ereditato. Il torto dell’Europa è quello di applicare un rigore burocratico e formalistico, che non tiene conto né delle esigenze dello sviluppo, né delle particolari condizioni dell’Italia, dall’emergenza profughi a quella dei terremoti». 
 
Dunque assolve Gentiloni e getta la croce su Renzi? 
«Il governo Renzi ha impostato un bilancio in deficit, quindi creando ulteriore indebitamento, non per fare investimenti o per rilanciare lo sviluppo, ma per distribuire promesse di denaro a pioggia in vista del referendum. Quel progetto è fallito, ma sono rimasti i conti da pagare, per il governo Gentiloni e per tutti gli italiani. Come si comporterà il nuovo esecutivo in questa difficile partita è tutto da vedere: credo però che la scelta di evitare affermazioni roboanti che poi non si è in grado di sostenere sia un apprezzabile segnale di serietà». 
Un’altra crisi che sembra colpire sempre più duramente l’Italia è quella dell’immigrazione clandestina. Il ministro Minniti suggerisce il doppio binario: espulsioni per i clandestini, accoglienza e integrazione per chi ne ha diritto. La convince questo approccio? 
«L’approccio del ministro Minniti è corretto, ma affronta solo la parte finale del problema. Quello che dovremmo chiederci non è soltanto come gestire profughi e clandestini una volta arrivati in Italia: è piuttosto come evitare che ci arrivino. Il mio governo aveva realizzato una serie di accordi con i governi del Nord Africa, primo fra tutti la Libia di Gheddafi, per fermare all’origine questo traffico di esseri umani. Purtroppo sappiamo com’è andata. Se non si chiude questo flusso, se non riusciamo a stabilizzare l’Africa e il Medio Oriente, allora il problema esploderà. E per questo non bastano le forze dell’Italia, e neppure quelle dell’Europa. Occorre una grande coalizione che veda protagonisti l’Europa, gli Stati Uniti, la Russia, la stessa Cina, i Paesi Arabi moderati». 
 
È iniziata l’era Trump e gli Stati Uniti sembrano privilegiare rapporti diretti con la Russia di Putin e con la Gran Bretagna, senza vincolarsi ai vecchi alleati europei. Vede dei rischi nel nuovo approccio della presidenza Trump? 
«Io da un lato vedo con molto favore il ritorno ad una collaborazione con la Russia di Putin che per l’America e tutto il mondo libero dev’essere un amico e un alleato, non certo un nemico. Dall’altro vedo tutti i rischi di un ritorno all’isolazionismo. Sarebbe un grave errore, se accadesse, sia per il mondo intero, ma anche per l’America». 
 
Pochi giorni fa, dopo decenni, un italiano è riuscito a conquistare la poltrona più prestigiosa del parlamento europeo. Ma la Lega non ha votato Tajani. Se l’aspettava? 
«Sono rimasto molto deluso. Non credevo che la Lega potesse essere indifferente nella scelta fra un moderato espressione del centro-destra e un esponente del Pd sostenuto da tutta la sinistra. Faccio fatica a capire, ma non voglio polemizzare: per me le ragioni dell’alleanza sono più importanti».
 
Ormai non passa giorno senza che Salvini non la attacchi personalmente. Che idea si è fatto di questo martellamento? 
«Immagino che Salvini si stia ponendo un problema di leadership che è del tutto prematuro e che comunque non appassiona gli italiani. Sono ben altri, e più concreti, i temi ai quali bisogna dare una risposta: fisco, sicurezza, immigrazione, giustizia, infrastrutture. E comunque le leadership non si misurano sulle polemiche, ma sul consenso».
 
Il segretario del Pd le sembra cambiato? Ha capito la lezione del 4 dicembre? 
«Me lo auguro per lui. Spero rifletta e impari dalla sconfitta. Ma per ora non ho visto molti segni di cambiamento».
 
Quali sono le linee guida che dovrebbero ispirare la nuova legge elettorale? Proporzionale con un premio di governabilità al primo partito? 
«È fondamentale che la nuova legge elettorale consenta la massima corrispondenza fra il voto espresso dai cittadini e la maggioranza parlamentare. Ogni distorsione in senso maggioritario, in uno scenario tripolare come l’attuale, porterebbe al governo una minoranza contro il parere dei due terzi degli elettori». 
 
Collegi piccoli o preferenze? 
«Ritengo che le preferenze siano il peggior sistema possibile per garantire una effettiva rappresentanza degli elettori. I candidati devono piuttosto essere proposti agli elettori in piccole circoscrizioni, in modo che i cittadini sappiano con chi hanno a che fare e dove cercarli dopo l’elezione».
 
Il 26 gennaio ricorre il 23° anniversario della sua discesa in campo. Farà entrare aria nuova in Forza Italia? 
«Le rottamazioni non ci appartengono. Ma voglio che almeno un terzo dei nostri candidati e dei nostri eletti per la prossima legislatura siano persone che non hanno mai fatto politica, ma che abbiano dimostrato in altri campi le loro capacità. Nei prossimi giorni rivolgerò un appello alla “società civile”: apriamo le nostre liste a chi se la sente di candidarsi». 

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5699  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / FABIO MARTINI. Prodi: “I progressisti devono rispondere al malessere della ... inserito:: Gennaio 23, 2017, 11:12:23 am
Prodi: “I progressisti devono rispondere al malessere della classe media”
L’ex premier: “Brexit vince nei sobborghi, Trump nel Midwest, il populismo sfrutta le diseguaglianze. L’Europa mostri energia come quando ha imposto a Apple il pagamento della maxi-multa”


Pubblicato il 23/01/2017
FABIO MARTINI

È domenica pomeriggio e nella sua casa bolognese di via Gerusalemme Romano Prodi ha appena cominciato a dire la sua sulle prime esternazioni del nuovo presidente degli Stati Uniti, «dichiarazioni che già segnalano una rottura senza precedenti nella storia americana», quando gli squilla il cellulare. La suoneria fa scattare un vigoroso Inno alla gioia di Beethoven (che è anche l’inno europeo) e il Professore sorride: «Eh sì, sono un vetero!».

Trump scommette sulla dissoluzione dell’Europa? 
«Se Trump ha pensato bene a quel che diceva in questi giorni - e sicuramente ci ha pensato - la sua scommessa è quella di spaccare ancora di più l’Europa. Nel suo attacco alla Germania come Paese dominatore in Europa, c’è la consapevolezza che quel Paese è il collante europeo. Ma c’è anche qualcosa di più. La Germania è sempre stata la prima della classe in Europa, ha sempre avuto un rapporto organico con gli Stati Uniti, è stata la prima ad applicare le sanzioni alla Russia, anche contro i propri interessi materiali immediati. In un rapporto nel quale la forza è stata determinata dalla fedeltà e anche viceversa». 
 
L’Europa per ora riflette... 
«Riflette? A me pare che l’Ue non abbia proprio reagito davanti a dichiarazioni di Trump che segnano una rivoluzione nei rapporti con l’Ue. L’Europa è per ora inesistente. Mi meraviglia che nessuno abbia avvertito l’urgenza di un vertice straordinario. Penso invece che occorra reagire in fretta. Anzitutto organizzando un “contropiede” sulle sanzioni alla Russia...». 
 
Contropiede in che senso? 
«Nel senso che occorre togliere immediatamente le sanzioni alla Russia. Di questo sono fortemente convinto. Puoi sacrificarti per politiche solidali ma se la solidarietà non c’è più, non ha senso perseverare. La saggezza di un proverbio calabrese dice: chi pecora si fa, il lupo se lo mangia. Giochiamo d’anticipo, senza lasciare agli Stati Uniti un ruolo privilegiato nei rapporti con la Russia».
 
Di difesa comune europea si parla da anni, un passettino alla volta, Ma sembra una chimera... 
«E invece su questo terreno bisognerà verificare se dalle parole si passerà ai fatti. Ma se Trump dovesse confermare la sua linea sulla Nato, occorre preparare subito un progetto comune di difesa europea. Tra l’altro in questo frangente non occorrerebbe, in una prima fase, neppure accrescere le spese perché si possono ottenere risultati importanti, unificando risorse comuni sotto un solo comando».
 
Perché la Germania finora non ha reagito agli affondi di Trump? 
«Mi sentirei di proporre, più che un sospetto, un dubbio. Ragionando su quel che leggo, le ripetute interviste di accreditati esponenti tedeschi, filtra l’idea che possa essere la Germania a voler abbandonare l’euro. Comincia a nascere in me il dubbio che la Germania si tenga una strategia di riserva: fare da sola». 
 
Nella vittoria di Trump c’è anche una risposta alle diseguaglianze che colpiscono la classe media americana: una «sensibilità» più progressista che liberista? 
«Trump, ma anche il populismo europeo, interpretano il malessere della classe media, ma anche operaia. Guardi che è un fenomeno chiarissimo: la Brexit vince nei sobborghi popolari e non a Londra; Trump nel Mid West, certo non a New York o in California. E il Movimento Cinque Stelle? Vince nelle borgate romane, non ai Parioli! In questi anni si è salvata soltanto la parte medio-alta, mentre è aumentata la distanza tra ricchi e poveri. Il recente rapporto dell’Oxfam è un richiamo impressionante quando dice che otto Paperoni hanno lo stesso livello di ricchezza di 3 miliardi e mezzo di persone. Cosa aspettiamo a reagire? Aspettiamo la rivoluzione? Non è meglio cercare la giustizia prima che avvenga la rivoluzione?».
 
La sinistra per ora assiste e perde posizioni: come reagire? 
«Anzitutto cercando di capire che cosa accade. Trump si è impadronito di questo malessere, pur appartenendo - lui e i suoi principali collaboratori - alla parte privilegiata della società americana. Il malessere è tale che basta la denuncia, anzi la denuncia più è “nuda” e meglio è. Se la denuncia ha radici ideologiche non funziona. Marine Le Pen si afferma quando “uccidendo” il padre e le radici ideologiche, riesce a parlare alla borghesia frustrata ma anche agli operai di Marsiglia. Lo stesso vale per i Cinque Stelle: né di destra né di sinistra. Mentre la Lega, che ha mantenuto una radice ideologica, ha messo limiti alla sua protesta. E sarebbe difficile capire il successo di Trump tra gli evangelici estremisti così come tra i cattolici praticanti: c’è una grande paura che va interpretata». 
 

Si può tornare al Welfare degli Anni Cinquanta e Sessanta? 
«Serve un riformismo attivo: il lavoro è poco mobile, il capitale scappa e i vecchi schemi faticano a riequilibrare. Quando eravamo ragazzi, il tema era: più tasse o più Welfare? Da 35 anni in qua è restata in campo solo la ricetta del meno tasse e la sinistra ha rincorso».
 
Concretamente parlando? 
«Un esempio. La Commissione europea ha avuto un momento di gloria quando ha imposto alla Apple di pagare all’Irlanda una multa per 13 miliardi di euro di tasse non pagate. Verrebbe da dire: bene. Ma si andrà sino in fondo? La Apple ha 250 miliardi di dollari di liquido...».
 
E se parte una stagione protezionista? 
«Se prendiamo alla lettera ciò che dice Trump l’effetto sarà disastroso. Ma impostare una politica puramente protezionistica come quella nei confronti della Cina è ragionare con una logica irrealistica, del tipo: stai fermo che ora ti picchio! Tutti reagirebbero. Penso e spero che Trump, alla prova dei fatti, sarà più prudente». 
 
Qualcuno ha letto le sue dichiarazioni sull’Ulivo come un ritorno in campo... 
«Questa possibilità non esiste assolutamente. Ma in un mondo pieno di crepe l’Ulivo può tornare a essere un elemento di coesione politica e sociale».
 
In questa stagione così emotiva, l’Italia può giovarsi di un capo del governo che è un personaggio antiretorico e freddo? 
«Non è freddo. È calmo. Per questo nel mio governo, con Gentiloni abbiamo lavorato bene assieme. Ho grande fiducia in lui».

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5700  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Carlo Bertini. Il primo blitz sulla nuova segreteria Pd non riesce a Renzi. inserito:: Gennaio 19, 2017, 05:49:18 pm

Il primo blitz sulla nuova segreteria Pd non riesce a Renzi. Le correnti del partito si oppongono
Per ora reggono i veti. Il segretario prende tempo e ragiona su nuove uscite, fuori dal palazzo

Pubblicato il 19/01/2017
Carlo Bertini
Roma

La verità è che il primo blitz non gli è riuscito: la mossa che doveva dare il là al suo ritorno, un azzeramento della vecchia segreteria per farla ripartire con pochi nomi, nuovi incarichi e piglio molto operativo, è stata sventata dalla resistenza delle correnti.

Tanto per citarne una, la corrente di Franceschini, a detta degli stessi uomini del ministro, ha subito fatto sapere di non gradire un gesto che avrebbe contraddetto con la volontà di costruire una gestione-narrazione più plurale e meno individuale del partito.

Quindi non stupisce che ora Renzi si sia preso altri tre giorni per ponderare la lista di nomi sul suo tavolo, che di ora in ora si aggiorna. Altro esempio: il tira e molla dell’ultim’ora del ministro Martina, leader di un’altra corrente della sinistra lealista, restio a entrare in segreteria senza incarichi di peso come l’organizzazione o un ruolo di vice unico.

Anche per questo si era pensato ad allargare la segreteria a tutti i pezzi da novanta del partito, dai due capigruppo Zanda e Rosato (entrambi area Franceschini), al presidente Orfini dei «giovani turchi». Ma Renzi ci ha subito ripensato, «poi sembra uno dei soliti “caminetti”, non se ne fa nulla».

Per dare un’idea dell’inferno dantesco in cui riesce a trasformarsi il Pd quando c’è da nominare un qualche organismo, perfino per la ventilata nomina di Ciro Bonaiuto, sindaco di Ercolano e pupillo di Maria Elena Boschi, ci sarebbe stata una sollevazione di altri primi cittadini campani, gelosie locali che hanno sconsigliato però di procedere. 

Si capisce dunque perché Renzi stia al Nazareno «come un leone in gabbia». Così lo dipingono gli amici, consci di quanto poco il segretario riesca a digerire le logiche dei bilancini. Anche per questo, per sottrarsi al gioco dei veti incrociati, Renzi non resterà tanto tempo nel suo studio di segretario al secondo piano del Nazareno: sempre più spesso farà altre uscite a sorpresa come quella a Scampia. Meglio uscire dal palazzo, anche da quello del suo partito.

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