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5671  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Martina CASTIGLIANI. Francia, primarie socialiste tra delusione per l’era ... inserito:: Gennaio 24, 2017, 06:16:08 pm
Francia, primarie socialiste tra delusione per l’era Hollande, colpi di scena e un favorito sempre più in difficoltà
Mondo

Domenica 22 gennaio i francesi possono votare per il futuro candidato Ps alle presidenziali (secondo turno il 29). L'ex primo ministro Valls in vantaggio, ma arranca perché simbolo di un sistema che ha fallito. A beneficiare dell'effetto sorpresa potrebbe essere l'ex ministro dell'Educazione Hamon che propone un reddito di base universale per tutti i cittadini, ma anche l'ex all'Economia Montebourg. Ma i socialisti hanno cosi poche chance che la partita interna rischia di interessare solo i militanti più fedeli

Di Martina Castigliani | 22 gennaio 2017

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/01/22/francia-primarie-socialiste-tra-delusione-per-lera-hollande-colpi-di-scena-e-un-favorito-sempre-piu-in-difficolta/3243430/
5672  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / Trump, Prodi: “Discorso preoccupante il suo. Europa unita o finiamo male” inserito:: Gennaio 24, 2017, 06:14:43 pm
Trump, Prodi: “Discorso preoccupante il suo. Europa unita o finiamo male”

Di David Marceddu | 21 gennaio 2017

L’arrivo di Donald Trump “è proprio la rivoluzione del mondo”. Parola dell’ex premier Romano Prodi. “Quando uno parte dicendo, l’America first. America prima contro gli altri, questo è il discorso di Trump ieri; questo ci rende preoccupati”, spiega il professore ospite di un convegno all’istituto Salesiano di Bologna. L’ex presidente della Commissione europea sottolinea le contraddizioni del neopresidente Usa: “Spara contro la Nato e il suo ministro della Difesa dice che la Nato è necessaria; un giorno dice che la capitale di Israele è Gerusalemme, un altro che è Tel Aviv. Abbiamo delle contraddizioni fortissime”. Secondo Prodi, anche alla luce del discorso di insediamento del nuovo presidente, c’è la “necessità dell’Europa di mettersi assieme perché di fronte a un’America che vuole rompere i rapporti, a un’America che mette muri, è chiaro che noi o siamo uniti o finiamo male”.

Di David Marceddu | 21 gennaio 2017
5673  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Giorgio MERLO Come cambia il “racconto” di Renzi”? inserito:: Gennaio 24, 2017, 06:13:38 pm
Opinioni
Giorgio Merlo   - @giorgiomerlo
· 23 gennaio 2017

Come cambia il “racconto” di Renzi”?

Il “racconto” o la “narrazione” renziana possono tranquillamente continuare in questa fase politica se cambiano registro rispetto a ciò che abbiamo ascoltato in questi ultimi tempi

Diciamoci la verità. Tutti i grandi leader politici, almeno quelli della seconda repubblica, sono divisivi. Anzi, fortemente divisivi. Si impongono per talento naturale e attraverso le modalità più disparate. Ma è indubbio che la leadership non si può contestare. Così è stato per Berlusconi, e per Bossi. E così è stato per Grillo e ultimamente per Matteo Renzi.

Ora, per fermarsi proprio al leader del Pd, e al Pd nello specifico, credo che non si possono sottacere alcune caratteristiche. Innanzitutto Renzi è un leader “naturale”. Per il suo dinamismo, per la sua energia, per la sua capacità di attrarre attenzione e, soprattutto per la innata propensione a suscitare emozioni e passioni e, di conseguenza, consenso. Nel caso specifico, il consenso politico.

E, al di là del carattere – che resta un aspetto personale e del tutto incontestabile – emerge una oggettiva capacità politica. Quella capacità che ha saputo rilanciare il Pd attraverso una energica iniziativa politica sfociata con la conquista del partito prima e del Governo poi.

Dopodiché sono arrivate le elezioni amministrative del giugno scorso e la storica sconfitta di Torino, oltre a Roma, Napoli e moltissimi altri comuni e, soprattutto, la batosta del referendum del 4 dicembre. E, come sempre capita in politica dopo una sonora sconfitta, qualunque sia la stagione in cui si vive, emerge come da copione una domanda. Sempre la stessa domanda: ma quel “racconto” politico regge ancora? Ovvero, per essere più precisi, la cosiddetta “narrazione” renziana è ancora il valore aggiunto per il Pd, per il centro sinistra e per un riformismo di governo di marca progressista?

Perché, al netto delle polemiche personali, dei rancori e delle stesse lotte di potere, il tema di fondo è sempre quello. Soprattutto in un contesto politico dove la personalizzazione della politica ha il sopravvento e i partiti sono diventati progressivamente partiti “personali” espressione del leader.

Questo, credo, è il nodo politico per eccellenza. Cioè il messaggio politico di Renzi in questa stagione politica. Dopo la doppia sconfitta elettorale di giugno e di dicembre. E la domanda di fondo, al di fuori delle polemiche politiche e personali, è molto semplice: il progetto politico del Pd può essere sempre lo stesso?

In altri termini, le parole d’ordine dovranno continuare ad essere quelle che abbiamo ascoltato in questi ultimi 3 anni? Sia per quanto riguarda il partito e sia per l’azione del governo?

Ora, attorno a queste domande le risposte sono molteplici. Le conosciamo tutti. Da chi dice, sempre nel Pd, che adesso la vera priorità è quella di cambiare al più presto la guida del partito a chi, specularmente, sostiene che senza Renzi finiremmo tutti in un baratro e sarebbe la fine per il Pd, per il centro sinistra e chi più ne ha più ne metta. Io, e come me credo la stragrande maggioranza dei Democratici, ritengono che tra le opposte tifoserie – o gli opposti estremismi – c’è sempre una via di mezzo.

Cioè, per dirla con parole semplici, la strada del buon senso e della responsabilità politica. Perché una cosa è chiara. Lo scenario politico che si è aperto dopo il voto del 4 dicembre è cambiato, profondamente cambiato. Sarebbe puerile negarlo aprioristicamente. Ecco perché, allora, adesso è necessaria una strategia che contenga alcuni punti fermi.

Innanzitutto si deve lavorare per garantire e conservare una vera unità del partito. Una precondizione indispensabile per rafforzare il progetto del Pd, per essere una credibile alternativa politica ai vari populismi e per poter dispiegare una credibile azione di governo. Basta con le “rese dei conti” nel partito da un lato e con gli attacchi pretestuosi e pregiudiziali al segretario nazionale dall’altro.

In secondo luogo, e al di là del futuro sistema elettorale, occorre uscire dall’isolamento e dall’autosufficienza politica ed elettorale. Il Pd deve recuperare la logica della coalizione non per bloccare l’ascesa del movimento 5 stelle ma perché, semplicemente, in Italia la politica è sempre stata “politica delle alleanze”.

In ultimo, per fermarsi a soli 3 aspetti, va riconosciuto il pluralismo culturale nel partito e va praticata una vera collegialità nella gestione del partito stesso. E questo non per favorire consociativismi o ricreare caminetti ma, al contrario, per evitare che il tutto si riduca sempre e solo ad appaltare le scelte all’uomo solo al comando o, peggio ancora, a sperare nel ruolo salvifico e miracolistico del leader.

Dunque, il “racconto” o la “narrazione” renziana possono tranquillamente continuare in questa fase politica se cambiano registro rispetto a ciò che abbiamo ascoltato in questi ultimi tempi. La capacità di un leader è anche quella. Cioé, oltre ad essere un valore aggiunto per il suo talento naturale, c’è anche quello di saper cambiare lo stile e l’approccio quando le condizioni te lo impongono.

Perché altrimenti il rischio concreto che si corre è sempre quello di portare tutti a sbattere. E prima o poi quella previsione si può verificare.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/come-cambia-il-racconto-di-renzi/
5674  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / Mario Platero. Trump presidente: «Prima l’America, potere ai cittadini» inserito:: Gennaio 24, 2017, 06:09:38 pm
Il giuramento a Washington
Trump presidente: «Prima l’America, potere ai cittadini»

Dal nostro inviato Mario Platero 20 gennaio 2017

WASHINGTON - In una giornata solenne battuta da un’insistente pioggerellina Donald John Trump ha giurato fedeltà alla Costituzione ed è diventato il 45esimo Presidente degli Stati Uniti d'America. Trump nel suo discorso al Paese ha usato una retorica non dissimile da quella che gli ha consentito di vincere prima la battaglia fra i repubblicani e poi l'elezione contro Hillary Clinton, una retorica densa di promesse e di minacce anche dure contro chi cercherà di ostacolare il suo cammino per riformare l'America: «Vi prometto che a partire da adesso e da qui il destino e l'interesse del nostro Paese tornerà ad essere nelle vostre mani, nelle mani del popolo...da oggi comincia un'epoca nuova che rifarà l'America grande».

Le due regole di Trump: «Compra americano, assumi americano»
Donald Trump non ha offerto molte parole di apertura o di abbraccio politico a deputati e senatori che lo ascoltavano sotto la spettacolare cupola del Campidoglio, anzi, ha offerto una requisitoria contro un sistema politico che «finora ha pensato soltanto a se stesso, e ha sprecato migliaia di miliardi di dollari all'estero ignorando i nostri bisogni interni e ha accettato la chiusura di fabbriche e l'esportazione dei nostri posti di lavoro all'estero. A voi tutti in America e nel mondo dico che questo d'ora in avanti non succederà più, da oggi da Washington il potere tornerà alle grandi e piccole e grandi comunità di tutto il territorio nazionale».

Donald Trump, ringraziando la potente base cristiano-evangelica che molto ha contribuito al suo successo elettorale e che si identifica nel religiosissimo vice presidente Mike Pence ha invocato più volte il nome di Dio e l'importanza della religione come guida morale per il futuro del Paese.

In genere subito dopo una vittoria elettorale e nel momento in cui un Presidente si appresta a governare cerca di esprimere messaggi conciliatori. Che questa volta non fosse il caso lo si capiva dal ritratto che ha scelto Donald Trump per l'invito formale all'inaugurazione di questo 20 Gennaio 2017. Mentre il Vice Presidente Mike Pence mostra un viso rilassato e sorridente Trump si presenta con un volto arcigno e quasi minaccioso, cosa che non è mai successa in passato: le foto ufficiali dei Presidenti sono in genere bonarie e sorridenti, al massimo alcuni decenni fa potevano essere serie.

Non ci si aspettava ad esempio che Trump potesse invocare in modo diretto ed esplicito il «protezionismo» come strategia economica per restituire vigore al paese. È vero ha parlato di tariffe, ma sempre in modo molto mirato, ora contro il Messico o contro la Cina. Che abbia usato il termine così diretto nel suo discorso d'accettazione è in effetti significare una svolta che molti economisti ritengono possa tradursi in una pericolosa recessione. «Il protezionismo ci aiuterà a riaprire fabbriche in America e restituirà alle persone i posti di lavoro in territorio americano», ha detto Trump ad un certo punto del suo discorso.

Il Presidente ha ricordato che varerà al più presto importanti programmi per rinforzare le infrastrutture. «Costruiremo ponti, strade, ferrovie e lo faremo comprando dall'America e con forza di lavoro americana». Trump ha poi aggiunto, usando per la seconda volta un termine che dovrebbe trasmettere immediatezza: «A partire da qui e da questo momento sradicheremo gangs, il crimine organizzato, i trafficanti di droga che hanno prodotto una carneficina in molte delle nostre grandi città». Ha anche promesso con assoluta determinazione di «sradicare» il terrorismo islamico.

Ha colpito nel discorso di Trump un filo conduttore che ha costantemente puntato sia da un punto di vista economico che da quello delle alleanze militari a mettere sempre l'interesse degli Stati Uniti d'America davanti a quello di chiunque altro. «Che il mondo prenda nota, da oggi l'America metterà il suo interesse davanti a qualunque altra cosa».

© Riproduzione riservata

Da - http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2017-01-20/trump-presidente-svolta-protezionista-193320.shtml?uuid=AEACSjE
5675  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / FEDERICO RAMPINI. Nazionalismo e populismo nel discorso-comizio di Trump... inserito:: Gennaio 24, 2017, 06:08:08 pm
Nazionalismo e populismo nel discorso-comizio di Trump: chi sperava in un nuovo Reagan è deluso
L'analisi sull'Inauguration Day.
Il nuovo presidente ha sciorinato tutti i temi ascoltati ossessivamente in campagna elettorale, che oggi suonano ancora più falsi.
E non una parola sul programma dei cento giorni

Dal nostro inviato FEDERICO RAMPINI
20 gennaio 2017

WASHINGTON - "Questo non è un normale passaggio di consegne da un presidente a un altro. Oggi il potere passa a voi, al popolo". E' il classico tema populista, l'apertura che Donald Trump sceglie per il suo discorso inaugurale: io non sono un politico, mi avete eletto perché volevate un vero outsider, io rappresento la rottura con l'establishment.

E' uno dei temi forti della sua campagna elettorale - oltre che di tutti i populismi - ma in questo venerdì 20 gennaio 2017 qualcosa suona falso, ancora più falso che in campagna elettorale. Fino a novembre, si poteva obiettare che Trump - come Silvio Berlusconi in Italia - è un membro dell'establishment capitalistico, quindi sfoggia una notevole ipocrisia quando si presenta come "uno di noi". La sua risposta classica, sulla falsariga di Berlusconi: ma io da imprenditore ho creato vera ricchezza, mentre i politici la prelevano dai contribuenti e la dilapidano; io perché sono già ricco non ho bisogno di rubare, sono incorruttibile; io ho senso pratico e risanerò l'America così come ho fatto fiorire le mie aziende. Tutto molto discutibile, per esempio alla luce delle sue varie bancarotte. Ma dal 9 novembre ad oggi, quel discorso è stato compromesso dallo stesso Trump per un'altra ragione: le nomine. Avendo selezionato ben tre banchieri di Goldman Sachs, un ex chief executive di Exxon Mobil ed altri lobbisti legati al petrolio, Trump si è avviluppato in un rete di affaristi e intrallazzatori che sono puro establishment. Oggi molto più di due mesi fa, la sua promessa di segnare il ritorno del potere al popolo, già suona come una beffa.

L'altro tema forte di questo discorso inaugurale è il nazionalismo. A cui Trump vuole dare dignità ideologica erga omnes, captando l'atmosfera del nostro tempo ci vede il filo comune che lega tante rivolte anti-globali. Rifarò l'America grande. E non solo l'America, ma tutti i paesi hanno il diritto-dovere di rimettere al centro l'interesse nazionale. Poi questo si declina soprattutto sul versante economico: compriamo americano, assumiamo americani. E' un tema popolare, piace anche a sinistra, dove Bernie Sanders fu altrettanto feroce di Trump contro i trattati di libero scambio. Quindi Trump vuole anzitutto restituire il favore a quella classe operaia bianca degli Stati più colpiti dalle delocalizzazioni industriali. E' a loro che promette aiuto e protezione. E qualcosa ha già cominciato a fare, ancorché a livello "micro", prevalentemente simbolico, salvando una fabbrica di condizionatori d'aria e convincendo la Ford a dirottare nel Michigan un investimento che era destinato al Messico.

Ma siamo comunque fermi a temi e slogan della campagna elettorale. Trump ci ha rifatto un comizio, come ne avevamo ascoltati a dozzine prima dell'8 novembre. Se voleva suonare come un novello Ronald Reagan, non c'è riuscito. Gli manca la fantasia retorica, il pathos. Ed è troppo presuntuoso per farsi aiutare da speech writer più bravi di lui. Poche le immagini forti, e quasi tutte riciclate. L'altra mancanza: il programma dei cento giorni. Non
è obbligatorio inserire un vero piano di governo nel discorso dell'Inauguration Day. Però molti suoi predecessori lo fecero. E' ora che dagli slogan dei comizi Trump passi allo stadio successivo, dicendo come li realizzerà. Oggi siamo rimasti ancora una volta a digiuno.

© Riproduzione riservata
20 gennaio 2017

Da - http://www.repubblica.it/esteri/2017/01/20/news/nazionalismo_e_populismo_nel_discorso-comizio_di_trump_chi_si_attendeva_un_nuovo_reagan_e_deluso-156503958/?ref=fbpr
5676  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Adriana Cerretelli. Un pugno nello stomaco dell’Europa inserito:: Gennaio 24, 2017, 06:06:05 pm
Un pugno nello stomaco dell’Europa

Di Adriana Cerretelli

Sarà il pugno nello stomaco che servirà all’Europa per uscire dal suo autismo, ritrovare la volontà di esistere da protagonista smettendola di vivacchiare tra beata indifferenza, colpevole ignavia e metodica inazione nel nuovo mondo che le sta crollando addosso? Dovrà esserlo perché il 45° presidente degli Stati Uniti non le offre scelte alternative né scappatoie, semplicemente volta pagina e annuncia un nuovo ordine mondiale dove viene prima di tutto l’America, «di nuovo forte, sicura, prospera e orgogliosa», un’America patriottica, protezionista, revanscista e meno generosa con il resto del mondo.

Il primo documento della Casa Bianca di Trump
L’Europa è avvisata. Donald Trump farà sul serio. Sarà quasi certamente il salutare shock esterno che la costringerà a reagire al proprio quieto vivere e ai propri temporeggiamenti: a contarsi, riorganizzarsi e ricostruirsi su nuove architetture, nuove regole e nuovi Trattati. Del resto, ancora prima di approdare alla Casa Bianca, il neo presidente aveva provveduto a far piazza pulita di luoghi comuni, pilastri e certezze del Dopoguerra su cui per decenni l’Unione si è accomodata, convinta a torto della loro eternità.

Certo, la svolta americana la coglie nel momento peggiore, nel pieno di un anno elettorale importante, che vedrà alle urne Francia e Germania, i suoi pesi massimi, insieme a Olanda e forse anche Italia. Il 2017 si annuncia dunque come un anno perso: troppo rischioso prendere decisioni di respiro europeo in un’Unione che perde consensi popolari, dove democrazie e partiti tradizionali appaiono fragilizzati, i movimenti nazionalisti, euroscettici e anti-sistema hanno il vento in poppa.

Il gioco del surplace per altri 10-12 mesi rischia però di presentare all’Europa un conto salatissimo. Proibitivo? Se dovesse realizzare solo la metà delle promesse per far tornare grande l’America, il neo-presidente stravolgerà gli equilibri mondiali e l’Europa potrà a stare inerte a guardare solo a proprio rischio.

L’America e il popolo al primo posto
Di più. Trump ne ha pubblicamente stanato tutti i limiti e le debolezze, diventando di fatto la voce stentorea della sua cattiva coscienza, mettendola alle strette di fronte a se stessa e al mondo intero, davanti al quale oggi appare ancora più fragile e anche delegittimata: gli Stati Uniti sono il suo alleato storico e il principale partner economico (e viceversa), insieme fanno il 50% del Pil globale e un terzo degli scambi internazionali. Oggi però sono anche il maggiore critico.

Certo, smontare simili legami di interdipendenza costa a tutti ma, a meno che non provveda rapidamente a smentirlo con i fatti, Trump potrebbe essere tentato di giustificarsi dicendo che ormai l’Europa è un’entità inutile e inefficace, un peso morto più che un prezioso alter-ego, come una volta.

Per quanto approssimativa, la sua fotografia dell’Unione ne illumina i mali insieme agli incubi. Non gli basta infatti benedire Brexit e offrire a Londra un Trattato di libero scambio rafforzandone la posizione nei negoziati sul divorzio dall’Ue (non importa se l’accordo non è fattibile finchè gli inglesi sono nell’Unione). Trump va oltre evocando diserzioni future, mestando così nei torbidi di divisioni e spinte centrifughe europee, nelle crescenti difficoltà di integrazione e convivenza interna: dall’euro alla ripresa debole, crisi migratoria, terrorismo, sicurezza e difesa. Il tutto mentre la proiezione esterna si fa sempre più incerta e faticosa: dal Medio Oriente all’Africa, all’Est Europa con la Moldavia che ripudia l’intesa con l’Ue optando per la Russia e l’Ucraina che barcolla tradita.

Quando parla dell’Europa al servizio della Germania, Trump provoca ma dice mezze verità, toccando un altro nervo scoperto del club: per continuare a esistere, deve rafforzarsi e riformarsi al più presto ma non può poiché diffida di sé stesso, dei suoi soci (troppi?), dell’egemonia tedesca e dei suoi interlocutori deboli.

Se dice che la Nato è obsoleta esagera ma costringe l’Europa a fare quello che finora non ha mai voluto fare: assumersi più responsabilità e oneri finanziari per la difesa in un mondo, anche il suo, sempre più instabile, caotico e insicuro. E quando sembra flirtare con la Russia di Vladimir Putin, minacciandola di intendenza con lo storico antagonista, frusta la vulnerabilità europea, che riposa su una scelta di cinica pigrizia, anche ideologica, non di impotenza politico-strategica obbligata. L’elegia del protezionismo, invece, è un’arma a doppio taglio che alla lunga si ritorce su chi la usa.

È troppo presto per precipitarsi alle conclusioni, dando per scontato che su queste basi il rapporto transatlantico sia destinato a morire. Di sicuro, per resistere al ciclone Trump l’Europa dovrà cambiare, tornare a sua volta grande. Per molti aspetti parlare la sua stessa lingua. Ne sarà capace?

© Riproduzione riservata
    Adriana Cerretelli.

Da - http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2017-01-20/un-pugno-stomaco-dell-europa-231916.shtml?uuid=AE2DNlE
5677  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / Mattia PERADOTTO. Un nuovo progressismo, senza istruzioni per l’uso inserito:: Gennaio 24, 2017, 06:04:34 pm
   Opinioni
Mattia Peradotto - @Mperadotto
· 20 gennaio 2017

Un nuovo progressismo, senza istruzioni per l’uso

Il tema del progressivo arretramento negli ultimi 10 anni delle forze progressiste in particolare europee è stato lungamente dibattuto

Un nuovo progressismo
Il tema di cosa siano il progressismo e la sinistra oggi è complesso, meglio sgomberare subito il campo da equivoci, e proprio come tale merita il tentativo di trovare una via. Si può fare in maniera più o meno strutturata, più o meno omogenea, ma serve a tentare di dare una lettura e qualche spunto per interpretare la nostra quotidianità, il mondo che si muove e cambia attorno a noi avendo anche l’ambizione di alzare un po’ lo sguardo e provare a tratteggiare possibili orizzonti per il domani.

Non esiste il libretto di istruzioni
E’ bene partire dalla considerazione che difficilmente qualcuno ha una risposta preconfezionata sul futuro del progressismo e della sinistra. Questo obbliga a un supplemento di impegno. Serve guardare da dove si viene, serve annusare il contesto che si muove attorno a noi cercando, se non di comprendere (termine sempre più difficile da scrivere a cuor leggero oggi), almeno di intuire quei rivolgimenti delle strutture sociali, dei rapporti comunitari, dei modelli economici che sono in divenire. Serve aprire nuove strade che consentano di procedere all’elaborazione di risposte e proposte ai problemi dell’oggi mettendo un piede dopo l’altro, andando passo dopo passo e diffidando dall’estrema semplificazione del presente, così come dalle risposte sistemiche e precise che vengono reclamizzate da chi ha sempre la verità e la soluzione in tasca.

Provo allora a mettere in fila piccole annotazioni sapendo che la mia lettura è certamente figlia di un angolo visuale parziale, quello di un ventisettenne che ha vissuto e sperimentato in maniera diretta solo gli ultimi quindici anni di politica progressista e che servirebbe uno sviluppo ben più profondo e lungo ma che anche in un articolo si può iniziare a ragionare.

L’obiettivo smarrito
Il tema del progressivo arretramento negli ultimi 10 anni delle forze progressiste in particolare europee è stato lungamente dibattuto fino a diventare un perfetto argomento da maître a pàrler, un tema da tartina e bollicine buono più per fare conversazione che per approfondire una riflessione. La sinistra sta effettivamente scontando anni di difficoltà, difficoltà di lettura sociale, di ideazione di politiche, di creazione di pensiero che, a mio avviso, dipendono dalla mancanza di un vero motore propulsore. Il progressismo non ha un obiettivo fondante. Storicamente il binomio inclusione – redistribuzione ha retto l’affermarsi nel novecento di una sinistra che aveva per obiettivo la costruzione del Welfare State in Europa. Quella stessa sinistra che, arrivata negli anni ‘80/’90 a centrare e portare a realizzazione la sua missione fondante, non si è riuscita a dotare di una nuova e più sfidante meta.

La mancanza di un orizzonte ha reso sia l’elaborazione delle politiche che quella del pensiero politico, e quindi delle forme più opportune a intercettare la società, appiattita sul breve periodo e senza prospettiva.

I nuovi conflitti e l’opportunity state
Oggi ci sono pilastri nuovi e nuove dicotomie su cui la sinistra ha il compito di cercare una strada e un suo senso. Recuperare un orizzonte e quindi anche una “missione” è non solo possibile ma necessario ripartendo dalle nuove faglie di divisione che si sono aperte nella società e nel mondo, il dualismo esistente tra solidarietà e egoismo, tra accoglienza e inclusione e nazionalismo e isolazionismo, tra coopetition e consociativismo, in sostanza le nuove coordinate su cui leggere la differenza tra progressisti e conservatori oggi.

Ognuno di questi dualismi permette di tratteggiare i perimetri identitari della sinistra del nuovo millennio, interroga sulle risposte alle faglie sociali aperte e sulle politiche che consentano di perseguire queste risposte. La definizione stessa del progressismo non può essere in “negativo”, la sinistra non può cioè limitarsi a definire sé stessa attraverso i contrari delle destre odierne e dei movimenti populisti ma deve recuperare una propria immagine in positivo, ridefinire la propria identità per i valori e le caratteristiche che le attengono e non tracciare i suoi confini mettendo paletti su quel che non le appartiene. La sinistra oggi deve essere capace di interpretare l’innovazione rispetto alla mera protezione, deve avere l’ambizione di andare “oltre il welfare state” e creare un vero sistema di inclusione sociale, una dinamica di uguaglianza delle opportunità e uguaglianza delle condizioni di partenza con reti di sostegno a chi può cadere rischiando di restare escluso o ai margini di una comunità, deve costruire l’opportunity state.

L’idea dell’opportunity state che porti a evoluzione il welfare state del progressismo anni ‘80 può essere la nuova “missione” che torna a dare senso e spessore al progetto della sinistra europea. Gli spunti ci sono, un solido sistema universale di assistenza sanitaria, un forte sistema educativo e formativo delle opportunità e dei talenti, l’indirizzo normativo verso un mondo del lavoro inclusivo, dinamico e mobile, reti di protezione e meccanismi di nuova inclusione così come un radicale ripensamento del bilanciamento tra tempo lavorativo e tempo di altro impiego fino ad arrivare al tema cruciale dei meccanismi fiscali e salariali legati alle dinamiche di servizio fornito che tocca anche il tema dei centri e delle periferie. Il lavoro è enorme ma la sfida non può che essere portata a un livello più alto e a un orizzonte più ampio perché abbia senso giocarla.

La dimensione europea e il nuovo corso italiano
Ho parlato di sinistra europea e non solo di sinistra italiana perché a mio avviso è imprescindibile ragionare in una dimensione comunitaria per riuscire a cogliere il senso della sfida e provare a cambiare le sorti di un declino conclamato. In Europa il progressismo e la famiglia socialista vivono tempi non felici, l’SPD tedesco è strutturalmente una gamba di governi di grande coalizione a traino (anche programmatico) popolare, il PS francese ha sì vinto le ultime elezioni ma ha dato la rappresentazione plastica di non avere idee (e quelle poche di averle seriamente confuse), anche in Spagna il PSOE non riesce a incidere e a dare una lettura convincente del momento per non parlare poi dell’arretramento antieuropeista (e mi sia permesso antistorico) del Labour corbyniano. Una fotografia più che triste drammatica, che certifica la mancanza di un comune denominatore e motore della sinistra del vecchio continente. Come detto, però, c’è lo spazio per ripartire e lo si deve fare dall’esperienza maturata dal 2013 in poi nel più grande partito progressista della famiglia socialista ovvero il PD. E’ proprio l’esperienza del nuovo corso democratico inaugurato da Matteo Renzi, dai suoi spunti di lettura della modernità che ci circonda, dalla capacità di aggregare un insieme di pensieri e sintetizzare una visione originale per il futuro della sinistra continentale e delle sue politiche, che può portare il nostro partito ad essere il pivot di questa ripartenza (come avevo già detto qui), con una lettura nuova delle problematiche, un impianto valoriale solido e una visione della politica come motore di indirizzo delle sfide socio-economiche del domani.

Una ripartenza passa necessariamente da un lavoro ancor più forte del PD sul PD, dal comprendere cosa vogliano dire per un partito partecipazione, militanza e affiliazione oggi. Passa dal costruire nuovi strumenti per intercettare la società, leggerla e coinvolgerne una parte nell’elaborazione di proposte. Passa dal provare a dare nuovo senso al ruolo delle organizzazioni di intermediazione nella società odierna. Abbiamo molte sfide davanti a noi ma tutte valgono la pena di essere giocate.

Con fantasia e coraggio perché non ci sono istruzioni per l’uso.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/un-nuovo-progressismo-senza-istruzioni-per-luso/
5678  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Mattia FELTRI. “Efficiente”; “Un disastro” Le giravolte dei politici sulla... inserito:: Gennaio 24, 2017, 06:02:35 pm

“Efficiente”; “Un disastro” Le giravolte dei politici sulla Protezione civile
Il giudizio cambia se si è maggioranza o minoranza
Criticità. Chi accusa la Protezione civile parla di carenza di turbine, aiuti lenti e previsioni del tempo ignorate

Pubblicato il 21/01/2017
Ultima modifica il 21/01/2017 alle ore 08:51
Mattia Feltri

I soccorsi non si sa, ma le polemiche sono state tempestive. «Il simbolo di questo terremoto è il campanile di Amatrice, l’emblema dei ritardi di questo governo», ha detto mercoledì Luigi Di Maio dei cinque stelle a terra ancora tremante. E dopo un giorno di collaborazione offerta, ieri Beppe Grillo ha scritto sul blog di «situazione allo sbando», di «mutismo che non possiamo accettare», e di «Italia messa in ginocchio da nevicate ampiamente previste». Matteo Salvini in questi giorni ha girato nelle zone devastate denunciando il «governo che dorme», di «politicizzazione della Protezione civile», anche lui in approfondimento meteorologico a proposito della bufera annunciata (tesi molto diffusa in queste ore), e fino a un’annotazione etnica sorprendente: «I primi ad arrivare all’hotel Rigopiano sono di Belluno. Forse una Protezione civile più efficiente a Pescara ci avrebbe potuto mettere meno». Giorgia Meloni (F.lli d’Italia) è andata a colpo sicuro: «Il governo pensa più alle banche che ai terremotati». Forza Italia si è affidata ai talenti agonistici di Maurizio Gasparri: «È apparsa sostanzialmente inadeguata l’azione di soccorso alle popolazioni terremotate», e dopo aver rifiutato il processo mediatico ai carabinieri per il caso di Stefano Cucchi, lo ha chiesto per i responsabili della sottovalutazione (sempre che tale sia stata) del disastro Rigopiano: «Fuori i nomi». 

Si sarà notata la tradizionale spaccatura fra chi critica, tutti all’opposizione, e chi no, tutti in maggioranza, per cui si può supporre, con un po’ di malizia, che a ruoli invertiti si sarebbero invertiti gli atteggiamenti, come si è sperimentato in precedenti casi, per esempio all’Aquila. Le tesi d’accusa sono suggestive e ampie: dalla carenza di turbine, agli aiuti lenti, alle previsioni del tempo ignorate, a direttive sui modi per ripristinare l’energia elettrica fino a temerarie indicazioni su come si pilotano gli elicotteri al buio e sotto la tormenta. Venire a capo di ipotesi così vaste e spericolate, e in una situazione di dimensioni e gravità enormi, è molto complicato, ma qualche contributo si riesce a darlo. A proposito delle nevicate «ampiamente previste», il sito della Protezione civile conserva i bollettini. Dunque, lunedì 16 si lancia un codice arancione, cioè «moderata criticità», sebbene con pericoli; è un codice più basso del codice rosso, «elevata criticità» con molti pericoli. Il codice arancione resta nei bollettini del 17 e del 18, mercoledì, il giorno delle quattro scosse a cinque gradi di magnitudo. Quindi l’eccezionalità delle nevicate non era «ampiamente prevista». Secondo i calcoli di Daniele Izzo, del centro Epson Meteo, in quei giorni sull’Abruzzo (coste comprese) è caduto «mediamente un metro di neve», fino a zone sommerse da due metri. Non succedeva da decenni. La neve, il vento, soprattutto le scosse di mercoledì hanno fatto cadere un numero imprecisato di tralicci che hanno tolto elettricità a centinaia fra paesi e borghi. Le scosse, poi, hanno provocato le slavine che sono state il vero insormontabile ostacolo ai soccorsi.

Un funzionario della Protezione civile di Chieti (è anonimo, ma lo abbiamo scelto perché lavora sul territorio ed è meno costretto alla propaganda) ci ha detto: «La nevicata più le scosse hanno creato lo scenario peggiore che si potesse ipotizzare. Il che significa che era ipotizzabile, ma non che fosse probabile». E poi, sulla scarsità di turbine: «E’ difficile stabilire quante ne avessimo, perché sono coinvolte quattro regioni, varie strutture, dalla protezione civile, alle province, all’Anas. Ma è sicuro che si sono rivelate insufficienti. Ma allora dovremmo dotarci di un parco mezzi che poi, molto probabilmente, si rivelerà esorbitante per dieci o venti o trent’anni? Forse sì, forse no, francamente non so. Ma non è che poi voi fra qualche anno scrivete un pezzo sugli sprechi dei mezzi antineve fermi nei box con quello che sono costati?». Il nostro interlocutore non è un fan di Guido Bertolaso, il vecchio capo della Protezione civile (che in questi giorni dice: «E’ stata disarticolata la catena di comando e controllo. Chi comanda? Chi è che dà gli ordini?»), ma condivide l’analisi, sebbene con un puro slancio analitico: «Dopo gli anni di Bertolaso si è deciso di avere un minimo di efficienza in meno per avere il massimo della trasparenza. Penso sia la strada giusta, ma se si vuole il massimo dell’efficienza bisogna rinunciare a un po’ di trasparenza. Tutto non si può pretendere». 

Sono soltanto alcune annotazioni delle molte che si potrebbero fare non per un’assoluzione collettiva, ma per dare la dimensione di una storia immane, e soprattutto per dare a chi critica strumenti offensivi meno vaghi, da usare magari in momenti più opportuni. 

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Da - http://www.lastampa.it/2017/01/21/italia/cronache/efficiente-un-disastro-le-giravolte-dei-politici-sulla-protezione-civile-mV4DLcGyF3n6bujyHEk3lK/pagina.html
5679  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / Arlecchino. Da FB. L'argomento si presta ad equivocare su quali sono le ... inserito:: Gennaio 24, 2017, 05:58:55 pm
L'argomento si presta ad equivocare su quali sono le "competenze" della Stato e quali quelle dei Cittadini. Certo che si deve tenere pulito (non solo dalla neve) l'ingresso privato di casa nostra ma sino a che livello di "sforzo". Siamo un Paese che sarà per molto tempo impegnato in emergenze che richiedono le "pronte" attenzioni delle istituzioni, a favore dei Cittadini tutti, quindi la si deve smettere di scaricare sul Cittadino responsabilità non di sua competenza. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un accanimento progressivo a carico dei Cittadini, dalle tasse eccessive perché il debito cresce, sino a ritenere un "dono" il fatto che l'esercito sia impegnato nel soccorrere in caso catastrofi. Dovrà essere la norma d'ora in poi, siamo un paese allo sfascio idrogeologico e non possiamo scaricare solo sui Vigili del Fuoco e (da un po' di tempo in qua) sulla Protezione Civile la soluzione di problemi di TUTTI. Lo Stato deve stare vicino al Cittadino disastrato, con tutte le sue forze nessuna esclusa. Ciaooo
5680  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / Arlecchino. Da FB La società più felice è possibile se la creatività non sarà... inserito:: Gennaio 24, 2017, 05:57:37 pm
La società più felice è possibile se la creatività non sarà una romantica illusione.
Il futuro più creativo non è quello dell'elemosina diffusa, con quello strumento non si contrasta lo sviluppo tecnologico (per esempio la robotica) che richiede meno mano d'opera umano.

Occorre differenziare l'attività dell'uomo innanzi a tutto liberando la sua libertà d'uso del tempo. 120 ore al mese, di lavoro (a parità di ricavo) per ogni addetto libererà milioni di nuovi posti di lavoro.
Il tempo che ogni persona avrà a disposizione (a parità di reddito) creerà dei nuovi business in decine di campi diversi. Prima di tutti la cultura con la fine dell'analfabetismo di ritorno. ciaooo   

da FB del20 gennaio 2016 ore 11,30
5681  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Cecilia Attanasio Ghezzi. Esportazioni, Pil ed equilibri militari: l’effetto... inserito:: Gennaio 24, 2017, 05:55:48 pm
Esportazioni, Pil ed equilibri militari: l’effetto domino che Trump rischia di innescare in Asia
In gioco c’è la stabilità (non solo economica) di tutto il continente
Oggi Donald Trump si insedia come 45° presidente degli Stati Uniti d’America

Pubblicato il 20/01/2017 - Ultima modifica il 20/01/2017 alle ore 12:11
Cecilia Attanasio Ghezzi
Pechino

Cosa significa l’avvento di Donald Trump per l’Asia? Un guazzabuglio pericoloso. Soprattutto se, una volta insediatosi alla guida della prima economia mondiale, manterrà le promesse fatte in campagna elettorale. Le esportazioni cinesi negli Usa potrebbero collassare, così come viceversa le esportazioni statunitensi in Cina. Si tratta di un giro di affari che nel 2015 valeva rispettivamente 483 e 116 miliardi di dollari e che, secondo i dati della Camera di commercio Usa, è garanzia di almeno 40 milioni di posti di lavoro negli Stati Uniti. Ma sul tavolo non ci sono solo le perdite commerciali delle due più importanti economie del mondo. Negli ultimi 15 anni, la Cina ha rappresentato un terzo della crescita economica mondiale e anche oggi, quando siamo di fronte a una crescita innegabilmente rallentata, importa il 9 per cento delle esportazioni mondiali e rappresenta il primo partner commerciale di diversi paesi, soprattutto in Asia.

Secondo quanto stimato dal Wall Street Journal se quel 45 per cento di tasse sui beni di importazione cinese minacciato da Donald Trump in campagna elettorale si trasformerà in realtà, significherà tagliare la crescita cinese da 1 a 3 punti percentuali e di conseguenza quella di molti altri paesi asiatici. Secondo un rapporto del Fondo monetario internazionale per ogni punto percentuale che perde il pil della Repubblica popolare: Hong Kong perde lo 0,8; la Corea del Sud, la Tailandia e la Malesia lo 0,5; le Filippine lo 0,3 e l’Indonesia e il Giappone lo 0,25. Più o meno quanto decresce in media l’economia mondiale: lo 0,23. Ecco perché Xi Jinping può permettersi di affermare di fronte alla platea di Davos che «da una guerra commerciale non emergerà nessun vincitore». Colpire la Repubblica popolare significa mettere in discussione il mondo così come lo conosciamo. 

Ovviamente le economie che verrebbero colpite di più sono quelle che non solo esportano in Cina, ma fanno anche parte di quelle catene di supplier industriali per grandi marchi che assemblano in Cina. Giappone, Corea del Sud e Taiwan sarebbero senza dubbio i paesi più colpiti. Non solo. Una decisione netta a favore di un nuovo protezionismo negli States, significherebbe meno acquisizioni cinesi per paura di un conseguente trasferimento di know how e posti di lavoro. Per non parlare di quelle importanti aziende statunitensi che ormai vedono una grossa fetta di profitti provenire dal mercato cinese. Il 20 per cento delle vendite Apple avviene in Cina, come il 13 per cento di Boeing, tanto per fare gli esempi più noti. Inoltre se per Usa e Repubblica popolare l’economia non sarà più il terreno su cui incontrarsi, cosa dovrebbe spingerli a evitare lo scontro?

Nell’ultimo mese e mezzo, Donald Trump ha più volte minacciato di non riconoscere il principio di «una sola Cina» e di mettere in discussione la supremazia cinese sul Mar cinese meridionale. I già delicati equilibri tra i Paesi che si affacciano su questa parte di Pacifico cominciano a traballare fortemente. Tanto più che Trump ha dichiarato che chiederà agli «alleati» di coprire finanziariamente la presenza militare americana nell’area. La Repubblica popolare piuttosto che rinunciare a Taiwan è disposta a mettere in discussione i rapporti bilaterali con gli Stati Uniti. E Taiwan piuttosto che cedere alle pretese della seconda economia potrebbe arrivare allo scontro costringendo Usa e Paesi «amici» a schierare flotte e eserciti. Rischia di esplodere anche la Corea del Nord, le cui sanzioni sono sempre state merce di scambio tra Pechino e Washington.

Dal momento stesso in cui Trump verrà ufficializzato 45° presidente degli Stati Uniti, Pechino studierà ogni sua mossa e reagirà con fermezza a ogni sua esternazione. Sul tavolo c’è la stabilità, non solo economica, dell’Asia. Forse anche per questo il dipartimento di propaganda ha rilasciato chiare istruzioni ai media cinesi. Ogni notizia sul rapporto Cina-Usa dovrà «conformarsi a quanto scrive l’agenzia di stampa Xinhua», le notizie sul nuovo presidente andranno «gestite cautamente» e «critiche non autorizzate ai gesti e alle parole di Trump non saranno permesse».

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Da - http://www.lastampa.it/2017/01/20/esteri/esportazioni-pil-ed-equilibri-militari-leffetto-domino-che-trump-rischia-di-innescare-in-asia-KL8eQEI5ZEWP3lyo4zNLbK/pagina.html
5682  Forum Pubblico / ITALIA VALORI e DISVALORI / Stefano CAGELLI. Lo Stato c’è e fa il suo dovere. inserito:: Gennaio 24, 2017, 05:53:02 pm
Focus
Stefano Cagelli - @turbocagio
· 20 gennaio 2017

Lo Stato c’è e fa il suo dovere.
Chi dice il contrario non sa di cosa parla

Errori e disfunzioni ci sono stati, ma sparare nel mucchio mentre i soccorritori sono ancora al lavoro è una follia.
Erasmo D’Angelis: “Questa emergenza va presa come una lezione durissima. La vera svolta è la prevenzione”

Diciamolo subito, a scanso di equivoci. Noi stiamo con la Protezione Civile. Stiamo con le migliaia di eroi (eroi, sì) che con generosità e coraggio indescrivibili, da giorni, stanno facendo di tutto per mettere in sicurezza più persone possibili. Stiamo con il capo della Protezione Civile, Fabrizio Curcio, con il commissario per la ricostruzione delle zone terremotate, Vasco Errani, con i presidenti delle Regioni colpite dal dramma, con i sindaci dei Comuni coinvolti, divenuti oggetto di un vergognoso attacco politico-giornalistico che non fa onore all’Italia.

Non stiamo invece con chi – mentre i soccorritori scavano in mezzo alla neve in cerca di un segnale di vita, mentre chi fronteggia l’emergenza si trova davanti a scelte difficili e dolorose, mentre centinaia di migliaia di persone fronteggiano un vero e proprio cataclisma – non trova di meglio da fare che, nel caldo dei salotti televisivi e delle redazioni, puntare il dito contro l’organizzazione dei soccorsi.

Abbiamo letto veramente di tutto. Da chi accusa Curcio di avere “i morti dell’hotel sulla coscienza” a chi attacca il progetto “Casa Italia”, da chi si riempie la bocca con la mancanza di “una catena di comando” a chi, per esempio un ex capo della Protezione Civile (Guido Bertolaso), senza neppure un po’ di pudore, parla di “inefficienze ed errori”. Chi ancora scrive della “più sgangherata, confusa e ritardataria azione di soccorso della storia per il resto specchiata dalla nostra protezione civile”. Tutte penne raffinatissime.

Intendiamoci. E’ evidente che degli errori sono stati fatti, sulla questione dell’albergo Rigopiano c’è già un’indagine in corso che farà chiarezza, verrà il tempo (ci auguriamo presto) per capire quante e quali siano le responsabilità. Ma siamo davanti a una serie di eventi davvero eccezionali. Una nevicata che non si vedeva da trent’anni, a cui va sommato l’interminabile sisma che da mesi sta stritolando un’area enorme, ben superiore, come ha fatto notare, tra gli altri, il fondatore della Protezione Civile Giuseppe Zamberletti.

“Molto di quanto abbiamo letto sui giornali in questi giorni – ci dice Erasmo D’Angelis, capo della struttura di missione di Palazzo Chigi sul dissesto idrogeologico – è classificabile nella categoria ‘bufale’ o ‘fake news’, quando non addirittura di sciacallaggio. L’immagine di Salvini con i doposci nel salotto televisivo di La7 è emblematica in questo senso “. Il che non significa dire che non ci siano stati problemi, anzi. “Certo – specifica D’Angelis – ma un conto è dire che ci sono stati ritardi e disfunzioni, che è inaccettabile che una fetta enorme di popolazione resti senza energia elettrica per cinque giorni a cento chilometri da Roma. Altra cosa è sparare a zero contro una Protezione Civile che abbiamo applaudito lo scorso agosto e lo scorso ottobre e che dobbiamo applaudire ancora oggi perché ci sta mettendo l’anima “.

L’ultima cosa che serve in questo momento è la polemica politica e la caccia al colpevole. “Bisogna andare al di là dello scontro, serve un cambiamento radicale. Siamo di fronte ad un’emergenza impressionante, straordinaria, mai vista prima. Un’emergenza che va presa come una lezione durissima e che merita una mobilitazione nazionale, che ci permetta di porci un obiettivo storico: passare da inseguire le emergenze a fare, finalmente, prevenzione. Questo Paese è uno ‘showroom’ di grandi rischi, abbiamo 6 milioni di abitazioni in zone sismiche che possono crollare”.

In questo senso, tiene a sottolineare D’Angelis, lo Stato c’è e ci sarà: “Chi non ha mai vissuto le emergenze del passato sulla propria pelle evidentemente straparla. Io ho fatto il mio primo intervento come volontario della Protezione Civile nel terremoto in Irpinia. Allora si scavava solo mani nude, le divise non si vedevano. Oggi lo Stato c’è e fa il suo dovere “.

E per fare il proprio dovere, oggi, significa “ricordarsi che non siamo un paese a rischio solo nei dieci giorni dell’emergenza, ma sempre, tutto l’anno”. In questo senso, qualcosa si è mosso: “La svolta vera del governo Renzi, che continua con Gentiloni, è stata aver messo le fondamenta per un lavoro di lunga scadenza sulla prevenzione. Oggi abbiamo un meccanismo finanziario inserito nella legge di Stabilità, un fondo ‘multiuso’ (comma 140 dell’articolo 1, ndr) tramite il quale lo Stato investe 47,5 miliardi nel periodo 2017-2023 per gli adeguamenti antisismici, l’edilizia scolastica, il dissesto idrogeologico”.

E poi il cosiddetto sisma-bonus, “grazie al quale lo Stato restituisce in cinque anni fino all’85% di investimenti fatti per aumentare la sicurezza anti-sismica e l’efficienza energetica anche di un intero palazzo. Un intervento storico, che mette fine alle polemiche e toglie tutti gli alibi”. Tutti fattori che indicano come si sia presa (finalmente) la strada giusta, con la costruzione di un dipartimento incardinato a Palazzo Chigi che si occupa di prevenzione a lungo termine.

Con buona pace di chi, per sparare nel mucchio, già ironizza sul piano “Casa Italia”, bandiera del governo Renzi. Il primo vero piano di prevenzione mai concepito in Italia.

Tornando all’emergenza di questi giorni, poi, c’è chi fa una gran confusione sulla cosiddetta ‘diarchia’ tra il capo della Protezione Civile Curcio e il commissario del governo Errani. “Una polemica senza senso”, specifica D’Angelis. “Errani è il commissario per la ricostruzione, un processo lungo, che prevede un investimento di 7 miliardi di euro. E’ un amministratore che ha messo in sicurezza e avviato la ricostruzione nella sua Regione, dopo il terremoto del 2012, in cui tutto sta funzionando secondo il cronoprogramma prefissato”.

Un compito, quello affidato ad Errani, che non entra in alcun modo in conflitto con il ruolo di Curcio. Altra cosa è dire che la Protezione Civile sia perfetta così com’è. “Si tratta di una struttura a rete, molto articolata sui territori. Molti sindaci, per esempio, non sanno di essere di capi della Protezione Civile locale. Il sistema va migliorato ma non da oggi. E soprattutto non è che oggi stia peggio di quattro o cinque anni fa”. Un messaggio alle critiche di Bertolaso? “Bertolaso – conclude D’Angelis – ha fatto un grande lavoro quando era capo della Protezione Civile, aumentandone l’efficienza. Detto questo, farebbe bene a non esagerare e non dare troppe lezioni “.

Da - http://www.unita.tv/focus/terremoto-neve-stato-polemiche-protezione-civile-dangelis/
5683  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Prodi rilancia il modello Ulivo: “Un centrosinistra unito non è irripetibile” inserito:: Gennaio 24, 2017, 05:50:40 pm
Prodi rilancia il modello Ulivo: “Un centrosinistra unito non è irripetibile”
L’ex premier: «C’è un naturale bisogno di stare insieme».
Bersani: «Parole sacrosante»

Pubblicato il 21/01/2017 - Ultima modifica il 21/01/2017 alle ore 16:06

Quella del centrosinistra unito «non penso sia un’esperienza irripetibile. Non penso sia irripetibile, soprattutto dopo quello che sta succedendo. Io vedo che la gente ha bisogno di sentirsi unita in questo mondo che si disgrega, con Trump, con la Brexit, con le crepe che arrivano dappertutto. Io vedo che c’è un naturale desiderio di riunirsi ma è uno sforzo che non mi sembra impossibile». L’ha detto Romano Prodi, a Bologna rispondendo a una domanda sul dibattito interno al Pd sulla necessità di `un nuovo Prodi´? 

Per Prodi, è però necessario «riunirsi su delle idee, su un rinnovamento. Perché riunirsi per riunirsi non serve e niente. Il grande problema è ricominciare a parlare di politica. Di problemi veri come la distribuzione del reddito, l’occupazione, la scuola, pensare nel lungo periodo e non nello scontro quotidiano per riformare una società che è diventata profondamente ingiusta. Perché le basi di queste tensioni - ha concluso - sono date dall’ingiustizia».

Per Bersani quelle di Prodi sono «parole sacrosante». Il Professore ha parlato di «centrosinistra unito» come esperienza «non irripetibile» e sulla necessità di ricominciare a ragionare su politica e riformismo di sinistra. «Penso che siano parole sacrosante e che sia l’ora, per chiunque la pensi così, di metterci impegno e generosità», sottolinea Bersani. 

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Da - http://www.lastampa.it/2017/01/21/italia/politica/prodi-rilancia-il-modello-ulivo-un-centrosinistra-unito-non-irripetibile-c4YBDqX4ScUazBHCKZbUpK/pagina.html
5684  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / Marco RIZZO Cos’è la “protezione” per un elettore di centrosinistra inserito:: Gennaio 24, 2017, 05:45:00 pm
   Opinioni
Marco Rizzo   
· 20 gennaio 2017

Cos’è la “protezione” per un elettore di centrosinistra
La sfida vera della sinistra, oggi, è governare la globalizzazione


Il dibattito di questi giorni sul destino dell’Unità è accesso più che mai. Tra le varie cose emerse fuori, con estremo piacere ho letto le dichiarazioni del Direttore Staino sull’obiettivo di fare un giornale che potesse dar vita ad un dibattito ampio e spazio al contradittorio per tutto il campo del centro-sinistra. Ho sempre creduto che la collettività sia ciò che contrassegna questo campo di idee politiche rispetto ad una visione individualista del centro-destra.

Questa premessa, da declinare poi in idee approfondite, dovrebbe segnare la divisione in un ideale orizzonte bipolare italiano. Sulla base di questo dibattito, vorrei cogliere l’opportunità di poter articolare, secondo la visione di un elettore, la nozione di protezionismo del centro-sinistra che una parte del partito auspica e che, leggendo l’articolo del direttore Romano su questo giornale, è stata costruttivamente criticata.

Quel concetto di protezione, come declinato in alcune parti della sinistra, non è illusione a detta di chi scrive. La sfida vera della sinistra, oggi, è governare la globalizzazione. Questa enorme partita investe tutti i campi della nostra vita e la sanità, le disuguaglianze, l’occupazione giovanile e il seguente intergenerational divide (espressione per indicare il carico contributivo che sarà sempre più pagato dalle nuove generazioni) sono argomenti che dovrebbero impensierire la classe dirigente (del PD e non solo) giorno e notte.

Sono proprio questi gli argomenti su cui si richiede quel senso di protezione, da parte di coloro che si sentono esclusi, che vogliono che la politica riacquisti un senso reale, vicino alle persone e “capace di toccare il cittadino ed il consumatore”, per riprendere Bersani (citato nell’articolo), che ha sempre adoperato queste espressione per rendere il vero significato delle sue “lenzuolate”, con cui indicava le sue politiche di liberalizzazione durante i governi Prodi.

Ricordo con curiosità quando durante la trasmissione Otto e Mezzo venne intervistato, il giorno dopo la Brexit, l’ex Premier Letta, che parlava subito della necessità di rilanciare il Programma Erasmus Pro per i giovani, come primo step per far sentir viva l’idea di Europa ed avvicinare, in tempi di totale sfiducia, i cittadini ad un’idea, ad un progetto. Non è illusione chiedere protezione quando la tecnologia avanza e si legge di tutto sulle future conseguenze lavoro (leggere l’istituto McKinsey Global Institute, secondo cui le macchine sostituiranno per il 49% i lavori fatti da persone fisiche).

E senza menzionare leader e politiche sbagliate, ma quella sinistra a cui Bersani fa riferimento degli anni novanta e primo decennio del duemila, qualche colpa ce l’avrà pure. Basterebbe pensare al dibattito delle politiche liberiste degli ultimi venti anni per aprire un’ampia riflessione. E non parlare solo di opportunità e ripartire. Di vecchio contro nuovo.

Quella può sembra l’illusione, che tutto cambi per non cambiare. Alla fine, i cittadini eleggono politici e cercano, quando possibile, di scegliere la classe dirigente per un unico scopo: risolvere i problemi. Ed il provare a farlo, metterci impegno e la faccia, è anche quella protezione. E non illusione.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/cose-la-protezione-per-un-elettore-di-centrosinistra/
5685  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / Riccardo NOCENTINI. Il Pd deve essere capace di elaborare politiche pubbliche inserito:: Gennaio 24, 2017, 05:33:14 pm
Opinioni
Riccardo Nocentini - @nocentinir
· 19 gennaio 2017

Il Pd deve essere capace di elaborare politiche pubbliche
Il Partito Democratico deve avere un progetto politico e un progetto organizzativo, ma un altro aspetto fondamentale della politica di un partito sono le politiche pubbliche

Nel Pd non serve un responsabile del programma, ma un responsabile per le politiche pubbliche e di Indicatori di produttività politica.

Parlare di programma è riduttivo perché parla soltanto di un momento precedente alle elezioni, serve al partito per essere convincente, ma dopo? Parlare di politiche pubbliche e non solo di programma ha uno spettro più ampio che riguarda l’attuazione, o meglio lo svolgimento, del programma.  Ogni politica pubblica ha un suo complesso ciclo di vita che parte dalla definizione del problema, passa all’analisi delle alternative e all’identificazione delle alleanze, per preparare la negoziazione e poi la decisione. Segue l’implementazione della politica e poi la valutazione.

Il Partito Democratico deve avere un progetto politico -con la propria idea culturale- e un progetto organizzativo -che riguarda il modo di stare insieme nel partito-, ma un altro aspetto fondamentale della politica di un partito sono le politiche pubbliche. Secondo il paradigma internazionale una politica pubblica è un intervento mirato ad una popolazione chiara con l’intento di modificare, quindi, indurre un cambiamento. L’obiettivo delle politiche è quello di provocare un cambiamento tramite l’offerta di servizi, l’erogazione di incentivi, l’imposizione di regole, oppure una combinazione dei tre elementi precedenti.

Il PD deve essere capace di elaborare le politiche pubbliche che entrino a far parte dei programmi con i quali i candidati ai vari livelli, locali, regionali o nazionali, si presentano agli elettori. Ma si deve preoccupare anche del dopo, di seguire le fasi successive di implementazione e valutazione del ciclo di vita delle politiche.  Per far questo è necessario far crescere le competenze dentro il PD puntando sulla formazione e strutturando “centri di eccellenza” per sviluppare le capacità individuali, promuovere l’apprendimento organizzativo e gli skills per formulare le politiche.

Come dimostrano i policy studies (T. Lowi) in molti casi sono le politiche che determino la politica, quindi la politica dipende dai contenuti delle varie politiche pubbliche. Il progetto politico e l’organizzazione del PD dipendono anche dai contenuti delle politiche che porta avanti nei vari ambiti: diritto alla salute, welfare, lavoro, fisco, riforma della giustizia e della pubblica amministrazione.

Quello che lega e tiene insieme Istituzioni, amministratori e partito sono le policies, le politiche pubbliche che vanno elaborate, discusse, definite, implementate e poi verificate per ridefinirle e migliorarle.

Sulla spinta dell’Europa il tema della valutazione è diventato centrale nelle nostre amministrazioni, non solo quando si parla di finanziamenti europei, ma anche per il funzionamento delle amministrazioni statali, degli enti locali, delle aziende USL e della scuola. La cultura della valutazione non è solo una verifica del lavoro fatto o che si inizia a fare, bensì e prima di tutto un apprendimento reciproco che permette attraverso il feedback di migliorare le politiche, quindi le risposte che noi diamo ai cittadini.

Il Partito Democratico deve iniziare a pensare in termini di valutazione politico strategica in modo da concentrare la propria azione su obiettivi concreti e su una valutazione che consideri l’impatto delle politiche. Su ogni politica devono essere esplicitati gli obiettivi strategici e su ognuno di questi declinato l’effetto atteso, quello su cui ci aspettiamo vada a incidere ognuna delle politiche. Inoltre è utile definire degli indicatori di produttività politica che devono servire non tanto per una misurazione, quanto per essere il frutto della nostra ricerca di un significato, cosa riteniamo sia utile per valutare le nostre politiche. Questo richiederà discussione all’interno dei vari partiti territoriali ad ogni livello, anche promuovendo uno sforzo di creatività.

Gli indicatori potrebbero riguardare 3 ambiti fondamentali:
1) “Realizzazione delle finalità istituzionali” riguardo all’erogazione di un servizio, oppure un bando che concede finanziamenti o anche i tempi di una autorizzazione, o anche lo stato di avanzamento di un progetto o programma
2) “Consenso” riguarda l’interpretazione o definizione dei bisogni, la fiducia nelle istituzioni, la creazione di significati e valori politici
3) “Rapporti con il partito” è un indicatore che vuole stimolare una relazione più stretta tra partito e amministrazioni anche ad esempio aumentando il numero di riunioni o di iniziative fatte insieme

Da - http://www.unita.tv/opinioni/il-pd-deve-essere-capace-di-elaborare-politiche-pubbliche/
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