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Autore Discussione: LUCIA ANNUNZIATA -  (Letto 133454 volte)
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« Risposta #195 inserito:: Febbraio 26, 2013, 10:09:59 pm »


"Dio salvi l'Italia"

Pubblicato: 26/02/2013 00:01

Lucia ANNUNZIATA

La coalizione del centro sinistra ha vinto sulla carta. La sua è una vittoria così risicata da costituire una sconfitta rispetto al compito che dovrebbe (e vorrebbe) svolgere.

Il vincitore reale di queste elezioni è il Movimento 5 Stelle. Lo è per ragioni numeriche perché è il primo partito italiano, ma lo è soprattutto per ragioni sostanziali: è Grillo ad avere raccolto il consenso di chi vuole cambiare il sistema, e ad aver dato forma a quel ricambio generazionale - da così tante parti voluto e augurato per l'Italia. Il Movimento coagula insomma intorno a sé tutte le spinte "rivoluzionarie" che finora aveva mobilitato la sinistra. Poi, magari, scopriremo che anche questa è una illusione: ma per una buona parte della sinistra l'alfiere del cambiamento oggi non sono più né il Pd, né Di Pietro, né Ingroia, né Vendola, ma le bandiere stellate.

Al secondo posto della vittoria si colloca Silvio Berlusconi - proprio lui, in persona, dal momento che la scalata al cielo della ripresa elettorale è tutta dovuta al leader, che ha riaffermato il suo ruolo. La ragione di questo buon risultato è lapalissiana - le promesse di Silvio Berlusconi hanno ancora un forte consenso.

Ammetto tranquillamente che mentre mi aspettavo una forte affermazione di Grillo e consideravo evidente il default in cui si muove il sistema italiano, non avevo previsto la ottima performance di Silvio. E nemmeno la risicata affermazione del Pd.

Ancora una volta, come nel 2006, il Pd è partito con un vantaggio di quasi una decina di punti, ed è arrivato malamente al traguardo. Questa caduta deve ora aprire una discussione nel Pd. Per quel che mi riguarda è abbastanza evidente che, qualunque sia la ragione, il partito di Bersani non ha dato il senso di un cambiamento, nonostante le primarie, e non è riuscito a rassicurare sul lavoro. Sarebbe stato differente, si dice, se a correre come premier fosse stato Renzi. Io sono stata fra i Renziani, ma credo che con senno del poi non si può davvero riscrivere la storia.

Un altro senno del poi si applica in queste ore anche al risultato della lista di Mario Monti. "Se fosse rimasto da parte oggi Monti avrebbe potuto essere la figura intorno a cui costruire un nuovo governo di riforme/di transizione", si dice. "Vero, ma il quadro uscito dalle urne è comunque troppo frammentato per permettere una semplice soluzione "tecnica". Monti ha voluto "metterci la faccia", e la sua scelta, che non gli ha certo portato il consenso che sperava, rimane a mio parere una scelta più "coraggiosa" di quella di stare ad aspettare nell'ombra, protetto dal fango dello scontro politico, ad attendere su un piatto d'argento un premio istituzionale.

Ma tutto questo, cioè la discussione sul perché e il per come, è per molti versi già parte del passato. Il problema che le urne ci consegnano è che nessuno dei tre maggiori partiti ha i numeri per una solida maggioranza.

In altre parti di questa testata (vedi il blog del costituzionalista Ceccanti) si spiega il percorso ad ostacoli del percorso istituzionale fra governo che non c'è e governo che dovrebbe esserci. Un altro intervento (il blog di Andrea Bassi) spiega il meccanismo economico di cui siamo prigionieri e la aggressività con cui i mercati sono pronti a sbranarci.

La sostanza di tutti questi ragionamenti è che non possiamo non avere un governo, eppure non si riesce a capire come lo si costruisce. Questo è il catch 22 che domina a questo punto la nostra politica.

Le ipotesi per uscirne non sono molte. La più semplice da un punto di vista numerico è una grande coalizione Pd e Pdl - ma è una soluzione che va contro ogni altra indicazione di cambiamento espressa dal voto. Avallerebbe l'idea dei Grillini che il Parlamento sopravvive solo sull'inciucio e servirebbe solo ad aumentare esponenzialmente la perdita di consenso dei due partiti.

L'altra possibilità, che si contempla in queste ore, è che il Pd lanci una "Opa" (Offerta pubblica di alleanza), magari anche solo temporanea e di scopo, ai Grillini, per fare le riforme istituzionali e su questo vedere poi cosa si può costruire. Ma il Movimento 5 Stelle non sembra incline a esplorare tale possibilità, dopo che Bersani e Vendola sono stati fin qui dichiarati defunti.

Silvio Berlusconi da parte sua ha chiesto che il Viminale riconosca la parità del risultato - così nei fatti delegittimando la pur esile vittoria del Pd. Del resto, la sua è la posizione di maggior comodo: vincitore senza davvero esserlo, può restare in un ruolo di denuncia ed opposizione - filando magari tatticamente quando è necessario, e senza nemmeno dichiararlo, con i Grillini.

Gli Inglesi terminano ogni discorso con un "Dio salvi la Regina". Al momento ci viene da parafrasare con un "Dio salvi l'Italia".

da - http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/dio-salvi-litalia_b_2761702.html?utm_hp_ref=italy
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« Risposta #196 inserito:: Febbraio 28, 2013, 11:56:33 pm »


E il Sistema si risvegliò grillino

Pubblicato: 27/02/2013 14:42

Lucia ANNUNZIATA

C'è qualcosa di imbarazzante nello svegliarsi e ritrovarsi in un sistema che improvvisamente abbraccia un partito che da tre anni nel peggiori dei casi ha insultato, nel migliore ignorato.

Una straordinaria operazione di gattopardismo è in corso, il cambiare per non cambiare, nostra specialità nazionale. La si può seguire live, minuto per minuto, mentre si ingrossa, si fa flautata, prende le misure, e poi si aggiusta. Non sia mai che in Italia non si sia con il vincitore.

Non sto condannando l'offerta di collaborazione da parte di Bersani a Grillo. L'alternativa, quella di formare un governo fra il Pd e Berlusconi è impossibile anche solo da immaginare, dopo tanti anni di scontri così laceranti.

Però, lo sdoganamento da parte di Pier luigi Bersani di un partito di cui il Pd fino al giorno del voto non si era mai nemmeno voluto accorgere, va chiamata quel che è. E non è la "rigenerazione" del Partito Democratico, e nemmeno la riscoperta di una piattaforma "comune", come dicono alcuni, ma una operazione politica obbligata.

Ma una cosa è fare alleanze politiche, altro è, come sta succedendo nel paese, fare operazioni di camuffamento ideologico.

Nell'entusiasmo con cui l'Italia (quella di sinistra ma con una buona rappresentanza di quella di destra) scopre i Grillini c'è molto retropensiero, e altrettanto ce n'è , azzardo, da parte dei Grillini stessi.

Il vero scopo del Sistema ( esse maiuscola obbligata in questo caso) è addomesticare questa forza che lo critica.

Non costituisce uno scoop raccontarvi quel che si dice in giro. Nel quadrilatero dei Palazzi romani si sussurra "ma guardati intorno, quando arriveranno qui piano piano anche loro si aggiusteranno". E' il solito gioco: vedrete l'effetto che fanno gli ori, gli incarichi, i quadri antichi, i corazzieri che scattano (ebbene si, se Grillo andrà alle consultazioni al Quirinale ci sarà una intera fila di corazzieri a sbattere i tacchi e a fare il saluto). Il senso di rilevanza che ti viene dal poter governare il tuo paese è un afrodisiaco sul cui altare sono rimasti intossicati tanti destini : come si spiegherebbero altrimenti gli straordinari errori fatti da tanti ( e tante) pur di rimanere in quel quadrilatero?

In effetti, la vicenda politica che più ricorda quella dei Grillini oggi, sembra avere proprio questa morale: quando la Lega arrivò venti anni fa, si materializzò sulla scena con la stessa irruenza e lo stesso distacco del M5S... "e guardate come è finita", dicono le vecchie volpi. E effettivamente il viaggio ideale leghista da quei primi anni in cui mangiavano solo in pizzeria e stavano a Roma solo il minimo necessario, fino agli abusi del denaro pubblico, è uno dei più deprimenti passaggi della storia recente.

Il retropensiero del sistema sui Grillini è dunque che sono dei provinciali e, soprattutto, degli sprovveduti. Basterà aprirgli le porte e si adegueranno.

Ma i Grillini, immagino, essendo un movimento così "alternativo", siano rafforzati contro le lusinghe di qualche lustrino e un po' di immagine. Pragmatici, tattici, e alternativi, appunto, finora hanno seguito la felice tattica di "entrare" nel sistema ma per "aprirlo come una scatoletta da tonno". Questo è il loro obiettivo politico. Confermato già stamattina dalla risposta drastica con cui Grillo ha rimandato al mittente la "apertura" di Bersani.

Magari il dialogo fra Pd e M5S non si chiude qui, ma Grillo è un capo politico che ha creato dal nulla e in breve tempo un partito di successo: è inimmaginabile che ora "ceda" generosamente a quel sistema cui si contrappone (e che considera "morto") la guida dei suoi voti. Come tutti i leader, ha bisogno invece del potere massimo per mettere in atto il suo programma. Meno di Palazzo Chigi non credo che ci sia nella sua testa.

L'atteggiamento più serio in questo momento, viste le circostanze, sarebbe quello di rispettare la diversità di Grillo, aprire un vero canale di dialogo (non mirabolanti offerte di governo insieme) ma mantenendo ciascuno le proprie identità, e misurandosi da forza politica a forza politica, da quel che si è. Senza finzioni.

da - http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/e-il-sistema-si-risveglio-grillino_b_2772971.html?utm_hp_ref=italy
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« Risposta #197 inserito:: Marzo 31, 2013, 07:42:53 pm »


Contenta che Lei resti, Presidente. Ma i saggi fanno miracoli?

Pubblicato: 30/03/2013 20:02


La decisione di Napolitano di formare due gruppi di lavoro ci fa piacere soprattutto perché, dopo aver temuto per sue dimissioni, ci lascia in compagnia del Presidente fino all'ultimo giorno di mandato.

Nel merito, tuttavia, sono scettica.

Possono due Commissioni, per quanto formate da personalità eccellenti, di fatto "negoziatori supplementari", individuare proposte condivise in un paese così diviso da essere arrivato a questo punto di stallo? Può un gruppo di saggi fare (e in pochi giorni, visto che il 15 aprile inizia l'iter per l'elezione del Presidente della Repubblica) quel miracolo che lo stesso Napolitano non è riuscito a fare, cioè trovare una base su cui indicare un nome che faccia il governo?

Può essere. Vista la rilevanza dei nomi, sarò contenta di essermi sbagliata.

Alcuni, in queste ore, pongono delle domande sulla correttezza istituzionale del ruolo di questo gruppo di saggi. Non credo che ci siano problemi - il Quirinale sa di certo cosa fa in merito, visto che è il guardiano della Costituzione. Ma, oltre ad essere costituzionale, l'indicazione dei saggi è anche rispettosa delle attese di noi cittadini?

Con il voto si scelgono i nostri rappresentanti in Parlamento; poi, chi ha la maggioranza governa. Se la maggioranza non si trova il Presidente indica nuovi nomi, nuove formule, fino a trovare una maggioranza. Sennò si torna a votare. Ma Napolitano non può sciogliere le Camere perché a fine mandato.

Queste Commissioni sono dunque un ulteriore passaggio che si infila in questa sequenza di passaggi aumentando, diciamo così, lo spazio delle consultazioni; disegnando per Napolitano un percorso che permetta al Presidente di "costruire" il consenso dei partiti lì dove andando alle Camere, à la carte, questo consenso non si trova.

Sembra un percorso giusto, ma nei fatti (e qui ritorno al peso della realtà) vi si cela il forte rischio di creare una camera di compensazione alla incapacità dei partiti stessi.

Può funzionare, come dicevo. Tuttavia, noi non abbiamo votato per questi saggi, ma per i nostri parlamentari. I quali, tanto per parafrasare il vecchio Franklin Roosevelt, non saranno perfetti ma sono pur sempre i nostri parlamentari.

L'ultimo dubbio: che l'incarico a queste (tutte ottime, ripeto) persone sia solo l'ennesima soluzione all'italiana - quando non sai cosa fare, fai una commissione. È il modo migliore per fare senza fare, e, soprattutto, per procrastinare.

Che alla fine, forse, è tutto quello che serve: arrivare con una certa dignità, di fronte ai cittadini italiani e ai mercati internazionali, all'elezione per il Presidente della Repubblica, fra due settimane.

da - http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/contenta-che-lei-resti-presidente_b_2985407.html?utm_hp_ref=italy&utm_hp_ref=italy
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« Risposta #198 inserito:: Aprile 01, 2013, 11:16:12 pm »


Se non c'è maggioranza seria, al voto subito.

Di elezioni-non-fatte è morta la Seconda repubblica

Pubblicato: 27/03/2013 17:38

Lucia ANNUNZIATA

Le sirene della stabilità hanno ripreso a cantare: governo comunque, governo a tutti i costi, governo in ogni caso. In nome dell'interesse nazionale.

Ma siamo davvero sicuri che l'interesse nazionale sia servito al meglio da un governo comunque? Prima che Bersani salga al Quirinale, in condizioni in cui è evidente che non ha nessuna maggioranza, è meglio chiarirci su questa domanda.

Ma se la sua soluzione dipende da un patchwork di voti di gruppi non omogenei fra loro (Lega, Monti, fuoriusciti vari?), da manovre parlamentari (il Pdl che esce dall'aula per abbassare il quorum?) o, ancora peggio, da trattative non trasparenti sul futuro capo dello stato (non voglio prendere nemmeno in considerazione alchimie intorno alla conferma dell'attuale capo dello stato che è persona troppo seria per tali trame), pensiamo davvero che i cittadini e il resto del mondo potrebbero sentirsi rassicurati da questi castelli di carta? Meglio il voto subito.

Meglio tornare subito alle urne che infilarsi in un governo debole. Per quanto pericoloso, e incerto, sia un nuovo voto, sarebbe almeno da parte della classe dirigente una presa d'atto della profondità della crisi, nonché un atto di fiducia nei cittadini.

Una delle ragioni che si può portare a favore di questa posizione è che di elezioni-non-fatte è morta la Seconda Repubblica.

I governi messi insieme alla meglio, gli esperimenti politici audaci, sul filo delle regole, in nome "della stabilità" del paese sono stati una vera e propria malattia di questo ultimo ventennio. Una malattia di cui, purtroppo, è stata più affetta il centrosinistra di ogni altra forza - e anche questo è un elemento su cui ragionare in queste ore.

Con risultati sempre peggiorativi: a ogni "pasticcio" cucinato per Palazzo Chigi ha sempre fatto seguito solo un ulteriore avvitamento del sistema.

Ricorderei qui il primo caso di questa febbre istituzionale, il "ribaltone" Dini con cui nel 1994 il centro sinistra ci si liberò di Silvio Berlusconi senza incorrere nel pericolo di sfidarlo di nuovo nelle piazze. Il governo tecnico raffreddò per un po' il sistema, e diede modo alla sinistra di vincere la sfida elettorale successiva, nel 1996. Ma solo in apparenza. L'operazione Dini infatti rafforzò definitivamente Silvio Berlusconi, confermando presso una buona parte dell'elettorato italiano la natura infida della sinistra e lo status di vittima della stessa del Cavaliere.

Il governo del ribaltone non portò tuttavia fortuna nemmeno al centro sinistra la cui vittoria venne piagata da manovre di palazzo fin dall'inizio. Non a caso a soli due anni dal suo insediamento cadeva Romano Prodi, e ci si dovette porre di nuovo la domanda: tornare o meno al voto. Si decise di no, per il solito richiamo alla responsabilità (rinforzato allora dal conflitto in corso nei Balcani), e D'Alema andò a Palazzo Chigi. Ma lui stesso senza la stabilità necessaria che un voto popolare gli avrebbe assicurato. Un errore gravissimo che come tale D'Alema ha riconosciuto nel suo recente libro intervista con Peppino Caldarola. La decisione di non tornare alle urne avviò un lungo periodo di tensioni dentro e fuori il governo di centro sinistra, che infatti cambiò altri due governi in tre anni, tutti espressione di accordi di Palazzo. Contribuendo non poco a formare quella immagine di Casta che ha perseguitato da allora le elite politiche.

La scelta tra votare o meno si è ripresentata ancora per il secondo governo Prodi che vinse di poco nel 2006 e durò solo 722 giorni. Governo brevissimo, che servì a ridare a Berlusconi una maggioranza schiacciante nelle urne, nel 2008.

Salvo dover anche lui uscire da Palazzo Chigi anticipatamente sotto il giogo di una crisi senza precedenti. Le sirene della responsabilità alla sua uscita intonarono subito il canto "governo, governo", per dare affidabilità all'Italia di fronte alle istituzioni internazionali. E invece delle elezioni arrivò un ennesimo governo senza voto, sul filo delle regole - il governo tecnico affidato a Mario Monti. Anche questo è durato poco, non ha risolto quasi nulla, e, come le urne hanno dimostrato poche settimane fa, sembra essere servito solo a deprimere il paese, frazionare il voto, e incarognire ulteriormente l'umore nazionale.

Nella breve storia di venti anni, c'è scritto insomma una lezione su cui meditare. Non sappiamo se a ognuna di queste congiunture andare alle elezioni avrebbe dato migliore soluzione ai problemi, ma possiamo dire con certezza che ogni governo nato senza maggioranze numeriche e politiche sicure ha peggiorato le condizioni iniziali di crisi.

In questo senso si deve riformulare oggi l'idea di responsabilità. Essere responsabili oggi significa rifiutare l'ennesimo governo debole, l'ennesimo prodotto di alchimie parlamentari e politiche.

http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/se-non-ce-maggioranza-seria-voto-subito-di-elezioni-non-fatte-e-morta-la-seconda-repubblica_b_2964458.html?utm_hp_ref=italy&ref=HREA-1
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« Risposta #199 inserito:: Aprile 11, 2013, 11:46:26 am »


Barca, Renzi, Vendola. E se fossero un po' più simili di quel che appare?

Pubblicato: 07/04/2013 10:32

Lucia Annunziata

Settimana tumultuosa per il Pd.

Tanto da far immaginare l'inizio di una resa dei conti fra le molte aree e ambizioni interne. Al punto che non è mancato chi ha evocato lo spettro della scissione. Non sono del tutto convinta, però, che la rottura sia lo sbocco delle vicende che si stanno svolgendo sotto i nostri occhi.

Effettivamente, Matteo Renzi, Nichi Vendola e Fabrizio Barca nel giro di pochi giorni hanno cambiato il panorama interno del partito; ciascuno a proprio modo.

Il Sindaco di Firenze ha rotto le esitazioni con cui ha ricoperto la sua voglia di contare nella vicenda politica nazionale - tra le altre cose facendo sapere di voler fare pesare la opinione sua e dei suoi circa 50 eletti nella scelta del Presidente della Repubblica.

Il Governatore della Puglia - che ha già preso su di sé dopo le elezioni il ruolo di pontiere fra il partito di Bersani e il M5S costruendo convergenze con gli eletti di Grillo su diritti civili, notav, ritiro soldati dall'Afganistan - ha fatto fare un passo avanti al rapporto fra Sel e Pd invitando I due organismi a "mescolarsi". Di fatto avviando una fusione informale ma non per questo meno chiara.

Infine è arrivata la prima confessione - timida ma, anche questa, non meno chiara - da parte di Fabrizio Barca , di interesse "per le sorti del partito". Barca è al momento ancora ministro del governo Monti, ma negli ambienti del Pd intorno alla sua figura da tempo si fanno anticipazioni, o si disegnano scenari, il più importante dei quali quello di futuro leader .

Decisamente, un affollarsi di persone e progetti che appare come inizio inevitabile della competizione per la segreteria e per la identità del Pd, con Barca e Vendola in un posizionamento più di "sinistra", e Renzi uno più "moderato". Differenze e ambizioni ci sono tutte, ed è sicuro dunque che produrranno calor bianco. Ma produrranno anche una guerra che sfascerà l'attuale partito?

Su questo sono ottimista. I tre uomini ( ma va anche immaginato che non rimarranno i soli a scendere in campo in un processo di rinnovamento) hanno in comune un elemento più forte delle stesse differenze: la cultura di governo. Ad essere più precisi, tutti e tre sono quel che sono oggi perché si sono formati in esperienza di governo, da sindaco, ministro, e governatore. Nessuno di loro è un "politico puro", una creatura di partito, o di scranni parlamentari .

Renzi certo è uno dei sindaci della generazione che ha criticato l'ideologia corporativa e assistenziale divenuta sinonima di funzione pubblica. Famosi , e ancora oggi significativi, sono i suoi scontri con il sindacato. Ma la sua idea liberista rimane tutta rappresentata dallo Stato.

Così come è alla gestione pubblica che Barca e Vendola affidano la pietas e lo stimolo dell'equilibratore dello sviluppo.

Tutti e tre ,insomma, ancorano la loro visione politica al ruolo dello Stato, non del settore privato, né di una economia pienamente di mercato. In questo rimanendo tutti e tre in piena tradizione della sinistra.

da - http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/barca-renzi-vendola-e-se-fossero-un-po-piu-simili-di-quel-che-appare_b_3031446.html?utm_hp_ref=italy&utm_hp_ref=italy
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« Risposta #200 inserito:: Aprile 14, 2013, 11:20:53 pm »


Prodi e il Sudoku grillino

Pubblicato: 13/04/2013 19:01


Lucia ANNUNZIATA

Non capisco come il sistema politico possa essere in diniego così assoluto. Piaccia o meno, Grillo e il suo movimento hanno vinto qualunque partita sia stata giocata fin qui. E ora, con il voto online per indicare il nuovo Presidente della Repubblica, hanno trovato il modo per condizionare anche la scelta per il Quirinale.

La tattica del M5S è stata per altro semplicissima. Il rifiuto di fare accordi sia con Bersani che con Berlusconi ha bloccato ogni tatticismo parlamentare riducendo le alleanze alla sola opzione Pd/Pdl. Una possibilità che ha fatto subito riemergere dentro il centrosinistra, e non solo, tutte le mai sopite tensioni sul rapporto fra le due coalizioni (inciucio o no?).

Stesso approccio per l' elezione presidenziale.

La selezione online del candidato dei cittadini di Grillo sembra una mossa minoritaria e di scarsa legittimità: il Presidente in Italia viene eletto dal Parlamento, dopotutto, e non con il consenso popolare diretto. Il voto online potrebbe essere dunque considerato poco più di un gioco.

Ma la forte richiesta di partecipazione diretta che si respira in questi tempi dà al metodo online la legittimità "emotiva" di un mini- referendum. Non solo: il gruppo selezionato dai M5S smuove il Sudoku politico in cui siamo bloccati.

La rosa contiene infatti una possibile soluzione alla attuale paralisi: almeno due dei nomi dei dieci, Bonino e Prodi, sono candidati che il Pd potrebbe votare. Dunque, se solo si volesse, da questo momento una maggioranza fra M5S e Pd ci sarebbe. Viceversa, se nessuno dei due candidati in comune fra Pd e M5S sarà eletto, i cittadini di Grillo potranno urlare alla "svendita" del Pd, incastrandolo, ancora una volta, alla sua ambiguità.

Silvio Berlusconi, che ha ben capito la delicatezza di questo snodo, non a caso davanti a migliaia dei suoi fan a Bari ha tracciato una linea di guerra proprio sulla elezione di Prodi a Presidente.

Come si vede, la natura della vittoria del M5S è nella dinamica che è riuscito ad innescare, obbligando tutti a concentrarsi su tutto quello che è nuovo. Definendo la "novità" non con criteri generazionali, alla Renzi (nella rosa per il Quirinale sono tutti molto avanti negli anni), ma di "estraneità" al sistema come fin qui conosciuto.

La forza trainante dei cittadini grillini è possibile che non sia profonda, e nemmeno duratura. Nel giorno per giorno, i nuovi eletti faticano. Appaiono sprovveduti di soluzioni concrete, e incapaci di muoversi su tutti i versanti della società, non solo quello parlamentare - è significativo che sulle questioni del lavoro e della crisi, in questo momento al centro delle scelte più urgenti, siano assolutamente muti.

Ma questi limiti non diminuiscono l'impatto avuto dai grillini. La politica italiana è nelle mani dei loro veti e consensi. E se il Parlamento è la testa del Paese, è il caso di aspettarsi un inevitabile effetto trickle down, come nella famosa teoria economica così cara a Reagan.

da - http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/prodi-e-il-sudoku-grillino_b_3076634.html?utm_hp_ref=italy
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« Risposta #201 inserito:: Aprile 28, 2013, 12:04:32 pm »


Un governo perbene, di ricambio generazionale, ma debole

Pubblicato: 27/04/2013 22:04

Lucia ANNNUNCIATA

Un governo per bene, con un segno di forte ricambio generazionale, ma debole. In cui le figure piu' forti sono I tecnici , e non I politici. Un governo il cui dna politico maggioritario e' quello che discende dall'aria dc( ce ne sono 6, a cominciare dalle dominanti figure del Premier e del Vicepremier; e due sono di Cl, cosa che a mia memoria non e' mai successo), in cui I diritti non sono rappresentanti da figure forti , in cui il tema lavoro e' sostanzialmente fuori, tutto affidato com'e' alle sole spalle (pur larghissime) del Presidente Istat, e in cui, cosa ancora piu' rilevante di questi tempi, non c'e' nessuna figura che parli all'anticasta. Questo e' in poche parole il mio giudizio sull'esecutivo Letta. Immagino che questa media intensita' politica sia pensata come la ricetta che serve per "riconciliare" il paese, che e' l'obiettivo dichiarato del presidente Napolitano nell'avere cosi' tenacemente perseguito questa operazione. Sicuramente l'assenza dei signori della Guerra della seconda repubblica ha l'effetto positivo di sgombrare il campo da troppi rancori accumulati, troppe storie irrisolte. Ma la conclusione di un ventennio di scontri laceranti in un paese e' una questione etica? Una questione estetica, di adrenalina, di umori? In altre parole - per rappacificare l'Italia ci serve un governo di "tranquilli", di gente "che va d'accordo"? Di persone che sanno mediare? Va detto, a questo punto, semmai non ve ne ricordaste, che mi colloco tra chi ha partecipato pienamente agli scontri e alle passioni della Repubblica che si conclude. Dunque gli occhi con cui guardo al governo Letta appena formatosi sono certamente annebbiati. Ma il vantaggio di navigare nelle passioni del passato e' che chi vi sta dentro puo' almeno dire con certezza quel che serve per superarle. In Italia ci siamo "scannati" piu' o meno a bassa intensita' ( dalle prese di posizione di moderati come me, ai visionari rifiuti di chi non ha mai fatto passare nulla ai propri avversari) per ragioni concretissime, non ideologiche. Abbiamo avuto per venti anni soluzioni diverse fra destra e sinistra per questo paese: sul lavoro, sulle tasse, sui diritti civili, sul sud e sul nord, sulle donne e sugli uomini, su fede e laicita', su potere e politica, su gestione della cosa pubblica e liberta' individuale. Queste diverse visioni si sono acuite negli anni a causa di una crisi sociale economica che ha reso I margini di mediazione fra le parti cosi' sottili da essere ormai inutilizzabili. La pacificazione sociale che , e' vero, e' il diritto di ogni cittadino a vivere nelle migliori condizioni possibili, non e' un atto d'amore reciproco. E' una soluzione concreta dei conflitti. In altre parole: l'Italia si pacifichera' se si sapra' dare soluzione "condivisa" ai suoi problemi. E questi problemi oggi si avvitano non intorno a chi e' di destra o di sinistra, ma intorno a disoccupazione , paura del futuro e sfiducia in una classe politica avvertita come parte del problema non come risolutrice del problema. Puo' darsi che il governo che sta nascendo fara' tutto questo. Io non me ne auguro il fallimento, perche nessun cittadino puo' augurarsi che il gruppo che guida il paese non sia adeguato. Seguiro' dunque con doverosa attenzione ogni passo che sara' fatto da Letta e dai suoi uomini e li giudicheremo senza pregiudizi. Per altro tre di loro sono blogger di questa testata. Ma penso che la costruzione dell'intero edificio di Enrico Letta guardi piu' alle camere interne della politica che a quello che c'e' fuori; che abbia uno sguardo piu' sulle alchimie della compensazione fra le diverse posizioni dei partiti e del parlamento che sul tumulto che divide il paese. Temo, insomma, che sia troppo debole per il vigoroso compito di guidare una nazione in un passaggio del genere. Vedremo.

da - http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/un-governo-perbene-di-ricambio-generazionale-ma-debole_b_3170965.html?utm_hp_ref=italy&ref=HREA-1
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« Risposta #202 inserito:: Maggio 15, 2013, 12:03:52 pm »


Il sogno di un week end di pacificazione rovinato dal ciclone della realtà

Pubblicato: 11/05/2013 22:36

Lucia ANNUNZIATA

Doveva essere un fine settimana di raccoglimento. Niente distrazioni, spiritualità della natura, il peso delle preoccupazioni quotidiane abbandonate come la giacca dell'abito quotidiano da lavoro. Enrico Letta è un uomo che conosce bene l'efficacia di questi rituali da grande club intellettuali come Aspen , o Pontignano.

È probabile dunque che sia stato l'entusiasmo per le sue esperienze a dettargli quel twitter così inatteso "domenica tutti insieme a fare spogliatoio". Un gesto giovanile, con quella voglia di buttare il cuore oltre l'ostacolo. Un invito sorprendente per uno come lui accusabile più di prudenza che di passione.

Peccato che la realtà si sia scatenata come un ciclone su questo progetto. Facendo saltare il sogno di un weekend, e mettendo a nudo l'animo del governo di pacificazione.

A Brescia Silvio Berlusconi ha raccolto I suoi uomini e le sue donne, per manifestare contro il giudici, alla vigilia della volata finale a Milano del processo Ruby. Non so cosa ne pensiate voi, ma manifestare contro i giudici, specie se si è imputati, mi sembra un atto piuttosto eversivo. Specie se l'imputato è il capo di uno dei maggiori partiti politici del paese.

Ma la storia della Guerra fra Giudici e Berlusconi ci accompagna da tanto tempo che per molti di noi comincia a somigliare alle Guerre Puniche. Per cui la manifestazione di Brescia avrebbe persino potuto risultare "scontata" se non avesse avuto quel tocco di fatale novità: fra i "convocati " contro I giudici c'erano infatti anche tre bei nomi del Pdl, che siedono anche nel governo Letta. E che nomi, e che posizioni. Al fianco del leader Silvio sono accorsi infatti il Vicepremier Angelino Alfano, che è anche ministro degli Interni nel nuovo governo, il Ministro Lupi, e il Ministro-Saggio Gaetano Quagliariello che nell'esecutivo è entrato addirittura in quota Napolitano.

Per essere un governo che deve lavorare alla pacificazione nazionale non è male, direi. E infatti ieri a Brescia di pacificazione ce n'era molto poca. Giusto quel tanto che è riuscito a imporre la polizia dividendo manifestanti pro Berlusconi da manifestanti anti Berlusconi.

Come atto iniziale di nuove larghe intese è stato, diciamolo, interessante.

I membri Pdl del governo si sono difesi dicendo che l'appartenenza al loro partito rimane parte della loro identità. E sono stati pronti a puntare il dito contro Letta che nelle stesse ore si è recato alla assise romana in cui il Pd ha eletto il nuovo segretario del Partito Democratico, Guglielmo Epifani.

Parallelismo perfetto, se non per un piccolo dettaglio di contenuti. La differenza fra Alfano e Letta, fra Pdl e Pd, è che il primo con la sua manifestazione sostiene posizioni che non sono parte del governo in cui siede, e il secondo ha evitato accuratamente di prendere atto di questo distacco.

Per molti versi, quel che esce dalla giornata è una sorta di teoria della convivenza morganatica. Il governo delle larghe intese si configura infatti come la vita di quegli uomini che hanno una doppia famiglia: una vita parallela fra due case, in cui tutti sanno ma in cui ciascuno sceglie o si illude di scegliere la finzione di un amore.

Ma forse questa è solo la versione di una donna. Prendetela così. Forse davvero la politica ci dimostrerà che si può convivere bene anche non condividendo quasi nulla. Vedremo.

Di certo però , come succede in tutte le famiglie in cui c'è maretta, il week end ne è uscito rovinato. Il lungo fine settimana di due giorni si è accorciato di brutto. Il ritiro comincia oggi domenica a fine giornata, alle 17 , e finisce domani, lunedì , alle 11.

da - http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/il-sogno-di-un-week-end-d_b_3260507.html?utm_hp_ref=italy&utm_hp_ref=italy
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« Risposta #203 inserito:: Giugno 03, 2013, 04:50:11 pm »


Lucia Annunziata
Direttore, L'Huffington Post
RICEVI AGGIORNAMENTI DA Lucia Annunziata
 

Matteo Renzi vive in una bolla di consenso. Una bolla speculativa come quella di Internet (che scoppiò nel 2000), quella immobiliare dei subprime (2007), o come la bolla del tulipano nel '600 in Olanda. Nel senso che il sindaco di Firenze raccoglie oggi molto più valore sul mercato del consenso politico di quello che è il suo vero potere su questo stesso mercato. E' amato da tutti, raduna folle, ma il suo itinerario politico è forse al punto più basso del suo percorso.

Renzi si trova, in altre parole, nella posizione esattamente contraria a quella delle Primarie, quando il consenso che lo circondava era molto minore del peso specifico che aveva nella battaglia politica

Su cosa si base questa valutazione? Su un fatto: il sindaco oggi non ha davvero nessuna collocazione. Ogni possibilità che trovasse un suo ruolo, dopo la sconfitta delle primarie, ha sbattuto contro le porte chiuse dal Pd - gli è stato detto no alla richiesta (piccola) di fare il grande elettore nella corsa per il Quirinale; si è ritirato dalla corsa alla presidenza dell'Anci per evitare di innescare problemi con altri sindaci del Pd; nessuna fortuna ha avuto il suo endorsement per Prodi (che ha macinato in verità non solo lui, e che rimane uno degli episodi più rivelatori del livello di violenza della battaglia interna al Pd). Questo sigillo di esclusione dalla rappresentanza del partito lo ha accompagnato fino a poche settimane fa, come rivela nel suo libro, in cui racconta che Berlusconi in prima persona gli ha comunicato di preferirgli Enrico Letta come premier del nuovo governo.

Oggi il sindaco continua a non avere voce reale nelle decisioni sulle regole interne (da riscrivere) del Pd. E pare che anche l'innesto di un suo uomo in segreteria come responsabile della organizzazione sia destinato a sfumare.

In sintesi, Matteo Renzi in questi ultimi mesi è stato di fatto, ed efficacemente, tenuto fuori dalle porte del partito: una condizione molto difficile per chi ha bisogno di costruire un percorso politico.

Non era così all'epoca delle primarie. Anche allora il sindaco era un "outsider" in termini di organizzazione, (o di "cerchio magico") ma la sua causa di allora, la "rottamazione" aveva una forte eco interna, interpretava bene cioè l'umore generale degli iscritti.

Oggi Renzi non solo è ancora un "outsider" ma la sua battaglia appare meno focalizzata, e meno chiara di prima: è amico del governo o ne è uno sfidante? vuole ancora cambiare il Pd e come (nel suo ultimo libro rottama la rottamazione)? Vuole fare il premier? Vuole fare il segretario? Non sono domande sulle cariche. A ognuno di questi interrogativi corrisponde un itinerario e un progetto diverso.

La bolla di consenso di cui parlavo è il prodotto di questo squilibrio fra posizionamento, progetti, e la grande speranza e popolarità che lo circonda.

Oggi tutti pensano che il fiorentino ha un futuro. Io stessa penso, come sanno i nostri lettori, che è l'uomo che ha più possibilità nel centro sinistra di aggiudicarsi il voto popolare in una prossima elezione. Ma in questo momento la sua scelta di rilanciare una forte campagna di presenza pubblica, i suoi interventi ad alto tasso di visibilità, si lasciano spesso dietro più la scia delle rockstar che quella del leader politico con una strategia.

Questa valutazione non è una diminuito del valore che Renzi ha per il Pd e per gli elettori di centro sinistra. Ma se questa bolla c'è (e questa mia opinione potrebbe rivelarsi errata), come tutte le sopravvalutazioni speculative, è destinata a scoppiare.

Forse è bene che Matteo Renzi si fermi un attimo e rifaccia il punto.

DA - http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/la-bolla-politica-intorno-a-renzi-che-ne-dice-il-sindaco_b_3372272.html?utm_hp_ref=italy
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« Risposta #204 inserito:: Giugno 03, 2013, 11:50:46 pm »


Le infamie di Grillo contro di me. E la mia risposta.

Giudicate voi

Pubblicato: 03/06/2013 21:39

Riporto qui di seguito l'attacco di Beppe Grillo nei miei confronti. E la mia risposta. Voi siete I nostri lettori. Giudicate voi.

    ( ANSA) - PIAZZA ARMERINA, 3 GIU - Beppe Grillo di nuovo contro stampa, Tv e Rai durante il comizio a Piazza Armerina dove attacca, tra gli altri, Lucia Annunziata e Andrea Vianello. Poi se la prende con un operatore tv che allontana da sotto il palco: "Fuori! Ho detto fuori! Spostati, poi la facciamo insieme l'intervista. Questa gente deve essere isolata". E "l'Annunziata quando era direttore del Tg3 ha ricevuto 150mila euro dall'Eni per una performance teatrale a Milano, e altri 150mila euro per la gestione del giornalino interno".


La mia risposta inviata a tutte le agenzie.

    "Beppe Grillo continua la sua personalissima campagna di demonizzazione dei giornalisti confondendo e sovrapponendo - non so quanto non volutamente - informazioni che non stanno insieme tra loro.

    Per quanto riguarda il mio caso personale ha sostenuto cose non vere: che io sia stata contemporaneamente direttore del Tg3 e collaboratrice dell'Eni. Sono stata direttore del Tg3 dal 1996 al 1998 mentre la mia collaborazione con l'Eni è cominciata nel 2008 e finita nel maggio del 2012. Se non mi crede prenda pure le mie dichiarazioni dei redditi e verifichi.

    Quanto alla mia collaborazione con l'Eni, è vero sono colpevole: colpevole di aver partecipato alla stesura di un testo teatrale per il Piccolo di Milano andato in scena nell'anniversario della morte di Enrico Mattei. Il mio coinvolgimento nel testo riguardava l'anlisi della célèbre polemica Montanelli=Mattei avvenuta sulle pagine del Corriere della sera.

    Sono poi anche colpevole di aver coordinato il comitato scientifico di Oil, una "rivista clandestina sovversiva" su politica estera e petrolio, in collaborazione con due società carbonare, rivoluzionare e sconosciute come Foreign Policy e The Washington Post. La mia attività è stata ufficiale, e dichiarata alle tasse. In quel periodo non avevo nessun incarico dirigente in nessun altro media.

    Se questo significa che sono "pagata dall'Eni" - pratica di corruzione e come tale infamante - Grillo dovra' dimostrarlo con molto più di queste insinuazioni. E dovrà dimostrarlo davanti a un giudice.
    La triste verità è che l'unica libertà che Grillo sta dimostrando di poter rivendicare a pieno titolo è quella all'insulto e alla diffamazione.
    E, che gli piaccia o no, somiglia sempre di più a quei "vecchi politici" che dice di combattere, quelli a cui non piacciono i giornalisti che dicono quello che pensano."

da - http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/le-infamie-di-grillo-contro-di-me_b_3380213.html?utm_hp_ref=italy
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« Risposta #205 inserito:: Giugno 20, 2013, 11:48:02 am »


Cosa sarà ora Berlusconi? Polifemo o Andreotti?

Allacciate le cinture

Pubblicato: 19/06/2013 21:35

Lucia ANNUNZIATA

Chissà cosa ci riserva ora Silvio Berlusconi. Sfonderà le porte a calci, o farà lo statista? Sceglierà il ruolo di Polifemo o quello di Andreotti? La differenza non sarà di poco conto per il paese. Ma di maggior conto ancora sarà per lui. La decisione dei giudici della Consulta a favore del tribunale di Milano che rifiutò di riconoscere il legittimo impedimento di Berlusconi, è un gravissimo colpo per il leader del Pdl che ora affronta in posizione di totale svantaggio un lungo tunnel processuale che deciderà il modo come si chiude la sua pagina politica e personale.

Eppure, per quando dura, la decisione della Consulta offre a Berlusconi anche una seconda chance. Il messaggio che i giudici gli inviano è in fondo semplice: gli ricordano che esiste la giustizia e che questa si fonda su strette regole. Non si può alternativamente rispettarle e romperle, non si può seguirle e giocarci. Non si può, in altre parole, per dirlo con una definizione ormai famosa, difendersi contemporaneamente nel processo e dal processo. In questo senso la decisione della Consulta è anche un invito, nonché una (possible) via d'uscita: accetti Berlusconi le regole, accetti il percorso, sia innanzitutto un uomo politico, una personalità dello Stato e con tranquillità accetti di essere un imputato come gli altri. Senza scorciatoie, furberie, ed evasione dalle responsabilità. Faccia, insomma, come un altro grande imputato di anni non lontani, Giulio Andreotti, appunto, la cui impassibile accettazione del processo lo ha (probabilmente) salvato da un destino pubblico, oltre che privato, ben peggiore. E (forse) proprio in questa accettazione c'è la seconda chance che da sempre Silvio cerca. Magari non la agognata assoluzione, ma di sicuro la valutazione che del suo operato resterà nel paese.

Non devo essere la sola a pensare queste cose, se già si è formata intorno all'ex Premier un nucleo di alleati, fra cui Ferrara, e l'avvocato Coppi, che gli consiglia di tenere una linea di nervi fermi, e di distinguere processi e politica.

Tuttavia, non è facile immaginare il Cavaliere nelle vesti di chi, come Andreotti fece con Caselli, si presenta obbediente seduta dopo seduta ad ascoltare immobile la corte. La partita che Berlusconi gioca non è, inoltre, solitaria. A differenza di Andreotti - che aveva tanti seguaci ma nessun accento populista, e detestava ogni forma di esibizionismo - il leader Pdl ha cresciuto una intera classe dirigente e raccolto tutti i suoi successi elettorali sulla mobilitazione di piazza contro o giudici, e, in generale, contro lo Stato.

Venti anni di suoi successi sono stati creati intorno all'invito a contestare un sistema statale considerato "illiberale" ,"iniquo" , "ingiusto". Che si trattasse di giustizia, ma anche di tasse e regole in generale. La "rivolta" è talmente parte del dna del movimento berlusconiano che appare molto difficile oggi per lui far ricorso a un "raffreddamento" dell'ultimo minuto. In fondo la classe dirigente del suo partito è fatta dal quel centinaio di senatori e deputati, fra cui ex ministri, che solo tre mesi fa ha sfilato al tribunale di Milano contro Ilda Boccassini.

Vero è che in questo momento il Pdl partecipa al governo e dunque ha molto da perdere nel caso ci sia uno scontro politico in appoggio al suo leader. Ma è anche vero che dentro il Pdl gli scontenti della partecipazione al governo sono molti e sono per lo più una vecchia guardia che è in caduta libera, che non ha da perdere molto insomma. Al contrario ha molto da guadagnare da un ritorno alle vecchie logiche di piazza. Quale di queste leve userà, dunque, Silvio? Sceglierà una via diversa o farà come sempre l'apprendista stregone di improbabili piazze, il giocoliere fra regole e disobbedienza? Vedremo. In ogni caso, c'e un consiglio che vale per tutti: allacciate le cinture.

http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/cosa-sara-ora-berlusconi-polifemo-o-andreotti-allacciate-le-cinture_b_3467669.html?utm_hp_ref=italy&utm_hp_ref=italy
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« Risposta #206 inserito:: Luglio 14, 2013, 11:43:00 pm »


Perché il sistema vuol salvare Silvio e perché non farlo

Pubblicato: 13/07/2013 19:48

Lucia ANNUNZIATA

Ci sono tre ragioni, a mio parere, per cui il sistema, cioè quell'insieme di equilibri di potere che si erge in questo momento a garante della stabilità italiana, pensa che sia necessario "salvare" dalla condanna Silvio Berlusconi.

1) Silvio Berlusconi non è Bettino Craxi. Il leader socialista era un prodotto tutto interno alla politica. Craxi aveva molte doti necessarie a capire come muovere il sistema, ma poca "piazza". E soprattutto poco "retroterra". Il suo era un partito che faceva da vaso di coccio tra i vasi di ferro di due organizzazioni inchiavardate nella tensione della Guerra Fredda, la Dc e il Pci. La vicenda Craxi si svolge proprio sulla faglia di scongelamento di questo conflitto, e ne viene per molti versi assorbito come parte di un rimescolamento delle carte nell'intero mondo di allora.

Silvio Berlusconi invece è un leader che ha governato per buona parte di venti anni, non certo come prodotto della "politica", anzi rovesciando al suo interno la capacità di interpretare idee e bisogni popolari, oltre ai suoi interessi personali. Il suo partito, oggi in crisi, ha ancora un consenso che ammonta a un quarto dell'elettorato, ed è un consenso capace di scendere in piazza. Appoggiato inoltre, come ben sappiamo, da una sistema robusto di Tv e altri media. Cosa che Craxi non ha mai nemmeno sognato. Insomma, "estrarre" Silvio dalla Politica oggi è operazione potenzialmente molto più devastante di quella mirata su Bettino.

2) Silvio Berlusconi non è solo un politico potente, ma, come abbiamo appena ricordato, è anche un potente imprenditore: uno degli uomini più ricchi del paese. E non vanno sottovalutate le inquietudini e le paure che una eventuale condanna muoverebbe fra i suoi pari. La "invadenza" della magistratura nel mondo degli affari è una battaglia che Silvio combatte ad alta, ma che molti altri suoi pari, spesso silenziosi per senso della opportunità (propria), condividono. Nel mondo delle Ilva, delle ThyssenKrupp, delle delocalizzazioni selvagge, delle Pomigliano D'Arco, i giudici non sono amici. E quando si parla di "lacci e lacciuoli" di cui liberarsi per dare soluzione alla crisi spesso, come sappiamo, si parla di burocrazia, ma si intendono i tribunali. Una condanna del leader Pdl invierebbe a questo mondo un messaggio certo non ben accetto.

3) Silvio Berlusconi, e anche qui va fatto un paragone, ha una collocazione internazionale molto più solida di quella che aveva Craxi. Nel suo doppio ruolo di grande imprenditore e premier da venti anni è presente sulla scena mondiale. E nonostante le molte critiche ricevute non è esattamente privo di amici. A differenza di Craxi che aveva sfidato gli Stati Uniti in un periodo in cui Washington, delusi dai tradizionali alleati (in Italia la Dc) cercavano nuovi equilibri post-guerra fredda, Silvio ha con Bush un ottimo rapporto. E non ha in Obama - un presidente oggi debole ed esitante di fronte a ogni tipo di ingerenza all'estero - un nemico. In compenso ha come amico un uomo molto importante in Europa, quel Putin che domina vigorosamente la scena mondiale, e la cui amicizia non a caso è ampiamente sfoggiata dal politico Pdl.

Tutte queste ragioni portano a una conclusione che preoccupa il sistema: una eventuale condanna avrebbe un impatto sul tessuto politico italiano e internazionale molto serio. Sicuramente più grave di quello avuto dall'abbandono di Bettino Craxi. Invelenirebbe il panorama italiano, acuendone lo scontro interno. Imbarazzerebbe in via ufficiale (anche se a molti di loro in privato farebbero spallucce) i leaders occidentali, essi stessi messi sotto pressione da contestazioni, ed errori, in una crisi difficile da governare. La prima vittima - continua il ragionamento - sarebbe di nuovo la reputazione italiana, mostrando un paese più diviso che mai, dalla incerta governabilità.

La condanna di Berlusconi sarebbe nei fatti la condanna anche del governo Letta e forse di molti altri governi a venire, per lo strascico di divisioni e fallimento che si porterebbe dietro. Di qui l'aria di trincea, il dispiegamento a difesa intorno al governo Letta, e, anche, le fumisterie legal/istituzionali che oscurano il cuore del dilemma. Che è e rimane uno solo: si può e si deve cercare di "salvare" con un qualche escamotage legal/istituzionale Silvio Berlusconi dal giudizio di una Corte?

Le tre ragioni di cui ho fin qui parlato non sono infondate. Sono argomentazioni serie sulle conseguenze del terremoto che seguirà una eventuale condanna del leader Pdl. Ma, a mio parere, alle tre ne va aggiunta un'altra che da sola è forte come le altre insieme. Ed è la ragione per cui sono contraria che si "salvi il soldato Silvio".

"Salvare" un leader politico che manipola la Giustizia costituirebbe ugualmente per noi un danno alla nostra reputazione internazionale, confermandoci come l'anello debole della governabilità europea. Infine, inasprirebbe comunque la opinione pubblica. Alienando quella parte che vuole una politica con un chiaro rapporto con le istituzioni. Quello che vediamo in queste ore - la serenità di Silvio Berlusconi e le scosse che attraversano il Pd - è l'anticipazione di un diverso (ma ugualmente efficace) processo di disfacimento della stabilità governativa.

DA - http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/tre-ragioni-per-cui-il-sistema-vuole-salvare-silvio-berlusconi_b_3592125.html?utm_hp_ref=italy
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« Risposta #207 inserito:: Agosto 02, 2013, 11:25:56 am »


Una questione di coerenza

Pubblicato: 01/08/2013 23:34


Lucia Annunziata
Direttore, L'Huffington Post

Leggerete molte parole nei prossimi giorni sulla sentenza della Cassazione.

Ma la sostanza dei fatti è (e rimarrà) molto semplice. Silvio Berlusconi è stato condannato, per evasione fiscale. Il che di questi tempi è, peraltro, un reato particolarmente odioso.

Questo mette il leader del Pdl in una condizione nuova, che cambia anche la situazione politica.

Il Pd non può in nessun modo evitare di prenderne atto, aprendo la crisi di questo governo in cui è alleato con Silvio Berlusconi. La dichiarazione del segretario Guglielmo Epifani ha già fatto un passo in questo senso.

Per i democratici è una questione di coerenza rispetto a tutta la sua identità, che riguarda non solo la giustizia, la pulizia del Parlamento, ma anche e soprattutto la natura e la qualità della politica.

Tra il Pd e il Pdl in questi ultimi venti anni è stato scavato un fossato le cui sponde sono state tracciate da quello che si pensava fossero la pratica, le regole e la finalità della vita pubblica. Per non parlare di programmi: per quanto critici si possa essere con il Pd, ci sono pochi dubbi che su tasse, lavoro, giustizia sociale, visione del sistema industriale, questo partito si è nettamente distinto dalla piattaforma del Pdl.

Capiamo le molte ragioni che hanno spinto Napolitano a lavorare per un governo di coalizione. Apprezziamo anche lo spirito di servizio con cui Letta si è preso l'incarico di guidare tale governo.

Ma la crisi delle nostre istituzioni maturata nella peggiore crisi economica degli ultimi anni, non sarà in nessun modo affrontata e ancora meno aiutata dal negare quello che è stata la storia di questo paese. Una storia di divisione, di lacerazioni, di ferite, che ha lasciato, in entrambi I lati, una sedimentazione dura di rancori, inimicizia e veri e propri odi.

Senza necessariamente dire che il Pd ha fatto tutto bene, o che il Pd è stata una forza politica senza macchia e senza paura - perché non è vero - non si esce da un lungo tunnel di scontri come quello che il paese ha vissuto in questi ultimi anni, semplicemente dichiarando una finta pace.

Se ne esce ricordando che, come si sente dire in queste ore, gli avversari non si battono per via giudiziaria, ma per via politica. Appunto. Si torni dunque alla politica. Si torni a un programma, a una proposta per la società, per uscire dalla crisi. Si prenda anche il rischio di nuove elezioni (ebbene sì, il porcellum si può cambiare velocemente se si vuole), per affrontare il giudizio del Paese.

Del resto, se mai avevamo bisogno di una dimostrazione del permanere in Italia di un clima di scontro, il messaggio con cui Silvio Berlusconi ha commentato la sua condanna è rivelatore. Se il Pd non prenderà atto che si è riaperta la Guerra dei Venti anni, come ama definirla il Pdl, glielo ricorderà con i fatti proprio il Cavaliere.

http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/una-questione-di-coerenza_b_3691897.html?utm_hp_ref=italy&utm_hp_ref=italy
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« Risposta #208 inserito:: Agosto 19, 2013, 07:37:33 pm »


Un governo di ricambio generazionale, ma debole

Pubblicato: 27/04/2013 22:04


Un governo per bene, con un segno di forte ricambio generazionale, ma debole. In cui le figure più forti sono i tecnici, e non i politici. Un governo il cui dna politico maggioritario è quello che discende dall'aria dc (ce ne sono sei, a cominciare dalle dominanti figure del Premier e del Vicepremier; e due sono di Cl, cosa che a mia memoria non è mai successo), in cui i diritti non sono rappresentanti da figure forti,
in cui il tema lavoro è sostanzialmente fuori, tutto affidato com'è alle sole spalle (pur larghissime) del presidente Istat, e in cui, cosa ancora più rilevante di questi tempi, non c'è nessuna figura che parli all'anticasta.

Questo è in poche parole il mio giudizio sull'esecutivo Letta. Immagino che questa media intensità politica sia pensata come la ricetta che serve per "riconciliare" il paese, che e' l'obiettivo dichiarato del presidente Napolitano nell'avere così tenacemente perseguito questa operazione. Sicuramente l'assenza dei signori della Guerra della Seconda repubblica ha l'effetto positivo di sgombrare il campo da troppi rancori accumulati, troppe storie irrisolte.

Ma la conclusione di un ventennio di scontri laceranti in un paese è una questione etica? Una questione estetica, di adrenalina, di umori? In altre parole - per rappacificare l'Italia ci serve un governo di "tranquilli", di gente "che va d'accordo"? Di persone che sanno mediare? Va detto, a questo punto, semmai non ve ne ricordaste, che mi colloco tra chi ha partecipato pienamente agli scontri e alle passioni della
Repubblica che si conclude. Dunque gli occhi con cui guardo al governo Letta appena formatosi sono certamente annebbiati.

Ma il vantaggio di navigare nelle passioni del passato è che chi vi sta dentro può almeno dire con certezza quel che serve per superarle. In Italia ci siamo "scannati" più o meno a bassa intensità (dalle prese di posizione di moderati come me, ai visionari rifiuti di chi non ha mai fatto passare nulla ai propri avversari) per ragioni concretissime, non ideologiche. Abbiamo avuto per venti anni soluzioni diverse fra destra e sinistra per questo paese: sul lavoro, sulle tasse, sui diritti civili, sul sud e sul nord, sulle donne e sugli uomini, su fede e laicità, su potere e politica, su gestione della cosa pubblica e libertà individuale.

Queste diverse visioni si sono acuite negli anni a causa di una crisi sociale economica che ha reso I margini di mediazione fra le parti così sottili da essere ormai inutilizzabili. La pacificazione sociale che, è vero, è il diritto di ogni cittadino a vivere nelle migliori condizioni possibili, non è un atto d'amore reciproco. È una soluzione concreta dei conflitti. In altre parole: l'Italia si pacificherà se si saprà dare soluzione "condivisa" ai suoi problemi. E questi problemi oggi si avvitano non intorno a chi è di destra o di sinistra, ma intorno a disoccupazione, paura del futuro e sfiducia in una classe politica avvertita come parte del problema non come risolutrice del problema.

Può darsi che il governo che sta nascendo farà tutto questo. Io non me ne auguro il fallimento, perché nessun cittadino può augurarsi che il gruppo che guida il paese non sia adeguato. Seguirò dunque con doverosa attenzione ogni passo che sarà fatto da Letta e dai suoi uomini e li giudicheremo senza pregiudizi. Per altro tre di loro sono blogger di questa testata.

Ma penso che la costruzione dell'intero edificio di Enrico Letta guardi più alle camere interne della politica che a quello che c'è fuori; che
abbia uno sguardo più sulle alchimie della compensazione fra le diverse posizioni dei partiti e del parlamento che sul tumulto che divide il
paese. Temo, insomma, che sia troppo debole per il vigoroso compito di guidare una nazione in un passaggio del genere. Vedremo.

http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/un-governo-di-ricambio-generazionale-ma-debole_b_3170965.html
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« Risposta #209 inserito:: Agosto 31, 2013, 08:26:38 am »


Come mandare Berlusconi al Quirinale e vivere per sempre felici e contenti

Pubblicato: 29/08/2013 15:26

Lucia ANNUNZIATA

Ho una modestissima proposta per mettere in sicurezza per i prossimi dieci anni (almeno) la stabilità italiana: perché non mandare direttamente Silvio Berlusconi al Quirinale?

In fondo, questo è il suggerimento che ci viene dal successo del Consiglio dei ministri che ha tolto (?) l'Imu: per cui, se due più due fa ancora quattro in matematica, immaginare il leader del Pdl presidente della Repubblica non è nemmeno tanto un paradosso.

Pochi giorni fa scrivevamo sulla prima pagina dell'Huffington Post:"Trovato l'accrocco per Silvio". Il titolo un po' sopra le righe, ci è stato rimproverato, come spesso succede, come "esagerazione". Ma va a vedere che forse avevamo sottovalutato la situazione.

L'accrocco per salvare Silvio, e con Silvio il governo, essendo ormai i due diventati la stessa cosa, è infatti scattato ieri.

La abolizione dell'Imu - una tassa che per il Pd fino a pochi minuti prima era "difficile da finanziare" e altrettanto difficile da "definire" in termini di impatto sociale - è stata approvata di impeto. E nella versione più ampia possibile.

Siamo felici ovviamente di pagare meno tasse. Almeno per il momento. Per il futuro non sappiamo se abbassare la testa in attesa di qualche mazzata peggiore dell'Imu o meno. E dalle prime reazioni anche una parte del Pd è perplessa o scontenta.

Al di là della discussione sulle tasse, il segno politico della decisione del Consiglio dei ministri è evidente: è una vittoria per il governo delle ampie intese, che Letta ha subito incassato dichiarando che l'esecutivo "non ha più un limite temporale".

Ma se il governo ha scansato la crisi, per Silvio è andata anche meglio, come ha fatto sapere festosamente rivendicando la sua vittoria con un "merito mio".

E come non gioire con lui? L'abolizione dell'Imu è il cuore del suo programma, la identità stessa di tutta Forza Italia: non pagare le tasse.

Una vittoria tanto più completa se si ripensa al dettaglio che il leader è in questi giorni alle prese con una condanna per qualche piccola malefatta, proprio nel settore della frode fiscale.

Il meccanismo di scambio politico che si è messo in moto, per arrivare a questo punto è esso stesso evidente: Silvio ha fatto marcia indietro, non aperto la crisi di governo per la sua condanna, e il premier (Pd) gli ha regalato l'Imu.

Questo scambio in nome della consolidazione dell'esecutivo, è nei fatti il suo vero successo. Perché è la migliore prova che la sua forza nella politica italiana è ancora decisiva, che il suo programma è di grande impatto, che quando si arriva al dunque le carte le dà ancora lui. In fondo, lo stesso meccanismo di riconoscimento sotteso alla nota dedicatagli dal presidente Napolitano alcuni giorni fa.

Nella risoluzione del Consiglio dei ministri c'era dunque scritta fra le righe la prima parte della riabilitazione di Silvio Berlusconi da ruolo di "condannato" a quello di leader ritrovato.

Ora manca la conclusione di questo processo. Ma la possiamo anticipare: somiglia straordinariamente alle soluzioni che la comunità internazionale prende quando nessuno vuole prendersi la responsabilità di decidere, tipo oggi sulla Siria. Si chiama "rimbalzo", "rimando", oppure "gioco delle sedie musicali". In sintesi, scommettiamo che il voto sulla decadenza già oggi in discussione, entrerà nel frullatore di in un meccanismo di incertezza e dubbi che ne diluirà tempi ed efficacia.

La schiera di politologi che assiste questo governo, le decine di saggi che si affrettano a renderne più agevole la strada, sono già al lavoro con i loro cembali. Mai come ora, ci dicono, il voto sull'Imu è la prova che le grandi intese sono utili, che l'Italia ha bisogno di stabilità, che le reazioni della Borsa dimostrano che è pericoloso muovere l'attuale equilibrio, e che in questo senso il consolidarsi dell'esecutivo è una vittoria per tutti. Con un sottinteso, pudicamante quasi mai reso esplicito, che se tutto questo vale la salvezza (politica) di Silvio Berlusconi, beh, è un prezzo che si può pagare.

Ma se così è, perché allora non andare fino in fondo nell'applicare questa lezione? Se questo è quello di cui il paese ha bisogno, allora perché non essere coerenti e ammettere che la migliore e definitiva assicurazione sul futuro dell'Italia è quello che suggerivo: portare il senatore Berlusconi direttamente al Quirinale, e vivere tutti felici e contenti.

DA - http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/come-mandare-berlusconi-al-quirinale-e-vivere-per-sempre-felici-e-contenti_b_3836350.html?utm_hp_ref=italy
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