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Autore Discussione: Valentyn, centrocampista senza tibia di FRANCESCO BATTISTINI inviato a Kiev  (Letto 54 volte)
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« inserito:: Maggio 09, 2024, 07:15:47 pm »

1. Valentyn, centrocampista senza tibia
   
di FRANCESCO BATTISTINI
inviato a Kiev

Un minatore non s’arrende mai. Va sottoterra, finisce nel buio, quasi non respira più e non sa come ne uscirà. Ma non molla. «I Minatori dello Shakhtar sono questo», dice Yuri Svyridov, il direttore sportivo. Ancor di più in guerra, quando la guerra t’ha segato le gambe. I nuovi «Minatori» – lo storico soprannome di chi gioca nello Shakhtar Football Club di Donetsk – si trovano tutti i giorni in due campi di Kiev, prendono le stampelle, fissano le protesi e s’allenano come se fossero una squadra normale: sono la formazione dei reduci di guerra, amputati in battaglia. L’undici più amato, in Ucraina, perché dà un pallone, una porta e uno scopo a chi è tornato dal fronte senza un arto.
«La prima cosa è divertirci», racconta Valentyn Romaniuk, 23 anni, centrocampista senza la tibia sinistra, che in un’altra vita giocava nella serie B ucraina e poi fu ferito a Bakhmut mentre stava col Battaglione Azov: «Venire qui, mi evita di stare tutto il giorno sul divano a pensare a che cosa m’è successo e a che vita potrò avere». Venti giocatori, un allenatore, un manipolo di fisioterapisti e psicologi. Lo Shakhtar Amputees Club, come l’ha chiamato la stampa di qui, è solo all’inizio: «Andremo a fare competizioni in Europa – dice Svyridov – e ci sarebbe piaciuto partecipare con la nazionale ucraina alle Paralimpiadi».
Il problema per ora è trovare avversari, perché solo un altro club a Leopoli ha seguito l’esempio dello Shakhtar. Dopo ventisei mesi d’invasione russa, i feriti di guerra gravi sono 100-120mila, 50mila gli amputati. «L’obbiettivo — spiega Serhii Palkin, l’amministratore delegato dello Shakhtar — è di creare le condizioni perché questi ragazzi, ancora robusti e con voglia di vivere, possano integrarsi e tornare al più presto a una vita attiva».
Fondata in epoca sovietica fra le miniere del Donbass (un tempo era intitolata a Stakhanov, l’operaio modello, che era di qui), allenata in passato anche da Nevio Scala e Roberto De Zerbi, la Squadra dei Minatori è famosa nel mondo per la sua vittoria nella Coppa Uefa (oggi Europa League) del 2009. Possiede uno stadio da 25mila posti dove non può più giocare dal 2014, il Donbass Arena. Appartiene a un ricco oligarca ucraino poco amato dal presidente Volodymyr Zelenskiy, Rinat Achmetov. E ha messo a disposizione il suo staff per altre attività patriottiche: i fisioterapisti dello Shakhtar prestano la loro opera anche per ad feriti e amputati di guerra e presto, in accordo col ministero dei Veterani, aprirà un centro di recupero e di riabilitazione per la popolazione civile. Lo Shakhtar s’allena perlopiù a Leopoli o in Polonia, a 1.500 km da Donetsk, e ha sempre continuato a giocare perché «dare un po’ di divertimento è il nostro modo di servire il Paese».
A ogni partita, il calcio d’inizio è dato da un soldato, da un medico, da un volontario che sta in prima linea. Una domenica, contro il Veres, è toccato a Petro Kornaha: un tempo era un buon giocatore nel giro della nazionale, a Mykolayv è stato colpito mentre combatteva con la 63esima Meccanizzata. Petro ha attraversato il campo sulle stampelle e ha dato il primo tocco al pallone con la gamba rimasta, la destra, che da terzino era anche la sua migliore. Aveva messo la scarpetta rossa, coi tacchetti da professionista. Lo stadio l’ha applaudito in piedi, e lui è riuscito a non piangere.

Da - Il Punto del Corriere della Sera <rcs@news.rcsmediagroup.it>
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