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Autore Discussione: Renato MANNHEIMER. -  (Letto 13126 volte)
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« Risposta #15 inserito:: Gennaio 13, 2013, 04:34:45 pm »

IL SONDAGGIO

Lombardia, centrodestra avanti nel test decisivo per Senato e Regione

Il centrosinistra è sotto di quasi quattro punti

Albertini drena voti più da Pd e Sel che da Pdl e Lega


Lo hanno sottolineato tutti gli analisti e gli osservatori che cercano, in questi giorni, di prefigurare i possibili esiti delle prossime elezioni politiche di fine febbraio. Il quadro finale dipenderà in larga misura, forse in modo determinante, dal risultato delle consultazioni della Regione Lombardia per il Senato. A causa, come si sa, delle astruse regole imposte dalla legge elettorale attualmente in vigore, il mai troppo deprecato «Porcellum». Che prevede un unico premio di maggioranza nazionale per la Camera dei Deputati (la coalizione che prenderà più voti otterrà automaticamente il 55 per cento dei seggi) e, viceversa, tanti premi di maggioranza per ciascuna regione, con esclusione di Valle D'Aosta, Trentino Alto Adige e Molise. In altre parole, sarà la gran parte delle singole regioni ad assegnare per il Senato i seggi premio di maggioranza alle coalizioni che prevarranno in ognuna di esse. Per questo la Lombardia (che determina nel complesso 49 seggi senatoriali su 315 in totale) è così rilevante, tanto che l'esito potrà condizionare l'esistenza o meno di una maggioranza governativa in Senato per la coalizione di centrosinistra. Per quel che riguarda la Camera, infatti, secondo tutti i sondaggi, la maggioranza sarà conquistata (a meno di mutamenti legati allo sviluppo della campagna elettorale) dalla coalizione guidata da Bersani. Ma non è detto che quest'ultima ottenga la prevalenza dei voti per la competizione del Senato in tutte le singole regioni, garantendosi così la gran parte dei seggi senatoriali.

La rimonta
Proprio il risultato della Lombardia - che, data la numerosità della sua popolazione, assegna molti seggi - sembrerebbe uno di quelli maggiormente in bilico. Anche se, allo stato attuale, la prevalenza dei voti - e, dunque, l'assegnazione del premio di maggioranza - appare appannaggio della coalizione di centrodestra guidata da Berlusconi, che appare aver effettuato una notevole rimonta rispetto a quanto emerso da sondaggi precedenti (ad esempio, D'Alimonte sul Sole 24 ore dell'8 gennaio, che assegnava al centrodestra il 32,5 per cento a fronte del 35,7 per cento da noi rilevato). La distanza dalla coalizione di centrosinistra risulta oggi attorno al 3,5 per cento nel sondaggio Ispo-Corriere della Sera . Si tratta di un divario teoricamente colmabile (ma, ovviamente, anche allargabile) nelle prossime settimane, con lo sviluppo della campagna elettorale e la formazione della scelta da parte dei cittadini attualmente indecisi o tentati dall'astensione (21 per cento). Bersani può dunque ancora aspirare alla conquista per sé del premio di maggioranza in Lombardia (e, di conseguenza, ad una maggiore probabilità che la sua coalizione prevalga anche in Senato, consentendogli di formare da solo un governo, senza legarsi, ad esempio, a Monti), ma deve riuscire a persuadere numerosi elettori. Berlusconi d'altra parte può contare in questo momento sul risultato lombardo come un'importante arma di contrasto al centrosinistra.

Quattro forze oltre la soglia
Sulla base dei dati rilevati, dunque, la coalizione di centrodestra otterrebbe 27 seggi (comprensivi del premio di maggioranza), mentre i seggi restanti verrebbero suddivisi tra le altre liste che superano la soglia dell'8 per cento: la coalizione di centrosinistra (12 seggi), la Lista Monti per l'Italia che si avvicina al 15 per cento e conquista 6 seggi e il Movimento 5 Stelle che si colloca attorno all'11 per cento e ottiene 4 seggi.

Il testa a testa per il Pirellone
Sin qui lo scenario relativo alla consultazione per il Senato. Ma, secondo molti osservatori, quest'ultima potrebbe essere influenzata (e, a sua volta, potrebbe però influenzare) dalla elezione per il presidente e per il Consiglio regionale, che si terrà lo stesso giorno. Per quest'ultima l'esito appare in questo momento ancora più indeterminato. Sulla base delle rilevazioni più recenti, il candidato del centrodestra, Maroni, otterrebbe oggi la maggioranza dei consensi (pari a quasi il 41 per cento). Tuttavia lo scarto rispetto al più vicino inseguitore, il candidato della coalizione del centrosinistra, Ambrosoli (cui viene assegnato sin qui il 38 per cento), è inferiore ai 3 punti percentuali. La differenza rilevata tra i due candidati è dunque vicina al margine di approssimazione insito nei sondaggi, per cui si può affermare di trovarsi di fronte ad un testa a testa più che ad una prevalenza certa di uno dei due. A costoro si affiancano Albertini (10-11 per cento) e Silvana Carcano, la candidata grillina che ottiene quasi il 10 per cento.

Albertini con Formigoni (Ansa)Albertini con Formigoni (Ansa)
Il «fattore Albertini»
I due contendenti principali si distinguono anche in relazione ai caratteri prevalenti del loro elettorato: Maroni vede infatti un'accentuazione tra i meno giovani e coloro che detengono titoli di studio più bassi, mentre Ambrosoli ottiene proporzionalmente più consensi tra gli under 40 e i laureati. Naturalmente, se non ci fosse il «terzo incomodo» Albertini, Maroni avrebbe già la sicurezza della vittoria. Ma l'ex sindaco di Milano drena un po' di voti dagli elettori di centrodestra e impedisce la prevalenza netta di quest'ultima coalizione. Anche se, ad un calcolo più approfondito, si nota che racimola (in termini relativi) più voti da ex elettori di Penati che da ex elettori di Formigoni (8,4 contro 6,7%).

I formigoniani «dispersi»
A suo tempo, nel 2010, Formigoni ebbe vita più facile. Ma molto del suo elettorato si è disperso. In particolare, solo il 61 per cento di quanti lo avevano votato allora dichiarano di confermare la propria opzione per Maroni. Diversi scelgono Albertini, qualcuno Ambrosoli o, forse spinti dalla delusione, addirittura il candidato del M5S: ma buona parte (22 per cento) si dichiara tutt'ora indeciso o tentato dall'astensione. L'elettorato di centrosinistra appare invece più «fedele»: più del 70 per cento dei votanti per Penati nel 2010 conferma infatti il proprio voto, scegliendo Ambrosoli. Ed è inferiore la quota (13 per cento) di chi non ha ancora delineato la propria scelta. In definitiva, entrambe le consultazioni in Lombardia (politiche e regionali) appaiono aperte ad ogni risultato, benché in tutte e due il centrodestra risulta sin qui prevalere (ma in misura diversa e di poco alle regionali). Questi dati danno ragione a chi ha definito la Lombardia come «l'Ohio italiano». Sarà la campagna elettorale a determinare l'esito finale.

Renato Manhnheimer

13 gennaio 2013 | 9:46© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/13_gennaio_13/lombardia-centrodestra-avanti-nel-test-decisivo-per-senato-e-regione-renato-manhnheimer_05c00454-5d50-11e2-8540-81ed61eeac0a.shtml
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« Risposta #16 inserito:: Gennaio 23, 2013, 08:59:57 am »

I SONDAGGI

Partita aperta in cinque Regioni

Il risiko della maggioranza al Senato

Ma i divari sono esigui. Al centrosinistra Campania e Puglia

Il centrodestra prevale in Lombardia, Veneto e Sicilia


Come ormai tutti gli osservatori hanno riconosciuto, l'esito delle prossime elezioni si giocherà sul numero dei seggi senatoriali assegnati a questo o a quel partito. Per ciò che riguarda la Camera dei deputati, infatti, il responso delle urne è sin qui netto: la coalizione di centrosinistra ottiene in tutti i sondaggi di opinione la netta maggioranza. È vero che il centrodestra di Berlusconi appare, in queste ultime settimane, in ascesa - anche se secondo alcuni il trend si è esaurito - ma la distanza che lo separa dal centrosinistra è a tutt'oggi ancora relativamente ampia, tale da essere difficilmente recuperata (anche se, come suggerisce Ricolfi su La Stampa di ieri, forse una quota di elettori «nasconde» la propria preferenza per il Cavaliere, che quindi sarebbe sottostimato nei sondaggi). In questo momento è comunque ragionevole ipotizzare che Bersani conquisterà il ricco premio di maggioranza (55% dei seggi) che la legge elettorale assegna a chi raccoglie il maggior numero di consensi. Mentre per il Senato, come si sa, il meccanismo è completamente diverso e prevede l'attribuzione del premio di maggioranza su base regionale: chi vince in ciascuna Regione (con l'esclusione di Valle d'Aosta, Trentino-Alto Adige e Molise) ottiene il premio (più o meno ampio a seconda della popolazione e, quindi, dei seggi senatoriali attribuiti) di quella regione. Accumulando così seggi in Senato. Il numero di questi ultimi dipende dunque dal numero di Regioni che si conquistano, con le più popolose che contano di più.

I seggi decisivi
Bersani ha affermato di puntare alla vittoria in tutte le Regioni, in modo da assicurare alla sua coalizione la maggioranza di seggi anche in Senato. Si tratta di un evento possibile, ma tutt'altro che certo: è vero che in alcune regioni la vittoria del centrosinistra è praticamente sicura, ma in diverse altre l'esito è più indefinito o appare in questo momento favorevole al centrodestra. Di qui la grande importanza, agli effetti del risultato finale, della competizione nelle regioni che tuttora «in bilico» e che sono in buona misura anche quelle che assegnano più seggi.

Alcune sono tradizionalmente appannaggio del centrodestra, come il Veneto. Effettivamente questa regione vede ancora la coalizione di Berlusconi in vantaggio. Ma il divario si è ridotto in queste ultime settimane, a causa, probabilmente, dell'accordo Lega-Pdl. Fino a qualche tempo fa, la differenza tra centrodestra e centrosinistra era molto ampia, secondo alcuni, pari al 10% e anche più. Ma, di recente, si è manifestata un'insofferenza di una quota di elettori leghisti nei confronti del partito, a causa dell'alleanza con il Pdl. Ciò che ha portato alcuni a disertare il Carroccio e ad orientarsi verso altre liste. L'effetto è che oggi la distanza in Veneto tra centrodestra e centrosinistra risulta pari a meno di 4 punti. Il dato è sostanzialmente confermato anche da una rilevazione in corso da parte di Ilvo Diamanti (al quale, sembra, emerge una differenza ancora più modesta) e da un sondaggio (citato dal Gazzettino Veneto di venerdì e confermato dallo stesso Maroni) della Swg che stima il divario centrodestra/centrosinistra relativamente esiguo. Malgrado questo trend, comunque, appare altamente probabile che i 14 seggi (comprensivi del premio di maggioranza) del Veneto siano assegnati al centrodestra.

Ciò rende ancora più rilevante la lotta in altre tre regioni molto popolate quali la Campania, la Sicilia e la Lombardia.
Nella prima il centrosinistra è avanti, benché, anche qui, secondo alcuni istituti, il divario sia relativamente modesto. La rilevazione Ispo lo colloca a poco più del 4%. Ma quella Ipsos del Sole 24 Ore dell'8 gennaio la limita a 2 punti percentuali. La stessa distanza stimata in questi giorni da Euromedia. Allo stato attuale, dunque, i 16 seggi campani (comprensivi, anche in questo caso, del premio di maggioranza) dovrebbero andare al centrosinistra. Ma la competizione è aperta.

La sfida nell'isola
In Sicilia la lotta appare ancora più serrata. Secondo la nostra rilevazione, il centrodestra è avanti di 1 punto. Ma è necessario ricordare nuovamente che, in questo genere di sondaggi, vi è un margine di approssimazione statistica superiore a questo divario. Appare dunque arduo effettuare una stima. Anche i sondaggi degli altri istituti hanno risultati variabili e con differenze di consenso tra i due schieramenti egualmente modeste. Ipr colloca il centrosinistra davanti per solo mezzo punto (34% vs 33,5%). Ed Euromedia li stima alla pari (31,4 per il centrosinistra e 31,6% per il centrodestra). Molto dipenderà dalla partecipazione al voto. Che, per vari motivi, è stata assai modesta alle ultime regionali (che hanno visto la vittoria del centrosinistra), ma che dovrebbe essere maggiore per le prossime politiche, anche a causa del clima di mobilitazione che sembra caratterizzare l'isola e della attrazione esercitata da alcune liste di natura prevalentemente locale. Tutto ciò comporta l'impossibilità di assegnare oggi il premio di maggioranza (ben 9 seggi).

Il margine ridotto
Sulla Lombardia - che distribuisce complessivamente ben 49 seggi sui 315 complessivi del Senato e che quindi è determinante nella formazione delle maggioranze - i sondaggi sono altrettanto contraddittori. Secondo la nostra rilevazione, il centrodestra è in vantaggio di circa 2 punti (poco meno di quanto rilevato una settimana fa), ottenendo quindi i decisivi 27 seggi senatoriali. Ma, tenendo conto anche qui del margine di approssimazione, la distanza risulta assai modesta. Tanto che le due coalizioni vengono invece stimate alla pari da quasi tutti gli altri istituti di ricerca (Ipsos, Ipr, Euromedia, Lorien). A meno di improvvisi colpi di scena, qui la competizione si giocherà all'ultimo voto. Conteranno in particolare i voti di quanti dichiarano tutt'ora di essere indecisi. Non a caso, la Lombardia è stata definita l'Ohio italiano. Si può probabilmente affermare che l'esito di questa regione determinerà o meno la maggioranza per il centrosinistra al Senato.

Vale la pena, infine, di considerare il caso della Puglia, anche se in questa regione il vantaggio del centrosinistra pare più netto: quasi 4 punti percentuali. Secondo diversi osservatori, infatti, anche qui il divario è troppo esiguo da dare certezze.
In conclusione, la situazione complessiva del Senato appare oggi ancora molto incerta. Diversi elementi inducono a pensare che per Bersani non sarà facile godere di una maggioranza autonoma.

Renato Mannheimer

21 gennaio 2013 | 21:24© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/13_gennaio_21/mannheimer-partita-aperta-5-regioni_f712fcbe-6393-11e2-9016-003bf863ea6b.shtml
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« Risposta #17 inserito:: Febbraio 04, 2013, 11:21:18 pm »

VERSO IL VOTO: IL SONDAGGIO

Grillo primo partito tra gli under 23

Il Pd è vicino, Pdl fermo al 12-13%

Tra i giovani cresce la voglia di votare. Democratici avanti tra i 24-34enni.

Sel e Fratelli d'Italia: saldi positivi ma limitati


C’è chi, come il sottoscritto, ha visto, nel corso della sua vita, il dipanarsi della prima e della seconda Repubblica e che voterà a fine mese per l’ennesima volta, inevitabilmente memore anche di quanto è accaduto nei decenni passati. In questi casi, il giudizio è formulato anche sulla base dell’esperienza e della credibilità attribuita a questo o a quel leader, a questo o a quel partito.
Ma per i giovanissimi non è sempre così. Una quantità rilevante di elettori voterà in questa occasione per la prima volta. Ci sono oggi in Italia quasi 4 milioni di cittadini tra i 18 e i 23 anni, che affrontano per la prima volta delle consultazioni politiche a livello nazionale. Molti di costoro decideranno specialmente sulla base delle valutazioni e delle impressioni maturate in questa specifica campagna elettorale. A questi si possono anche affiancare i quasi 8 milioni di elettori che hanno tra i 24 e i 34 anni, la cui storia elettorale è comunque relativamente breve. Qual è l’orientamento prevalente di costoro e, in generale, quali sono le scelte che caratterizzano i più giovani?

Nel considerare la distribuzione delle intenzioni di voto delle ultime generazioni, colpisce anzitutto il dato relativo alla elevata partecipazione tra i neo elettori. Sino a qualche tempo fa, infatti, tra i giovani si manifestava il fenomeno contrario: erano tantissimi, fino al 50%, coloro che dichiaravano di volersi astenere, motivando spesso questo comportamento con la difficoltà di comprendere le logiche della politica o una percezione di irrilevanza di quest’ultima. In questa occasione, il quadro pare cambiato: si registra tra chi affronta per la prima volta il voto una rinnovata voglia di esserci e, di conseguenza, di prendere parte alla consultazione. Ciononostante è rimasto, nelle nuove generazioni — specialmente nella più giovane —un atteggiamento di forte scetticismo — se non di disprezzo— nei confronti della politica tradizionale.

Si spiega anche così il particolare successo ottenuto dalla lista Movimento 5 Stelle tra chi ha meno di 35 anni e, ancor più, tra chi si colloca sotto i 23. Tra questi ultimi, i 18-23enni, Grillo riesce a conquistare quasi un terzo di elettorato (30,4%), vale a dire il 17% in più che nella popolazione nel suo insieme. In questa categoria di età, il M5S diventa il partito più votato in assoluto, superando, seppur di poco, il Pd. Inoltre, il consenso al M5S appare ancora più elevato tra quei giovani che si trovano in una condizione sociale più difficile perché disoccupati. Ma anche tra i 24-34enni il Movimento del comico genovese ottiene un largo successo, giungendo quasi al 19%, il 5% in più di quanto rilevato tra tutti gli italiani, con una maggiore accentuazione, anche in questo caso, tra chi non ha lavoro. È vero che tra costoro il Pd si conferma come primo partito, al pari di quanto accade per la popolazione nel suo complesso, ma il M5S si colloca nettamente come secondo.

Questo successo del Movimento 5 Stelle è «pagato» da quasi tutti gli altri partiti che ottengono, infatti, tra i giovani un consenso inferiore rispetto alle altre generazioni. La differenza più elevata si riscontra riguardo al Pdl che fa rilevare, tra i 18-23enni, un seguito (pari al 12-13%) di quasi il 7% inferiore alla media nazionale. Ma anche gli altri grandi partiti, come la Lega o il Pd, sembrano (seppure in misura molto inferiore al Pdl) interessare meno le nuove generazioni. Un’eccezione relativa si riscontra solo per alcune delle liste che si collocano su posizioni più estreme (e che un tempo raccoglievano una larga parte del voto giovanile) come Sel da un verso e Fratelli d’Italia dall’altro. Queste formazioni esprimono infatti tra i più giovani un saldo di voti positivo per il 2-3 per cento.

È dunque tra i giovani che affrontano per la prima volta le urne che si riscontra, assai più che in altre categorie, l’atteggiamento di critica generalizzata alla politica (o, talvolta, di antipolitica) che connota il Movimento di Grillo. Se dipendesse solo dai 18-23enni, il comico genovese conquisterebbe alla Camera, secondo l’attuale legge elettorale, la maggioranza assoluta dei seggi. Un forte monito per i partiti tradizionali.

Renato Mannheimer

4 febbraio 2013 | 10:21
© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/13_febbraio_04/voto-dei-giovani-grillo-primo-partito-per-under-23-renato-mannheimer_37613574-6e93-11e2-87c0-8aef4246cdc1.shtml
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« Risposta #18 inserito:: Febbraio 19, 2013, 11:29:57 pm »

Il peso degli incerti

Voto, 5 milioni scelgono all'ultimo minuto

Quasi uno su tre non ha ancora deciso se astenersi o quale lista sostenere

di  RENATO MANNHEIMER

In questi giorni non si possono comunicare i risultati dei sondaggi in corso sulle intenzioni di voto. Ma vi è un dato, pure emerso dagli studi che vengono comunque effettuati anche in questo periodo, del quale si può (e vale la pena) parlare. Lo hanno peraltro anche evocato diversi leader politici nelle loro ultime dichiarazioni. Si tratta del permanere, a pochissimi giorni dal voto, di un numero relativamente elevato di persone che dichiarano tuttora di essere indecise o tentate dall'astensione. Nei mesi scorsi, costoro risultavano ancora di più: a novembre-dicembre raggiungevano - e in certi casi superavano - la metà dell'elettorato. Poi sono gradualmente diminuite. Ma, secondo le ultime rilevazioni, la numerosità di costoro si avvicina ancora al 30%. Vale a dire che, sino a questo momento, quasi un cittadino su tre non ha deciso se e chi votare. Si tratta in larga misura di donne, meno giovani di età, con titolo di studio relativamente basso, spesso residenti al Sud, di professione casalinghe o pensionate e, specialmente, molto poco interessate alla politica. Ne è prova anche il fatto che più di metà degli attuali indecisi o potenziali astenuti dichiara di sentirsi estraneo al posizionamento sul continuum destra-sinistra e si rifiuta (o non è in grado) di collocarsi in una posizione specifica su questa dimensione: insomma, non sa se è di destra, di centro o di sinistra.

Anche per questo, è ragionevole ipotizzare che molti cittadini che si dichiarano indecisi o potenzialmente astenuti sceglieranno alla fine di disertare per davvero le urne: una larga quota di costoro lo ha già fatto in passato e potrebbe confermare questa scelta. Ma una parte, invece, si deciderà a votare. Se si ipotizza che la partecipazione elettorale sarà grosso modo come quella registrata alle ultime consultazioni politiche nel 2008, vale a dire attorno all'80% (osservando i trend della partecipazione alle consultazioni degli ultimi anni, potrebbe però diminuire di un punto o due), si deduce che un altro 10% circa di elettori, cioè più o meno cinque milioni di persone, non ha ancora maturato la propria scelta di voto e che lo farà, probabilmente, negli ultimi giorni.

Peraltro, questa è una consuetudine per una larga parte di cittadini, che si ripete di elezione in elezione. Interrogati, subito dopo le ultime consultazioni, sul momento preciso in cui avevano assunto la loro decisione di voto, molti elettori hanno dichiarato di avere maturato una scelta finale solo all'ultimo momento. In particolare, in occasione delle politiche del 2008, il 12% ha affermato di avere individuato chi votare davvero solo nell'ultima settimana e un altro 8% addirittura il giorno stesso del voto. Nelle Europee del 2009 il numero di decisori «last minute» risulta ancora maggiore: rispettivamente il 14% nell'ultima settimana e il 13% il giorno del voto. Persino molti degli astenuti hanno dichiarato di avere assunto la scelta di disertare le urne negli ultimi giorni prima del voto: si tratta di più dell'11% nelle politiche del 2008 e di oltre il 13% nel 2009.
Insomma, una quota rilevante di cittadini - più di quanto non emerga dai sondaggi in corso e inclusa dunque una parte di quanti dichiarano di avere (forse) già deciso - arriva alla scelta definitiva solo all'ultimo momento, anche in base alle dichiarazioni (e alle promesse) di questo o quell'altro candidato.
Per questo, le battute finali della campagna elettorale saranno decisive per la scelta di molti. Proprio la frequente lontananza dal dibattito politico di buona parte degli indecisi (o potenziali astenuti) li rende sensibili - e per certi versi permeabili - alle proposte dell'ultim'ora, in una certa misura indipendentemente (o quasi) dallo schieramento o dal partito da cui provengono. Non a caso tutti i leader politici stanno cercando di persuadere, con le promesse più varie, questo importante residuo target di elettori. È evidente, al tempo stesso, che le scelte di costoro potranno modificare forse anche radicalmente il quadro che emerge dai sondaggi (inutilmente - e solo parzialmente - segreti) di questi giorni.

Il risultato elettorale di domenica prossima è ancora difficilmente prevedibile.

19 febbraio 2013 | 7:24

da - http://www.corriere.it/politica/speciali/2013/elezioni/notizie/19-febbraio-incerti-mannheimer_4a5f7b80-7a5b-11e2-896e-599d001aa8d7.shtml
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« Risposta #19 inserito:: Febbraio 26, 2013, 05:16:20 pm »

Netto il segnale di distacco verso i partiti tradizionali

Record delle astensioni

Il Pd è il vero sconfitto

La partecipazione alle urne la più bassa dal 1946


Malgrado, nel momento in cui scriviamo, molti dati siano ancora provvisori, sono relativamente chiari alcuni aspetti caratterizzanti questa elezione.

1) La sensibile diminuzione della partecipazione. Che risulta essere stata la più bassa di tutta la storia repubblicana, dal 1946 ad oggi. Come si è già accennato, ciò è dovuto in parte al progressivo invecchiamento della popolazione, ma, soprattutto, alla disaffezione dell’elettorato. Nel 2006 il 57% dichiarava di essersi interessato alla campagna elettorale. Nel 2008 era il 55%. Oggi siamo sotto il 52%.
Malgrado tutte le novità dello scenario politico, sempre meno gente lo segue. Un segnale importante di cui, nei primi commenti, non si è sembrato tenere sufficientemente conto.

2) Il grande successo del M5S di Grillo, che in diverse regioni, e forse in Italia, risulta essere il primo partito in assoluto. Anche questo fenomeno dipende in larga misura dal distacco—ma più spesso dal disprezzo — verso i partiti tradizionali e l’azione che essi hanno condotto sin qui. Ancora nell’ultimo anno, l’incapacità delle forze politiche di realizzare alcuni obiettivi minimi (tra quelli più attesi dalla popolazione, vi erano soprattutto il taglio del numero dei parlamentari e dei costi della politica, ma anche riforme come quella elettorale) che pure avevano promesso di effettuare ha certo contato. Ma ha avuto un ruolo importante anche il succedersi degli scandali e l’evidenziarsi di vere e proprie malversazioni operate da questo o quel personaggio politico. Di qui la decisione di circa un italiano su quattro di scegliere la strada più semplice: quella della protesta sintetizzata dal «vaffa». Non sempre propositiva, ma efficace. È anche stato importante il fatto che Grillo abbia utilizzato, meglio di tutti gli altri, la comunicazione in rete. Più di un italiano su tre, infatti, dichiara di avere attinto dal web dati utili alla decisione di voto. L’elettorato di Grillo è costituito in larga misura da giovani, ma si estende in misura significativa anche nelle altri classi di età, con l’esclusione degli ultra 65. Si tratta in buona misura di persone con titolo di studio medio-alto e provenienti da tutto l’arco politico, con una accentuazione però tra chi rifiuta del tutto di collocarsi sul continuum sinistra-destra e chi, in precedenza, ha votato per il centrosinistra.

3) Quest’ultimo, in particolare il Pd, sembrerebbe, sulla base dei primi dati, subire un arretramento rispetto alle aspettative maturate in questi mesi. Ciò potrebbe essere dovuto anche ad una campagna elettorale condotta manifestando sempre la certezza della vittoria (e per questo talvolta poco propositiva), ma, specialmente, a causa dell’erosione nei confronti di Grillo, anche da parte di una quota dei votanti per Renzi alle primarie. Il partito di Bersani potrebbe cioè essere in una certa misura stato assimilato agli altri partiti («sono tutti uguali» ci ha detto un intervistato ex-pd) anche un segmento del suo elettorato tradizionale. Che, spinto dall’esasperazione e dalla protesta, ha finito con l’optare per Grillo. Col risultato che il Pd è, assieme a Monti, il vero sconfitto politico di queste elezioni.

4) Il Pdl pare avere ottenuto più voti (ma, per quel che riguarda il Senato, specialmente più regioni decisive) di quanto non fosse previsto. Da questo punto di vista la campagna elettorale e, in particolare, la promessa di rimborso dell’Imu è stata certo efficace. Ma occorre ricordare al tempo stesso che i consensi per il partito di Berlusconi sono comunque assai meno di quanti ottenne alle ultime politiche nel 2008. Segno, in ogni caso, di una crisi di consenso che, in parte, si estende anche alla Lega.

Le difficoltà di sondaggi e proiezioni. Occorre dire che i metodi seguiti in Italia sono, nella maggior parte dei casi, altrettanto rigorosi di quelli adottati nel resto d’Europa e negli Usa. Il problema si pone quando (era già successo nel 1994 con la discesa in campo di Berlusconi) cambia completamente il quadro politico. Non a caso, alla richiesta «quando ha deciso cosa votare?» la percentuale di chi dice «da sempre», segno della stabilità del voto, è crollata dal 53% del 2008 al 35% di oggi. E si è accresciuta moltissimo la percentuale dei voti «last minute», decisi l’ultima settimana, passata dal 20% al 35%. Questo radicale mutamento potrebbe avere reso, ad esempio, più problematica la formazione dei campioni delle proiezioni, che si basano sul voto passato e gli algoritmi utilizzati per pesare le risposte che pure utilizzano quest’ultimo. Per la verità, alcune ricerche effettuate gli ultimi giorni si sono molto avvicinate al risultato. Ma resta il fatto che, sulla base anche di questa esperienza, molte metodologie vadano seriamente riesaminate.

Renato Mannheimer

26 febbraio 2013 | 8:15© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/speciali/2013/elezioni/notizie/26-febbraio-Record-delle-astensioni-mannheimer_42175090-7fc1-11e2-b0f8-b0cda815bb62.shtml
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« Risposta #20 inserito:: Marzo 07, 2013, 11:02:48 pm »

I 5 Stelle crescono di altri 3 punti

E superano il centrodestra

I consensi quasi al 29%. Sale il Pd, il centrosinistra resta primo


Il risultato delle elezioni ha sorpreso larga parte del mondo politico e dei cittadini. E ha comportato, sin qui, una vera e propria impasse istituzionale. Il Pd ha proposto una sorta di intesa con il Movimento 5 Stelle, ma quest'ultimo ha dichiarato di respingerla. Il Pdl propone un governo di unità nazionale con il Pd, ma il partito di Bersani lo esclude. Non rimarrebbe che l'ipotesi di nuove elezioni, respinta però dalla maggior parte della popolazione e anche da quasi tutte le forze politiche. L'unica componente che sembra vedere con favore l'ipotesi di votare a breve è il Movimento 5 Stelle. Grillo ha infatti dichiarato di puntare a un successo ancora maggiore in una prossima consultazione, che «mandi a casa» le forze politiche tradizionali e apra la prospettiva di un governo guidato dal M5S.

Nessuno sa se uno scenario del genere possa trovare riscontro nella realtà. Ma, certo, gli studi sulle intenzioni di voto condotti negli ultimi giorni (quello che pubblichiamo è stato realizzato ieri) mostrano una ulteriore crescita (di più del 3%) degli elettori che dichiarano di voler optare per il partito di Grillo, che lo porta a sfiorare il 29%. Un risultato simile è stato presentato anche da Ipsos che dà una valutazione ancora superiore al seguito del M5S, stimandolo al 29,4%.

Va detto che la tendenza all'accentuazione delle intenzioni di voto per il partito vincitore delle elezioni nei sondaggi immediatamente successivi a queste ultime costituisce un fenomeno consueto e noto: gli studiosi americani lo hanno definito «bandwagon» che corrisponde pressappoco a «salire sul carro del vincitore». Resta il fatto però che l'ulteriore crescita del M5S costituisce una conferma della popolarità di Grillo nel Paese e della persistente avversione (talvolta rabbia o disprezzo) di una larga parte della popolazione verso i partiti tradizionali.

L'avanzata del M5S va a scapito di larga parte delle restanti forze politiche. Sono colpiti particolarmente Rivoluzione civile (che cala di quasi l'1%), la Lista Monti e le altre formazioni di centro, ma anche Fratelli d'Italia e, in misura minore, lo stesso Pdl. Calano anche diverse altre forze di più modesta entità, sia nel centrodestra, sia nel centrosinistra.

Oltre al movimento di Grillo, l'unico partito che fa registrare un incremento relativamente significativo (poco più dell'1%) è il Pd, che si colloca oggi tra il 26 e il 27%. È questa crescita che permette alla coalizione di centrosinistra (che subisce invece un'erosione dei voti per Centro democratico) di mantenere grossomodo invariata la propria forza, superando l'insieme della coalizione di centrodestra, che, viceversa, subisce un decremento complessivo di poco meno del 2%. Quest'ultima coalizione viene così superata dal M5S, ciò che non era avvenuto alle Politiche. C'è da notare infine che, sulla base dei dati rilevati, la coalizione di Monti non sembrerebbe superare il 10%. Ma il margine di approssimazione insito nei sondaggi suggerisce un'ulteriore verifica di questo risultato. Non è detto, naturalmente, che il quadro sin qui delineato verrebbe necessariamente riprodotto in caso di elezioni «vere». La campagna elettorale, infatti, potrebbe orientare in un modo o nell'altro le scelte dei votanti. Ma l'ulteriore incremento dei consensi, sia pure virtuali, per Grillo costituisce un altro monito a tutte le forze politiche.

RENATO MANNHEIMER

7 marzo 2013 | 9:22© RIPRODUZIONE RISERVATA

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