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5341  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / Arlecchino e due sue pagine non sono più leggibili su FB, e io non ne so nulla! inserito:: Marzo 23, 2017, 01:01:57 am
Arlecchino Batocio

ISemplici Cittadini del Polo Democratico

Il Sistema Rappresentazionale


SONO spazi che FB mi concesse a suo tempo (gratuitamente) e oggi me li vedo sottratti alla visibilità senza nessuna spiegazione.

Chi volesse leggermi (ringrazio) può seguirmi in - laudellulivo.it -

ciaooo
5342  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / ARLECCHINO e le sue pagine sono state rese non visibili su FB del 23/03/2017 inserito:: Marzo 23, 2017, 01:00:06 am
Arlecchino Batocio

ISemplici Cittadini del Polo Democratico

Il Sistema Rappresentazionale


SONO spazi che FB mi concesse a suo tempo (gratuitamente) e oggi me li vedo sottratti alla visibilità senza nessuna spiegazione.

Chi volesse leggermi (ringrazio) può seguirmi in - laudellulivo.it -

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5343  Forum Pubblico / NOI CITTADINI, per Civismo, Conoscenza e Consapevolezza. / Pierluigi Castagnetti - La mia amicizia con Alfredo Reichlin inserito:: Marzo 22, 2017, 01:49:22 pm
   Opinioni
Pierluigi Castagnetti   

· 22 marzo 2017

La passione fino all'ultimo, è morto sul campo

La mia amicizia con Alfredo Reichlin


Se ne è andato un amico, un carissimo amico.

Alfredo Reichlin è stato maestro di pensiero politico per tante generazioni di giovani comunisti e – negli ultimi anni, finito il comunismo – di giovani progressisti.

Senza mai rinnegare il suo passato e, anzi, continuando a sentirsi con il cuore e la passione comunista, accettava e capiva come pochi la lezione della storia. Per ciò riteneva doveroso, pur già anziano, non subire il tempo nuovo ma cercare di guidarlo.

Con questo spirito fu tra i fondatori protagonisti del Partito democratico.

Uomo interessato al dialogo con quanti provenivano da altre esperienze, mi onorò della sua amicizia ampiamente ricambiata.

Reichlin pensava il mondo, godeva dei suoi progressi che coglieva con lungimiranza nei processi di emancipazione dalla sottomissione e dalla miseria di popoli interi, ma ne soffriva – quasi in simbiosi fisica – le perduranti ingiustizie e l’inadeguatezza delle sinistre moderne a farne ragione di nuove battaglie politiche.

Per lui la politica e i partiti in particolare erano strumenti per fare storia. Sennò non lo riguardavano. Preoccupazioni che lo hanno accompagnato e consumato sino agli ultimi suoi giorni.

In questo senso possiamo dire che è morto sul campo.

da unita.it
5344  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / VITTORIO ZUCCONI. Usa, incontro Trump-Merkel: lo spettacolo del Cafone in ... inserito:: Marzo 22, 2017, 12:50:23 pm
Usa, incontro Trump-Merkel: lo spettacolo del Cafone in Chief Usa, incontro Trump-Merkel: lo spettacolo del Cafone in Chief
Il rifiuto villano di stringere la mano al capo del governo tedesco, è gesto lanciato come un osso ai più rabbiosi dei suoi fan, ostentato in una Casa Bianca dove i suoi predecessori hanno stretto le mani di nemici formidabili e reali, è pura teatralità da Reality TV che diventa sostanza politica

Di VITTORIO ZUCCONI
17 marzo 2017

CI SONO 60 mila militari americani, distribuiti in 37 basi e installazioni in quella Germania che oggi il Cafone in Chief, il presidente Trump, ha platealmente offeso rifiutando villanamente di stringere la mano al capo del governo tedesco, legittimamente e ripetutamente eletto, Cancelliera Angela Merkel. Ci sono 60 mila uomini e donne in uniforme delle Forze Armate Usa che ora sanno di essere in servizio, e di vivere in una nazione dove la persona che la governa non merita neppure la formale cortesia di una stretta di mano. Non più amici, alleati, ma occupanti di una repubblica governata da una Cancelliera ostile.

La spettacolare maleducazione di quel non gesto lanciato come un osso ai più rabbiosi dei suoi fan, ostentato in una Casa Bianca dove i suoi predecessori avevano stretto le mani di nemici formidabili e reali come i segretari del Pcus, dove persino Arafat e Rabin avevano trovato il coraggio per farlo, è pura teatralità da Reality TV che diventa sostanza politica. Il comportamento del discendente di un profugo tedesco cacciato dalla Baviera natale e ospitato in un'America ben diversa da quella fortezza nazionalista che lo sciagurato nipote sta costruendo, Friederich Drumpf, tradisce tutti i rischi storici di questa sceneggiatura trumpista.
 
Merkel a Trump: "Ci stringiamo la mano?", ma Donald la ignora
Come non sa, o finge di non sapere - ma il confine fra l'ignoranza, il bullismo, la furbizia bottegaia in lui è sempre molto labile - quelle basi militari, quelle migliaia di soldati stazionati in Germania, come in Italia, in Giappone, in Corea e in 80 nazioni del mondo non sono né missioni né povere vittime dello sfruttamento di alleati avari e profittatori che lesinano sulle spese per la difesa.

La loro presenza, giustificata tragicamente, e per nostre colpe, dalla Seconda Guerra Mondiale e poi dalla Guerra Fredda, è stata certamente la garanzia della inviolabilità dei confini europei coperti dall'ombrello della potenza Usa, ma insieme il segno, e gli avamposti dell'Impero americano. Sentinelle di quella Pax Americana che ha assicurato la più favolosa età dell'oro e dell'espansione per la nazione a stelle e strisce, almeno fino al suicidio della finanza impazzita.

Il Cafone in Chief, umiliando Merkel, dimentica una verità che i suoi predecessori conoscevano bene: che non è l'America a fare un favore a noi mantenendo basi, installazioni, radar, depositi di armi nucleari sui nostri territori, ma siamo noi, cittadini della Nato a fare un favore all'America in egual misura, assicurando con l'uso del nostro territorio che sull'Impero di Trump non tramonti mai il sole.

Con lo stolto nazionalismo e neoisolazionismo che ostenta, facendo credere che nei 70 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale gli Usa siano stati truffati dagli avidi e astuti europei ed asiatici, Trump sta facendo esattamente il contrario di quello che ha promesso a quella minoranza di elettori che lo ha votato: sta rimettendo in discussione le fondamenta sulle quali la potenza, se non la grandezza, americana è stata costruita. Sega quel ramo della Nato sul quale l'America è seduta da due generazioni.

© Riproduzione riservata 17 marzo 2017

Da - http://www.repubblica.it/esteri/2017/03/17/news/usa_merkel_trump_commento-160808950/?ref=RHRS-BH-I0-C6-P9-S1.6-T2
5345  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / CARLO BONINI Decreto sicurezza, Minniti respinge le polemiche: "Non è una legge inserito:: Marzo 22, 2017, 12:47:58 pm
Decreto sicurezza, Minniti respinge le polemiche: "Non è una legge di destra"
L'irritazione del ministro dell'Interno: Chi parla di sindaci sceriffi non ha letto quel testo. Vogliamo contrastare il crimine, non i clochard"


Di CARLO BONINI
18 marzo 2017

ROMA - Il ministro dell'Interno Marco Minniti è un calabrese allergico ai tartufismi. Va dritto. "Quindi il decreto sulla sicurezza urbana sarebbe una legge di destra... Straordinario... Forse perché qualcuno non l'ha letto". E capovolge la prospettiva. "Allora qualcuno mi risponda: è di destra una legge che sottrae la definizione delle politiche della sicurezza nelle nostre città alla competenza esclusiva degli apparati, trasformando la sicurezza in bene comune e chiamando alla sua cogestione i rappresentanti liberamente eletti dal popolo, vale a dire i sindaci? È di destra un decreto che, per la prima volta nella storia repubblicana, risponde a una legittima richiesta di sicurezza con il solo strumento amministrativo, senza aumentare le pene o introdurre nuovi reati? È di destra un provvedimento che è stato scritto a quattro mani con l'Anci, con sindaci italiani che vanno da Zedda a Nardella, da Decaro a Sala?".

Come per il protagonista del celebre film del regista russo Nikita Sergeevic Mikhalkov, "Amico tra i nemici, Nemico tra gli amici", nel destino di Minniti c'è un ricorrente paradosso che racconta molto della Sinistra italiana, della scarsa dimestichezza di una sua parte quando si tratta di mettere mano, conciliandoli, a diritti cruciali e apparentemente confliggenti come "sicurezza" e "libertà". E anche per questo, forse, proprio quell'accusa di essere padre di una "legge di destra", insieme all'obiezione, opposta, di molti sindaci che avrebbero voluto strumenti penalmente più penetranti (come l'obbligo di arresto in caso di recidiva dopo il Daspo), convince Minniti di essere sulla strada giusta. "L'unica percorribile, perché in grado di declinare le politiche della sicurezza in chiave moderna, democratica, e inclusiva. Dunque rinunciando a declinarla solamente come ordine pubblico. La dico semplice: perché una piazza sia sicura la notte, è necessario che sia presidiata da una macchina della polizia, non c'è dubbio. Ma anche che quella piazza sia illuminata e resa agibile da politiche sociali di inclusione, oltre che di decoro urbano. Ecco, il mio decreto sulla sicurezza è questa cosa qui".

Ci sarebbe anche bisogno, se si parla di sicurezza, che gli apparati siano trasparenti e responsabili - va aggiunto - come pure il decreto nella sua versione originaria indicava, introducendo, con un emendamento, il codice identificativo per i reparti impegnati nell'ordine pubblico. Emendamento poi ritirato. "Solo per ragioni tecniche - dice Minniti - Perché quella norma, per ragioni di procedibilità, come accaduto ad un'analoga iniziativa dei Cinque Stelle in commissione, non poteva appunto essere oggetto di un emendamento. Quindi, rassicuro tutti. Introdurrò l'identificativo di reparto per le forze dell'ordine impegnate nell'ordine pubblico. E non perché di sinistra. Ma perché, banalmente, è giusto e così si fa in altri grandi e importanti Paesi europei".

Negli argomenti di Minniti, è l'irritazione profonda anche per un secondo, "strumentale" argomento. Che in quelle norme si nascondano, insieme, "classismo", da un lato, e condiscendenza per le pulsioni d'ordine di qualche sindaco sceriffo. "Questa idea che il decreto serva ai sindaci per ripulire i centri storici delle città, confinando i marginali ancora più ai bordi, significa semplicemente non aver letto quel decreto. Il sindaco non ha nessun potere di disporre il daspo, vale a dire l'allontanamento amministrativo di un soggetto da una determinata area della città, perché quel potere è e resta dei questori. Il sindaco ha solo il potere di segnalare le aree urbane su cui concentrare gli sforzi di controllo del territorio. Inoltre, l'obiettivo di questo strumento non saranno i clochard o chi rovista in un cassonetto della spazzatura, ma, per dirne una, qualche spacciatore seduto davanti a una scuola o una discoteca, o magari un writer cui sarà chiesto di ripulire un bene comune che ha imbrattato".

Ancora una volta, dunque, un capovolgimento degli argomenti. "Classista non è il decreto. Classista è il modello da cui questo decreto divorzia. Quello che abbiamo avuto sin qui. Un modello di sicurezza che la garantisce solo a quei soggetti forti che sono in grado di assicurarsela privatamente o che hanno la forza per negoziarla politicamente. Insisto: cosa c'è di più democratico di Comitati provinciali per l'ordine e la sicurezza pubblica presieduti da un prefetto e un sindaco che, insieme, definiscono le strategie per il controllo e la sicurezza del territorio? Si dirà: ma se il sindaco è di destra? Sempre un sindaco è. E, soprattutto, è un sindaco liberamente eletto dal popolo".

IL COMMENTO DI SAVIANO: PER IL CONSENSO, CONTRO I DISPERATI
C'è infine un paradosso. Che da Sinistra - "quasi per autocertificazione", osserva sarcastico il ministro - venga contestato un modello che, ribaltando il rapporto tra il centro e la periferia, "devolve ai rappresentanti delle comunità la sicurezza dei luoghi che, solo le comunità, più di chiunque altro, conoscono e sono dunque in grado di proteggere al meglio". Un modello che, per altro, rende il prezzo della inevitabile compressione delle libertà di fronte alla minaccia, quale essa sia, terroristica piuttosto che del crimine organizzato, più tollerabile. Proprio perché condiviso. "Lo ripeto - si appassiona Minniti - io, scrivendo il decreto insieme ai sindaci non avevo in testa il clochard o l'ambulante immigrato. Io avevo in testa non solo quello che è successo a Berlino in dicembre quando si è visto cosa può accadere se non si protegge adeguatamente un mercatino rionale. Avevo in testa quello che ho ascoltato da molti sindaci del nostro Mezzogiorno quando mi spiegavano che l'infiltrazione della criminalità organizzata nel tessuto urbano passa anche per i parcheggiatori abusivi. Avevo in testa il bene comune. Lo chiamano destra? Io dico che è l'Italia, vista dal mio punto di vista, quello della sinistra riformista. Chi dice che rinuncia alla libertà per la sicurezza è un cattivo maestro. Sicurezza è libertà. Non c'è nessun posto sicuro se non è garantita la libertà di frequentarlo. Non c'è nessuna libertà se non viene garantita la sicurezza del libero andare".


© Riproduzione riservata 18 marzo 2017

Da – http://www.repubblica.it/politica/2017/03/18/news/decreto_sicurezza_minniti_respinge_le_polemiche_non_e_una_legge_di_destra_-160816527/?ref=RHRS-BH-I0-C6-P1-S1.6-T1
5346  Forum Pubblico / L'ITALIA DEMOCRATICA e INDIPENDENTE è in PERICOLO. / PIERANGELO SAPEGNO. La mamma di Ilaria, Luciana Alpi: “troppe umiliazioni, mi.. inserito:: Marzo 22, 2017, 12:45:24 pm
Le diverse solitudini dell’Italia senza giustizia
Ilaria Alpi e Bologna
La mamma di Ilaria, Luciana Alpi: “troppe umiliazioni, mi fermo”


Pubblicato il 18/03/2017 - Ultima modifica il 18/03/2017 alle ore 07:29

PIERANGELO SAPEGNO

Non esiste una sola solitudine, questa è la verità. Mentre Luciana Alpi, la mamma di Ilaria, la giornalista trucidata 23 anni fa in Somalia, dichiara di aver deciso «di astenermi d’ora in avanti dal frequentare uffici giudiziari», dopo aver assistito per alle prove di incapacità della Giustizia, nello stesso giorno Paolo Bolognesi, presidente delle famiglie delle vittime del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna, annuncia di aver appena presentato «l’atto di opposizione alla richiesta di archiviazione dell’indagine sui mandanti alla strage di Bologna». I quattro pm dell’inchiesta avevano fatto sapere che non c’era possibilità di trovare i responsabili più in alto degli esecutori. «Non ci arrendiamo e continueremo a combattere», dice Bolognesi. 

Di fronte alla stessa rinuncia, due reazioni opposte. Ma perché si tratta di due solitudini profondamente diverse. Nella lingua inglese la parola solitudine ha due versioni: si dice solitude per esprimere la scelta di essere soli, e loneliness per significare una condizione sofferta e non scelta. Il nostro vocabolario è sbagliato, perché davvero la solitudine può essere una condanna o una conquista. 
 
Bolognesi e gli altri familiari sono stati costretti a sceglierla e sono riusciti a farlo anche grazie alla forza del gruppo, che li ha resi meno soli soltanto in apparenza. La solitudine non è fatta di numeri. Perché molto peggio di essere soli è stare con persone che ti fanno sentire soli. Benché sconfitti da anni interminabili di depistaggi e inchieste corrose, i familiari hanno trovato la forza di continuare a combattere nella loro disperazione. Ma hanno potuto farlo. La mamma di Ilaria Alpi no. La solitudine è molto più dolorosa quando ti accorgi di non contare niente per nessuno. E forse nelle sue parole così dolenti c’è proprio questa consapevolezza: «Al dolore si è aggiunta l’umiliazione di formali ossequi da parte di chi ha operato sistematicamente per occultare la verità e i proventi di traffici illeciti. Non posso tollerare ancora il tormento di un’attesa che non mi è consentita né dall’età né dalla salute». Non è la rinuncia alla verità. Ma la sua sconfitta. Ci sono solitudini che contengono tutte le solitudini vissute e tutte le sconfitte accumulate negli archivi della nostra sofferenza. Se non possiamo fermarci nell’indistinto crepuscolo che non conosce vittorie e sconfitte, se l’esistenza ci ha portato a questo bivio, forse non ci resta altro da fare. Perché abbiamo incontrato la peggiore delle solitudini. 
 
Diceva Robin Williams: «Pensavo che la cosa peggiore nella vita fosse restare solo. No, non lo è. Ho scoperto che la cosa peggiore è quella di finire con persone che ti fanno sentire veramente solo». 
 
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Da - http://www.lastampa.it/2017/03/18/cultura/opinioni/editoriali/le-diverse-solitudini-dellitalia-senza-giustizia-le-due-solitudini-dellitalia-senza-giustizia-0Ee0xZkcneaD7U0SKK50DP/pagina.html
5347  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / NICOLA PIEPOLI Primarie, il 75% sta con Renzi. Voteranno più di due milioni inserito:: Marzo 22, 2017, 12:43:05 pm

Primarie, il 75% sta con Renzi. Voteranno più di due milioni
Il sondaggio: Orlando fermo al 19%, Emiliano al 7%. Fiducia stabile nel ministro Lotti

Pubblicato il 17/03/2017 - Ultima modifica il 17/03/2017 alle ore 01:30

NICOLA PIEPOLI

È stabile la fiducia in Luca Lotti. Il ministro, e braccio destro di Matteo Renzi, non sembra subire contraccolpi per l’inchiesta Consip che lo vede indagato con le accuse di rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento. Il trend di fiducia degli italiani nei suoi confronti, infatti, non si è modificato di molto dalle rivelazioni fatte dall’Istituto Piepoli negli ultimi tre mesi. 

Il 17 gennaio, a un mese dalle prime indiscrezioni di stampa che vedono Lotti coinvolto nell’indagine, la sua fiducia è a 35. Il 17 febbraio il ministro sale a 39. Ieri l’altro, infine, quando è stata bocciata la mozione di sfiducia del M5S al Senato, Lotti scende di punto, a 38 (vedi grafico a lato, ndr). Degli spostamenti impercettibili, come è normale che sia per rivelazioni di questo tipo, ma che denotano un trend tutto sommato positivo per il ministro.
 
La volata dell’ex premier 
L’ultima uscita pubblica di Lotti, prima dell’inedito discorso a Palazzo Madama, era stata lo scorso weekend a Torino per la convention dei renziani al Lingotto. Una kermesse che, secondo quattro elettori di centro-sinistra su dieci, ha dato nuova forza e visibilità al Partito democratico. Tant’è che è stata seguita («almeno in parte») da praticamente un italiano su due. Renzi nei giorni della Convention è risultato un vincitore poco discutibile, rilanciando le sue ambizioni di vincere le primarie del Pd. Delle ambizioni che si direbbero ben riposte visto che, stando alle rivelazioni, il 75% degli elettori che andranno alle urne il prossimo 30 aprile pensano di votare l’ex premier ed ex segretario. Praticamente tre su quattro dei potenziali elettori sono con lui. Solo uno su quattro, invece, si schiera a favore di Andrea Orlando o di Michele Emiliano, con una netta prevalenza per il primo. Secondo l’ultimo sondaggio, infatti, il ministro della Giustizia arriverebbe al 19%, contro il 6% del governatore pugliese.
 
Del resto la candidatura di Orlando, considerato uno che non tradisce le tradizione del partito, piace di più di quella dell’ex sindaco di Bari: il 42% «ha fiducia» in lui, mentre Emiliano si ferma al 27%. Renzi sul breve termine sembra sbaragliare i due avversari: nonostante la scissione l’ex segretario continua a convincere l’elettorato di centro-sinistra: il 56% si fida di lui (vedi grafici a lato, ndr). Anzi coloro che sono usciti dal Pd (Bersani, D’Alema, Speranza) erano un «peso per il futuro del partito», secondo il 50% della base. 
 
La stima sull’affluenza 
La base registra però un po’ di disillusione per questa fase dei dem. Sia chiaro: la propensione ad andare a votare risulta piuttosto elevata (come in ogni sondaggio di questo tipo); dati i normali «correttori» possiamo supporre che gli elettori alle primarie del 30 aprile saranno superiori ai 2 milioni. Un dato tutto sommato positivo, ma probabilmente in calo rispetto ai 2 milioni e 800 mila votanti delle primarie del 2013 (che incoronarono leader Matteo Renzi) e degli oltre 3 milioni della tornata del 2009 (che consegnò il partito a Pier Luigi Bersani). Interessante un altro dato di scenario: se il Pd fosse guidato da Matteo Renzi il partito acquisterebbe altri voti, mentre in caso di una segreteria di Orlando o di Emiliano ne perderebbe. Insomma, un Renzi pressoché senza concorrenza. 
 
Le future alleanze 
Nonostante la scissione le intenzioni di voto vedono un Pd stabile al 29%, mentre a Mdp andrebbe il 4%. In tutto le formazioni di sinistra e centrosinistra raccolgono il 38%. La destra e il centro-destra, con Lega al 12% e Forza Italia all’11%, si fermerebbe al 32%. Mentre il M5S è dato stabile al 28%, un punto sotto al Pd. 
 
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5348  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / AMEDEO LA MATTINA. Manovra correttiva: rispunta l’aumento sulle accise di... inserito:: Marzo 22, 2017, 12:41:27 pm

Manovra correttiva: rispunta l’aumento sulle accise di tabacchi e carburanti
Nel decreto di Gentiloni e Padoan niente tagli alla spesa pubblica

Pubblicato il 17/03/2017

AMEDEO LA MATTINA
ROMA

Paola De Micheli, sottosegretario all’Economia, lo ha anticipato l’altra sera in commissione Ambiente della Camera: il governo intende inserire per decreto nella manovra correttiva alcune misure per la crescita. Un’anticipazione rispetto a quelle che ci saranno ad ottobre nella legge di stabilità. Adesso un antipasto, con un occhio particolare alla fiscalità di vantaggio per tutte le zone interessate al terremoto. Quello che però De Micheli non ha detto nella commissione presieduta da Ermete Realacci è che nello stesso decreto verrà previsto l’aumento delle accise su tabacchi e carburanti. Non sembra che ci sia invece un taglio alla spesa pubblica. La decisione è stata presa nei giorni scorsi dal premier Paolo Gentiloni e dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan che si sono visti ieri a Palazzo Chigi per mettere a punto il Def. 

Renzi dovrà dunque farsene una ragione: il rientro di 3,4 miliardi entro il 10 aprile, chiesto da Bruxelles per correggere i conti ed evitare la procedura d’infrazione, verrà fatto anche con l’aumento delle accise. E questo nonostante 37 deputati renziani, in un atto di indirizzo al governo, avevano precisato che le risorse per correggere i conti pubblici avrebbero dovuto essere reperite «unicamente dal taglio alla spesa pubblica improduttiva e dalla lotta all’evasione fiscale». Lo stesso Renzi, più volte pubblicamente, aveva posto dei paletti al Tesoro: nessun aumento delle tasse, nemmeno delle accise. «Non possiamo spremere ulteriormente i cittadini. Il tema di non aumentare le tasse - aveva detto nella Direzione del Pd a febbraio - è un principio di serietà nei confronti dei cittadini».
 
L’ex premier deve vincere il congresso e poi affrontare una lunga campagna elettorale che lo porterà al voto nel 2018, se nel frattempo non succederà qualcosa che faccia precipitare verso elezioni anticipate. Una volata, quella dell’ex premier, che non prevede aumenti di tasse di alcun genere, accise comprese: «Sarebbe un errore politico». Ma a via XX Settembre non trovano una soluzione migliore per reperire una parte delle risorse necessarie per centrare l’obiettivo che ci viene chiesto da Bruxelles. Ma allo stesso tempo Padoan anticipa, rispetto alla legge di stabilità, alcune misure di crescita che sono necessarie anche per abbattere il debito pubblico: quel macigno che non consente di liberare risorse da destinare agli investimenti. È il problema dei problemi che tutti i governi hanno dovuto affrontare, senza mai risolverlo, e che ieri Piero Fassino nell’intervista alla Stampa ha posto a Gentiloni come prioritario. Il punto è che l’ex sindaco di Torino, tra le possibili soluzioni, indicava le privatizzazioni, mentre nel Pd c’è una componente robusta che non le vuole. Nella stessa Direzione del partito dello scorso mese Matteo Orfini aveva detto che non si può ricominciare con «la stagione delle privatizzazioni: serve al contrario una grande strategia di investimenti pubblici». Anche il ministro Graziano Delrio ha bloccato ogni ipotesi di vendita di asset pubblici, in particolare delle Ferrovie dello stato: «Ho dei problemi a privatizzare le Frecce con dentro il trasporto pubblico regionale». Quel giorno ad ascoltarli in platea c’era proprio Padoan. 
 
Gli scissionisti demoprogressisti si godono lo spettacolo e il senatore Miguel Gotor parla di «braccio di ferro tra il partito di Gentiloni-Padoan e quello di Renzi che vuole una manovra elettorale: questo è visibile su molte questioni, compresa quella delle privatizzazioni». Se ora arriva pure l’aumento delle accise su tabacchi e carburanti non sarà una passeggiata approvare in Parlamento il decreto che serve alla manovra correttiva.

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Da - http://www.lastampa.it/2017/03/17/economia/manovra-correttiva-spunta-laumento-sulle-accise-di-tabacchi-e-carburanti-taTGD6wcM4tGHg52Rx3RFO/pagina.html
5349  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / FRANCESCA SCHIANCHI. Bersani: “È ora che Gentiloni si emancipi da Renzi e ... inserito:: Marzo 22, 2017, 12:39:52 pm

Bersani: “È ora che Gentiloni si emancipi da Renzi e dica la verità agli italiani”
«Sulle nomine c’è lo zampino di Matteo, non del premier». Ma alle amministrative «pronti ad alleanze con il Pd»
Ex segretario del Pd prima di Renzi, è oggi tra i leader della scissione di Movimento democratico e progressista

Pubblicato il 22/03/2017 - Ultima modifica il 22/03/2017 alle ore 09:36

Francesca Schianchi
Roma

«Non abbiamo ancora battezzato il bambino e ha già più pane che denti». Nel mezzo di un tour per l’Italia, Pierluigi Bersani sintetizza con una battuta delle sue l’accoglienza riservata a Mdp. «Ovunque ci sono più persone che sedie», sorride soddisfatto, nel piccolo ufficio che accoglie il nuovo gruppo parlamentare, da cui lancia un messaggio al premier Gentiloni: «Dica la verità agli italiani sull’economia». 

I sondaggi sono avari, danno Mdp tra il 3 e il 4 per cento… 
«Siamo già ben oltre, glielo dico io. Del resto, in questa fase già mi stupisco che ci sondino: solo oggi, anniversario dell’approvazione dell’articolo 1, presenteremo il simbolo. È il momento di mettere l’orecchio a terra per sollecitare gente che non andava più a votare, che votava Pd ma non se la sente più, gente che vota M5S».

Non rischiate di favorire il M5S togliendo voti al Pd? 
«Sarebbe vero se avessimo un sistema in cui chi arriva primo prende tutto, ma non è così. E se il M5S cresce bisogna cercare le ragioni: qualcuno può pensare che Consip e il voto su Minzolini non siano benzina per Grillo?».

L’ha stupita il voto su Minzolini? 
«L’ho trovata una vicenda incomprensibile: non credo compatibile con la legge Severino che il Senato si faccia quarto grado di giudizio. E atteggiamenti diversi caso per caso possono solo portare confusione».

Alludeva al sistema elettorale: qual è la vostra proposta? 
«Servono piccoli collegi per riavvicinare i cittadini ai loro rappresentanti. Il resto si discute: è possibile un proporzionale con qualche correzione che consenta di formare un governo, meglio con premio alla coalizione che alla lista».

Obiettivo vostro e di Pisapia è presentarvi insieme? 
«Partendo da iniziative diverse stiamo cercando la stessa cosa: un centrosinistra largo e plurale. Ma nessuno dei due vuole fare un partitino. Come presentarsi si vedrà, non c’è ancora la legge elettorale. Il tema delle alleanze viene dopo».

Dice la Serracchiani che non rientrerete da una lista Pisapia… 

«Ma sì, facciamo un listone tutto di Serracchiani… (ride). Quei toni spiegano più di tante cose la deriva del Pd».

Per Renzi è un’immagine da macchietta la sinistra di Bandiera rossa e pugno chiuso. 
«Vedo nelle sue parole lo sberleffo: lui non sarebbe arrivato al Lingotto se qualcuno non avesse sventolato la bandiera rossa. Non accetto la presa in giro, soprattutto da chi non ha titoli».

Nonostante il giudizio sul Pd renziano, alle amministrative vi alleerete con loro? 
«Alle amministrative andremo con una chiave di centrosinistra, favorendo liste civiche: da qualche parte sarà possibile presentare un candidato sindaco, altrove si potrà convergere con altri, in altre ancora daremo indicazioni da fuori».

Appoggerete candidati del Pd? 
«Se il Pd non fa pensate strane, se ne discute. Non c’è nessun pregiudizio purché si resti nel centrosinistra».

Capitolo governo: che ne pensa dell’abolizione dei voucher? 
«Voteremo la legge, ma non è quello che avremmo fatto noi. Si è fatta una inversione a U oltre il ragionevole per paura del referendum».

Gentiloni ha detto che non era il momento di spaccare il Paese… 
«Sono d’accordo, ma se tu sei il governo, fai una proposta che riporta i voucher all’impostazione originaria, poi vai davanti al popolo, che è adulto, e la spieghi. A quel punto il referendum sarebbe diventato un osso di seppia».

Nelle nomine delle società partecipate vede lo zampino di Renzi? 
«Vedo lo zampino che non c’è - quello di Gentiloni -, e quello che c’è troppo poco, quello di Padoan. In diversi casi siamo nel campo dell’opinabile. E mi fermo qui, perché la materia è delicata. Dico solo “buon lavoro”, perché c’è di mezzo parecchio di quel che resta dell’industria italiana».

A Gentiloni avete chiesto di togliere le deleghe al ministro Lotti, ma non sembra vi ascolti… 
«Lotti dice che Marroni mente (Ad Consip, ndr.), e Marroni riceve la fiducia del ministero del Tesoro: uno dei due non la racconta giusta. Amerei che ci fosse un governo capace di prendere in merito una decisione».

Quale? 
«Quella che ritiene opportuna, ma una decisione».

Ci spera ancora? 
«Meglio tardi che mai: le cose lasciate alle spalle prima o poi tornano fuori».

Gentiloni è troppo poco autonomo da Renzi? 
«Si può apprezzare lo stile di Gentiloni, che conosce la buona educazione, ma io lo incoraggio, col nostro aiuto, a segnare qualche discontinuità, ad affermarsi come capo di un governo che deve portarci al 2018 in condizioni di credibilità».

Quali sono i vostri paletti? 
«Io chiedo solo una cosa: Gentiloni deve dire la verità agli italiani sull’economia, poi insieme vedremo come fare. La cosa che mi disturberebbe di più sarebbe la descrizione di mondi che non ci sono. Ci vuole un discorso serio e rigoroso sullo stato del Paese».

E sulla manovra che bisognerà fare? 
«Si prepara una manovra in autunno da far tremare le vene ai polsi, bisogna discuterne. Quando sento Renzi dire di non aumentare l’Iva, gli ricordo che è lui che l’ha aumentata per il 2018, ora bisogna intervenire perché l’aumento non scatti. Mi auguro che Gentiloni si emancipi sempre di più da quella continuità».

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Da - http://www.lastampa.it/2017/03/22/italia/politica/bersani-ora-che-gentiloni-si-emancipi-da-renzi-e-dica-la-verit-agli-italiani-PyvdzU1qT80orqZeifnzEK/pagina.html?wtrk=nl.direttore.20170322.
5350  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / MONICA FRASSONI* - RESET Europe: la partita si apre ora, la posta in gioco sono inserito:: Marzo 22, 2017, 12:38:23 pm
RESET Europe: la partita si apre ora, la posta in gioco sono le elezioni del 2019

Pubblicato il 19/03/2017
MONICA FRASSONI*

Finalmente si anima un po’ la discussione e l’informazione intorno ai 60 anni dalla firma dei Trattati di Roma, che istituirono la CEE. 
 
E anche i Verdi europei saranno a Roma, con una delegazione multicolore che parteciperà a molte delle iniziative in campo, dalla Marcia federalista a quella dei movimenti associativi “La Nostra Europa” che si uniranno al Colosseo il 25 marzo, ai dibattiti con altri partiti pro-europei e italiani, in qualche caso lontani dalle nostre idee, ma uniti in quella che deve essere comunque una festa, perché questi 60 anni, con tutti i loro limiti, sono da celebrare; e diremo la nostra anche alla Manifestazione di DIEM25 convocata da Yannis Varoufakis in una serata che siamo sicuri sarà di dibattito aperto e diversificato e non di conta di “seguaci”. Tra l’altro, di partiti trans-nazionali ne esistono già e il Partito Verde europeo, fondato proprio a Roma come tale nel 2004 sulla base di una Federazione di partiti nazionali, ha interpretato da tempo questa funzione, con organi politici comuni, campagne comuni, l’elezione di eurodeputati di nazionalità diversa che il loro paese di origine, un manifesto e addirittura le prime primarie trans-europee per la nomina del candidato/a alla Presidenza della Commissione europea, vinta nel 2014 da Ska Keller, che sarà con noi a Roma. In questa fase, non serve mettere la propria bandierina su un processo che DEVE rimanere flessibile e aperto, perché sappiamo già che si dovrà adattare alle realtà politiche e alle regole elettorali dei diversi paesi; però si deve subito essere chiari sull’obiettivo: le elezioni europee del 2019. 
 
A meno che Trump decida di schiacciare il bottone nucleare prima, abbiamo un po’ più di due anni per “occupare” l’Europa. E’ arrivato il momento di essere precisi quando si parla di che cosa diavolo vuole dire discutere di un’altra Europa. Escluderei subito scorciatoie illusorie che pensano che per risolvere il problema sia necessario uscire dall’ euro o abbattere la Commissione. Per due motivi: la storia insegna che se spingi per rompere alla fine fai il gioco di chi vuole distruggere. E oggi ce ne sono molti, Trump e Trumpini europei testa. In secondo luogo perché si tratta di un’azione di distrazione di massa: l’uscita dall’euro sarebbe una rottura dell’UE e i conflitti economici e politici tra i membri della UE esploderebbero senza alcuna possibilità di arginarli. Però non vinceremo neanche agitando la bandiera Europa o parlando di quanto è bello Erasmus. 
 
Dobbiamo sfidare l’europeismo istituzionale, ponendoci come chiara alternativa a un conformismo che oggi non attira più nessuno, perché politiche “austere” hanno raffreddato il sogno. Insomma il messaggio è che non si battono i cambiamenti climatici, non si limita l’influenza di Putin, non ci si assicura la fine di elusione ed evasione fiscale, non si gestisce il flusso di chi fugge da guerra e povertà, non si costruiscono società aperte ma sicure, insomma non si realizzano obiettivi “rivoluzionari” rinchiudendosi nei nostri confini. Questo si, sarebbe rinunciare del tutto alla nostra sovranità e legarsi mani e piedi al carro dei portatori di false soluzioni o a quello di leader e autocrati stranieri, dai cinesi a Trump. In politica, ma anche nella società, nella cultura, tra gli attori economici, il nostro futuro è stare nel campo aperto di chi vuole cambiare il mondo e non nella scatoletta omogenea e paurosa dei Salvini italiani ed europei. 
 
*co-Presidente Partito Verde Europeo 

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Da - http://www.lastampa.it/2017/03/19/cultura/opinioni/editoriali/reset-europe-la-partita-si-apre-ora-la-posta-in-gioco-sono-le-elezioni-del-Y5dHoIPfcB6QxDF6CbToNJ/pagina.html
5351  Forum Pubblico / AUTORI - Firme scelte da Admin. / MICHELE FUSCO. IL PD DI RENZI E MARTINA VIVE IN UN NON-LUOGO: SAPRESTE DARGLI... inserito:: Marzo 22, 2017, 12:35:50 pm
IL PD DI RENZI E MARTINA VIVE IN UN NON-LUOGO: SAPRESTE DARGLI UNA DEFINIZIONE?
   
MICHELE FUSCO
7 marzo 2017
   
Ho capito molto del nuovo Partito Democratico da un significativo scambio di tweet con il ministro Martina. Il quale ministro Martina nei giorni scorsi è stato scelto da Matteo Renzi come ideale co-condottiero in un’ottica di ticket governativo. Un’idea nient’affatto balzana dell’ex segretario: mollare scenograficamente gli andreottiani del partito, Guerini & C., per coprirsi con la vecchia, gloriosa e mai dimenticata storia comunista e post-comunista. Una cosa di sinistra, alla Moretti. Un richiamo alle origini che nei programmi di Renzi dovrebbe garantire gli scettici di sinistra sulle buone intenzioni del già segretario. La scelta del giovane Martina è valsa al medesimo l’ovvia attenzione dei giornali, per cui nella sua prima intervista al “Corriere” da vice-segretario virtuale, il ministro dell’Agricoltura ha raccontato la sua idea di sinistra (compatibile con quella di Renzi). Gli hanno chiesto di Orlando, del competitor forse più attrezzato politicamente e lui ne ha sottolineato un passaggio: «Mi ha molto colpito il suo richiamo a Bad Godesberg (da uno storico congresso della socialdemocrazia tedesca del ’59). Quel modello è insufficiente per le sfide enormi, sociali e democratiche, che abbiamo davanti».
A questo punto, sollecitato dalla riflessione del ministro, mi sono posto un problema di identità. In un concetto, in che casella mettere oggi Maurizio Martina, già di formazione post-comunista. L’elemento che mi ha impressionato, infatti, è che il nostro protagonista non riconosce più nulla della sua stessa storia. Non più quella comunista, ovviamente, superata dagli eventi e dalla maturazione personale, ma neppure più quella socialdemocratica, che ancora oggi rappresenta la forma più sincera, appassionata e moderna di sinistra. Ammesso che sia moderna, appunto, e che abbia piena consapevolezza dello sviluppo sociale, scientifico, artistico, del mondo che ci tocca di vivere. A oggi la parola riformismo, probabilmente strapazzata a uso e consumo personale, non si potrebbe declinare se non in quel contesto socialdemocratico. Il problema è che ancora nessuno, in una condizione di grandissima difficoltà sociale, è riuscito a darle moderna forma compiuta, in grado di tamponare se non addirittura di prevenire i fenomeni di disagio universale che abbiamo sotto gli occhi.
Alla fine di questa riflessione, mi sono fatto la domanda-chiave: ma se Martina da giovanissimo post-comunista si è formato negli anni della transizione verso la piena socialdemocrazia, oggi che non riconosce più neppure quella, che cosa è diventato? A furia di spostarsi di lato, il rischio è di non trovare più una casella nella quale riconoscersi (e soprattutto farsi riconoscere). È per questo, come potete leggere, che gli ho mandato il seguente tweet: «Un già comunista come @maumartina nega la socialdemocrazia come visione possibile. Non resta molto, allora, meglio non dirsi più di sinistra».  La sua risposta ha aumentato il mio scetticismo: «Non è negazione @mic_fusco, ma considero oggi insufficiente quel richiamo. Abbiamo bisogno di lavorare su innovazione sociale e democratica».

Ecco dunque il punto. Il punto sono le ultime due righe del tweet, sono quelle che dovrebbero identificare la nuova sinistra. Il luogo, finalmente. Il simbolo. L’evocazione. Ciò che lega gli elettori. Ciò che spinge ad appassionarsi. Il concetto-chiave è dunque: “Innovazione sociale e democratica”. Converrete che non è un concetto così immediato e suggestivo come può essere riformismo o, addirittura, socialdemocrazia. Ma è il concetto di questo tempo, che passa di bocca in bocca come un mantra, che lega tutte le visioni possibili in un unico contenitore: innovazione sociale. La si credeva una pre-condizione, un pre-requisito, al pari dell’onestà per dire, e invece si scopre che è l’innesto nuovo da cui partirà il treno delle riforme e del cambiamento.
Quello che appare abbastanza chiaro e muove a una certa preoccupazione è che il Partito Democratico non ha (più) un luogo. Non ha (più) un simbolo. A richiesta precisa, il Pd non saprebbe dirti dove sta, come sta, e che cosa intende indossare se per caso arriva la fine del mondo. E soprattutto non vuole riconoscere quasi più nulla della sua storia passata, come in una rimozione inflessibile e forzata. Questo, almeno questo, dev’essere un grande tormento per chi ha studiato e ha vissuto la grande storia della sinistra. Pescare in quello stagno è uno sfregio nel tabernacolo di una nuova modernità che non contempla contaminazioni. La parola è solenne, per altri versi orribile: ma questo atteggiamento è negazionismo.
Le chiedo, ministro Martina: questo è un pedaggio inevitabile da pagare a Matteo Renzi?

Da - http://www.glistatigenerali.com/partiti-politici/il-pd-di-renzi-e-martina-vive-in-un-non-luogo-sapreste-dargli-una-definizione/
5352  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / FRANCESCO BEI. Campo Dall’Orto: “Rete salva solo con la qualità. Basta pressioni inserito:: Marzo 22, 2017, 12:30:25 pm
Il dg Campo Dall’Orto: “Rete salva solo con la qualità. Basta pressioni degli agenti”
“Sabato si è rotta la fiducia con i telespettatori”

Pubblicato il 21/03/2017
Francesco Bei
Roma

Nessuna distrazione, nessun incidente, nel caso di “Parliamone sabato”, «è stata rispettata la catena di comando. Se vogliamo è ancora più grave, perché il problema non riguarda solamente la conduttrice, ma tutto un gruppo di lavoro. E chi doveva controllare evidentemente ha sbagliato». Antonio Campo Dall’Orto, direttore generale della Rai, difende la decisione di cancellare il programma “Parliamone sabato” dopo lo scivolone sulle donne dell’Est.

Ha capito cosa è successo? La responsabilità arriva fino al direttore di Raiuno Andrea Fabiano? 
«L’errore si è fermato prima. Ho ripercorso tutta la catena di controllo e purtroppo ogni passaggio è stato rispettato. Ma se vogliamo è ancora più grave, perchè chi doveva controllare ha dato via libera».

Perché è ancora più grave? 
«Io credo molto nel principio di responsabilità e nella delega. Ma per funzionare in un’azienda come la nostra, che è a contatto con il pubblico, questi due principi devono poggiare su una cultura forte e condivisa».

Quello che è mancato sabato scorso? 
«Esattamente, un errore lo possiamo fare tutti. Ma sabato è successa una cosa enorme: se si arriva a rompere il patto di fiducia con i telespettatori e a dare una rappresentazione completamente inaccettabile delle donne, significa che nessun campanello d’allarme è suonato. Per questo il programma è stato cancellato».

La Perego paga per tutti? Il trash in tv, specie nel daytime, abbonda sovente anche sulla Rai... 

«Sarebbe sbagliato prendersela con lei, anche perché un programma è fatto di tante persone. In questo caso un gruppo di lavoro ha ritenuto che fosse accettabile un contenuto inaccettabile per il servizio pubblico».

Insisto, cosa state facendo per evitare il trash nelle trasmissioni destinate al largo pubblico? 
«È da mesi che lavoriamo per cambiare i contenuti del daytime, quella parte di televisione che più di tutte, proprio perchè si rivolge a un pubblico largo, deve essere coerente con l’identità del servizio pubblico. Un’identità sempre più slegata dal modello di tv commerciale». 

In concreto? 
«Solo per fare un paio di esempi, abbiamo tolto la cronaca nera dalla domenica pomeriggio, per evitare di scadere nel sensazionalismo e abbiamo investito molto nella divulgazione culturale, con esempi quali la prima della Scala in diretta su Raiuno, oppure Fuocammare in prima visione su Raitre. Adesso ripensiamo tutti i contenitori».
 
Polemica sulla Rai e le donne dell’Est. I vertici a chi devono fare le scuse?
Per fare cosa? 
«Il modello è un po’ quello di Uno Mattina, che sa tenere insieme contenuti di qualità, giornalismo e l’infotainment più leggero».

C’è anche il problema di manager esterni, come Lucio Presta (marito e agente della Perego), che nei programmi fanno il bello e il cattivo tempo. Farete qualcosa per contenerne lo strapotere? 

«La verità è che quanto più un’azienda ha le idee chiare sulla sua mission, tanto più è indipendente da figure esterne di questo tipo. I manager come Presta ci sono in tutte le tv del mondo, fanno il loro mestiere, ma sei tu azienda che devi avere la forza per decidere in maniera autonoma senza sottostare alle pressioni».

Intanto come tapperete il buco del sabato pomeriggio su Raiuno? 
«Non si tratta di tappare un buco. Ho chiesto ad Andrea Fabiano di sviluppare dei progetti che vadano nella direzione di una televisione sempre più scritta, con gruppi autoriali e giornalistici più strutturati. Tanto più il servizio pubblico è scritto, come con le fiction, tanto più è forte e difendibile. Vale anche per il varietà e lo dimostrano i casi di Bolle, di Mika su Raidue, o la Notte al Museo di Alberto Angela».

A che punto siete con il tetto agli stipendi delle star? Riuscirete a farlo saltare? 
«Siamo fiduciosi che le Istituzioni possano accompagnarci verso una soluzione positiva, altrimenti le conseguenze potrebbero essere significative. Per avere un’azienda forte e indipendente è indispensabile lasciare alla Rai la libertà d’azione per cercare i migliori talenti sul mercato».

Vista la situazione della Rai, qualcuno ha anche lanciato l’idea di mettere a gara la concessione di servizio pubblico. Si sente in pericolo? 
«La concessione si giustifica proprio per il modo in cui stiamo portando avanti questa cultura che prova a unire qualità e ascolti. Siamo noi della Rai che dobbiamo provare tutti i giorni ad essere all’altezza della missione che ci è stata affidata». 

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Da - http://www.lastampa.it/2017/03/21/italia/cronache/il-dg-campo-dallorto-rete-salva-solo-con-la-qualit-basta-pressioni-degli-agenti-Y26CqGLfHOajpMAh6Yk78J/pagina.html
5353  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Anna Zafesova. La verità sulle donne dell’Est inserito:: Marzo 22, 2017, 12:28:10 pm

La verità sulle donne dell’Est
Dalla bellezza alla disponibilità, gli stereotipi che si ripetono anche sui media
La Rai ha chiuso «Parliamone sabato», programma di Paola Perego, dopo la puntata che parlava dei motivi per scegliere una fidanzata dell’Est

Pubblicato il 21/03/2017 - Ultima modifica il 21/03/2017 alle ore 09:08
Anna Zafesova

Belle contro ogni avversità, immancabilmente sexy, prone ai desideri del marito, cuoche in cucina, molto socievoli a letto, un po’ meno signore in salotto. Suonerebbe quasi un complimento un po’ pesante, che comunque tirerebbe su di morale le badanti ucraine, le studentesse russe, le cameriere bielorusse, le infermiere rumene e tutte le altre mitiche “donne dell’Est”. Se solo esistessero. Perché le cose dell’Est sono sempre imprecisate, e un po’ losche, come i famigerati “cuccioli dell’Est” negli annunci dei cinofili, come i “criminali slavi” che da anni infestano più le pagine dei giornali che le strade. Se sei dell’Est, sei un mafioso, o una prostituta, o nel migliore dei casi un cucciolo taroccato. Se sei russo, sei un mafioso o una spia, da qualche mese gira anche il tormentone più raffinato e malefico degli hacker. 

SFUMATURE ITALIANE 

L’Italia tende a sottilizzare all’infinito le più irrilevanti sfumature che distinguono il Nord dal Sud, i calabresi dai lombardi, i lombardi dai piemontesi, i bergamaschi dai bresciani, fino a trovare incompatibilità clamorose tra gli abitanti di due paesini distanti 10 chilometri l’uno dall’altro. Non vale però per gli altri: ceche, polacche, russe, bulgare, croate, ucraine, albanesi, estoni, popoli diversi, culture diverse, religioni diverse, genetica e lingua diversissime, mischiati in un unico calderone indistinto lungo migliaia di chilometri. Scusi, da che parte è l’Est? Più o meno tutto quello che si trova a destra di Trieste.

Sveliamo l’amara verità. Le “donne dell’Est”, chiunque esse siano, non sono tutte statuarie 90-60-90, molte sono più larghe che alte. Non sono tutte bionde e sexy, la vestaglia e la ciabatta sono l’uniforme d’ordinanza (dove è finito l’altro stereotipo, quello dei rumeni che andavano in giro in tuta e infradito?). Non perdonano il tradimento più di quanto lo facciano le loro consorelle altrove, anche perché nell’Est ex comunista il divorzio è facile, rapido e implacabile. Insomma, sono uguali a tutte le altre donne, qualcuna bella, molte meno belle, qualcuna “dal fisico marmoreo”, quasi tutte le altre in dieta perenne e inutile. Ma soprattutto non sono docili: le donne dei Paesi dove si doveva sopravvivere prima a una dittatura, e poi alle rovine della dittatura, si abituano “fin da piccole” non tanto a fare le faccende di casa, quanto a combattere e resistere, e la quantità di maschi italiani felicemente addomesticati sotto il pugno di ferro (non sempre nel guanto di velluto) delle mogli dell’ex Urss lo dimostra. Basta guardare Melania Trump, che non è nemmeno andata ad abitare con suo marito alla Casa Bianca. La Rai dovrebbe ricordarsi di mettere questa avvertenza nei suoi consigli per gli acquisti.

CONFUSIONE 
Lo stereotipo trasmesso sulla TV di Stato non parla in realtà dell’Est, geografico o immaginario. Ma dice molto su un pregiudizio ormai legittimato. Che danneggia soprattutto chi lo produce e lo consuma. Le “donne dell’Est” sono ormai abituate a venire prese per meretrici, anche quando pesano 90 chili e hanno raggiunto l’età pensionabile. Gli italiani invece si ritrovano a vivere in un mondo pieno di insidie, della “criminalità dell’Est”, per esempio (anche se ultimamente viene sostituita negli incubi dal profugo terrorista islamico). I media per anni hanno confuso rom e romeni, e romeni e slavi (sorpresa! i romeni non sono slavi, e nemmeno gli albanesi, per non parlare dei rom), dimenticandosi però sempre di dire che i romeni sono la comunità di stranieri più numerosa d’Italia (al secondo posto i filippini), e che se fossero tutti criminali a quest’ora ci avrebbero rubato tutte le auto. La gaffe della Rai sulle “donne dell’Est” ha acceso una polemica, ma nessuno si è mai interrogato sul perché l’immigrato che appare sugli schermi televisivi è sempre sdentato, trasandato e semianalfabeta, mai un dottore, un imprenditore, un professore, uno studente, mai una persona normale e uguale. Perché nell’Est, o nel Sud, possono essere solo dei poveretti, in versione cattiva (mafioso, terrorista o al massimo ladro di biciclette) o buona (commuovente profugo al quale regalare una coperta e sentirsi tanto buoni).

 UOMINI ITALIANI 
Chi però dovrebbe infuriarsi più di chiunque altro, e protestare, raccogliere firme e scendere in piazza, non sono le donne dell’Est, ma i maschi italici, ridicolizzati come i peggiori personaggi di Alberto Sordi e Massimo Boldi. A chi potrebbe far piacere venire identificati con bambinoni complessati e bavosi, ansiosi di avere per casa un incrocio tra la bambola di gomma e l’aspirapolvere, una sorta di “moglie di Stepford” perfetta e robotizzata? In attesa della rivolta dei maschi contro la discriminazione di genere, un’altra piccola rivelazione: le donne perfette non esistono, né all’Est, né alle Filippine, né in Africa. Anche perché se ci fossero, esigerebbero degli uomini perfetti.

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Da - http://www.lastampa.it/2017/03/21/societa/e-sempre-l-8-marzo/la-verit-sulle-donne-dellest-30cgLy3RabnQg4epCQjEzK/pagina.html
5354  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / Stefano Stefanini. Cogliere la chance di far ripartire l’Europa inserito:: Marzo 22, 2017, 12:22:30 pm
Cogliere la chance di far ripartire l’Europa

Pubblicato il 21/03/2017
Stefano Stefanini

I pedaggi si pagheranno a Berlino o a Bruxelles. Ma tutte le strade portano ancora a Roma. Ieri vi hanno condotto i Paesi mediterranei dell’Ue e i loro dirimpettai nordafricani. Insieme, hanno fatto un passo avanti per gestire la rotta libica dell’immigrazione in Europa; sulla carta per ora, ma nella giusta direzione. Sabato 25 toccherà all’intera Unione Europea rinnovare i voti nel sessantesimo anniversario. L’Italia è il fulcro dei flussi immigratori; la regia del 25 marzo le dà fiato per farne un vertice politico di rilancio anziché una sterile celebrazione. 

Il Trattato del 1957 suggellò la rinascita dell’Italia repubblicana dalle macerie della dittatura fascista, dall'umiliazione della sconfitta e dalle ferite della guerra civile. Sessantanni dopo i leader dei 27 Paesi dell’Ue tornano a Roma per far ripartire l’Europa dopo le battute d’arresto sull'immigrazione, sulla crescita e sul debito sovrano, dopo gli attacchi del terrorismo, dopo l’autoinflitta amputazione del Regno Unito. 

La perdita di fiducia della gente in un’Unione che perda colpi è comprensibile. Le Pen, Salvini, Wilders, Farage sono effetti non cause. Per l’Ue gli ultimi due anni sono stati una corsa a ostacoli da una crisi all’altra, inciampando ma senza abbandonare. La sopravvivenza è una battaglia onorevole che non basta. Quando si riuniranno a Roma, per ridare fiducia alla gente e ritrovarla in se stessi i 27 leader e i tre presidenti dell’Ue dovranno dimostrare di guardare al futuro. Oggi non è tempo né d’indulgere a celebrazioni né di farsi prendere la mano da recriminazioni. Quello che conta è l’Europa di domani.

All'Europa di domani pensarono i sei Paesi fondatori nel 1957. Guai se si fossero fatti condizionare dalla congiuntura. Se fra quattro giorni ci sarà lo stesso coraggio la gente se ne accorgerà, a Bratislava come a Parigi. L’Italia ha una responsabilità non solo cerimoniale. Il lustro di fare da ospite è effimero. Essere Paese cerniera fra Nord e Sud, fra vecchi e nuovi membri, ponte verso i Balcani in credito di allargamento, frontiera mediterranea, è una responsabilità. Basta e avanza per far ben sentire la nostra voce, pur senza velleitarismi. 

A fine mese, il primo ministro britannico annuncerà la decisione di Londra di uscire dall’Ue ex articolo 50 del Trattato di Lisbona. Non che ci sia da rallegrarsene, ma il dado è stato tratto nove mesi fa. Più presto si passa dal disagio della convivenza forzata a una seria e costruttiva trattativa sulla separazione e sulla futura relazione fra Uk e Ue, meglio è. Anche lì l’Italia avrà un ruolo da giocare e interessi nazionali da salvaguardare.

Usciamo bene dalla prima tornata della settimana europea. E’ stato un successo aver messo intorno allo stesso tavolo tutti i Paesi della sponda africana (tranne Algeria per disguidi) e di quella Ue. Ha corresponsabilizzato i primi al di là delle loro frontiere, impegnandoli a collaborare con la Libia per fermare l’emorragia prima degli imbarchi. Il governo Gentiloni persegue con costanza l’obiettivo di un filtro sulla sponda Sud, non diversamente da quanto avviene sulla sponda Est, in Turchia, in Giordania, in Libano. La situazione della Libia lo rende molto più difficile. Visto che la Libia, da sola non ce la può fare, è necessario avere a bordo l’intera regione. Bisognerà che l’intera Ue, non solo l’Italia, continui a stargli dietro.

Seguirà l’appuntamento del 25 marzo. In gioco la credibilità Ue alla vigilia di Brexit. Per quanto l’Italia possa fare serve una risposta collettiva. Per accontentare tutti la dichiarazione potrebbe cadere nello scontato. Più che le parole conteranno il comportamento e l’affiatamento dei leader. Capiremo subito se finalmente l’Europa riparte. Devono crederci, non solo dirlo. 

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5355  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Renzi: no aumento Iva, dubbi su taglio cuneo. Consip? Si vada a sentenza inserito:: Marzo 22, 2017, 12:20:20 pm
L’ex premier a porta a porta
Renzi: no aumento Iva, dubbi su taglio cuneo. Consip? Si vada a sentenza
    8 marzo 2017

Sul taglio del cuneo fiscale «io ho qualche dubbio. La misura dei cinque punti nell'esperienza del governo Prodi non ha portato risultati. Ma se la vogliono fare... Io non l'ho fatta. Il governo deciderà e sulla base della proposta che viene fatta discuteremo». Lo dice l'ex premier Matteo Renzi ospite di Bruno Vespa a Porta a Porta su Rai Uno.

    IL CASO CONSIP 8 marzo 2017

Fisco: errore politico oggi aumentare Iva
«Non voglio aumentare le tasse perché sarebbe un errore politico» ha detto poi l'ex premieri, spiegando che «è un errore politico oggi aumentare l'Iva in un momento come quello che stiamo vivendo».
Parlando poi della flat tax, Renzi ha sottolineato che «ci sono super ricchi che mettono la residenza fuori e pagano le tasse fuori. Tu li chiami alla possibilità di avere una tassazione fissa se investono in Italia. Questo può portare soprattutto capitali stranieri. C'è lo sceicco che vuole abitare a Capri. Bene ma paghi qualcosa».

Emiliano, a cercar voti su vaccini si perde faccia
«Non parlerò male degli altri, grande rispetto per Emiliano. Ma le sue parole sui vaccini un po' mi hanno fatto male: non è stato chiaro come altri suoi colleghi» sull'obbligo dei vaccini, ha detto poi Renzi replicando a un post del candidato alla segreteria Pd, Michele Emiliano, che nei giorni scorsi scriveva che nel «programma di governo della Regione Puglia non rientra la proposta di vietare l'accesso a scuola dei bambini che hanno scelto di non effettuare vaccinazioni obbligatorie».
«Non giochiamo sulla pelle della gente, su queste cose non si scherza - ha aggiunto Renzi -. Litighiamo su tanti argomenti, sui vaccini per avere un voto in più si perde la faccia e la dignità del Pd».

Consip: si vada a sentenza e si vedrà la verità
Sulla vicenda Consip «Si vada a sentenza - ha affermato l'ex segretario Pd - . Ci sono politici che sperano che le cose cadano nel dimenticatoio. Io chiedo che si vada a sentenza e ricordatevi di queste ore e andiamo a vedere se ci saranno sentenze di condanna... chi è innocente non ha paura a della verità». «Ci tengo alla mia diversità» ha aggiunto Renzi.

    Lavoro 7 marzo 2017

Cuneo fiscale, si parte da un taglio da 1,5 miliardi. Sconto di 3-5 punti sui neo-assunti

Consip: umanamente con mio padre, ma sto con giudici
Parlando del coinvolgimento di suo padre Tiziano nell'inchiesta Consip, Renzi ha aggiunto che «ci sono due dimensioni profondamente diverse. Una è la dimensione del figlio, che quando vede il padre in difficoltà è umanamente preoccupato ed è anche molto lieto dei valori che la famiglia gli ha trasmesso. Ma dal punto di vista istituzionale io non entro minimamente nella questione delle indagini, non la giudico. Ho servito la bandiera del mio paese. Io sto dalla parte dei giudici».

Sistema potere toscano? Solo su giornali
«Il sistema» toscano di potere «è presente solo nei vostri editoriali, non nella realtà. C'è mai stato un ricambio di potere come quello dal 2014? No» ha continuato l'ex premier sempre in merito alla vicenda Consip. «Dicono che è una cosca? Querelo domani mattina - ha aggiunto - e se mi danno del mafioso o del camorrista mi arrabbio. Un reato di toscanità? Rivendico il diritto alla 'c' aspirata, difendo la ribollita. Che in qualche salotto della capitale siamo stati considerati corpo estraneo è estremamente vero ma l'ho cercato».

Fiat: Marchionne l'ha salvata ma tasse estero su gozzo
«Io credo che Sergio Marchionne abbia salvato la Fiat, perché oggi a Melfi si fanno le Jeep che vanno in America, a Pomigliano non si fanno le Panda perché si fa l'Alfa, a Mirafiori non sono più in cassa integrazione» ha continuato poi l'ex segretario dem, spiegando che «se non ci fosse stato Marchionne sarebbero tutti a casa, ma sul tema della tassazione portare la sede in un altro Paese risponde agli interessi di Fca ma non agli interessi dell'Italia».
«Il nodo della tassazione mi sta sul gozzo anche a me» quando «le aziende spostano la sede dove la tassazione è meno elevata», ha detto ancora. «Fiat è stata salvata e questo ha permesso a migliaia di persone di tornare a lavorare» ma «perché non devo avere lo stesso fisco dell'Olanda? Ci siamo fatti un po' fregare dall'Ue, per questo dico diamo una mano al governo».

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