LA-U dell'OLIVO
Maggio 12, 2024, 04:04:10 pm *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: [1]
  Stampa  
Autore Discussione: MARCO DEL CORONA Retorica di regime  (Letto 1805 volte)
Admin
Utente non iscritto
« inserito:: Maggio 26, 2009, 02:56:42 pm »

Retorica di regime

La pace mai conclusa con Seul e la sindrome da «accerchiamento»

Segreti, bugie e ostentazioni della «penisola paranoica»

Le trame dell’élite militare e il mistero del «Caro leader»


Dal nostro corrispondente  MARCO DEL CORONA


PECHINO — Forse quello che disse una volta Walter Mondale è valido ancora ades­so. Vice del presidente Jimmy Carter, e ambasciatore in Giap­pone con Bill Clinton tra il ’93 e il ’96, Mondale sostenne che chi pretende di essere un esper­to di Corea del Nord è un bu­giardo o un pazzo. E ogni volta che Pyongyang testa un missi­le o fa esplodere un ordigno nucleare sottoterra, l’afferma­zione dell’ex ambasciatore sembra capovolgersi: puntual­mente l’Occidente ritiene che la Corea del Nord sia un Paese di pazzi o di bugiardi. Anzi: di pazzi bugiardi. Sarà successo anche ieri. Due mesi fa Pyong­yang, sebbene in modo preca­rio, era ancora in equilibrio sul tavolo a sei dove con Corea del Sud, Usa, Cina, Giappone e Rus­sia si trattava del suo program­ma nucleare. Adesso no, Kim Jong-il non è solo un leader che lancia missili, ma anche un dittatore che ha tra le mani bombe atomiche e le fa esplo­dere.

C’è abbastanza di che ali­mentare la fantasia. Lo sapeva Ian Fleming come lo sanno gli epigoni del suo 007: inventare, anche all’eccesso, non può por­tare troppo lontano dalla real­tà, anzi. Videogames, allora, con i nordcoreani nella parte dei cattivi. Poi i pupazzetti del film d’animazione «Team Ame­rica », girato 5 anni fa dai crea­tori di «South Park». Tanta fan­tasia, perché di quello che acca­de davvero a nord del 38˚ pa­rallelo non si sa praticamente nulla. Eppure la Corea del Nord è tutto tranne che un Pae­se governato dal caos. L’ordine sociale è rigido e minuziosa­mente definito. Partito dei La­voratori e forze armate control­lano lo Stato ad ogni livello, ma sono queste ultime a dire l’ultima parola.

Kim Jong-il si è costruito la lealtà dei genera­li, e la carica chiave fra le diver­se che ricopre è proprio quella di capo della commissione mi­litare. Sotto le élite, la stratifica­zione dei ruoli discende con ra­mificazioni bizantine. Può ba­stare un paio di scarpe di vera pelle a indicare il rango di un funzionario, così come fanno le varianti delle spille con l’effi­gie di Kim Il-sung (il padre) o di Kim Jong-il, conio più recen­te. Le immagini della crisi ali­mentare che decimò la popola­zione negli anni Novanta — bambini scheletrici, campi sen­za più nulla da dare — sono servite a mostrare che il milita­rismo parossistico del Paese aveva un lato oscuro e sconvol­gente, tuttavia hanno creato un nuovo repertorio di imma­gini stereotipate, accanto a pa­rate o visite di Kim a qualche fabbrica.

E invece c’è vita su Marte, viene da dire. Chi se lo può per­mettere, insegue il sogno (in­confessabilmente piccolobor­ghese...) dei «cinque mobili», dalla dispensa alla scarpiera, e dei «sette elettrodomestici», dalla macchina per cucire alla tv. A detta degli esperti, vedi Michael Hayes del centro studi Nautilus, le descrizioni più ac­curate di come si vive e pensa in Corea del Nord e di come vanno le cose laggiù si posso­no leggere in alcuni romanzi. Polizieschi. Sono quelli che rac­contano le indagini del «detec­tive O» (O è il cognome) scelto da James Church (pseudoni­mo) per le sue trame. Lunghi silenzi, logica sfuggente: il nar­ratore Church sa di cosa parla, è stato decine di volte in Corea del Nord per i servizi segreti di un Paese occidentale. Al Los Angeles Times, Church ha volu­to assicurare che in Corea del Nord «esiste una società di in­dividui che agisce in modo ri­conoscibile ».

Il turgore patriottico che ac­compagna la retorica di regi­me si alimenta della certezza di essere circondati, minaccia­ti: «la penisola paranoica», l’ha definita il saggista Paul French nel titolare il suo libro sul Pae­se. Tecnicamente c’è del vero, perché la guerra di Corea (1950-53) non è mai stata con­clusa da un trattato di pace. E’ in questo clima che il «juche», la filosofia che combina marxi­smo e nazionalismo autarchi­co, penetra nella vita quotidia­na. Diventa un atto d’amore per la patria anche indossare un capo in Vinalon, una fibra sintetica ricavata dal calcare che tuttavia non è mai riuscita a diventare appetibile per l’esportazione. Il regime com­pie una piccola rappresentazio­ne di sé. Che si indossino o vengano sperimentate 10 chilo­metri sotto il suolo, le conqui­ste della Corea del Nord vanno esibite. E se tutto il resto appa­re misterioso all’Occidente, tanto meglio. Il nemico va con­fuso. In fondo, lo dice un per­sonaggio di un romanzo del de­tective O: «Il mio lavoro è pren­dere tempo e bluffare. E se non funziona, ho un piano d’emer­genza per prendere tempo e bluffare». Quel personaggio è un diplomatico nordcoreano.


Marco Del Corona
26 maggio 2009

da corriere.it
Registrato
Pagine: [1]
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!