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Autore Discussione: LORENZO MONDO  (Letto 65988 volte)
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« Risposta #30 inserito:: Gennaio 03, 2010, 11:52:42 am »

3/1/2010 - PANE AL PANE

Condannati all'ottimismo?
   
LORENZO MONDO

Capisco che può apparire di cattivo gusto, all’alba del nuovo anno, indulgere al catastrofismo o sottolineare semplicemente i tratti inamabili della nostra società. Ma non si può neanche accettare di essere condannati all’ottimismo: da parte di statistiche che vengono propalate alla stregua di oroscopi benauguranti. Diminuiscono di qualche percentuale i morti sulle strade, senza contrastare sensibilmente il massacro, e siamo sollecitati a emettere un respiro di sollievo. Si segnala un maggiore incremento di furti e rapine rispetto agli omicidi, e questo dovrebbe renderci più tranquilli. In realtà, si tratta di un invito a contentarci dell’esistente che induce, contro le migliori intenzioni, al pessimismo.

Prendiamo, in ossequio alla più stretta attualità, la «guerra» dei botti e degli spari che si è verificata nella notte di San Silvestro. Si esulta per un bilancio delle vittime che, stando ai numeri, risulterebbe meno pesante del previsto. Ma apprendiamo intanto che i feriti per i fuochi sparati in segno di festa sono 509 contro i 400 del 2009, 17 dei quali con gravi lesioni agli occhi e amputazioni di mani e dita (nella sola Napoli 113 persone sono state portate in ospedale). Minore il numero dei colpiti da fucili o pistole, che l’anno scorso provocarono un morto.

Ed è soltanto questo morto, nella sua evidente casualità, a fare la differenza. Per il resto nulla è sostanzialmente cambiato. Le forze dell’ordine hanno sequestrato alla vigilia quintali di materiale pirotecnico fuori norma, destinato a possibili acquirenti. E migliaia di esagitati non hanno rinunciato a battezzare con fumi e scoppi la nascita del 2010. I più imprevidenti o sfortunati di loro li troveremo a carico della sanità pubblica e perfino nel ruolino dei sussidi di disoccupazione. Ma resta al fondo qualcosa di più inquietante.

E’ l’esistenza pervicace di una Italia dai tratti primitivi che sente il bisogno di stordirsi con fuochi e rumori, la stessa che suole ancora esprimersi, nel secondo millennio, con un rozzo analfabetismo; che stenta a coltivare nella vita ordinaria una fiammella di responsabilità civile. Trascurando le statistiche troppo compiacenti, stappiamo una buona bottiglia augurandoci di trovare l’anno prossimo, anche sotto questo profilo, le avvisaglie di un Paese diverso.

da lastampa.it
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« Risposta #31 inserito:: Gennaio 17, 2010, 04:16:14 pm »

17/1/2010

Perseguitati come le balene
   
LORENZO MONDO


Il ministro Frattini, nel corso del suo tour africano, potrà chiarire a quattr’occhi alle autorità del Cairo come sia insostenibile paragonare i fatti di Rosarno a quelli di Nagaa Hammadi (come sembra suggerire la nota di protesta del governo egiziano). La guerriglia contro gli immigrati innescata in Calabria per un coacervo di torbide motivazioni (sola certezza è l’esclusione di una componente religiosa) non può confrontarsi con la strage dei copti, perpetrata nella notte di Natale in odio del nome cristiano.

L’episodio, deflagrato in un clima diffuso di persecuzione, suscita una particolare inquietudine. In primo luogo perché prende a bersaglio una comunità che, oltre ad essere numerosa ed evoluta, non ha origine missionaria ma è più antica dell’Islam e della sua conquista. Sembrerebbero titoli sufficienti per essere rispettati. Tanto più - secondo motivo di apprensione - perché l’Egitto, che ha stretti legami con l’Occidente, si professa laico e nemico del fondamentalismo religioso.

Duole in realtà rilevare che quel Natale di sangue si iscrive in una offensiva, a dimensioni planetarie, contro le minoranze cristiane, dall’Africa, al vicino Oriente, alla stessa India, che si vanta di essere la più grande democrazia del mondo. Non si contano le uccisioni, gli esodi forzati, le chiese distrutte. In Malaysia si è arrivati al paradosso di impedire ai cristiani di invocare Dio con il nome di Allah che, pur avendo lo stesso significato, si pretende di riservare ai soli musulmani. Indignano l’indifferenza e la tiepida reazione della comunità internazionale davanti a queste violazioni vergognose dei diritti umani. E invano si aspetta dai nostrani professionisti della protesta, usi a mobilitarsi per una quantità di cause perse, un barlume di condivisione con chi si ostina, a così caro prezzo, nel proclamarsi cristiano. Valga almeno a soccorrerli, per quanto sbiadita e rinnegata possa essere l’immagine di Cristo, lo status di minoranza, il diritto di vivere come quello riconosciuto, giustamente, ai rinoceronti e alle balene.

da lastampa.it
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« Risposta #32 inserito:: Gennaio 24, 2010, 03:45:06 pm »

24/1/2010

Se la giustizia è una scommessa
   
LORENZO MONDO

Come può apparire sbiadita, enigmatica fino all’impenetrabilità, questa giustizia che suole essere rappresentata con un volto di luminosa, marmorea dignità. Evocata continuamente nelle pagine dei giornali e nei programmi televisivi, accende passioni parcellizzate e astratte rispetto alla sostanza e alla generalità dei problemi.

Condivido lo smarrimento, venato di scetticismo, di tante persone davanti a uno spettacolo di mezze verità e sotterfugi che non rendono onore a chi, su versanti diversi e con diverse responsabilità, professa di venerarla. Ad esempio, si denuncia con solidi argomenti la iattura di un «processo breve» che, anche a prescindere dalle vicende del capo del governo (che pure hanno un peso decisivo nel contrasto politico-giudiziario), si risolverebbe in una surrettizia forma di amnistia: poiché, a parte le carenze, tutte umane, riscontrabili in molti comportamenti della magistratura, non si sono apprestati i mezzi legislativi e organizzativi necessari a fronteggiare il carico dei nuovi adempimenti.

E si brandisce l’assioma secondo cui processo veloce equivale a giustizia negata. Si tende così a trascurare l’altro corno del dilemma, l’attuale, intollerabile lentezza della macchina giudiziaria, che rappresenta uno sfregio non meno grave e comporta di per sè una mole esorbitante di prescrizioni (calcolate in 170 mila all’anno). Mi sembra allora che le polemiche contrapposizioni tra destra e sinistra rappresentino soltanto una parte della verità, perdendo di vista l’insieme, e l’urgenza di una riforma.

Fanno riflettere due episodi registrati in questi giorni. Il decennale della morte di Craxi ha indotto il Presidente della Repubblica a rammaricarsi per la «durezza senza eguali» di cui è stato vittima (senza assolvere con questo le sue responsabilità). Ma va anche rilevata la straordinaria rapidità con cui si è giunti a una duplice condanna definitiva dello statista in sede penale. Tanto più impensierisce il fatto che la Cassazione abbia assolto l’ex ministro Calogero Mannino dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, dopo una devastante trafila giudiziaria durata 17 anni. Come non restare attoniti? Come avere fede in una giustizia che sottopone chi vi incappa, innocente o colpevole, a una aleatoria scommessa?

da lastampa.it
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« Risposta #33 inserito:: Gennaio 31, 2010, 08:25:01 am »

31/1/2010

Questo Risorgimento non è da buttare
   
LORENZO MONDO

Ha ragione Alberto Mattioli ad opporre a Maurizio Maggiani che è stato Verdi, e più in generale il melodramma, a darci il vero romanzo epico del Risorgimento: al di là delle stesse intenzioni del genio di Busseto, in virtù di una musica capace di diventare popolare e di concedersi all’appropriazione degli illetterati. Lamentava Maggiani che il travaglio del moto unitario non avesse prodotto un grande romanzo, un epos, nel quale gli italiani potessero specchiarsi e riconoscersi (ma sono occorsi secoli perchè i Greci potessero risconoscersi nell’Iliade senza parteggiare fra Achei e Troiani). Messa così, con una troppo esigente unità di misura, resta poco da dire. Ma esistono significativi tasselli del Risorgimento offerti dallo spirito del tempo e dal talento individuale alle patrie lettere e alla riflessione dei posteri. Non si possono certo trascurare Le confessioni di un italiano. A parte l’energia dello stile, già il titolo proclama la rappresentatività di un romanzo che sembra trarre dall’infelice sorte di

Ippolito un valore aggiunto, di giovanile entusiasmo e intrepidezza.

Sono molti peraltro gli scrittori che hanno reso la loro onesta testimonianza sul periodo considerato, in specie quelli appartenenti -da Abba a Bandi- all’area garibaldina, «rivoluzionaria», che è la sola a interessare Maggiani. E come dimenticare, sul versante polemico, Roberto Sacchetti che denuncia in Entusiasmi l’abbandono degli insorti milanesi da parte di Carlo Alberto? O il Tarchetti di una Nobile follia che contesta, con le atrocità della Cernaia, il «capolavoro» diplomatico di Cavour? Tanto per dire che non è colpa della restaurazione conservatrice o dell’avvolgente melassa savoiarda se il romanzo epico italiano è stato soffocato in fasce. La verità è che lo spirito soffia dove e come vuole. In fondo Manzoni, che non ha affrontato direttamente nel gran romanzo la storia contemporanea, ha saputo interpretare a suo genio, secondo istanze civili e unitarie, lo spirito del Risorgimento. Alieno dalle fanfare delle armi e dell’utopia, ha dato agli italiani una lingua duttile e moderna. A beneficio degli analfabeti di ieri e di oggi.

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« Risposta #34 inserito:: Febbraio 28, 2010, 08:17:20 pm »

28/2/2010

Nello specchio del Lambro

   
LORENZO MONDO

E’ la natura violentata a suggerire le più potenti, impressionanti metafore. La colata di petrolio che si è riversata nel Lambro e nel Po (le fa corteggio in cielo una ininterrotta e compatta distesa di smog) sembra fornire una immagine emblematica dell’Italia al nero in cui stiamo vivendo. Suscita tristezza e sgomento quell’onda sozza, inseguita dai piccoli uomini che cercano di imbrigliarla prima che inquini le rive del grande fiume fino alla maestà del Delta.

Negli ultimi anni il Lambro (caro a Giovanni Testori e alla sua Monaca di Monza), si era in parte rigenerato, riscattato, con la decadenza degli altiforni, dalla pressione di una malintesa, proterva modernità. Ma ecco che la maledizione ritorna, inducendo Ermanno Olmi, amico delle acque, a suggerire che la Regione Lombardia dichiari, invece dello stato di calamità, quello di stupidità. Molti conti non tornano nella catastrofica vicenda. C’è all’origine il gesto criminoso di chi ha aperto i rubinetti e pompato il contenuto delle cisterne, insensibile al danno provocato alle bellezze della natura, agli onesti proventi e alla salute delle persone.

Dobbiamo prendere dolorosamente atto che la malvagità e la stupidità umana non hanno confini (mysterium iniquitatis). Ma si dovrebbe porre qualche onesto argine all’azione dei bruti. Altri interrogativi si addensano invece sulla raffineria in via di liquidazione diventata un deposito di carburanti: in attesa che si realizzasse un ambizioso progetto urbanistico, denominato spiritosamente Ecocity. Lascia quanto meno interdetti la sorveglianza pressoché inesistente del complesso, abbandonato alla mercé, non dico di eventuali terroristi islamici, ma del primo malintenzionato di passaggio. E non si capisce come sia consentito a un’azienda «dismessa» di conservare nelle cisterne una malcerta quantità di gasolio e olio combustibile che rappresentano un così alto potenziale di rischio per la gente e per l’ambiente.

Al momento, mentre seguiamo con trepidazione gli sforzi generosi per limitare il danno, non ci resta che lo sfogo dell’invettiva: che Dio secchi quelle mani impure, che Dio confonda i corresponsabili ad ogni livello del misfatto. Le risposte, se verranno, chiariscano almeno le occulte ragioni di tanto sfacelo.

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« Risposta #35 inserito:: Marzo 07, 2010, 08:10:44 am »

7/3/2010 - PANE AL PANE

Ma non finiscano al Grande Fratello
   
LORENZO MONDO

Continuo a ritenere insopportabile che i giovanissimi assassini di Novi Ligure vengano chiamati fidanzatini: non solo perché si sposta l’accento, attribuendogli un maggior peso, al loro perverso rapporto di coppia, anziché al duplice, raccapricciante delitto di cui furono attori; ma anche perché quel diminutivo sfora nel vezzeggiativo, porta con sè una inavvertita carica di simpatia, quasi una tenerezza alla Peynet.

Sono atteggiamenti che sembrano rispondere d’altra parte alla clemenza di una giustizia che ha messo Omar in libertà dopo soli nove anni di carcere e che si appresta, di qui a un anno, a fare lo stesso con Erika.

E non manca il sacerdote che, per giustificare il provvedimento, si appiglia al perdono concesso dal padre della ragazza: una figura straordinaria, che tuttavia è soltanto una delle vittime, le altre due -la moglie e il figlioletto massacrati- non possono esprimere il loro parere.

Aggiungiamo, a completare il quadro, un certo compiacimento dei media, ammissibile se non diventa assolutorio, perché Omar si è mostrato un provetto giardiniere ed Erika è riuscita in carcere a laurearsi. Tutto bene, ma ricordiamoci che queste attitudini avrebbero potuto svilupparle senza sporcarsi le mani di sangue.

Senza sottacere lo scandalo per l’iniqua sproporzione tra queste e altre pene comminate nel pianeta Giustizia, non è il caso di infierire più di tanto sui due ex ragazzi. Il peso del rimorso e l’assoluzione più vera dovranno trovarla nel fondo della loro coscienza, affidandosi a una cura di nascondimento e di silenzio. È un augurabile proposito che dovrebbe adesso essere confortato da una società civile degna di questo nome.

Sarebbe impietoso, oltreché improduttivo, assillarli con troppe domande perché spieghino quello che, forse a loro stessi, appare razionalmente inspiegabile. Sarebbe irrilevante sapere come intendono profittare -nel lavoro e negli affetti- della ritrovata libertà.
Ma sarebbe anche stolto velare le colpe dei «fidanzatini», facendone dei tristi eroi da consegnare alla morbosa curiosità del pubblico, al caravanserraglio dello spettacolo. Di grazia, evitiamo che Omar ed Erika, chiamati a riscrivere la loro esistenza sotto il segno del ravvedimento, siano indotti a finire tra le reclute del «Grande Fratello»

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« Risposta #36 inserito:: Marzo 28, 2010, 07:24:31 pm »

28/3/2010

La ragazza del sottotetto

LORENZO MONDO

Diciassette anni per scoprire, casualmente, i resti di una ragazza assassinata, quelli di Elisa Claps, abbandonati nel sottotetto di una chiesa nel centro di Potenza. Diciassette anni di funzioni religiose e di preghiere nelle sottostanti navate del tempio, quasi lunghe, inconsapevoli esequie che non hanno placato nei sopravvissuti il desiderio di verità.
Nella storia figurano tutti gli ingredienti di un romanzo «nero«, che avrebbe fatto la gioia di qualche penna libertina e anticlericale a cavallo tra Sette e Ottocento. Meglio astenersi da certe suggestioni, nell’attesa e nella speranza di fruttuose investigazioni. Ma quel poco che sappiamo è più che sufficiente a dettare qualche considerazione di contorno, che investe quanto meno certe responsabilità di ordine morale e civile.

Appare stupefacente che la povera Elisa, se non ci è salita con le proprie gambe, sia stata trasportata lassù, attraverso un percorso disagevole, e da una sola persona, senza che nessuno ne avesse sentore. Lasciano perplessi le ammissioni e le ritrattazioni delle due donne che, facendo le pulizie, sarebbero incappate fin da gennaio nel macabro rinvenimento. E stupisce che il viceparroco, informato del fatto, non abbia avvertito i carabinieri e il suo vescovo.

Non regge la scusa della dimenticanza, o l’idea di trovarsi in presenza di un rito satanico, d’un gioco di ragazzi. Occorreva una perdita di acqua per condurre sul posto alcuni operai e svelare l’arcano. Avrebbe potuto saperne di più il parroco di allora, che però è morto due anni fa. Sia come sia, intorno alla vicenda si sente il puzzo di una protratta omertà, con il concorso ultimo dell’insipienza e della neghittosità. Diciamo che i sacerdoti della Santissima Trinità non fanno una gran figura e non depongono a favore del reclutamento e della preparazione del clero.

Ma sussistono anche forti dubbi sul modo in cui sono state condotte a suo tempo le indagini. Elisa è scomparsa sulla porta della chiesa e forse non era sufficiente cercarla nel presbiterio o in sacrestia. Si direbbe che proprio ogni vano di difficile accesso, sottotetto o sotterraneo, dovesse essere esplorato in una indagine che si rispetti. E non conforta il pensiero che 17 anni non sono troppi per fare chiarezza, che rientrano tutto sommato nei tempi lunghi della nostra giustizia.

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« Risposta #37 inserito:: Aprile 04, 2010, 11:20:35 am »

4/4/2010 - PANE AL PANE



LORENZO MONDO

Tristissimo e crudamente emblematico ciò che è accaduto in una scuola media di Salò. Durante la lezione di francese, una ragazza dodicenne è stata indotta da tre compagni a prestazioni sessuali, mentre altri, anziché protestare, facevano scudo e l’insegnante continuava imperterrito a interrogare tre allieve, privandole - si direbbe - del piacere di assistere al «gioco».

Sogghigni, ribalde allusioni, e nei giorni successivi un’insegnante di italiano, per vederci chiaro e ottenere una indiretta confessione del fatto, ha assegnato un tema a commento di alcuni versi di Dante che condannano gli ignavi, quelli che nella vita non si sono mai schierati: «Ed elli a me, come persona accorta: / “Qui si convien lasciare ogne sospetto; ogne viltà convien che qui sia morta”».

Era utile proporre un argomento di riflessione per dei ragazzi che, usi a considerare il sesso nella sua rozza istintualità, avevano mostrato indifferenza o compiacimento davanti al vergognoso episodio. Ma il tema avrebbero dovuto svolgerlo, prima degli allievi, anche gli adulti, in diversa misura corresponsabili. La preside ha decretato dei giorni di sospensione per il professore e i quattro coinvolti nella vicenda (compresa sorprendentemente la vittima, quanto meno psicologica, della violenza) con l’aria di ridurre il tutto a una pur deplorevole bravata.

Più grave la posizione dell’insegnante, che non si è accorto del non eufemistico bordello a cui si era ridotta la sua classe (la radice di tanta disattenzione va forse cercata in quello che viene definito il suo «rapporto amicale» con gli studenti). Ma colpisce anche la reazione di un padre per l’imputazione di violenza elevata contro il figlio dai carabinieri: «Ma vi rendete conto che vuol dire rovinargli la vita per sempre?». Senza avere il sospetto che la vita, complice forse qualche altra trascuratezza, è già avviato a rovinarsela da solo.
La storia di Salò rappresenta a ben vedere un test impressionante sulle inadempienze degli adulti, sul tradimento consumato nei riguardi dei figli: la difesa ad oltranza di certi comportamenti, le generiche accuse contro la società, il pedagogismo inquinato da un malinteso senso di libertà, la rassegnazione afflitta per le loro devianze. È un balletto degli ignavi ai quali conviene, indistintamente, l’aspra invettiva di Dante.

da lastampa.it
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« Risposta #38 inserito:: Aprile 19, 2010, 09:43:44 am »

19/4/2010 - PANE AL PANE

Alibi e diritto del bambino

LORENZO MONDO

Il fenomeno, nelle terre del Nord, rischia di estendersi a gragnuola. Parlo delle amministrazioni comunali che hanno minacciato di negare cibo e scuolabus ai figli di genitori morosi, in tutto o in parte, nel pagamento delle rette, peraltro modeste. Si è cominciato a Adro, nel Bresciano, dove il sindaco ha intimato a 42 famiglie di rimediare alle inadempienze, pena l’esclusione dei loro bambini dal servizio mensa.

Il provvedimento, giustificato con ragioni di bilancio, risponderebbe anche a principi di equità, tenendo conto della sollevazione di chi ha sempre pagato puntualmente il dovuto. A Lentate sul Seveso il Comune sospenderà i servizi mensa e bus a 241 famiglie che fanno finta di niente: i loro figli andranno a scuola a piedi e dovranno portarsi il pranzo da casa. A Verona, sedici alunni della scuola materna non potranno più usufruire del trasporto gratuito. In questo caso, sembra accertato che si tratti di famiglie benestanti.

Polemiche a non finire, talora pretestuose, tra chi contrappone il principio di solidarietà, tanto più stringente in presenza di bambini, al rispetto delle regole e al perseguimento dei «furbi». Non è sfuggito alle reprimende Silvano Lancini, l’imprenditore di Adro che, tagliando corto, ha saldato con 10.000 euro il debito accumulato dalla mensa scolastica. Il suo atto di generosità è stato tacciato di esibizionismo, qualificato come un cattivo esempio, ed ha inasprito la protesta delle famiglie «virtuose». Eppure, spiegandosi, ha prospettato la via di un percorso ragionevole e perfino ovvio: «Io ho messo una pezza, lo sentivo come un dovere civico. Adesso andate avanti voi: a cercare di far pagare i furbi, senza togliere il piatto dei bambini».

In effetti, abbiamo tutti esperienza di persone, anche molto agiate, che profittano delle risorse pubbliche, praticando una suprema forma di egoismo a danno della società e soprattutto di chi vive nel bisogno (ho diretta notizia di una signora che si faceva prescrivere dal medico di base il calcio per bambini da destinare al proprio cane). Ma non sembra così difficile, in comunità ristrette, esercitare un elementare controllo, smascherare certi inqualificabili abusi. Mi auguro che questo accada, e ben vengano allora le trancianti disposizioni di qualche inossidabile sindaco leghista.

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« Risposta #39 inserito:: Maggio 09, 2010, 09:05:25 am »

9/5/2010

Natura violenta e violentata
   
LORENZO MONDO

Il vulcano Eyjafjalla ha ripreso ad eruttare la sua nube di cenere in modo intenso e minaccioso. Già ci ha fatto assistere a un evento inaudito, quasi a una grandiosa simulazione di crisi: ha costretto cioè le nazioni d’Europa a sospendere per alcuni giorni il volo degli aerei, rimettendosi all’uso di treni e automobili. I disagi delle persone rimaste a terra e le gravi perdite economiche delle compagnie aeree hanno distratto dalla portata simbolica dell’avvenimento. Infatti è sembrato quasi un avvertimento, emesso da una esigua porzione di terra, impastata di ghiaccio e di fuoco, agli uomini che hanno orgogliosamente colonizzato il cielo. Si pensa a cosa potrebbe accadere nel consorzio civile se il fenomeno si estendesse per un maligno complotto di bocche vulcaniche, che aggiungesse nuovi disastri ai più consueti, devastanti terremoti o nubifragi.

Senza indulgere a visioni apocalittiche, siamo indotti a riflettere leopardianamente sulla precarietà delle «umane sorti e progressive», a rinnovare e rinforzare il patto di solidarietà nei confronti dell’«umana compagnia». Non altro ci è dato, apprestando i possibili ripari, contro una natura che sa rivelarsi matrigna. Ma un altro evento, verificatosi a breve distanza di tempo, colpisce a contrasto la nostra immaginazione. Nel Golfo del Messico è il fondo del mare, violato sconsideratamente dalle trivelle dell’uomo, che erutta petrolio. L’untuosa marea nera semina inquinamento e distruzione lungo le coste d’America, nel paradiso naturale costituito dal delta del Mississippi. Muoiono i delfini e i pellicani, gli alligatori e le tartarughe, si disperano le genti rivierasche private delle loro risorse ittiche e turistiche. Sembrerebbe che basti e avanzi l’imponderabile, senza che l’uomo ci metta del suo venendo meno, per avidità e tecnologica presunzione, a ogni senso del limite.

I responsabili dell’immane sciagura promettono di risarcire il danno, ma si tratta di un’altra manifestazione di tracotanza perché il male, già difficilmente quantificabile in termini finanziari, non può restituire alla vita ciò che è andato irrimediabilmente perduto. Là dove la natura mostra il suo volto innocente e benigno, provvede l’uomo a sfigurarla e, si direbbe, a provocarla.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7324&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #40 inserito:: Maggio 16, 2010, 12:00:20 pm »

16/5/2010

La politica delle parole
   
LORENZO MONDO

Il sindaco di Milano Letizia Moratti l’ha fatta grossa, per via di un avverbio. Intervenendo a un convegno sui problemi dell’immigrazione, ha dichiarato che i clandestini privi di un lavoro regolare «normalmente» delinquono. Ha così scatenato un’iradiddio di proteste, ma anche i contestatori in buona fede avrebbero dovuto contenersi se avesse sostituito il «normalmente» con la più cauta locuzione «in buona parte» (accreditata dagli ospiti delle nostre carceri). Più aderente alle statistiche, avrebbe più facilmente rintuzzato l’insopportabile refrain di chi, incurante del fattuale disagio di certe periferie urbane, sostiene che si vogliono «alimentare le paure» dei cittadini. Non mi addentro nel cuore del problema, mi limito soltanto a rilevare il peso che assumono le parole nella sua definizione, per disinvoltura, per impudicizia, per reticenza.

Quasi in contemporanea con la sortita della Moratti, Piero Fassino, dallo schieramento opposto, ha dichiarato che «qualche volta il leghismo nel suo cuore prorompe». Si riferiva in particolare all’immigrazione, un tema strettamente connesso con quello della sicurezza, per il quale proponeva di ribaltare il comportamento invalso fino ad ora tra le forze politiche, adottando la seguente formula: «Porte meno facilmente aperte ma tutti i diritti garantiti a chi è regolare e non infrange la legge». Parole franche, anche se qualcuno ha cercato di attenuarne la portata, insinuando maliziosamente che egli intendesse, su una materia così cruciale, orientare i suoi primi passi verso un’autocandidatura alle elezioni per il nuovo sindaco di Torino. Non abbiamo motivo di dubitare dell’onesto paradigma espresso dall’ex segretario dei Ds, dell’indiretta lettura che egli ha dato della realtà politica e sociale.

Stupisce peraltro la fievole eco che ha trovato nella sua parte, il mancato riconoscimento di una sostanziale convergenza, a parte l’infelice avverbio, con le preoccupazioni della signora Moratti. Parole, parole profuse e taciute, fino a comporre un velame artificioso e rissoso nel quale si smarrisce il senso della realtà e si alimenta il disincanto nei riguardi della politica. L’irresponsabilità verbale è il segno più appariscente di una separatezza miope da ciò che si attende, su questo e altri argomenti di gran peso, la società civile.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7357&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #41 inserito:: Maggio 23, 2010, 05:24:35 pm »

23/5/2010 - PANE AL PANE

Benedetto l'effetto crisi
   
LORENZO MONDO

Forse possiamo dirlo, a denti stretti: benedetta, per certi aspetti, questa crisi. Senza nasconderci le bruciature, e nella consapevolezza che gli eventuali benefici sono appesi a una montagna di «se».

Il ministro Tremonti ha annunciato una severa manovra finanziaria che vuole ridurre gli sprechi nel settore pubblico e incidere sull’evasione fiscale, indagando in particolare sulle più vistose, arroganti forme di consumo. Dovremmo in verità essere scettici per le troppe inadempienze, per le promesse mancate. Non pare infatti al comune cittadino che occorra un occhio particolarmente aguzzo per ipotizzare fior di evasori tra i guidatori di costose fuoriserie, tra i proprietari delle imbarcazioni che intasano porti e insenature della Penisola.
Anziché il plauso, suscita irritazione l’annuncio, ripetuto a certe scadenze dalla Guardia di Finanza, che sono stati scoperti mille evasori «totali». Dunque non è mai finita, si obietta, sembra di assistere a una penosa fatica di Sisifo; come quando si apprende a ogni mese che, dal Garigliano in giù, sono stati arrestati una trentina di mafiosi. Lasciamo stare poi le spiritosaggini, che aiutano a lenire l’amarezza, sulle migliaia di falsi invalidi, sui ciechi che guidano, sui paralitici che corrono... Anche più fosco il quadro della corruzione che alligna nel mondo della politica e dei suoi immediati dintorni.

Ma adesso, ci dicono, si cambia. Promettono perfino che i manager pubblici e i parlamentari, invece di aumentarselo come sogliono, dovranno rinunciare a un decimo dello stipendio, i ministri a qualcosa di più, per dare il buon esempio. Non possiamo trascurare l’ostacolo al risanamento dei conti pubblici frapposto dalle varie lobby rappresentate in Parlamento, dal ricatto del voto di scambio.

Ma questa volta forse qualcosa si muove, per placare il risentimento della gente costretta a subire sacrifici a pioggia, per attenuare la disaffezione e il rancore nei confronti della politica. Semmai qualcuno fosse capace di organizzare la protesta anche dei soli lavoratori dipendenti, quelli che pagano fino all’unghia le tasse, potrebbe dare vita a un partito di prima grandezza.

Diamo la giusta parte anche a chi opera con onestà e senso dello Stato, augurandoci che approfitti della difficile situazione economica per procedere a viso aperto, per consegnarci alla fine un Paese più equo e civile. Se non ora, quando?

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7388&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #42 inserito:: Maggio 30, 2010, 05:30:09 pm »

30/5/2010 - PANE AL PANE

Mussolini e i suoi gerarchi

LORENZO MONDO

Tra il dire e il fare... Nell’arco di una sola giornata il presidente del Consiglio si è esibito in un teatrino che, non inusuale nella sua carriera politica, sembra contraddire l’asciutta concretezza dell’imprenditore prestato alle istituzioni: una disposizione a operare senza impacci burocratici di cui si fa vanto e alla quale non si possono negare risultati.

Nel summit dell’Ocse, che si è tenuto a Parigi, non ha saputo tuttavia trattenere la sua spericolata loquacità. Ha citato Mussolini, il quale avrebbe confessato di non esercitare un effettivo potere, perché questo spettava in realtà ai suoi gerarchi. Figuriamoci allora quante limitazioni trova un capo del governo che opera in regime di democrazia.

A parte il riferimento a diari mussoliniani probabilmente apocrifi, gli storici hanno più cose da obbiettare sulle responsabilità assunte in prima persona dal «grande dittatore». L’affermazione di Berlusconi suona dunque bislacca, a meno che, pur negandolo, egli intendesse chiamare in causa il ministro Tremonti, autore di una manovra finanziaria da lui subita più che condivisa.

Al mattino, gli era già toccato confrontarsi a Roma con l’assemblea annuale della Confindustria, non troppo tenera con il capo del governo. Di qui il colpo di scena, la richiesta a Emma Marcegaglia di schierarsi al suo fianco come ministro per lo Sviluppo Economico in sostituzione del dimissionario Scajola.

I presenti non hanno accolto l’invito di esprimere per alzata di mano il loro consenso all’arruolamento della presidente di Confindustria tra i suoi «gerarchi». Al di là dei motivi di fondo, era difficile che il severo consesso potesse accettare un comportamento che, oltre a essere irrituale, faceva pensare a un intrattenimento parrocchiale.

L’inevitabile fallimento dell’iniziativa era anche la riprova del mancato gradimento delle sue trovate, di una confidenzialità espressa con estemporanee battute. È immaginabile la fatica, così spesso frustrata, di Gianni Letta, primo consigliere del principe, nel frenare l’incontenibile esuberanza colloquiale di Berlusconi, la sua malriposta ricerca di simpatia. Al dunque, si preferisce di lui, senza fargli sconti, il vitalistico attivismo, l’asserita disposizione al fare senza troppi indugi, e chiacchiere.

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« Risposta #43 inserito:: Giugno 06, 2010, 09:45:03 am »

6/6/2010 - PANE AL PANE

Non speculare sul terremoto

LORENZO MONDO

Capita spesso di assistere, sugli schermi televisivi, alla protesta veemente di persone che hanno perso un congiunto in ospedale, per un’operazione chirurgica o una terapia non riuscita: con il conseguente annuncio di querele contro i responsabili veri o presunti dell’insuccesso.

Il dolore, inasprito comprensibilmente dai troppi esempi di malasanità, porta talvolta a straparlare, al rifiuto di accettare il verdetto inappellabile della fatalità. In questi casi è per lo più accertabile l’accaduto. Ma come venirne a capo, trovandosi alle prese con un terremoto?

Il procuratore dell’Aquila, accogliendo il ricorso di numerosi parenti delle vittime, ha notificato avvisi di garanzia per omicidio colposo a sette membri della Commissione grandi rischi: non hanno previsto il disastro, annunciato (o scongiurato?) dallo sciame sismico che imperversava da mesi, non hanno provveduto a evacuare per tempo la popolazione aquilana. Suscita già qualche perplessità la messa sotto accusa degli esperti del settore, apprezzati a livello internazionale, che sono chiamati a indossare gli improbabili panni dello sciamano.

Sia come sia, si proceda nell’inchiesta, dura lex sed lex. Ma va respinto con forza l’auspicio del procuratore capo Alfredo Rossini che si raggiunga «un risultato conforme a ciò che la gente si aspetta». Sono affermazioni che lasciano dubitosi sul rigoroso esercizio della giustizia nel nostro Paese.

Essa infatti dovrebbe procedere diritta per la sua strada senza indulgere a pulsioni populistiche, senza lasciarsi sviare da eventuali pregiudizi dettati dalla sofferenza per la perdita di persone care, dalla «sommossa» del dolore.
All’Aquila esiste già sufficiente materia per sbizzarrirsi nelle indagini, sulla base di risultanze concrete, riconducibili a uomini in carne e ossa e non alle oscure, sotterranee insidie di un terremoto. Riguarda gli abusi edilizi, i mancati controlli sul rispetto delle regole, la circostanza che, come osserva il sindaco della città, «sono crollate case che dovevano restare in piedi».

Questo sembra essere il vero, ineludibile argomento in gioco, e su questo la magistratura deve attivarsi, evitando frustranti lungaggini, per rendere giustizia ai vivi e ai morti. È quanto si aspetta, con piena ragione, la gente, e non soltanto quella dell’Aquila.

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« Risposta #44 inserito:: Giugno 14, 2010, 09:57:42 am »

14/6/2010 - PANE AL PANE

Il martire dimenticato
   
LORENZO MONDO

Mi ha impressionato il ritorno in patria del vescovo Luigi Padovese, il capo della Chiesa turca. La sua salma è arrivata alla Malpensa su un cargo proveniente da Ankara, qualcuno ha detto come un sacco di patate. Se si esclude il vicerettore provinciale dei Cappuccini, l’ordine a cui apparteneva, non c’era nessuno ad accoglierlo, a rendergli un tributo formale di onore e di pietà. Quasi fosse un clandestino solitario, una imbarazzante presenza. Le autorità turche tendono ad accreditare l’ipotesi, contestata dalla comunità cristiana, che sia stato vittima di un pazzo. Troppe sono le ombre che si addensano intorno all’efferato omicidio.

Nei giorni precedenti, l’assassino si era fatto visitare premurosamente da uno psichiatra, forse per procurarsi un alibi, perché il modo in cui ha infierito sul sacerdote, decapitandolo (e gridando, secondo alcune testimonianze, «Allah è grande») lascerebbe pensare a una sorta di sacrificio rituale da parte di un fanatico. D’altronde i cristiani non hanno vita facile in Turchia: a parte le continue vessazioni, nel 2006 è stato ucciso il prete cattolico Andrea Santoro e nel 2007 sono stati massacrati tre protestanti che lavoravano per una casa editrice di Bibbie.

Quanto al Vaticano, si è espresso con prudenza sulla vicenda, non ha nemmeno mandato alle esequie un suo rappresentante, forse per non esporre a rappresaglie i fedeli inermi. Ma il sacrificio del vescovo Padovese, un uomo colto e aperto al dialogo interreligioso, acuisce in chi è dotato di onestà intellettuale la consapevolezza che esiste un sacerdozio fedele alla propria vocazione, capace di mettersi a repentaglio sulle frontiere più accidentate della fede. È una testimonianza che giunge a buon punto mentre dura e duole lo scandalo dei preti pedofili, ancora ieri denunciato da Benedetto XVI con inusitato vigore. È una presa d’atto che assume il senso di un riscatto, e andrebbe valorizzata anziché sottaciuta. Ma più sconcerta la passività della diplomazia internazionale, e più europea, davanti alle persecuzioni che si abbattono sulle minoranze cristiane in ogni parte del mondo e che in Medio Oriente stanno annientando le nobili comunità di origine apostolica. Al cargo del vescovo martire si sovrappone alla fine il vascello fantasma di una cristianità rimasta sola ad affrontare i violenti, torbidi marosi della storia.

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