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Autore Discussione: D’ALEMA.  (Letto 50347 volte)
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« Risposta #30 inserito:: Novembre 12, 2008, 10:03:53 am »

D'Alema: «E' un reality: il premier fa finta di governare, i problemi restano»
 
 
ROMA (11 novembre) - «Certamente non si può attribuire alla destra italiana la responsabilità della crisi internazionale, ma, da meridionale, mi limito a considerare non positivo il fatto che ogni volta che Berlusconi va al governo succede una sequela di disgrazie»: lo ha detto Massimo D'Alema all'Aquila, partecipando, al teatro Massimo gremito in ogni ordine di posti, a un appuntamento elettorale del Pd in vista delle prossime elezioni regionali in Abruzzo. «Il problema - ha proseguito D'Alema - è che di fronte alla gravità di questa crisi emerge l'inadeguatezza del governo del Paese, la fragilità delle proposte, delle ricette e delle strategie».

«Abbiamo vissuto una sorta di reality: Berlusconi ha fatto finta di governare il Paese con dispendio straordinario di mezzi, parate, fanfare, senza alcun risultato. Berlusconi ha fatto finta di risolvere il problema della sicurezza, ha fatto finta di occupare le nostre città con le forze armate, che non si sono viste perché mille militari distribuiti nelle città italiane sono pochi. Fa finta di risolvere i principali problemi del Paese. Ogni giorno una decisione, salvo che nessuno di questi problemi è stato effettivamente risolto».

Soro: un'altra grossolana caduta di stile. «Neppure la fatica fisica e l'affanno per le impreviste difficoltà possono giustificare la grossolana caduta di stile di un presidente del Consiglio che definisce imbecilli i suoi critici in Italia e all'estero» così Antonello Soro, presidente dei deputati del Pd, replica a Silvio Berlusconi che torna sulle critiche per la battuta su Barack Obama e definisce «imbecille e miserabile» chi l'ha fraintesa.
«Gli italiani, in un momento di drammatica crisi economica e sociale - afferma Soro - avrebbero bisogno di istituzioni responsabili e, anche nella diversità dei ruoli, protese alla ricerca di risposte efficaci e condivise. I governi, in queste circostanze, ricercano coesione e dialogo. In Italia accade esattamente il contrario. Siamo costernati e sempre più preoccupati per il nostro Paese».


da ilmessaggero.it
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« Risposta #31 inserito:: Dicembre 01, 2008, 03:33:01 pm »

L'ex premier: io leader? Non ragionevole. Siamo diversi da Di Pietro

Craxi, Veltroni e le liti nel Pd

Show di D'Alema da Crozza

«Noi con i socialisti europei. Momento difficile, Walter va aiutato»
 
 
MILANO — «Un mio ruolo di guida nel Pd non è nell'ordine delle cose. Non è prevedibile, né ragionevole. E tantomeno si tratta di un'evoluzione che auspico. Ma se qualcuno pretende di mettermi zitto, questo no». Dopo la decisione di «impegnarsi di più nel partito» Massimo D'Alema sgombra il campo da dubbi riguardo alle sue ambizioni. Ma nello stesso tempo non nega la necessità di un «chiarimento». Domenica il presidente della Fondazione Italianieuropei è intervenuto a Milano a un convegno al circolo della Cultura. E poi, in serata, ha partecipato a Crozza Italia Live. Occasioni per parlare a tutto campo: dal rapporto con Di Pietro al posizionamento del Pd nel parlamento europeo. «Veltroni ha una responsabilità difficile e va aiutato — ha detto conciliante D'Alema davanti alle telecamere di La7 —. È necessario vedere insieme come fare.
Il Pd è un grande progetto ma attraversiamo un momento difficile. Sarebbe assurdo ricondurre queste difficoltà ai complotti che farei io. Non ne avrei nemmeno le forze».
Il presidente di Italianieuropei assicura di voler «dare una mano» e dice che «per quanto riguarda un nuovo leader — quando ce ne sarà bisogno — dovrà essere una persona di un'altra generazione».

L'«offerta di aiuto» di D'Alema è vista bene dal vicesegretario del Pd, Dario Franceschini: «Al partito serve che i giocatori non si facciano gli sgambetti tra di loro ma si passino la palla e sostengano il capitano. Che in questo momento si chiama Veltroni. D'Alema lo sa e sono certo che la sua è un'offerta di lavoro per il suo partito». Fuori dall'orticello del Pd, il presidente di Italianieuropei mette paletti riguardo al rapporto con Di Pietro: «Il Pd ha la forza sufficiente per trovare in sé una linea politica e un atteggiamento verso le istituzioni che ci rendano diversi dal movimento di Di Pietro». Mentre nel parlamento europeo il partito democratico dovrebbe «costituire uno schieramento riformista insieme con i socialisti». Più in dettaglio: «Il campo progressista è più ampio di quello socialista. Il nostro contributo può essere importante. Dobbiamo andare oltre i confini dell'internazionale socialista ma senza rompere».

La disponibilità a «dare una mano» non deve far pensare a un D'Alema buonista. Ce n'è per Romano Prodi: «La crisi Ue nasce anche dal suo allargamento frettoloso, non preceduto da una riforma delle istituzioni. Questo è stato un errore politico». E qualcuno nella platea milanese della Casa della cultura legge un riferimento a Veltroni e al suo acquisto di un appartamento a Manhattan quando D'Alema parla delle famiglie italiane «che oggi si muovono sul mercato immobiliare americano approfittando della crisi». Numerosi i riferimenti anche alla fase critica attraversata dal partito. «In 148 anni dall'unità d'italia la sinistra è andata al governo solo due volte, con lei e con Craxi...», ha fatto notare Crozza. Una realtà che — secondo D'Alema — ha a che fare con i limiti storici e culturali della sinistra oltre che con il blocco dell'alternanza durante la guerra fredda. Per finire, l'autocritica. «Quando ho sbagliato ho sempre pagato di tasca mia».

Rita Querzé
01 dicembre 2008

da corriere.it
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« Risposta #32 inserito:: Dicembre 04, 2008, 11:23:44 pm »

«Ma i problemi del Pd vanno affrontati». E sull'associazione Red: «Non è una corrente»

D'Alema: «Via Walter? Non lo chiedo io»

D'Alema: «Sostituire Veltroni? Se lo ritenessi necessario lo direi prima di tutto a lui»

 
ROMA - Walter Veltroni invita ad uscire allo scoperto coloro che vorrebbero un cambiamento al vertice del Pd. Ma Massimo D'Alema, l'ultimo presidente dei Ds, da più parti indicato come il mandante delle pressioni per il rinnovo della segreteria e delle critiche alla linea politica del segretario, si chiama fuori: non sono io a volere che Walter se ne vada. «Veltroni non si rivolge a me - sottolinea convinto D'Alema ai microfoni di Radiodue - perchè ci conosciamo da anni e lui sa che io sono una persona a volte spigolosa ma diretta e quindi se io ritenessi che lui deve lasciare la carica, lo direi prima di tutto a lui. Se non l'ho detto, non lo penso».

«AFFRONTARE I PROBLEMI» - D'Alema è convinto che nel centrosinistra ci siano dei problemi ma non pensa che sia venuto il momento di una resa dei conti. Piuttosto, ha detto, «penso che è ora di affrontare i problemi seri, non esorcizzandoli dando la colpa a oscuri complotti che è una risposta semplicistica». «Il problema non è su Veltroni che deve continuare il suo mandato e nessuno deve insinuarlo - ribadisce l'ex vicepremier - ma la necessità di affrontare i nodi reali a cominciare dalla discussione su quale partito costruire, quali regole, come governare i conflitti in periferia». E per farlo «c'è la conferenza programmatica e mi sembra ragionevole rispettare il calendario».

«RED NON E' UNA CORRENTE» - D'Alema sa bene che la sua area politica viene considerata particolarmente ostile nei confronti di Veltroni.
E che l'associazione Red di cui lui stesso è il principale riferimento viene considerata una sorta di gruppo di fronda all'interno del Partito democratico. Ma è una semplificazione che non condivide: «Red è un'associazione culturale - ha puntualizzato - ed è buffo pensare che sia l'attività di una corrente. Domani alla giornata sulle riforme ci sono Andreotti e Bonino e faccio fatica a pensare a loro come a dalemiani. Purtroppo in un dibattito politico così inquinato e avvelenato è difficile far capire come stanno le cose». E lo stesso dicasi per Italianieuropei, la fondazione che D'Alema presiede con Giuliano Amato: «Red affianca la Fondazione in un'attività di ricerca e dibattito, che raccoglie alcune migliaia di iscritti in tutta Italia, che normalmente non sono dirigenti del Pd nè iscritti e questo rende ancora più buffa l'immagine della corrente».

04 dicembre 2008
da corriere.it
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« Risposta #33 inserito:: Dicembre 25, 2008, 10:01:52 am »

D'Alema: «Voglio un partito vero per riavviare il Pd»

di Ninni Andriolo


Presidente D’Alema, l’Istat non è ottimista come Berlusconi: un milione di famiglie non ha i soldi per mangiare...
«La situazione è estremamente grave e io credo che bisogna mettere al centro una crisi sociale ed economica senza precedenti. Sono oltre tre milioni i precari che rischiano di non veder confermati i loro contratti. Di fronte a questa realtà il governo ha deliberatamente deciso di non far nulla... ».

Sacconi vuole la settimana corta...
«Si avanza qualche proposta anche ragionevole, ma siamo ai pannicelli caldi rispetto ai programmi imponenti di altri Paesi. Noi siamo agli appelli di Berlusconi al buon umore. Il governo è paralizzato dai contrasti e sottovaluta gravemente la situazione»

La crisi è stata al centro della direzione Pd di venerdì scorso...
«Veltroni ha indicato problemi e soluzioni. Mi pare un progetto importante quello di dedicare un punto di Pil a una grande manovra anti crisi fatta di misure sociali, sostegni allo sviluppo e investimenti. A queste proposte Berlusconi ha risposto lanciando improbabili e velleitarie riforme della Costituzione».

Annunci che non avranno seguito, quindi, quelli sul presidenzialismo?
«Faccio notare che pochi minuti dopo la dichiarazione del premier Bossi ha detto “non se ne parla neanche”. E, comunque, già 10 anni fa abbiamo tentato di fare una riforma delle istituzioni che prevedeva, tra le altre cose, l’elezione diretta del Capo dello Stato. Berlusconi, poi, si è tirato indietro».

Niente riforme condivise, quindi?
«Se si vuole affrontare con serietà il tema il punto di partenza è la bozza Violante. Da quel documento abbiamo preso le mosse per la proposta delle fondazioni, che rimane il testo più serio e condiviso per riforme costituzionali e legge elettorale».

Il governo annuncia per imminente la riforma della magistratura...
«Non c’è dubbio che in questo paese ci sia bisogno di una giustizia più veloce ed efficiente, ma le riforme prospettate da Berlusconi peggiorano i mali. Non credo, infatti, che la risposta sia nella separazione delle carriere, che porterebbe i pm a essere ancora di più un potere separato. Abbiamo bisogno, invece, che la cultura della giurisdizione orienti e spinga le procure a muoversi con efficacia, ma anche con senso della misura e saggezza. Le vicende di questi anni ci spingono alla fiducia, ma anche alla cautela. Sono troppi i casi in cui al clamore delle indagini fanno seguito proscioglimenti clandestini che non restituiscono alle persone e alle istituzioni alcun risarcimento per il danno subito».

Un rischio presente anche nelle inchieste di Napoli e Pescara?
«Spero si accerti che non sono stati commessi degli illeciti e che la magistratura, nello svolgimento sereno e indipendente del proprio lavoro, possa arrivare a queste conclusioni. E mi pare che, in qualche caso, si vada ridefinendo e ridimensionando la portata delle accuse. Anche per questo, prima di formulare un giudizio definitivo sulla politica, o sul Pd, vale la pena di attendere e valutare».

Ma non è evidente il venir meno di una tensione etica nella politica?
«Certo e io non lo sottovaluto affatto. Ma questo aspetto non può essere confuso con quello giudiziario. La reazione all’emergere di concezioni della politica assai discutibili non può essere affidata alle procure della Repubblica. L’unico rimedio, qui, è avere un partito vero. Un partito forte è in grado di sapere, nella gran parte dei casi, se un amministratore sotto inchiesta è una persona perbene oppure no. Perché lo conosce, ne segue il lavoro e lo giudica quotidianamente. Sa, cioè, se bisogna difenderlo o no, sempre in un rapporto corretto con i magistrati. Il venir meno di questa forma fondamentale di vita della democrazia alimenta solitudini e visioni personalistiche della politica. Anche per questo abbiamo iniziato a riflettere sulla primarizzazione della vita interna del Pd. Se perfino per fare il segretario di sezione devi farti la campagna elettorale, il rischio di sprofondare nella logica dei potentati personali diventa fortissimo».

Basta costruire il partito per evitare l’emergere di una questione morale, quindi?
«L’idea che il Pd sia travolto dalla questione morale non l’accetto. Oltre che con la costruzione del partito, all’emergere di casi di malcostume si deve rispondere con una radicale riforma della politica che dovrebbe partire, a mio giudizio, da una drastica riduzione del ceto politico, che ne aumenterebbe l’autorevolezza e che rafforzerebbe anche i poteri di controllo delle istituzioni».

Lei batte sul tasto del partito, la direzione ha dato un segnale chiaro...
«Abbiamo avuto una riflessione critica sul partito, ma al contrario ho letto ricostruzioni sconcertanti».

Lei ha parlato di amalgama mal riuscito...
«Le frasi vanno lette nel loro contesto. Walter per primo ha denunciato una situazione di difficoltà indicando come causa il correntismo. Io, condividendo la preoccupazione, ho detto che vedo più il rischio dell’anarchia e della frantumazione. Il correntismo sarebbe, a suo modo, un ordine discutibile ma un ordine. L’unico modo per amalgamare le forze è quello di fare un partito vero. Ma se a livello centrale e periferico si incontrano i dirigenti ex Ds da una parte e quelli ex Margherita dall’altra, riunioni che io non promuovo e alle quali non partecipo, debbo desumere che fin qui la fusione non è perfettamente riuscita. Spero che siamo alla vigilia di un’azione energica perché questi fenomeni non ci verifichino più».

Per Veltroni la fusione è avvenuta nel popolo del Pd...
«Non sono in disaccordo con lui. Ma un partito è anche fatto di gruppi dirigenti e questa fusione dobbiamo determinarla anche a quel livello».

E c’è molto da fare anche sul rinnovamento...
«Io ho già dato il buon esempio: non faccio parte di nessun organismo di partito e, quindi, non difendo posti che non ho. In questi mesi ho promosso 37 iniziative di livello nazionale e internazionale, seminari di grandissimo rilievo. Non avrei avuto il tempo per organizzare correnti. Ho un alibi: l’enorme mole di lavoro prodotto da un centro di cultura riformista come ItalianiEuropei. Acceleriamo il rinnovamento, comunque. E cerchiamo di mettere i giovani che hanno delle idee innovative in condizione di poter giocare la loro partita. Ma non usiamo questo tema strumentalmente in chiave di polemica tra noi coetanei che veniamo da una stessa generazione».

Si riavvia il Pd, quindi?
«La relazione di Veltroni ha offerto una base seria di discussione. C’è stato un dibattito vero. La Direzione ha rappresentato un passaggio positivo da cui ripartire. Adesso spetta al gruppo dirigente e al segretario unire tutte le forze perché lavorino insieme».


24 dicembre 2008
da unita.it
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« Risposta #34 inserito:: Gennaio 12, 2009, 05:07:41 pm »

12/1/2009 (11:13) - SULLA CRISI IN MEDIORIENTE: UCCIDERE I BIMBI FOMENTA IL FONDAMENTALISMO

D'Alema: giustizia, riforma urgente
 

L'ex ministro degli Esteri incalza: il sistema sta perdendo credibilità, si segua la linea proposta da Fini


ROMA
Air France prima o poi assumerà il controllo di Alitalia, un esito che «era scontato» secondo Massimo D’Alema. Intervistato su Red tv, l’esponente democratico giudica la vicenda un «tipico imbroglio. Berlusconi ne ha fatto una bandiera elettorale, alla fine si va verso la soluzione che è l’unica soluzione ragionevole, quella che nel giro di pochi anni porterà alla fusione tra Alitalia ed Air France, in un mondo in cui le compagnie di bandiera, come quella che ci ha raccontato Berlusconi in campagna elettorale non ci sono più: si va verso grandi gruppi sovranazionali».

Tra la soluzione a suo tempo individuata dal governo Prodi e quella scelta dall’attuale esecutivo, sostiene D’Alema, ci sono alcune differenze: «Quando si arriverà a questa soluzione i francesi non la pagheranno, a differenza di quanto previsto dal governo Prodi, perché la pagheranno i cittadini italiani». In ogni caso, prima o poi «Air France, sia pure in partnership con degli imprenditori italiani, ma questo sarebbe accaduto comunque, ne assumerà il controllo. Gli imprenditori, che fanno gli imprenditori, non possono inoltre gestire la compagnia secondo le direttive del comitato centrale della Lega Nord, e quindi arrivano alle conclusioni alle quali eravamo arrivati noi. È una vendetta della razionalità sulla propaganda».

"Nessun piano contro la crisi, la social card sta fallendo"
«L’Italia è l’unico paese al mondo che non ha un piano contro la crisi, che aspetta che qualcun altro ci tiri fuori, anche la Merkel è scesa in campo». Così Massimo D’Alema critica il governo per la mancanza di progetti in risposta della crisi finanziaria. «La social card sta fallendo, è un disastro, c’è anche l’umiliazione di andare in giro con la carta», ha tra l’altro sottolineato il presidente della fondazione Italianieuropei.

"Giustizia, confronto utile tra maggioranza e opposizione"
Massimo D’Alema ha poi sollecitato una riforma che restituisca credibilità alla giustizia e ha assicurato la disponibilità a un confronto con il Pdl. «Credo che ci sia una possibilità di un confronto», ha infatti affermato. «Non ho mai considerato questo un tabù», ha aggiunto ricordando la ricerca di «una riforma ambiziosa della giustizia nella Bicamerale». Da qui, il giudizio «positivo» sulle parole di Gianfranco Fini perchè un cambiamento è urgente. «La mia preoccupazione è quella di una perdita di credibilità del sistema giudiziario, come sta accadendo. Se vogliamo resituire credibilità alla giustizia, bisogna avere il coraggio di riforme incisive». «Tra tante irritualità - aggiunge - quella di Fini rappresenta un momento positivo. È utile che persone ragionevoli cerchino vie percorribili utili per il paese».

"Per Hamas 300 bimbi morti favoriscono la guerra santa"
«La definizione di guerra per quello che accade a Gaza è inesatta». Ha infine sottolineato Massimo D’Alema. «Non so se è appropriato - ha precisato - parlare di guerra, si assiste a una spedizione punitiva: l’espresione "guerra contro Hamas" è molto partigiana, è il titolo che i servizi informativi dell’esercito israeliano danno all’operazione. Quello che sta accadendo è una rioccupazione della Striscia di Gaza». Secondo l’ex ministro degli Esteri «un conflitto in cui muoiono 900 persone da una parte e una decina dall’altra difficilmente può essere definito come guerra». Quanto ai risultati dell’operazione militare israeliana, D’Alema si dice sicuro che «il fondamentalismo uscirà rafforzato. I massacri di bambini sono uno straordinario incoraggiamento per il reclutamento del fondamentalismo». Le bandiere di Hamas e la preghiera in piazza a Milano? «Non mi meraviglia, il fondamentalismo si rafforzerà da noi in Europa. Dobbiamo pensare uin pò anche alla nostra sicurezza».

da lastampa.it
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« Risposta #35 inserito:: Gennaio 14, 2009, 12:10:58 am »

Dai rilievi sulla gestione del partito alle critiche a Israele, l'ex premier in campo

«Basta demonizzarmi, si governi il Pd»

D'Alema: rilancio, convocando le personalità .

Marini: problemi? Ditelo ai giovani messi lì
 
 
ROMA — L'appello alla tregua, dice, non ha neanche bisogno di accoglierlo: «Figuriamoci, sono un uomo pacifico. E mi sono impegnato unilateralmente da molto tempo». Piuttosto, gli piacerebbe non essere più «demonizzato». E quella telefonata che aspettava — da quando alla festa democratica di luglio a Firenze ha offerto la sua disponibilità al partito — non è mai arrivata: «Non ho ricevuto chiamate. Ma, lo ripeto, posso dare il mio contributo: sono pronto». Massimo D'Alema sceglie Red tv per lanciare il suo messaggio. E per definire il conflitto a Gaza non «una guerra», ma «una spedizione punitiva israeliana», che «alimenta una deriva fondamentalista». Parole che arrivano il giorno prima di un incontro promosso dal Pd sulla questione, presente Walter Veltroni. Gianni Vernetti non condivide: «Non sono d'accordo con D'Alema. Quella di Israele è un'azione difensiva».

Finita l'analisi israeliana, D'Alema passa al partito. Walter Veltroni non viene mai nominato, ma è ancora fresca la sua richiesta accorata di una tregua. Le cronache dei giornali, come sempre, riservano poche soddisfazioni a D'Alema: «Sono amareggianti. Troppa la confusione e la mancanza di responsabilità di diverse persone». A domanda di Antonio Polito, risponde di non aver mai contribuito alle polemiche: «Anche se prima francamente ero tirato per i capelli per cose che non avevo detto, cose che mi si attribuivano. Complotti di fantomatici dalemiani». Il nome di Latorre e la storia del pizzino non vengono mai citati. D'Alema prosegue: «Trovo sbagliato che invece di affrontare il partito, si sia alimentata una campagna come se il Pd fosse in una situazione splendida, a parte D'Alema cattivo con le sue correnti. Le iniziative intraprese erano una risorsa per il partito. Volevamo raccogliere forze, collegarci con la società civile e tutto questo doveva essere apprezzato. Invece di demonizzare i miei convegni, forse ci si poteva occupare un po' di più di governare il partito».

D'Alema ora chiede un rilancio: «Il Pd rappresenta l'unica grande speranza in prospettiva». Nel caso non si fosse capito, ribadisce: «Forse oggi sarebbe giusto chiamare a raccolta tutte le grandi personalità di questo partito per rilanciare il progetto. Non spetta a me farlo, al massimo posso dichiararmi disponibile. E spero che ci sia un forte rilancio con la conferenza programmatica». L'appello veltroniano alla tregua, intanto, non fa breccia. Francesco Boccia replica a Giuseppe Fioroni, che aveva definito Zingaretti, Soru e Letta «personaggi in cerca d'autore»: «Se Veltroni si fa rappresentare da Fioroni, come può stupirsi dei mal di pancia?». Stoccatina anche dall'ex presidente del Senato Franco Marini: «Problemi nel partito? Non me ne occupo più, chiedete a quei giovani che hanno messo lì».

Quanto all'insofferenza dei centristi nel Pd, interviene il governatore Lorenzo Dellai, che propone il modello Trentino e auspica la nascita di «un nuovo centro riformatore». «Considerazioni importanti», secondo l'ex margheritino Gianni Vernetti.

Parole che non convincono, secondo il prodiano Mario Barbi: «L'Italia non è Trento. I limiti del bipolarismo non si superano con un salto all'indietro».

Alessandro Trocino
13 gennaio 2009

da corriere.it
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« Risposta #36 inserito:: Febbraio 02, 2009, 05:40:20 pm »

D'Alema: «Pd, indietro non si torna ma così non va: ci vuole più impegno»
 
 
 di Claudio Sardo


ROMA (1° febbraio) - «Dal Partito democratico non si torna indietro. L’idea che ad un tratto possano di nuovo materializzarsi Ds e Margherita è sciocca e irrealistica. Il problema del Pd non è questo: è il nostro progetto ancora incompiuto. Il problema sono i passi avanti che ci mancano». Massimo D’Alema torna, dopo la direzione di dicembre, a parlare del Pd, del suo «malessere», della «proposta di governo» e del futuro da costruire. «Questo - dice - è il momento dello sforzo comune, di raccogliere le forze per affrontare la sfida». L’intervista muove da qui. Anche se D’Alema non tarda a contestare la tesi, cara al vertice del Pd, che le difficoltà dipendano innanzitutto dalla litigiosità interna.

Di cosa soffre allora il Pd?
«Costruire un grande partito è prima di ogni altra cosa un’impresa culturale e organizzativa. Il nostro deficit è qui. E non serve cercare spiegazioni di comodo, tanto meno etichettare come dalemiani tutti coloro che dissentono. La pluralità di opinioni tra noi è insopprimibile: va governata con prudenza e responsabilità di tutti».

Cosa intende per impresa culturale e organizzativa?
«Che c’è bisogno di grande energia per radicare un partito nuovo, per rimotivare i militanti e per far convivere il loro impegno con forme di partecipazione diretta dei cittadini. E che, accanto al radicamento sociale, l’altra grande questione politica è il radicamento nella storia nazionale, la “giustificazione storica” del Pd. Spero che la prossima Conferenza programmatica ci aiuti a fare quei passi che fin qui sono mancati».

Intanto Bersani s’è fatto avanti come possibile contendente alla leadership di Veltroni. Lei lo sosterrà dopo le europee, quando verrà il tempo del congresso?
«Mi pare che Bersani abbia detto correttamente che oggi non ci sono candidature né congressi, ma un lavoro comune per affrontare al meglio europee e amministrative. Poi, è fin troppo banale dire che dopo il voto si discuterà. Siamo un partito, appunto, democratico».

Lei però a dicembre parlò dell’amalgama ancora non riuscito. E più di qualcuno le attribuì il progetto di una nuova sinistra di matrice socialista nel dopo-Pd.
«Le mie parole allora furono decontestualizzate e completamente falsate. Stavo replicando alla tesi che il Pd soffriva a causa di correnti verticali e ben strutturate. Mi sembrava una critica tranchant e, per di più, infondata. Ho risposto che l’amalgama ancora non c’è e che non bisogna confondere le correnti con i riflessi, peraltro un po’ confusi, delle appartenenze precedenti».

Resta il problema della rappresentanza politica della sinistra. Problema che non riguarda solo il destino di Ferrero e Vendola. Non le pare che il Pd si stia scoprendo a sinistra, come dimostra il gelo con la Cgil sulla riforma dei contratti?
«La migliore tradizione della sinistra italiana è riformista. Senza questa storia, senza questa presenza il Pd verrebbe meno al suo progetto di unire i riformisti. Certo, la sinistra è uno degli affluenti del Pd. Ma il Pd non nasce per cancellarla. Al tempo stesso, è naturale che viva una sinistra fuori dal Pd, senza rivendicazioni di esclusive. E sono anche convinto che quest’area, nel suo complesso, non stia arretrando sul piano dei consensi».

E il rapporto con la Cgil?
«Il Pd non deve sempre andare d’accordo con la Cgil. Io stesso ho avuto confronti duri quando ancora c’erano i Ds. Oggi però sono convinto che escludere il maggiore sindacato, non da un contratto di categoria, ma dalla riforma del sistema contrattuale, sia una forzatura e un errore. Sono convinto da molti anni che si debba riformare il modello contrattuale nel senso di accrescere il peso della contrattazione salariale nei luoghi di lavoro. Tuttavia, non mi convincono alcuni punti di merito, innanzitutto perché non mi sembra pienamente garantita per i lavoratori più deboli la difesa del potere d’acquisto del salario rispetto all’inflazione reale. E poi, perché detassare gli aumenti contrattati a livello aziendale e non anche quelli negoziati sul tavolo nazionale? Perché usare il fisco per dare di più a chi ha già di più e togliere a chi ha di meno?»

L’accordo per fissare lo sbarramento al 4% alle europee sembra fatto. D’Alema voterà a favore?
«Sono un parlamentare disciplinato che segue sempre le indicazioni del gruppo. Sull’accordo però vanno distinti due aspetti. Nel merito giudico il compromesso accettabile. Le preferenze sono rimaste a garanzia del potere degli elettori. E, anche se continuo a ritenere più giusta la soglia del 3% anziché il 4, prendo atto che il negoziato con Berlusconi non possa offrire di più. Accanto al merito però bisogna anche valutare gli effetti politici. E su questo ho più di una preoccupazione...».

Insomma, sta consigliando a Veltroni di fermarsi e rinunciare alla riforma.
«Non ho compiti di direzione politica e rimetto le valutazioni al gruppo dirigente. Domando però se convenga al Pd andare avanti per questa strada. Si rischia non solo di inasprire i rapporti con potenziali alleati alle amministrative, ma anche di suscitare sentimenti di rigetto in parte dell’opinione pubblica che sospetta il prevalere di interessi particolari. Se la decisione sarà di andare avanti, spero almeno che si attenuino alcuni aspetti tecnici dello sbarramento. Ad esempio, è ingiusto negare il rimborso a tutti coloro che non arrivano al 4%. Per il rimborso elettorale si può anche fissare una soglia più bassa. Democrazia è anche partecipare, provare. È giusto disincentivare le liste dello zero virgola. Ma non si può alzare un muro».

Lei ha parlato di potenziali alleati. Le alleanze sono motivo di divergenze strategiche nel Pd. Lei punta sempre su Casini e Vendola come interlocutori privilegiati?
«Non si pone così il tema delle alleanze. Gli alleati non si possono reclutare alla maniera della marina britannica di un tempo: una botta in testa e via, arruolati. Non posso allearmi con chi non condivide il medesimo progetto. Il tema per il Pd non è allora quali alleati scegliere. Il tema è come preparare la sfida del governo. Che vuol dire: costruire un programma efficace e una coalizione credibile per realizzarlo. Alle elezioni il Pd era alleato con l’Idv. Non credo che oggi si possa lanciare una sfida di governo credibile riproponendo la coalizione Pd-Idv».

L’accordo sullo sbarramento potrebbe riproporre la tentazione dell’autosufficienza e del bipartitismo.
«In Italia non c’è il bipartitismo. Alle ultime elezioni Lega e Idv hanno ottenuto incrementi persino maggiori di Pdl e Pd. Neppure in Europa c’è il bipartitismo, ma un bipolarismo fondato su due forze prevalenti. È questo l’approdo più razionale anche per le riforme. Intanto è bene che il Pd cominci a lavorare sui contenuti e ad aprire il confronto sui temi politici e istituzionali innanzitutto con le forze che oggi si trovano all’opposizione».

Ma Di Pietro è ancora un interlocutore plausibile dopo la reiterata polemica con il Presidente della Repubblica?
«Di Pietro si proclama paladino dell’indipendenza della magistratura, ma sempre più si fa rappresentante di singoli magistrati e di singole Procure, talvolta schierate contro altri magistrati e altre Procure. Questo intreccio tra inchieste particolari e lotta politica è inquietante. Vedo che anche nel movimento di Di Pietro si colgono dei malumori per questo e per gli attacchi pretestuose e talora volgari al Capo dello Stato. Spero che Di Pietro si fermi, perché altrimenti diventerebbe impossibile ogni rapporto».

La riforma della giustizia è il terreno di un possibile incontro con il governo?
«Dipenderà dalle proposte del governo. Sulle intercettazioni ha fatto bene a non modificare la lista dei reati, ma sbaglia a limitare le capacità investigative dei magistrati. Sarebbe meglio concentrarsi sulla tutela della privacy e sui limiti alle pubblicazioni. Sulla crisi più generale della giustizia il banco di prova riformatore è la rapidità del processo civile, oltre che la riorganizzazione delle circoscrizioni giudiziarie. Passa da qui una riforma nell’interesse dei cittadini. Ma allo stato mi pare che Berlusconi pensi ad altro». 

da ilmessaggero.it
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« Risposta #37 inserito:: Febbraio 18, 2009, 07:34:17 pm »

Gelo dopo l'addio di veltroni

L'accusa a Bersani: è anche colpa tua

La mossa del leader del Pd spiazza i rivali.

D'Alema: «Ci vuole senso di responsabilità da parte di tutti»


Quel che accadrà lo dice la rutelliana Linda Lanzillotta, mentre sorseggia un caffè alla buvette della Camera: «Walter è il Pd e se lui se ne va che resterà di questo partito? Probabilmente niente». Le dimissioni rimuginate durante la notte e poi di nuovo la mattina dopo sono arrivate. E ora c'è Massimo D'Alema che dice: «Ci vuole senso di responsabilità da parte di tutti: bisognerà decidere nelle sedi opportune». C'è Dario Franceschini che è pronto per reggere il partito fino al congresso di ottobre. C'è Pierluigi Bersani, sfidante ormai senza sfidato, che non vuole assolutamente prendere la guida della baracca adesso, «sennò la sconfitta delle Europee ricadrà su di me». E ancora, ci sono i buoni amici «esterni» del Pd, che consigliano di eleggere subito un leader forte, ma sono gli stessi che avevano fatto un pensierino su Soru, e poi è successo quel che è successo.

Ci si scervella nella ricerca del percorso migliore per il dopo-Veltroni, ma l'obiezione della Lanzillotta è chiara a tutti e rischia di rendere vano ogni sforzo. I rutelliani si sentivano garantiti dall'attuale leader. E non solo loro. Se quel che deve rimanere è il vice di Veltroni, in accordo con Bersani, il tutto sotto l'egida di Franco Marini, allora tanto vale andarsene e rompere quel giocattolo complicato che si chiama Pd. Per questo a tarda sera rispunta un'ipotesi che sembrava essersi eclissata: quella del congresso anticipato. Dunque, il Veltroni che si dimette spiazza tutti. Anche D'Alema. I sostenitori dell'ex ministro degli Esteri ieri volevano partire lancia in resta per chiedere le dimissioni del segretario. Peccato che lui li abbia anticipati, arrivando in mattinata a largo del Nazareno e avvisando Franceschini, Fassino, Gentiloni, Tonini e Bettini della sua decisione. Irrevocabile, nonostante quel che pensasse ancora in mattinata D'Alema. Ma Veltroni è fatto così. Riconsegna subito perfino l'auto del partito. E ai fedelissimi che lo vorrebbero più pugnace dice: «Basta, ho deciso e non torno indietro. Né farò altro. Non sono tipo da organizzare correnti, farò il deputato semplice».

La decisione è presa e non c'è politica che tenga. Veltroni la comunica a tutti: al capo dello Stato e a Gianni Letta, a Casini e a Fini. Solo con D'Alema non parla. Ma la distanza tra i due, ormai, è enorme, e non è più il tempo delle astuzie diplomatiche. Al Pd non si fa più finta di volersi bene quando in realtà non è così. Tant'è vero che mentre il leader si dà più di un'ora di tempo per decidere, tra una riunione del coordinamento e l'altra, chi non ama Veltroni non partecipa alla lunga processione dei dirigenti di partito che gli chiedono di ripensarci. Nella fila davanti alla porta del suo ufficio non si scorgono né Bersani, né Enrico Letta, né Rosy Bindi. E quanto a Bersani, lui certo non si straccia le vesti per le dimissioni del segretario: potrebbe respingerle a patto, però, che Veltroni «recepisca» le «istanze che io rappresento», o che, comunque, lasci «campo libero» alle sue iniziative. Finita la riunione Veltroni gli passa davanti e, riferendosi alla sua candidatura anzi tempo, gli sibila: «E' stata tutta colpa tua». Bersani si adira e al piano nobile di largo del Nazareno si sfiora la rissa. No, non è più il tempo del «volemose bene», delle dimissioni false, dell'analisi del voto cauta e pudìca. Veltroni non indora la pillola: «Il risultato della Sardegna è drammatico. C'è una situazione scollata. Il Pd è andato male e non si può fare finta di niente, ci vuole un forte gesto di discontinuità, di rottura».

Tutti lo ascoltano senza capire quel che il segretario sta per annunciare: le sue dimissioni. «Il mio logoramento sta diventando il logoramento del partito e allora è meglio che io mi faccia da parte». E anche dopo, quando qualche amico gli chiede se ha una qualche intenzione di fare marcia indietro, il leader appare irremovibile e ripete suppergiù le stesse parole che pronuncia nella riunione del coordinamento: «La gente non capirebbe le sceneggiate. Io sto facendo sul serio e andrò fino in fondo. Meglio le dimissioni, così forse si salva il progetto del Pd e si salva anche la compattezza del partito, se sono io l'ostacolo, meglio che lasci perdere, sono sicuro che in questo modo tutti avranno modo di riallinearsi». Conclusione provocatoria, ma anche amara. D'altra parte Veltroni non nasconde di sentirsi «spezzato dentro». Eppure, anche dopo le parole nette pronunciate dal segretario, nella riunione c'è chi spera ancora di fermarlo, di fare in modo che non si dimetta. Solo quando Veltroni, con aria questa volta pacata e riappacificata, riprende il suo discorso, scatta un campanello d'allarme tra i dirigenti del Pd. Quello del segretario è inevitabilmente un commiato: «Ho lavorato bene con voi...». Niente più frasi pungenti, sfoghi e amarezze, ma soltanto un addio. E una promessa: «Non farò battaglie tutte interne al partito, non sarebbe da me». Insomma, chiunque sia il suo successore - Franceschini pro tempore, Bersani, un outsider o un giovane come vorrebbero alcuni veltroniani - il segretario non andrà alla guerra.
Anche perché il rischio vero è che venga a mancare il campo di battaglia, ovvero sia il Partito democratico, che rischia ormai di eclissarsi insieme a Veltroni.

Maria Teresa Meli

18 febbraio 2009
da corriere.it
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« Risposta #38 inserito:: Febbraio 19, 2009, 06:41:12 pm »

19-02-09 
PD: VELINA ROSSA, VERSO RIEDIZIONE GOVERNO BADOGLIO E DELL'8 SETTEMBRE 
 
(ASCA) - Roma, 19 feb - ''Il Partito Democratico si avvia alla riedizione del governo Badoglio, in vista dell'8 settembre.
Siamo alla vigilia di una disfatta che forse non ha alcun precedente nella storia dei partiti in Italia''.

Questa la valutazione della situazione del Pd da parte della 'Velina rossa', l'agenzia di area ex Ds.

''L'Assemblea costituente -prosegue la Velina- a che cosa serve, se non si riesce ad aprire un dibattito politico serio dopo quanto e' avvenuto? (...)
Non si puo' accettare la solita manfrina per cui se ne va il segretario, ma il suo posto e' lasciato in eredita' al vicesegretario che confermera' tutto l'apparato (...) Pare che tutto sia gia' deciso e, quindi, si arrivera' alla comica finale dell'applauso unanime dei cosiddetti 2.800 delegati''.

La Velina Rossa si dice quindi contraria alla soluzione di Franceschini come segretario (''riteniamo inopportuna questa soluzione'') e adombra l'ipotesi di un complotto: ''Le stesse dimissioni dell'on. Veltroni facevano parte dii un certo piano, che in questo momento ha come unico scopo quello di creare terra bruciata attorno alla candidatura dell'on. Bersani''.

E la Velina rilancia la candidatura a segretario pro tempore di Piero Fassino.

min/sam/alf
 
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« Risposta #39 inserito:: Febbraio 20, 2009, 03:44:07 pm »

19/2/2009 (17:0) - CAOS POLITICO

Reggenza o primarie, Pd al bivio

E Parisi si candida alla leadership

Franceschini verso la segreteria.

Altolà dei prodiani. L'ex ministro: «Sono in campo a nome dell'Ulivo».

Sabato all'assemblea la resa dei conti

ROMA


Pd al bivio. Il partito, orfano del segretario Walter Veltroni, si trova in una fase cruciale per il suo futuro. Sabato sarà una giornata clou: si riunirà l’assemblea nazionale (che si terrà dalle 10 alla nuova Fiera di Roma) con i suoi 2.800 eletti e il dibattito potrebbe anche riservare delle sorprese.

Fino a questa mattina sul tavolo c’era solo la proposta dei dirigenti di eleggere Dario Franceschini, dopo il via libera di ieri anche da parte dei segretari regionali. La via è tracciata dallo Statuto che prevede l’elezione del segretario solo in caso di dimissioni, come è avvenuto in questo caso (perchè il segretario in genere si elegge con le primarie). Quindi Franceschini, come fa notare qualcuno, se venisse eletto sarebbe un segretario a tutti gli effetti e il suo mandato durerebbe fino al congresso d’autunno perchè quella era la scadenza naturale della segreteria targata Veltroni.

Un’alternativa potrebbe essere quella di aprire una fase congressuale, ma per questo l’Assemblea nazionale dovrebbe autosciogliersi e poi, si sottolinea da più parti, non ci sarebbero i tempi: servirebbero infatti almeno tre mesi per l’organizzazione e tra 60 giorni il Pd dovrà pensare a liste e candidature per le elezioni amministrative ed europee. Poi, ci sarebbe anche la campagna elettorale. Buon senso vorrebbe, fanno notare da ambienti del Pd, che non si segua questa strada perchè i tempi sono troppo stretti. E tra gli altri problemi ci sarebbe anche il fatto che il tesseramento del partito non è chiuso e questo creerebbe problemi per mandare i delegati al congresso.

A sparigliare le carte ci pensa però Arturo Parisi che insiste perchè il nuovo leader del Pd sia eletto subito attraverso le primarie. E se l’Assemblea nazionale di sabato sarà chiamata ad eleggere il segretario, allora l’ex ministro della Difesa annuncia la sua candidatura «a nome dell’Ulivo». Il dibattito ferve. «Il modo in cui si è aperta la crisi, a ancor più il modo in cui dicono di averla già chiusa mi piace sempre meno» tuona l'ex ministro delle Difesa . «Assieme a chi pensa che si debba andare avanti - aggiunge - ci batteremo perchè la parola ritorni ai nostri elettori attraverso le primarie. Se prevalesse l’idea di eleggere il segretario direttamente in Assemblea, avanzerò la mia candidatura in difesa della nostra idea di un Pd che riparta nel solco dell’Ulivo».

Anche Enrico Letta non risparmia critiche allo statuto che è «barocco e schizofrenico» perchè «indica un percorso talmente contorto per fare un congresso che durerebbe mesi». Quindi, si andrà verso un reggente? «Temo di sì per via del fatto che ci vogliono tre mesi per fare un congresso. Io sono tra quelli che andrà a studiare meglio tutte queste cose per capire se effettivamente è così. Se è così, andiamo alle europee con Franceschini e facciamo il congresso subito dopo le europee». Letta non esclude la sua candidatura: «Ma non è questo il momento. Se decidiamo, il congresso si farà dopo le europee e le candidature si esprimeranno dopo le europee. Adesso va rifondato il centrosinistra». Anche Rosy Bindi apre alla reggenza Franceschini: «La crisi richiederebbe non delle primarie ma un congresso vero. Ma davanti al rischio di fare un congresso finto, dominato dalla preoccupazione delle elezioni, meglio rimandare il confronto al giorno dopo le elezioni europee e amministrative». L’ipotesi Franceschini sembra comunque essere la più verosimile. E colui che finora è stato vice di Veltroni, si prepara ad accettare un ruolo che non è affatto semplice.

da lastampa.it
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« Risposta #40 inserito:: Marzo 10, 2009, 05:13:36 pm »

2009-03-10 11:25

Pd: D'Alema, per un anno direzione ci ha portato a sconfitte


ROMA - Il 'duello' tra l'ex segretario del Pd Walter Veltroni e Massimo D'Alema "é una gigantesca stupidaggine ma nel corso del primo anno il Partito è stato diretto in moto tale che ci ha portato a sconfitte e quindi c'é stato un ricambio ma né prima né dopo io ho avuto cariche né le chiedo". Massimo D'Alema, ospite di 'Faccia a faccia' su Radiotre, valuta così la guida del Partito democratico fino all'elezione di Dario Franceschini. D'Alema nega che nel Pd ci sia un problema di ricambio della classe dirigente e l'esigenza che la vecchia guardia si faccia da parte. "Gran parte di noi - evidenzia - si è fatta da parte, io presiedo una Fondazione e non sono un dirigente del Partito". Detto ciò l'ex vice premier rivendica il diritto di parola: "Finché c'é audience non starò zitto". Il ricambio delle classi dirigenti "c'é stato più nel centrosinistra che nel centrodestra mentre più in generale c'é un problema nel Paese visto che i giornalisti che chiedono un ricambio a noi sono per lo più gli stessi che scrivono da vent'anni".

FRANCESCHINI STA LAVORANDO BENE
''Dopo una crisi grave che e' culminata nella sconfitta in Sardegna c'e' stato un ricambio, la segreteria del Partito e' fatta di persone nuove e mi sembra che Franceschini stia lavorando bene''. E' l'apprezzamento che Massimo D'Alema, ospite di 'Faccia a faccia' su Radiotre esprime verso il nuovo segretario del Pd. ''Franceschini - sostiene il presidente della Fondazione 'Italianieuropei' - ha dato un profilo piu' chiaro alla nostra opposizione, e' riuscito a lanciare proposte giuste ed efficaci come l'assegno ai disoccupati. Si sta muovendo bene e c'e' un clima piu' sereno nel Partito, il che dimostra che non siamo condannati a polemiche vecchie''.

DA 15 ANNI GOVERNI NON STRAORDINARI
"Nei 15 anni della seconda Repubblica effettivamente la qualità dei governi non è stata straordinaria per il Paese ma le uniche vere riforme sono state fatte dal centrosinistra, come l'ingresso nell'euro e la riforma parziale delle pensioni". E' il bilancio che Massimo D'Alema fa intervenendo alla trasmissione 'Faccia a faccia' su Radiotre. D'Alema nega che Berlusconi vinca sempre. "Non è che Berlusconi - afferma - vinca sempre, il fatto è che sta sempre lì essendo il creatore della coalizione che sostiene, l'azionista di riferimento". La verità è che, sostiene l'ex ministro degli Esteri, centrosinistra e centrodestra hanno governato metà e metà nella seconda Repubblica e "la qualità dei governi di centrosinistra rispetto a quelli di centrodestra é superiore". 

da ansa.it
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« Risposta #41 inserito:: Marzo 28, 2009, 11:07:39 pm »

L'ex ministro: «Raccogliere la sfida di Fini sulle riforme».

DI Pietro: «Il solito furbetto»

E ora è scontro sul bio-testamento

D'Alema: Gianfranco distante dal Pdl

Schifani: «Laicità non sia omissione di responsabilità».

Alemanno prende le distanze. Verdini: «Norma corretta»



ROMA - Ha suscitato reazioni contraddittorie l'intervento di Gianfranco Fini al primo congresso del Pdl a Roma. Le parole del presidente della Camera sono state apprezzate dal premier Silvio Berlusconi, che ha brindato con Fini al termine del suo intervento. Il Cavaliere si sarebbe complimentato con il numero uno di Montecitorio per il suo intervento. «Ho colto la spinta sulle riforme. Sono d'accordo con te, partiamo subito» ha detto il premier al presidente della Camera nel backstage. Berlusconi ha apprezzato anche il passaggio sulla necessaria laicità delle istituzioni, anche se i dubbi espressi da Fini sul ddl che riguarda il fine vita (e che ha superato l'esame del Senato) sono stati mal digeriti dall'ala cattolica del Pdl.

SCHIFANI - Parlando dal palco del congresso subito dopo Fini il presidente del Senato Renato Schifani ha difeso il testo del ddl sul testamento biologico approvato a Palazzo Madama, che Fini ha criticato facendo appello alla laicità. «Tutto è perfettibile - ha detto la seconda carica dello Stato dal palco -, ma in Senato abbiamo preso atto del vuoto normativo nel quale in buona fede è entrata la magistratura che, surrogandosi alla volontà di Eluana, aveva deciso che doveva morire di fame e di sete.
Abbiamo legiferato con libertà di coscienza. La laicità dello Stato non si può trasformare in omissione di responsabilità: e la nostra responsabilità è di intervenire tutte le volte che ci sono vuoti normativi da colmare».

PRO E CONTRO - Da una parte dell'opposizione è arrivato un plauso alle parole del presidente della Camera. «Fini è un uomo che ha alcune idee politiche fondamentali molto diverse dal partito a cui oggi si è rivolto» è stato il commento di Massimo D'Alema, che ha citato, a tal proposito, proprio il tema del testamento (oltre che quello dell'immigrazione) affrontato da Fini al congresso Pdl. Assai critico invece il sindaco di Roma Gianni Alemanno. «Pur ritrovandomi nell’impostazione data da Fini sullo Stato laico, non ritengo che il testo uscito dal Senato sia sbagliato» ha detto il primo cittadino della Capitale. Frena anche Maurizio Gasparri, capogruppo del Pdl al Senato. «Si può cambiare un comma della legge sul testamento biologico, ma non si altereranno i principi. Si possono discutere i dettagli ma i principi restano quelli». «Lo dico senza polemica: cari amici, il vero Stato etico è quello in cui, con la scusa dell'assenza di una legge specifica, un tribunale si arroga il diritto di determinare la morte di una persona basandosi sul suo presunto stile di vita!» ha detto Gaetano Quagliariello dal palco della Fiera. «Fini ha fatto un suo ragionamento, su questi temi non c’è dottrina né verità. Si possono fare errori, penso che al Senato ci sia stato un eccessivo irrigidimento della norma e penso che alla Camera la stessa maggioranza potrà correggere questi aspetti» ha detto il coordinatore di Forza Italia, Denis Verdini. Si dice invece completamente d'accordo con Fini il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli: «Si è soffermato con coraggio sull’aspetto laico dello Stato: condivido pienamente quello che ha detto sul testamento biologico - ha detto dal palco della Fiera -. Non bisogna avere paura del dialogo». «Non posso che esprimere la mia condivisione con l'interpretazione del Presidente della Camera a proposito del rischio di avvicinarsi ad uno stato etico con la legge sul testamento biologico» ha detto invece il senatore Ignazio Marino (Pd), presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul Servizio Sanitario Nazionale. Duro Massimo Donadi, presidente dei deputati dell'Idv, secondo cui «le parole di Fini sul testamento biologico sono tardive e inutili, anche se condivisibili». «Il presidente della Camera poteva e doveva pensarci prima - ha detto Donadi -. Il ruolo di grillo parlante che si sta ritagliando nel Pdl non incide sulla vita del Paese perché alle parole non corrispondono azioni concrete. An, infatti, ha avuto un ruolo centrale nel sostenere una norma da stato etico».

«IL SOLITO FURBETTO» - Più in generale, comunque, il discorso di Fini è piaciuto ad Alemanno («è uno degli interventi più belli che io gli abbia mai sentito pronunciare» ha detto il sindaco di Roma) ed è stato «interessante» per D'Alema, che ha invitato il centrosinistra a «raccogliere la sfida che Fini rilancia» a mettere mano a «riforme condivise». «Abbiamo sentito dal presidente della Camera parole ben diverse da quelle che Berlusconi ha usato nei confronti dell'opposizione. Oggi Fini ha avuto un grande rispetto e una doverosa attenzione al tema delle riforme condivise» ha detto il presidente dei senatori del Pd Anna Finocchiaro, sottolineando più tardi che il presidente della Camera «ha usato le stesse parole che il Pd ha scelto per contrastare il provvedimento sul testamento biologico». Di diverso avviso Franco Monaco: «Su legalità, laicità, questione meridionale, immigrazione, referendum elettorale sono apprezzabili ma velleitari, testimoniali, minoritari i distinguo di Fini, soverchiati dall'asse Berlusconi-Bossi che dettava e detta la linea alla maggioranza di governo e, più ancora, la sua base ideologica», ha detto l'esponente ulivista del Pd. Per il leader dell'Idv Antonio Di Pietro «il presidente della Camera Fini non può prendere due piccioni con una fava. Non può dire che non gli va bene il testamento biologico o l'obbligo di denuncia dei clandestini per i medici, e nello stesso tempo fare il leader di un partito e accettare che questo voti tali provvedimenti. È il solito furbetto che vuole prendere due piccioni con una fava, da una parte il consenso del partito e dall'altra quello dei cittadini. Non si può stare con un piede in due scarpe».


28 marzo 2009
da corriere.it
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« Risposta #42 inserito:: Marzo 28, 2009, 11:10:00 pm »

Apertura del centrosinistra al presidente del Senato

Finocchiaro: "Grande attenzione al tema delle riforme condivise"

D'Alema: "Sì alla sfida di Fini sulla stagione costituente"

Critico Di Pietro: "Non può prendere due piccioni con una fava"

 
ROMA - Reazioni positive dai principali esponenti del centrosinistra al discorso tenuto oggi da Gianfranco Fini al congresso istitutivo del Pdl. A cominciare da quella di Massimo D'Alema: "Credo che il centrosinistra dovrebbe raccogliere la sfida lanciata oggi da Fini su una stagione costituente. Mi sembra un discorso interessante - ha aggiunto l'ex ministro degli Esteri - anche per il rilievo della sfida in positivo che Fini lancia".

"Penso anch'io - ha affermato D'Alema - che il Paese abbia bisogno di una stagione costituente, e finora il principale ostacolo a che si realizzasse è stata la destra, che ha voluto cambiare le regole da sola attraverso forzature". D'Alema ha anche rilevato che "Fini è un uomo che ha alcune idee politiche fondamentali molto diverse dal partito a cui oggi si è rivolto".

Dello stesso parere anche il capogruppo Pd al Senato Anna Finocchiaro: "Abbiamo sentito dal presidente della Camera parole ben diverse da quelle che Berlusconi ieri ha usato nei confronti dell'opposizione. Fini ha avuto un grande rispetto e una doverosa attenzione al tema delle riforme condivise. E' stato del resto il Pd, a inizio legislatura, a rilanciare la necessità di mettere mano a una stagione costituente". Finocchiaro ha ribadito che "i modi e le forme andranno discussi in Parlamento, unica sede legittima", aggiungendo che "oggi al congresso del Pdl è arrivata finalmente la politica dopo che ieri abbiamo assistito ad un dejà vu propagandistico ormai desueto".

Il segretario nazionale dell'Udc Lorenzo Cesa, invece, si è limitato a fare gli auguri a Fini e al premier Silvio Berlusconi: "Finito lo show ci aspettiamo che il presidente del Consiglio cominci a parlare del futuro dopo aver parlato del passato. Gli faccio tanti auguri, e a Fini faccio tantissimi auguri".

Piuttosto critici diversi esponenti dello stesso Pdl, nonostante Berlusconi abbia mostrato di apprezzare senza riserve il discorso dell'alleato. "Fini ha fatto un intervento rivolto a un'Italia moderna ma, se posso fare un appunto, a volte è eccessivamente preoccupato di ricevere plausi bipartisan" osserva il sottosegretario agli Esteri Stefania Craxi. "Il nostro è un partito che non ha complessi di inferiorità nei confronti di nessuno - aggiunge - e che ha un solo leader, caratteristica che deve essere accentuata".

Più disponibile il ministro per la Semplificazione, il leghista Roberto Calderoli: "Da tempo sostengo, e sono felice che Fini condivida l'idea, che è necessaria una legislatura costituente per dare risposta alle grandi incompiute del Paese. Quindi, a fronte di una prossima modifica che, tra l'altro, prevede un'unica Camera che esprima fiducia al governo, mentre l'altra diviene Senato federale ovvero del territorio, sarebbe paradossale sostenere un referendum che porterebbe una legge elettorale tarata solo per ottenere maggioranze di governo anche al Senato. E quindi antitetica al Senato federale stesso".

Estremamente critico il leader dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro: "Il presidente della Camera Fini non può prendere due piccioni con una fava. Non può dire che non gli va bene il testamento biologico o l'obbligo di denuncia dei clandestini per i medici, e nello stesso tempo fare il leader di un partito e accettare che questo voti tali provvedimenti. E' il solito furbetto che vuole prendere due piccioni con una fava, da una parte il consenso del partito e dall'altra quello dei cittadini. Non si può stare con un piede in due scarpe".

Il ministro dell'Economia del governo ombra, Pierluigi Bersani, sottolinea l'aspetto dissonante, rispetto alla linea di Berlusconi, dell'intervento del presidente della Camera: "Ma cosa rappresentano di fatto le parole di Fini se non una clamorosa bocciatura delle principali misure del governo? Dall'immigrazione al testamento biologico, dall'economia alle misure anticrisi, abbiamo assistito allo smontaggio degli architravi delle politiche di Berlusconi".

(28 marzo 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #43 inserito:: Aprile 20, 2009, 12:13:07 pm »

I democratici «Legge sul conflitto d'interessi inutile, tanto darebbe le tv ai figli»

D'Alema sulla «crisi» del Pd: «Berlusconi? Durerà fino al 2013»

«Con Veltroni un momento difficile».

Franceschini: «Fa opposizione nella misura delle sue possibilità»


MILANO — «È vero, il mio rapporto con Walter sta vivendo un momento difficile». Lo chiama per nome come sempre, Massimo D'Alema, l'ex leader del Pd Veltroni. «D'altronde, ci lega una lunga militanza». E confessa a Daria Bignardi, che ieri sera lo intervistava su RaiDue a L'Era glaciale, «che sì, in questo periodo tra noi c'è difficoltà di dialogo, ma poi le cose passano. Abbiamo avuto momenti di asprezza, di solidarietà, lunghe fasi in cui abbiamo lavorato assieme... Adesso anche Walter ha una comprensibile amarezza e un comprensibile riserbo. Per la mia festa dei 60 anni (dopodomani, ndr)? Non so se mi telefonerà». Seduto su un trono dorato — «sul quale mi sento a mio agio» —, alla soglia dei 60 anni, il presidente di Italianieuropei ha raccontato «del bambino politicizzato che ero», tracciando un bilancio «positivo e senza dolorosi rimpianti. Anche io, come disse Berlinguer, non ho tradito gli ideali della mia giovinezza». E parlando più da militante disciplinato — «ogni volta che il mio segretario chiama obbedisco» — che da big del Pd: «Non sono in organismi dirigenti». Poco spazio alle polemiche, però: «Bersani mio candidato al congresso di ottobre? Ora è tempo di campagna elettorale».
Quanto al ritiro di Bettini dalla lista per le Europee perché al numero due dopo Sassoli, «spero ci ripensi. Anch'io una volta ho fatto il secondo dietro De Mita».

BERLUSCONI FINO AL 2013 - Positivo il bilancio, anche se con esplicite riserve, per il Pd: «Siamo riusciti a trasformare l'ex Pci in un protagonista della vita politica italiana. Sta vivendo una fase negativa, certo, ma si riprenderà». Non prima, però, «della scadenza naturale di questo esecutivo, nel 2013. Fino ad allora Berlusconi governerà: non vedo margini per una crisi».

Ma su come Franceschini — «che fa opposizione nelle misure delle sue possibilità» — possa far risalire la china al Pd, l'ex ministro degli Esteri spiega la sua ricetta.
Che parte dalla comprensione «che l'Italia non è incline al bipartitismo». Il che significa allargare la coalizione «della quale il Pd sia il fulcro, anche se non autosufficiente».

Ma la grande anomalia di questo Paese, per D'Alema, resta «il conflitto di interessi di Berlusconi, caso unico al mondo.
Anche se quella per disciplinarlo sarebbe una legge inutile. Tanto cederebbe le tv ai figli».

Infine, un accenno alla polemica sul referendum: «Si doveva fare il 6 e 7 giugno. Ma quando sarà, voterò comunque sì per scardinare questa legge elettorale vergognosa».

Angela Frenda
18 aprile 2009

da corriere.it
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« Risposta #44 inserito:: Maggio 08, 2009, 11:43:44 pm »

D'Alema: candidature, dal Pdl metodi «creativi»


«Il rinnovamento della classe dirigente del Paese viene affrontato in vari modi, alcuni dei quali sono particolarmente creativi...». Massimo D'Alema parla delle prossime elezioni europee  in un'affollata manifestazione a Roma e non lesina critiche alle liste Pdl. Presentando la candidatura nella circoscrizione centro di Roberto Gualtieri, docente di storia contemporanea alla Sapienza e vicedirettore dell'Istituto Gramsci, l'ex ministro degli Esteri aggiunge: «Piaccia o meno il sistema delle preferenze, certamente ha il vantaggio di concorrere ad una selezione di qualità, dando ai cittadini il potere di scegliere le persone».
   
   Secondo D'Alema l'italia sconta un deficit considerevole in Europa: «Vi posso assicurare che l'immagine della classe dirigente del Paese è piuttosto diversa in Italia da quella che viene percepita oltre confine. Direi che a volte la differenza è molto pesante».    Di qui, sottolinea, la necessità di risolvere un grande problema: «Quello di rafforzare l'immagine politica dell'Italia nel mondo». Per fare questo, il Pd non deve pensare «allo spavento dei sondaggi»: pur cercando di «raccogliere il massimo in quantità, un grande partito, che guarda lontano, non può rinunciare alla qualità» della sua classe dirigente.

Le elezioni europee devono essere dunque «l'occasione per la riscossa dei progressisti in Europa. Il contributo del Pd deve andare verso una ripresa del processo europeista», perchè mai come in questo momento «l'Europa non può fermarsi a metà del guado» e proprio il Pd può essere determinante «per lo sforzo comune di far vincere il centrosinistra» a Bruxelles così da evitare «che l'Europa finisca ai margini».   Purtroppo, osserva D'Alema, «viviamo in Europa il paradosso di una vittoria delle destre, a fronte di governi di centrosinistra in tutto il mondo». Ma è di fronte alla crisi mondiale «che tornano prepotentemente attuali le nostre idee e i nostri valori». Bisogna quindi lavorare per invertire la rotta anche in Europa, dove «il centrosinistra è in affanno e
l'Ue appare in gran parte prigioniera della destra, che ha poco a che fare con la vecchia destra e si presenta come una forza
populista che alimenta e si nutre delle paure derivanti dalla crisi».

A proposito della collocazione del Pd, D'Alema apprezza la posizione di Franceschini. «Il segretario ha usato un'espressione convincente: il Pd non diventa socialista ma sta insieme ai socialisti. È un buon punto di partenza per una soluzione condivisa».

Sulle alleanze, D'Alema risponde a Rutelli, che dopo il voto trentino ha invitato i Democratici a guardare al centro, e in particolare all'Udc. «Sono favorevole - dice l'ex ministro degli Esteri - ad alleanze al
centro ma non parlerei di modelli».

Infine sulla vicenda della «deportazione» in Libia dei 227 immigrati salvati nel Canale di Sicilia: «Le esigenze di sicurezza non possono andare contro il rispetto delle regole, delle convenzioni internazionali e dei diritti umani a cui il nostro Paese è tenuto come ogni altro paese civile. Spero che se ne possa discutere».

08 maggio 2009
da unita.it
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