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Autore Discussione: Mariella Gramaglia. India, la furia delle donne contro le violenze  (Letto 2074 volte)
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« inserito:: Dicembre 28, 2012, 04:14:29 pm »

Editoriali
27/12/2012 - India,

India, la furia delle donne contro le violenze

Mariella Gramaglia

Sono furiosi, «impazienti» - come scrive eufemisticamente la cronista del Times of India - i cittadini e le cittadine di Nuova Delhi che manifestano in tutta la metropoli (e non solo) per una giovane donna che lotta fra la vita e la morte. E’ stata stuprata da un branco di sei aggressori su un autobus abusivo della capitale. I manifestanti sono così furiosi che i medici che avevano in cura la ragazza prima che venisse trasferita, hanno dovuto pregarli di allontanarsi dell’ospedale per non perdere la concentrazione. Così minacciosi che il Parlamento ha deciso di dedicare oggi un’altra seduta speciale alla vicenda. 

Qualcosa di nuovo è accaduto. La violenza contro le donne, endemica nel subcontinente, sta spezzando gli argini. E’ aumentata del 25% negli ultimi sei anni. La modernizzazione la rende più visibile, più simile a ciò che anche noi soffriamo. 

 

Le donne sfilano in corteo con i cartelli scritti a mano, in inglese, in hindi, in altre lingue locali: giù le mani dal nostro corpo - gridano, come in tutto il mondo. Gli uomini, o meglio molti uomini, innalzano manifesti stampati in serie con un cappio a tutto campo: impiccateli, impiccateli – ripetono.

 

Il 31 ottobre 2007, quando Giovanna Reggiani morì a Roma in seguito alla violenza feroce di un rom, il corpo di una donna diventò pretesto di lotta politica fino alle elezioni dell’aprile successivo. Allo stesso modo la destra indiana, chiedendo pena di morte e castrazione chimica, affila le sue armi contro il Congresso di Sonia Gandhi. Molti giovani maschi seguono questa strada. Gli slogan miti degli uomini italiani, le migliaia di firme sotto lo slogan «Mai più complici», le catene di Sant’Antonio per aiutarsi a vicenda a non far del male alle proprie compagne, qui sembrano non attecchire: padri, fratelli e mariti mescolano lo sdegno con il possesso. Questo alla destra piace molto.

 

Sonia Gandhi, come in altre grandi occasioni in cui si è esposta a difesa dei poveri o dei musulmani perseguitati, ha intuito il momento. Da quando nel 2004 ha rinunciato alla carica di primo ministro, è una madre della patria. Ora ha deciso di investire il suo carisma potente per moltiplicare la voce delle donne con la sua. Dopo aver visitato la giovane al centro clinico di Delhi ha dichiarato che «tutto il Paese deve provare vergogna» e che la polizia e la giustizia vanno addestrate in modo nuovo: devono smettere di colpevolizzare le vittime.

 

Più giovani autonome, di ceto medio, si affacciano sulla scena pubblica e osano denunciare: vogliono la libertà e non sono disposte a sentirsi dire da avvocati e poliziotti che i loro abiti e i loro comportamenti inducono in tentazione. Come nell’Italia degli Anni Settanta (quelli del delitto del Circeo e della tortura di Donatella Colasanti e Rosaria Lopez) è il branco a farla da padrone. La violenza familiare e di coppia – quella che da noi oggi prevale – è ancora sotto traccia.

 

Ma anche nei luoghi antichi, che parevano senza riscatto, qualcosa cambia. Nei villaggi remoti dell’Uttar Pradesh c’è il movimento dei sari rosa: ragazze di campagna, un tempo a capo chino, circolano in bande con questa nuova divisa e sono armate di bastone. Si difendono da sole dove la polizia non sa arrivare. 

E dove talvolta, al contrario, infierisce come una gang sicura dell’impunità.

 

La condanna massima per violenza sessuale in India è di 10 anni. Noi - a prescindere dalle aggravanti - arriviamo fino a 16 anni per la violenza di gruppo. Ma, anche lì, come in Italia, l’incertezza della pena è desolante: solo il 25% dei processi si conclude con una condanna. Molte vittime, consapevoli di una cultura nemica, non sporgono nemmeno denuncia. Però sgolarsi sulla pena di morte fa bene ai polmoni.


da - http://lastampa.it/2012/12/27/cultura/opinioni/editoriali/india-la-furia-delle-donne-contro-le-violenze-AbXz5BGkJ5XHhDfHGTSK6H/pagina.html
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Utente non iscritto
« Risposta #1 inserito:: Gennaio 11, 2013, 05:20:51 pm »

Editoriali
11/01/2013

La nuova strada per le donne in politica

Mariella Gramaglia

Partito democratico e Sinistra ecologia e libertà, le prime due formazioni politiche che hanno presentato le liste elettorali, hanno fatto una scelta piuttosto netta a favore della democrazia paritaria, di una strategia, cioè, che renda il Parlamento specchio fedele di un Paese popolato da due sessi. Sedici donne su 38 capilista e 40 per cento di presenze femminili nelle liste per il Pd. Qualche decimale in più per Sel: 50 per cento di capilista e 46 per cento nelle liste. 

 

Naturalmente, dato che il sistema a «chiusura lampo» (un uomo che si alterna a una donna, giù giù fino alla fine dell’elenco) non è stato rispettato in maniera notarile, non è detto che la quota delle elette corrisponderà esattamente a quella delle chiamate, soprattutto per la formazione più piccola e più soggetta agli umori imprevisti dell’elettorato. Ma tant’è: siamo di fronte a un’ottima volontà, mentre in queste ore le altre formazioni stanno per chiudere le loro partite. 

 

C’è da augurarsi che lo spirito di emulazione abbia la meglio ovunque e la scelta di un nuovo equilibrio fra i sessi diventi mentalità comune. Delle «parlamentarie» del movimento Cinque stelle già sappiamo: ottima affermazione di giovani e giovanissime, 17 in cima alla lista su 31. Berlusconi giura che nel Pdl le elette saranno il 40 per cento. Monti, nell’Agenda, fa un’affermazione di principio molto impegnativa: «Le donne oggi vogliono, devono e possono contare di più». Tuttavia non prevede nessun vincolo pratico per definire la percentuale di candidature. Come in molte formazioni che devono comporre anime diverse (tipicamente «Rivoluzione Civile» di Antonio Ingroia) spinte antagoniste contenderanno fra loro fino all’ultimo minuto.

Non c’è dubbio, infatti, che le primarie abbiano misurato la temperatura, di una parte almeno dell’elettorato, e l’abbiano fatta rilevare anche ai più refrattari nei gruppi dirigenti. Esprimere una seconda preferenza, da destinarsi a una donna se la prima era andata a un uomo, non era un obbligo, ma uno strumento. L’hanno usato praticamente tutti, elettori ed elettrici. E forse molti hanno votato una donna e basta. A Bologna - un esempio fra i tanti possibili - nella lista delle primarie del Pd c’erano otto uomini e sei donne. I più votati sono stati esattamente alla pari, quattro uomini e quattro donne: la base ha spostato il baricentro.

 

I movimenti della società civile hanno fatto da moltiplicatore di un sentimento diffuso nell’opinione pubblica fino a costruire un melting pot inedito: femministe con i giusti quarti di nobiltà a lungo refrattarie all’impegno istituzionale, intellettuali e professioniste, giovani ambiziose che spesso si sono fatte le ossa nelle autonomie locali, donne rianimate al gusto della politica dopo la nascita di Se non ora quando. 

 

Questo movimento è stato più una scintilla che una sigla. Dopo il successo strepitoso della manifestazione del 13 febbraio 2011, uno dei fattori determinanti della caduta del governo Berlusconi, avrebbe avuto le forze per competere con il vecchio establishment alla maniera di Grillo o di Ingroia, o anche per promuovere direttamente candidature femminili nelle varie liste. Ha scelto altrimenti: di non candidare nessuna e di promuovere tutte, attraverso due campagne di comunicazione. Una, affidata alle grandi reti televisive, che già guarda al futuro: «Senza le donne non si governa». L’altra - «Le parole per dirlo» - che raccoglie dalla base centinaia di voci e visi che dettano le loro priorità per l’Italia che ci attende. 

 

Più donne nel prossimo Parlamento, di sicuro. Meno notabili e forse più ingenue della politica e ancor più di quella politicante. Unite su qualcosa? E’ presto per dirlo. Ma la spinta che le incoraggia a rappresentare italiane e italiani implicitamente chiede loro non poco. Famiglie meno sole nella cura, più moralità nella politica, più lavoro per i giovani, sostegno alla maternità come pane e sale di un Paese che invecchia, diritti e rispetto per le coppie gay, più verità spirituale e meno furbizie nel rapporto con la Chiesa. La luna? Forse, ma anche sulla luna si può prima o poi poggiare un piede.

da - http://lastampa.it/2013/01/11/cultura/opinioni/editoriali/la-nuova-strada-per-le-donne-in-politica-0l9woiBF2epSchTT7oVV3H/pagina.html
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