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Autore Discussione: Carlo De Benedetti. - Il ritorno al futuro dell'editoria locale  (Letto 5088 volte)
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« inserito:: Giugno 12, 2010, 11:16:21 am »

L'Ingegnere sul Pd: «Mi ha deluso molto Bersani». Bonaiuti: «Soffre d'invidia»

De Benedetti: «Berlusconi? Uno della P2, È l'Aberto Sordi della politica italiana»

«Non è un mascalzone, ma è un bugiardo. È talmente fuori di testa che pensa di fare del bene al Paese»


LAZISE (Verona) - «Silvio Berlusconi è l'Alberto Sordi della politica ed è uno della P2»: lo ha detto Carlo De Benedetti, intervistato questa sera a Lazise (Verona) dal giornalista Antonello Piroso nell'ambito dell'iniziativa promossa dall'associazione «Trecento Sessanta» di Enrico Letta. «È un bugiardo, punto». ha detto ancora De Benedetti del premier. «Penso che in molte cose sia davvero convinto di fare il bene del Paese - ha proseguito - È talmente così fuori di testa che pensa di fare il bene del Paese. Non è un mascalzone, non è una carogna, è l'Alberto Sordi della politica. Ognuno di noi ha delle caratteristiche - ha spiegato l'editore - e gli italiani ne hanno diverse: sono un po' bugiardi, un po' gradassi, un po' mascalzoncelli. Lui ha preso tutte queste cose, le ha messe insieme e le ha elevate al cubo». E secondo De Benedetti, Berlusconi «c'è riuscito mirabilmente, tanto è vero che gli italiani lo votano, gli danno il consenso: avranno una ragione».

«UNO DELLA P2» - Durante l'intervista di Piroso, De Benedetti ha detto di «avere avuto sempre una ritrosia ad essere cooptato», un aspetto questo, ha incalzato il giornalista, che lo accomuna a Berlusconi? «Beh, no. Lui è della P2», ha riposto De Benedetti. Poi ha ricordato l'ultima volta che ha incontrato il premier: «Letta ha organizzato una colazione a casa sua - ha raccontato De Benedetti -. Ci sono andato e il presidente mi è venuto incontro dicendomi: "Perché non mi vuoi bene?". Come faccio, ho replicato. Mi hai fregato la Sme, la Mondadori e pretendi anche che ti voglia bene. Ma va a f....».

BONAIUTI: «SOFFRE D'INVIDIA» - Immediata la replica dall'entourage del premier alle parole di Carlo De Benedetti, affidata al sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Paolo Bonaiuti: «Ho tutta l'impressione che l'ingegner De Benedetti soffra di invidia nei confronti del premier Silvio Berlusconi».

«BERSANI? MI HA DELUSO» - Cambiando pagina, Carlo De Benedetti ha parlato della delusione provata dopo la nascita del Pd, partito che per l'Ingegnere rappresenta una speranza che si è presto dissolta: «Quando il Pd è nato era una speranza, ma poi mi ha profondamente deluso», ha detto l'editore di Repubblica, che ha avuto però parole di elogio per il segretario Pierluigi Bersani. «Ma lo vorrei vedere con un po' più d'entusiasmo - si è affrettato ad aggiungere - Bersani è una persona per bene. Lo stimo molto, è stato un ottimo ministro, è un caro amico perché è una persona estremamente per bene». L'imprenditore ha tuttavia ammesso che il segretario del Pd questa settimana l'ha deluso: «L'ho visto in tivù e difendeva gli enti pubblici. Per uno che è stato l'unico ministro italiano a fare delle liberalizzazioni vere, sentendolo difendere gli enti locali mi è sembrata una stranezza che non gli riconoscevo. Però la mia stima nei suoi confronti è totale». De Benedetti ha confermato il suo giudizio negativo su Massimo D'Alema, ma non ha risparmiato anche altri personaggi parlando di Carlo Caracciolo come di un »tirchio« e di Giampaolo Pansa come di una «persona anziana che in quanto tale inacidisce un pochino perché pensa di non avere avuto quello che la vita gli doveva dare». Insomma, per De Benedetti, Pansa «è un po' in aceto».

Redazione online
11 giugno 2010(ultima modifica: 12 giugno 2010)© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/politica/10_giugno_11/debenedetti-berlusconi_c3e27362-7591-11df-b7f2-00144f02aabe.shtml
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« Risposta #1 inserito:: Ottobre 12, 2011, 11:07:10 am »

CRISI

De Benedetti: "La politica debole prima ragione del declino economico"

La recessione non sarà di breve durata e i provvedimenti presi finora sono improbabili e soltanto di tipo amministrativo, la crescita viene alimentata solo da chi intraprende e da chi lavora.

Occorrono riforme come l'aumento dell'età pensionabile, lo spostamento del peso fiscale dal lavoro e dall'impresa ai patrimoni, la liberalizzazione degli ordini professionali


MILANO - Secondo il presidente onorario di Cir e Cofide, Carlo De Benedetti, "siamo al centro di una recessione che non sarà certo di breve durata" e "la tanto declamata crescita viene cercata in provvedimenti improbabili di tipo amministrativo, ma viene trovata solo da chi intraprende e da chi lavora". In questo senso, la debolezza della politica è la principale ragione del declino del nostro paese, ha spiegato De Benedetti, che oggi ha presentato la cattedra istituita all'università Bocconi in ricordo del padre Rodolfo, con una donazione da parte sua di 3 milioni di euro. Nel suo intervento, De Benedetti ha ricordato che oggi il nostro paese nelle statistiche dell'Unione europea "è indicato tra quelli dove è più difficile intraprendere un'attività imprenditoriale".

Per questo, "non possiamo sorprenderci, allora, se cresciamo meno degli altri". Secondo De Benedetti le ragioni di questo declino sono tante. "E la prima - ha sottolineato - è una politica debole che non riesce a fare le grandi riforme di cui questo paese ha bisogno. Una politica timorosa, che non sa guardare oltre il tornaconto elettorale suggerito da questo o quel sondaggio e rinvia ogni decisione per non scontentare nessuno".

"Io - ha proseguito De Benedetti nell'intervento - resto convinto che, anche nella nostra vecchia Europa, i governi possano fare molto per aiutare i paesi a riprendere la via dello sviluppo. Ad esempio - ha detto - con riforme come l'aumento dell'età pensionabile, lo spostamento del peso fiscale dal lavoro e dall'impresa ai patrimoni, la liberalizzazione degli ordini professionali".

"Ma anche - ha detto ancora - la creazione di un ambiente più favorevole all'affermarsi dello spirito imprenditoriale è un asset essenziale per lo sviluppo: abbattendo per esempio la burocrazia che oggi si impone come una vera e propria barriera all'ingresso per le nuove imprese, oppure investendo in formazione economica e d'impresa".

De Benedetti ha quindi ricordato il laboratorio imprenditoriale che è stata la Olivetti di Ivrea e i tempi degli anni del boom, in cui l'Italia "con i suoi imprenditori, riscopriva il suo sentirsi libera e proiettata nel futuro". Uno spirito imprenditoriale di un'epoca, incarnato proprio dal padre Rodolfo.

"L'affievolirsi in italia di questo spirito di iniziativa - ha sottolineato De Benedetti - deve necessariamente attrarre l'attenzione di chi ha davvero a cuore il futuro del nostro paese. E se la politica è assente - ha concluso - l'iniziativa deve partire da qui, da queste aule, dalla società civile".

De Benedetti ha parlato anche dell'Associazione degli industriali. Confindustria "è un'organizzazione che ha un costo assolutamente sproporzionato a livello consolidato nazionale". L'imprenditore ha sottolineato che quello del prossimo presidente dell'associazione degli industriali dovrà essere "un nome coerente" con un profilo più snello  dell'associazione.

"Ho sempre pensato - ha spiegato De Benedetti - anche quando ho fatto per otto anni il vicepresidente di Confindustria, e poi non sono riuscito a realizzarlo, che Confindustria dovrebbe snellirsi moltissimo. Molto è stato fatto e molto di più si può fare - ha continuato - Confindustria costa oggi più o meno 500 milioni di euro l'anno a livello nazionale, mi sembra assolutamente una cifra a cui non corrisponde un ritorno sufficiente e soprattutto presenta duplicazioni assolutamente inutili".

Secondo l'imprenditore, l'associazione degli industriali, "dovrebbe essere maggiormente un centro studi di indirizzo di politiche dell'innovazione, della ricerca e universitarie" che mirano "al futuro del paese attraverso infrastrutture ma con le persone". Lo scopo di Confindustria, dovrebbe essere allora quello della "analisi e promozione di persone" e "l'indicazione di quali dovrebbero essere le priorità di un paese". Il nome del prossimo presidente dovrà allora "essere coerente con quello che ho detto sulla missione di Confindustria, mi piacerebbe che interpreti quella missione", ha detto De Benedetti.

(11 ottobre 2011) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/economia/2011/10/11/news/de_benedetti_la_politica_debole_prima_ragione_del_declino_economico-23053242/?ref=HREA-1
« Ultima modifica: Ottobre 12, 2011, 11:12:38 am da Admin » Registrato
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« Risposta #2 inserito:: Novembre 29, 2012, 06:47:34 pm »

De Benedetti: "Usare per la scuola i soldi delle missioni militari"

Il presidente onorario della Cir al dibattito organizzato da MicroMega: "L'elemento di competitività è il sapere. Su questo bisogna investire, invece di spendere soldi per portare soldati all'estero in missioni che non ci possiamo permettere".

E sull'Ilva si è dichiarato d'accordo sul sequestro conservativo: "Ma le spese poi le deve pagare Riva".

Sul lavoro: "detassare i primi tre anni di assunzione"



Risparmiare in spese militari cancellando anche la missione di pace in Afghanistan e investire questi soldi nella scuola e nel sapere per costruire il futuro.

E' quanto ha affermato l'industriale Carlo De Benedetti affrontando uno dei nodi che serve per creare competitività nel sistema Italia, intervenendo in un dibattito organizzato da MicroMega sui temi di attualità.  "So di dire una bestemmia ma lo dico lo stesso - ha affermato - in un Paese come il nostro invece che spendere soldi per attività militari e in missioni all'estero che non ci possiamo permettere, come quella in Afghanistan, se investissimo nel sapere evidentemente costruiremmo il nostro futuro".

De Benedetti ha ricordato che nel mondo su 3 miliardi di persone in età lavorativa ce ne sono 1,2 che stanno cercando lavoro. "Qual'è in questo contesto l'elemento di competitività - ha detto - è il sapere. Non i soldi ma la testa. E su questo bisogna investire".

De Benedetti ha quindi risposto ad alcune domande relative ai nodi che pesano sullo sviluppo del Paese. "Il costo del lavoro assolutamente no", ha detto mettendo invece in risalto l'irrilevanza che l'Italia e l'Europa hanno nella nuova geografia politica e economica del mondo.

Su questo punto De Benedetti ha disegnato un cambiamento che sposta il peso del mondo verso l'Est e verso gli Stati Uniti. "Dieci anni fa - ha portato ad esempio - la Borsa italiana capitalizzava due volte quella della Corea del Sud, ora quest'ultima è quattro volte quella italiana".

L'ingegnere ha parlato anche della situazione dell'Ilva. "Farei un sequestro conservativo, ridurrei la capacità produttiva e aggiornerei l'impianto. Poi direi ai Riva 'prendi l'impianto e paga o altrimenti lo vendo' ". "Magari dico banalità, ma la responsabilità di costruire quell'impianto è stata dello Stato, con l'Italsider, - ha detto De Benedetti - poi Riva è stato abilissimo a comprarlo e a farci i soldi".

"Vorrebbe fare un esproprio proletario?" gli ha chiesto il direttore di MicroMega Paolo Flores d'Arcais. "Chiamatelo come vi pare ma lo Stato ha la responsabilità di risanare e poi di chiedere a Riva di pagare il conto. Se lo fa bene altrimenti lo mette in vendita".

Nel corso del dibattito De Benedetti ha anche accennato all'impegno che i Riva hanno avuto nell'acquisto di Alitalia, tema su cui era intervenuto anche Landini per evidenziare "una commistione di interessi". "Concordo con Landini - ha detto De Benedetti - non conosco Riva ma se è il primo azionista di Alitalia, con soldi buttati nel gabinetto, lo ha fatto per benevolenza politica. Magari per far chiudere gli occhi su quello che faceva in acciaieria".

Sul tema del lavoro, De Benedetti ha lanciato la sua proposta: Togliere i contributi ai datori di lavoro e le tasse ai lavoratori nei primi tre anni di assunzione. "Per me la precarietà non dovrebbe esistere - ha sostenuto - tutti dovrebbero avere lo stesso contratto ma per i neoassunti bisognerebbe prevedere nei primi tre anni nessun contributo e nessuna imposta. Le aziende risparmierebbero così sul costo del lavoro e i lavoratori avrebbero un vantaggio sul salario. Ma in questi tre anni si potrebbe licenziare liberamente. Credo che però un imprenditore dopo aver allevato un buon artigiano o dipendente non lo fa poi andar via".

De Benedetti ha detto di aver parlato della sua idea ad un ministro "ma mi ha detto che così il contratto sarebbe troppo rigido mentre a me sembra che ci sarebbe molta flessibilità. Inoltre - ha aggiunto De Benedetti - "sarebbe a costo zero e, alla fine, anche se non ci sarebbero tasse e contributi, lo stato incasserebbe la maggior Iva dovuta ai consumi dei nuovi salari". Secondo De Benedetti tra i vantaggi di questo sistema ci sarebbe quello "di far sentire tutti i lavoratori uguali con lo stesso trattamento".

(28 novembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/11/28/news/de_benedetti_usare_per_la_scuola_i_soldi_delle_missioni_militari-47660220/
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« Risposta #3 inserito:: Gennaio 29, 2013, 10:58:25 pm »

La guerra valutaria che cambia l'Europa

di Carlo De Benedetti

29 gennaio 2013


Il World Economic Forum di Davos ha avuto il merito di portare davanti alle opinioni pubbliche quella che si annuncia come la questione centrale del 2013: la guerra delle valute. Ma come, si dirà, non era il lavoro, la creazione di nuova occupazione, la priorità mondiale del nuovo anno? Sì, lo è. Ma la guerra per il lavoro si combatterà anche, e forse soprattutto, con la guerra delle valute. Perché è dalle valute che oggi passa la leva più potente per la competizione tra i sistemi produttivi e, quindi, la capacità per ciascuno di essi di creare posti di lavoro.

A dare fuoco alle polveri è stato il premier giapponese Shinzo Abe, che sta spingendo la Banca del Giappone a stampare yen sempre più aggressivamente. Negli ultimi due mesi lo yen ha già svalutato del 10% sul dollaro e del 14% sull'euro, rendendo più competitive le esportazioni nipponiche e aprendo di fatto il conflitto commerciale. Ma non tutto parte da qui. Anche se non lo ammetteranno mai, Stati Uniti e Regno Unito hanno fatto qualcosa di non molto diverso in questi anni, con la Federal Reserve e la Bank of England che stampavano moneta per acquistare titoli. Per non parlare della Cina con il suo Yuan, e poi la Corea del Sud e il Brasile, Thailandia e Singapore, India, Taiwan, Svizzera: tutti impegnati ad abbassare il valore delle loro monete per non rimanere al palo nella corsa all'export.

E l'euro? L'euro è restato alla finestra senza possibilità di reazione. Un guscio di noce in balia delle onde. Fino al paradosso che, pur essendo la moneta dell'area economicamente più debole, l'Europa, si è apprezzato rispetto ai minimi del 10% sul dollaro, del 25% sullo yen e dell'8% sulla sterlina.

Ora c'è chi invoca il G20 e anche i sacerdoti della Bundesbank si accorgono di quanto rischiosa sia questa guerra valutaria. Ma il problema non è il G20. E non è neppure l'aggressiva politica monetaria giapponese. Sono le mani legate dell'Europa. Mai come davanti a questa competizione valutaria noi europei tocchiamo con mano l'inefficienza della governance economica che ci siamo dati con la nascita della moneta unica. Mai come oggi dovremmo guardare al nostro interno e fare mea culpa per gli errori fatti in questi anni.

Attraverso le valute, è stata lanciata la guerra atomica per la competitività delle grandi aree economiche mondiali. E l'Europa combatte a mani nude. Con la sua "strana" banca centrale che per statuto ha come mandato la sola stabilità dei prezzi e il buon funzionamento del mercato. Draghi si è inventato il Ltro, il finanziamento a lungo termine di mille miliardi, ma la liquidità immessa nel sistema viene poi sterilizzata: ben altra cosa è il quantitative easing sparato nel sistema dai nostri competitori commerciali.

La Fed ha per legge il compito di tutelare l'occupazione ed è impegnata in due programmi di allentamento quantitativo (QE 3 e 4) per un totale di 85 miliardi di dollari al mese. In Giappone l'autonomia della Banca centrale è di fatto sospesa e ancora di più lo sarà quando tra pochi mesi ci sarà il cambio ai suoi vertici. La zona euro è invece bloccata dalle sue stesse regole di funzionamento.

La Germania fa bene, perciò, a guardare con preoccupazione all'offensiva giapponese. Le sue esportazioni sono destinate ad aumentare quest'anno solo del 2,8% contro il 4,1% del 2012 e l'euro forte non potrà che peggiorare la tendenza. Ma si illude se pensa di potervi far fronte attraverso la politica multilaterale del G20.

Il mondo è ormai un terreno di gioco con troppi contendenti e troppi interessi. L'Europa non può aspettarsi di imporre la sua idea di fairplay monetario come avveniva nel secolo scorso. Non è un caso se il Fondo monetario internazionale, che dovrebbe essere il "poliziotto" contro comportamenti simili, non è mai intervenuto dal '78 a oggi per manipolazioni del cambio.

Quando una guerra è in corso non conta il peso del tuo passato, contano le armi che sai mettere in campo. Un'Europa senza un Tesoro unico, divisa sulle politiche da adottare, dove continua a prevalere il dogma tedesco per una competitività fondata solo sulle riforme strutturali e dove le regole statutarie impediscono di avvalersi degli strumenti tipici di una Banca centrale, è destinata a perderla quella guerra. Forse a non combatterla neppure. A meno che, sotto il fuoco del nemico, non prenda coscienza che è venuto il momento (davvero) di cambiare. Ma il solo pensarlo è forse un peccato di ottimismo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-01-29/guerra-valutaria-cambia-europa-063615.shtml?uuid=Ab5AG7OH
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« Risposta #4 inserito:: Dicembre 16, 2013, 11:18:27 pm »

Il ritorno al futuro dell'editoria locale
Pubblicato: 14/12/2013 12:06

Fare l'editore di decine di testate su diverse piattaforme consente di guardare alle realtà del paese da altrettante angolazioni: quelle del quotidiano o del magazine nazionali da dove meglio si colgono le tensioni sociali, economiche e politiche generali; quelle delle redazioni locali a contatto con i problemi e le aspirazioni delle comunità, peraltro sempre meno omogenee; quelle di chi ha rapporti in tempo reale con i propri ascoltatori (le radio) e utenti (i siti web).

Inoltre, la necessità di confrontarmi con le iniziative più innovative e, soprattutto, la curiosità mi spingono spesso a guardare oltre i confini del nostro paese. Mi trovo dunque a operare localmente e a pensare globalmente: di fatto, "glocalizzo" - efficace neologismo - la mia attività quotidiana.

Sono, le mie, una condizione e una posizione privilegiate che fanno di questo lavoro uno dei più appassionanti della mia vita. Anche perché da qui seguo alcuni fenomeni editorialmente interessanti. Per esempio, noto che in alcuni mercati non italiani è vivacissima la compravendita di testate locali o addirittura iperlocali, parecchie delle quali cartacee e digitali settimanali o bisettimanali, alcune solo digitali. Ne ha rastrellate quasi un'ottantina l'oracolo di Omaha, Warren Buffett, il finanziere più accorto e fortunato degli ultimi decenni, che con la sua Berkshire Hathaway s'è via via preso il Tulsa World, The Press di Atlantic City, l'Omaha World-Herald, il Jackson County Floridan e tante altre. In settembre la News Corp. di Rupert Murdoch ha ceduto al Fortress Investment Group una catena di periodici locali coast-to-coast, tra cui il Cape Cod Times e il Daily Tidings di Ashland, Oregon. Pochi giorni fa lo stesso gruppo ha messo in vendita la catena di iperlocali di Brooklyn, New York, tra i quali il Courier, il Paper e il Times Ledger. Anche da questa parte dell'Atlantico assistiamo a cambi di proprietà di giornali radicati nei territori; recentemente ne è stato protagonista il primo gruppo media europeo, il tedesco Axel Springer, che ha ceduto alcuni suoi prodotti storici locali; l'editore britannico DMLW l'inverno scorso ha invece acquisito più di ottanta tra quotidiani e settimanali a pagamento e gratuiti.

Alla luce di questi fatti e dei numeri, la percezione è che l'informazione locale - non importa se stampata o digitale - non possa che continuare a "tirare". I motivi sono semplici: è d'immediata utilità per chi vuol vivere pienamente nella propria comunità, è esclusiva, è affidabile. E valgono a Reno, Nevada, come a Mantova, bassa Lombardia. Permettetemi un riferimento al Gruppo Espresso: se sei di Pescara, Trieste, Udine o Salerno, le notizie o le inchieste più rilevanti le trovi solo sul Centro, sul Piccolo, sul Messaggero Veneto o sulla Città. Non altrove. Per questo e non per inerzia i dati di traffico dei siti dei quotidiani Finegil - Nuova Sardegna, Tirreno, Alto Adige, Mattino di Padova, Gazzetta di Mantova etc. - nell'ultimo anno hanno registrato tassi di crescita tra i più alti.

Allargando lo sguardo, come reazione alla mondializzazione dei mercati e all'incertezza che accompagna la crisi economica vedo crescere il bisogno collettivo di ricostruire un rassicurante rapporto con il proprio territorio di riferimento. Un'informazione puntuale e certificata è una componente irrinunciabile di questo bisogno, che viene confermato dall'atto rituale mattutino dell'acquisto del giornale locale o dalla frequente lettura del sito che allo stesso giornale fa capo.

Ho infine l'impressione che i giornali regionali o pluriregionali debbano guardare al futuro con maggiore apprensione. Perché nel nostro paese, il senso d'appartenenza riguarda da sempre più i campanili che le regioni e le aree metropolitane. Perché - va detto - la dissipazione di credibilità pervicacemente perseguita dai consiglieri laziali, lombardi, piemontesi, calabresi ha accentuato il distacco dei cittadini dall'istituzione regionale. Tanto da farmi ragionare, ora, se non sia più opportuno eliminare le Regioni anziché le Province.

Da - http://www.huffingtonpost.it/carlo-de-benedetti/il-ritorno-al-futuro-dell-editoria-locale_b_4444325.html?utm_hp_ref=italy
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« Risposta #5 inserito:: Maggio 05, 2014, 11:39:21 pm »

Come Dopfner perché ho paura di Google
Pubblicato: 03/05/2014 11:13

Mathias Dopfner è un eccellente giornalista e un precoce quanto capace dirigente editoriale. A nemmeno vent'anni critico musicale e poi corrispondente da Bruxelles del più compassato quotidiano tedesco, la Frankfurter Allgemeine Zeitung (FAZ), a 32 anni direttore del settimanale berlinese Wochenpost, a 34 dell'Hamburger Morgenpost, a 36 della Die Welt, autorevole testata del gruppo Axel Springer, del quale è diventato amministratore delegato prima ancora di compiere 39 anni.

Lo conosco da allora e lo considero il più innovatore e coraggioso editore europeo avendo egli trasformato in pochi anni un'azienda in difficoltà nella più efficiente macchina editoriale d'Europa e, nel suo genere, del mondo. Non mi sono dunque stupito quando due settimane fa la FAZ ha pubblicato la clamorosa lettera aperta di Dopfner a Eric Schmidt, ex CEO e ora presidente esecutivo di Google. Lo dico subito: sono al suo fianco quando scrive "di Google ho paura", espone con chiarezza le molte complesse motivazioni di questa affermazione, denuncia la natura obbligata dei rapporti con il motore di ricerca di Page, Brin e Schmidt "con il quale il mio gruppo è costretto a fare affari perché siamo Golia Google e David Axel Springer". Potremmo dire lo stesso noi del Gruppo Espresso: se non lavori con loro, in alcuni casi non lavori affatto.

Eppure, ammette Dopfner, "sono un grande ammiratore di Google, che in pochi anni è cresciuta fino a dare lavoro a quasi 50mila persone e fatturare 60 miliardi di dollari, con una capitalizzazione di oltre 350. Con i suoi 14 miliardi, l'utile annuale di Google è circa venti volte quello di Axel Springer". Io stesso alcuni mesi fa ho scritto nel mio blog sull'Huffington Post Italia che vanno riconosciuti a Google entusiasmo, creatività e capacità di costruire valore senza pari. Tuttavia, come Dopfner, ne ho timore: da cittadino italiano ed europeo, anzitutto, perché il monopolio privato dell'accesso digitale alla conoscenza è uno strumento di omologazione senza precedenti nella storia.

Perché, poi, le cronache registrano che - da anni! - gli operatori digitali globali immagazzinano dati personali raccolti fuori da qualsiasi controllo, che ci riducono in balìa di chi ne fa illegittimo uso come le agenzie di sicurezza americane (e se fossero quelle di Putin o di qualche regime prossimo venturo?). Perché l'incapacità da parte dei regolatori di mettere potenziali concorrenti globali e locali su uno stesso piano favorisce la concentrazione di ricchezza e potere nelle mani di pochi, con rischi per la natura stessa del capitalismo di mercato. Perché chi dovrebbe definire a livelli mondiale, comunitario e nazionale il perimetro del campo e le regole del gioco non è più in grado di fare il proprio mestiere: di fatto, non sapendo come intervenire, non interviene per niente. Perché, alla resa dei conti, assistiamo impotenti alla sostituzione di un'imperfetta democrazia analogica con una perfetta oligarchia digitale.

Dopfner non solo illustra tutto questo con esempi: ne porta le prove, come si direbbe in un tribunale. È da lì, dalla sua lettera, che possiamo cominciare a elaborare una strategia europea che punti a ripristinare l'equilibrio in un ecosistema che l'ha perso. Saremo con lui.

Dobbiamo dunque fare la nostra parte sia nel consesso europeo sia in quello nazionale. Per quest'ultimo propongo di partire dall'obiettivo condiviso - il minimo comune denominatore - di focalizzare sul digitale l'investimento del sistema paese. Faccio un esempio senza uscire dal mio settore di competenza, l'editoria, dov'è da tempo un dato di fatto che per valorizzare i contenuti informativi, culturali ed educativi servono regole che impediscano agli operatori globali di farne strumenti con i quali razziare ulteriori risorse locali. Tre anni fa l'Antitrust italiano ne prendeva atto e segnalava al legislatore che “i contenuti editoriali online, accessibili e facilmente riproducibili nella loro forma digitale, sono utilizzati su Internet da una molteplicità di soggetti terzi − aggregatori, motori di ricerca, ecc. − che riproducono ed elaborano in vario modo i contenuti stessi, anche per fini di lucro. Le attuali norme sul diritto di autore non appaiono tener conto delle peculiarità tecnologiche ed economiche di Internet e non disciplinano un sistema di diritti di proprietà intellettuale”.

L'Autorità auspicava che la legge imponesse un rapporto corretto tra i titolari di diritti di esclusiva sui contenuti editoriali e i fornitori di servizi come Google. Sulla stessa lunghezza d'onda era l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. Prendendo le mosse da queste considerazioni il governo Letta presentava un disegno di legge per emendare l'attuale norma al fine di consentire solo il riutilizzo autorizzato dei contenuti editoriali da parte dei cosiddetti Over The Top (OTT). Ovviamente non se n'è fatto nulla per la cronica carenza di volontà politica mentre nel frattempo in Germania il Bundestag approvava una legge molto simile alla proposta italiana. Perché l'esecutivo Renzi, che con tanta attenzione guarda a quanto si muove nei paesi a noi più vicini, non recupera e rilancia quella proposta?

Quel che più mi preme è proprio il livello europeo. Grazie al semestre italiano di presidenza e al prossimo cambio di guardia all'Europarlamento e alla Commissione, possiamo essere noi a tentare di trasformare in strategia industriale condivisa le analisi e le "prove di Dopfner". Provo a indicare cinque ambiti sui quali lavorare insieme.

    1. Del diritto d'autore, che pure non coincide perfettamente con il copyright anglosassone, ho già detto per quel che concerne l'Italia. È tuttavia evidente che non è più rinviabile un intervento armonizzatore da parte della UE oppure in sinergia tra i principali paesi dell'area.

    2. Governo dei dati degli utenti. Non c'è un contesto normativo sovranazionale che fissi alcune punti-chiave sulla privacy digitale e sull'uso di dati raccolti dagli OTT in ambiti diversi da quelli propri. Inoltre, si dovrà tenere conto della necessità di adeguare costantemente le regole allo sviluppo tecnologico.

    3. La tassazione nell'ecosistema digitale non può più essere come quella dei tempi dei commerci di beni solo fisici. La situazione attuale di difformi tassazioni per OTT e operatori nazionali ha già creato posizioni di preminenza competitiva non più recuperabili.

    4. Il futuro della net neutrality (la garanzia per tutti di accesso e stessa "velocità" in rete) è il tema che sta dividendo in questi giorni i grandi operatori e i regolatori negli USA, mentre Bruxelles lo studia da tempo senza risultati concreti. È necessaria un'accelerazione.

    5. La vicenda Almunia vs. Google ha messo in evidenza come l'Europa non riesca più a produrre iniziative antitrust efficaci come negli anni di Monti vs. Microsoft. Tornare a intervenire, a livello europeo, contro gli abusi di posizione dominante dovrà essere la priorità della Commissione che si insedierà in autunno.

    Mi rendo conto che è un'agenda fitta. Tuttavia, solo un dibattito ampio e alto e una definizione rapida di soluzioni consentirà all'Europa di uscire dalle secche in cui s'è incagliata per i propri ritardi e ritardi e per la volontà neocolonialistica dei Nuovi Grandi Fratelli.

Da - http://www.huffingtonpost.it/carlo-de-benedetti/dopfner-google-carlo-de-benedetti_b_5251383.html?utm_hp_ref=italy&ref=HRER2-1
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« Risposta #6 inserito:: Maggio 05, 2014, 11:48:21 pm »

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De Benedetti: “Renzi? Ho cambiato idea: è intelligente. Grillo? Fascistello”
Il presidente del Gruppo L'Espresso: "A Marchionne do 10 perché ha salvato la Fiat, ma 4 in sincerità. Agnelli? Pessimo imprenditore".
E chi vorrebbe come prossimo presidente della Repubblica? "Fassino"
De Bortoli? "Ha delle debolezze, non avrei dato pagina 3 a Marina Berlusconi"

Di Redazione Il Fatto Quotidiano | 2 maggio 2014

Renzi, Grillo, Marchionne e De Bortoli. Carlo De Benedetti parla di tutto. Ha cambiato idea e Matteo Renzi “non è furbo, ma intelligente”. Non pare averla cambiata su Beppe Grillo con il quale “abbiamo perso un comico e acquistato un fascistello populista” e è difficile dire cosa sia meglio tra lui e Silvio Berlusconi. A Sergio Marchionne dà 10 per aver salvato la Fiat, mentre al direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli dà un voto certamente più basso perché ha delle “debolezze”, come quella di aver dato pagina 3 all’intervista a Marina Berlusconi. Mentre come prossimo presidente della Repubblica vorrebbe Piero Fassino.

Intervistato da Giovanni Minoli al Festival della tv e dei nuovi media di Dogliani (Cuneo) il presidente del gruppo L’Espresso sul presidente del Consiglio dice di aver cambiato idea: “Non è furbo, ma intelligente. Ho scoperto che è una spugna, ha una quantità di energia mai vista”. Mentre su Grillo aggiunge che “batterà Berlusconi, ma è difficile dire cosa sia meglio tra due cose negative”. Secondo Carlo De Benedetti, “il capo dello Stato si dimetterà entro l’anno” e si andrà al voto in autunno. “Credo – ha aggiunto – che al presidente Napolitano il Pd stia sulle palle “. E dopo Napolitano “vorrei uno alto e magro. Sì, Fassino”.

De Benedetti ha anche commentato la situazione del mondo dell’editoria e in particolare di Rcs: “Leggo i giornali. Credo che qualcosa cambierà. Se non cambia è peggio per loro, per me da concorrente sarebbe meglio se rimanesse così. De Bortoli è un bravo direttore, ma a volte ha delle debolezze. Ha dato la terza pagina a Marina Berlusconi, io mi sarei fatto pagare”.

Promozione a pieni voti per Sergio Marchionne “perché ha il merito di avere salvato la Fiat dal burrone in cui l’aveva fatta precipitare Romiti. Dieci dal punto di vista dell’immaginazione, del coraggio, ma quattro in comunicazione e sincerità. Fabbrica Italia non era molto credibile”. Giudizio poco tenero anche per Gianni Agnelli: “L’Avvocato Agnelli – scandisce – era uno straordinario ambasciatore del Paese, ma un pessimo imprenditore, lo sapeva anche lui”.

Infine un commento su Sorgenia. “Sono stati fatti errori con investimenti sbagliati, ma c’è anche stata una rivoluzione del mercato elettrico – dichiara il presidente onorario di Cir – Cosa mi auguro? Nulla, spero che l’azienda possa continuare a operare perché sarebbe uno spreco enorme avere centrali nuove utilizzandole a poco più del 20%”. “C’è un fattore di errori – aggiunge De Benedetti – che ognuno di noi può fare ma c’è stata una rivoluzione incredibile in Italia, in Europa e nel mondo rispetto a quando è nata Sorgenia”. Quanto al socio austriaco Verbund, che ha svalutato a zero la quota, De Benedetti ha osservato: “sarebbe stato meglio se le cose fossero andate in un altro modo, ma non possiamo costringere la repubblica austriaca a fare quello che vogliamo noi”.
De Benedetti ha negato che si possa parlare di problemi di successione alla Cir: “sono contento di essermi ritirato da ogni carica operativa nel 2009, assicurando una gestione manageriale alla società”.

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/05/02/de-benedetti-renzi-ho-cambiato-idea-e-intelligente-grillo-fascistello/971398/
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