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Autore Discussione: PAOLO COSTA Crescita, il Paese ha il fiato corto va aiutato ad aprire le porte..  (Letto 1766 volte)
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« inserito:: Luglio 28, 2011, 05:31:40 pm »

28/7/2011

Crescita, il Paese ha il fiato corto va aiutato ad aprire le porte al mondo


PAOLO COSTA*

Caro direttore, il trattamento shock al quale i mercati stanno sottoponendo il sistema economico-finanziario italiano e la politica che dovrebbe indirizzarne e coordinarne l’attività ha messo inesorabilmente in evidenza il fatto che l’ipotesi di una riduzione del rapporto debito/Pil ottenuta con l’azzeramento del deficit a partire dal 2014 resta valida, nelle nuove condizioni di mercato dei titoli pubblici, solo a condizione che la crescita del Pil acceleri almeno di un punto percentuale annuo.

Riforme, dunque. Quelle riforme alle quali non si è finora posto mano con le scuse: che le riforme costano e le finanze pubbliche non consentono; che le riforme hanno un costo politico insostenibile (il «cortotermismo» della nostra politica fa sì che chi fa le riforme perde le elezioni); che le riforme danno risultati in tempi incompatibili con l’esigenza immediata di aiutare la stabilizzazione etc.

Oggi la situazione dovrebbe essere abbastanza disperata da far superare queste e altre obiezioni. Purtroppo siamo all’anno zero. Perché mai come oggi possiamo permetterci solo riforme a costo zero per i saldi di finanza pubblica e perché occorre lavorare su tali e tanti fronti da rendere problematica la stessa identificazione di un pacchetto indiscusso e condiviso di riforme prioritarie. Si veda, per fare un esempio, la scarsa coincidenza tra i nove impegni per la crescita del Sole 24 Ore (16 luglio 2011) e le riforme strutturali prioritarie per la crescita formulate solo poche settimane prima (31 maggio 2011) dal governatore della Banca d’Italia nelle sue Considerazioni finali. Draghi parte dalla riforma della giustizia civile - la cui maggior efficienza potrebbe valere da sola un punto di Pil - mentre il Sole 24 Ore parte dalla riduzione delle tasse sul lavoro (che proprio a costo zero non sono). Fa specie la mancanza di riferimento nel manifesto del Sole 24 Ore al tema della sottodotazione infrastrutturale, che invece Draghi ritiene tra gli ostacoli da superare per attuare la crescita, ritenendola essenziale per l’aumento della produttività del sistema. Occorre dunque e rapidamente scegliere tra riforme e riforme.

Con quale criterio? Due dovrebbero apparire evidenti. Il primo è che vanno privilegiate le correzioni strutturali che attivano la catena che va dalle riforme all’aumento della produttività totale, dalla produttività alla competitività e dalla competitività alla crescita del Pil. Il secondo, è che la catena riforme-produttività-competitività va attivata soprattutto a sostegno del blocco produttivo settoriale territoriale, che alimenta le nostre esportazioni, perché oggi - a fronte della crisi di consumi, investimenti e spesa pubblica - è questa la sola componente della domanda globale sulla quale si possa fare affidamento. Sono criteri che dovrebbero mettere in fila i capitoli della riforma, ma anche imporre radicali cambiamenti di priorità all’interno di ogni singolo capitolo. Per restare, come esempio, alle infrastrutture di trasporto, l’obiettivo diventa quello di concentrarsi sui miglioramenti infrastrutturali che migliorano i servizi a sostegno del blocco delle esportazioni. E se la crescita è una priorità, e le esportazioni la prima via per sostenerla in Italia, più che a consolidare l’accessibilità ad un esangue mercato interno dobbiamo puntare per tempo su ciò che ci può mettere meglio in contatto con i ricchi mercati di domani. Se si considera che i mercati sui quali l’Italia «dovrà» competere sono - oltre a quelli della vecchia Europa - quelli asiatici, oltre a Suez, quelli dell’Europa orientale - tutta, dal Baltico ai Balcani - e quelli mediterranei a partire dalla Turchia, il contributo infrastrutturale alla competitività italiana si gioca tutto sulle «porte» dell’Italia sul mondo: per le merci, sui porti internazionali (i quattro sistemi portuali dell’Alto Tirreno, dell’Alto Adriatico, della Campania e della Puglia) e, per i passeggeri, sugli aeroporti internazionali (il sistema romano, quello milanese e quello veneziano). Un miglioramento della loro efficienza, così come dell’efficienza dei collegamenti da «ultimo miglio» di porti ed aeroporti con la «rete essenziale» Ten-T europea, produrrebbe un abbattimento di quella «tassa logistica» che la carenza infrastrutturale impone alle esportazioni italiane. Riuscirà la politica infrastrutturale italiana a far propria l’evoluzione degli obiettivi che discende dal nuovo quadro? E, soprattutto, saprà adattarvi le sue priorità di intervento? Riuscirà a capire che non servono solo autostrade e ferrovie e, comunque, non solo quelle autostrade e quelle ferrovie disegnate negli Anni 80 sulle esigenze di integrazione del solo mercato interno? Che i porti e gli aeroporti attendono l’attenzione che il loro ruolo cruciale richiede?

Questo è solo un esempio di quali nodi le riforme per la crescita debbono sciogliere a partire da domani.

*Ex ministro dei Lavori pubblici, presidente dell’Autorità portuale di Venezia
da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9026
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