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Autore Discussione: Rita Borsellino. Omertà di Stato  (Letto 2542 volte)
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« inserito:: Luglio 20, 2010, 10:10:30 am »

Omertà di Stato

di Rita Borsellino


Sono trascorsi diciotto anni dalla strage di via D’Amelio. Diciotto anni da quella di Capaci. Diciassette dalle bombe di Milano, Firenze e Roma. E ancora oggi non conosciamo la verità su quanto accaduto in quegli anni. Così come non sappiamo la verità sulle morti di Antonino Agostino ed Emanuele Piazza, o perché Vincenzo Scarantino si sia autoaccusato di aver procurato l’autobomba che ha ucciso Paolo Borsellino e la sua scorta. La lista dei misteri potrebbe continuare ancora e a lungo. Di sicuro, sappiamo che lo Stato che commemora non è ancora riuscito a garantire la giustizia per i suoi giudici, i suoi poliziotti, i suoi cittadini assassinati. E sappiamo anche che c’è uno Stato che ha agito perché non si arrivasse alla verità sulle stragi di mafia, su un capitolo fondamentale della storia italiana. Lo sappiamo perché le cronache di questi anni ce l’hanno raccontato.

La narrazione ha proceduto a scatti, tra fughe in avanti e flash back, tra rivelazioni tardive e menzogne a orologeria. Eppure, da questo racconto scombinato è venuta fuori pian piano la storia di una guerra tutta interna allo Stato. E, come in tutte le guerre, ci sono stati morti e feriti, eroi e traditori, nemici travestiti da amici. Adesso che conosciamo il canovaccio, è giunta l’ora di dare nome e cognome ai protagonisti e alla comparse di questa vicenda, restituendo a ciascuno il proprio ruolo. È vitale conoscere i nomi di chi ha depistato le indagini sulle stragi. Capire, per esempio, perché attorno alle parole di un pentito “anomalo” come Vincenzo Scarantino si sia costruito il grosso delle prime indagini su via D’Amelio.

Bisogna ricostruire una volta per tutte quello che è successo subito dopo l’omicidio di Borsellino, dalla scomparsa dell’agenda rossa all’arresto di Totò Riina. C’è poi da chiarire il ruolo svolto dagli agenti di polizia Antonino Agostino e Vincenzo Piazza. Prima, è stato fatto credere che fossero morti per questioni private, poi che avessero partecipato nel ruolo di “cattivi” al fallito attentato dell’Addaura contro Giovanni Falcone. Ci sono voluti diciotto anni perché scoprissimo che i due giovani poliziotti all’Addaura c’erano realmente, ma per proteggere il giudice e non il contrario. Più o meno il tempo che è stato necessario ad alcuni autorevoli personaggi della politica e delle istituzioni per recuperare la memoria e parlare. Hanno parlato della presunta trattativa tra Stato e mafia e del fatto che Borsellino fosse a conoscenza di questa trattativa. Non mi è del tutto chiaro il motivo per cui ci siano voluti tutti questi anni per ricordare fatti così importanti. Di sicuro, chi sa tutta la verità, oggi, non ha ancora aperto bocca.

Nell’attesa, sarebbe bene che lo Stato (il governo o chi per esso) chiarisca ai suoi cittadini alcune anomalie emerse negli ultimi mesi. Mi riferisco, innanzitutto, al deposito di Bagheria dove sono state lasciate marcire, tra muffa ed escrementi, le carte del “Gruppo Falcone-Borsellino”, ossia della prima indagine su Capaci e via D’Amelio, la stessa che ha ruotato intorno alle parole di Scarantino.

Oggi, su quelle carte la magistratura sta lavorando alacremente per comprendere, per esempio, l’effettiva rilevanza delle dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza e di Massimo Ciancimino. Ebbene, com’è possibile che uno Stato che vuole combattere la mafia possa permettere che topi e tarli facciano scempio di documenti così delicati e importanti? Com’è possibile che da quei documenti siano scomparsi gli identikit dei presunti killer di Capaci? Com’è possibile, poi, che quando i procuratori hanno chiesto ai servizi segreti le carte su Vito Ciancimino, si siano visti recapitare solo ritagli di giornale?

Fatti del genere possono accadere solo per due ragioni: o per dolo, o per negligenza. In entrambi i casi, ci sono dei responsabili. E a questi lo Stato deve dare nomi e infliggere sanzioni. Ma nulla è stato ancora fatto.

Di contro, l’ignavia istituzionale è venuta meno quando si è trattato di concedere la protezione a Spatuzza. Le tre procure (Palermo, Caltanissetta e Firenze), che stanno riaccendendo i riflettori sui misteri che hanno avvolto le stragi, credono a Spatuzza. Il Viminale, invece, ha trovato un cavillo per negargli il regime di protezione concesso ai pentiti. Come ha ben scritto Attilio Bolzoni, è come se gli avessero messo un sasso in bocca. E che dire, sempre per restare in tema di decisionismo politico, delle gravi ripercussioni sulle indagini che potrebbe avere la cosiddetta “legge bavaglio”? Senza dimenticare l’esultanza con cui, illustri esponenti della maggioranza e del governo, hanno salutato la condanna del senatore della Repubblica, nonché l’uomo chiave nella costruzione di Forza Italia e del Pdl, Marcello Dell’Utri, il quale, secondo la sentenza, è stato per trent’anni, anche nel periodo delle stragi, in stretto contatto con i boss mafiosi, fornendogli persino protezione. Sono queste “azioni” che mi fanno dire con convinzione che c’è uno Stato che non vuole arrivare alla verità sulle stragi di mafia. Uno Stato che sulle tombe di Falcone e Borsellino preferisce portare corone di fiori. Ma non la giustizia.

19 luglio 2010
http://www.unita.it/news/italia/101391/omert_di_stato
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« Risposta #1 inserito:: Luglio 20, 2010, 10:12:02 am »

«I servitori dello Stato hanno pagato prezzi altissimi e meritano rispetto»

Mafia: "Cap. Ultimo", «Chi parla di stragi di Stato è un vile criminale»

Colui che catturò Riina: «Chi lo dice lavora per delegittimare lo Stato e legittimare Cosa Nostra»


ROMA - Chi parla di stragi di Stato, con riferimento a quelle di Capaci e di via D'Amelio, «è un vile criminale» e lavora «per delegittimare lo Stato e legittimare Cosa Nostra». Lo dice all'Ansa il colonnello dei carabinieri Sergio De Caprio, il capitano Ultimo che catturò Totò Riina. «Lo Stato ha combattuto la mafia. E ha vinto».

«SONO LE TESI DI RIINA» - «Mi sembra che il patto tra mafia e pezzi dello Stato sia quello che stanno facendo adesso questi strani personaggi , portando avanti le tesi di Riina. I ragazzi devono invece sapere che lo Stato ha combattuto la mafia e ha vinto», ha detto Ultimo. «E i servitori dello Stato hanno pagato prezzi altissimi e meritano rispetto». Secondo l'ufficiale dell'Arma, «bisogna riflettere su criminalità e giustizia e capire se c'è una giustizia criminale che aiuta Riina e che invece combatte quelli che hanno combattuto Riina». Una «giustizia criminale», alla quale Ultimo fa riferimento anche a proposito della recente sentenza che ha condannato a 14 anni di reclusione per droga il generale Giampaolo Ganzer, comandante dei carabinieri del Ros. «Come ha detto lo stesso generale comandante, le sentenze si rispettano: e infatti noi "soldati straccioni" la rispettiamo, come la sentenza che ha condannato a morte Gesù. Ma anche lì il problema è riflettere tra criminalità e giustizia, individuare la "giustizia criminale" e combatterla».(fonte: Ansa)


19 luglio 2010
http://www.corriere.it/cronache/10_luglio_19/capitano-ultimo-stragi_bbe10d92-9371-11df-a33b-00144f02aabe.shtml
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« Risposta #2 inserito:: Luglio 20, 2010, 10:16:09 am »

Il sospetto di Camilleri

di Saverio Lodato

Camilleri, ricorre oggi il diciottesimo anniversario di via d'Amelio, quando furono trucidati Paolo Borsellino e la sua scorta. Ed è caccia ai mandanti delle stragi. Si è diffusa la consapevolezza che Cosa Nostra non agì da sola, non essendo mai stata un’organizzazione avulsa da un sistema di poteri che ebbero i medesimi interessi e le medesime finalità dei boss.

Giovanni Falcone, dopo il fallito attentato dell'Addaura (20 anni fa), mi disse, per l'Unità, che dietro quei candelotti di dinamite scoperti dai ragazzi della scorta, si nascondevano "menti raffinatissime". Maniera elegante per lasciare intendere che non solo di mafia si trattava. Le sue parole ebbero forte eco, esponenti istituzionali ripeterono pappagallescamente che erano entrate in azione "menti raffinatissime", ma ciò non impedì alle "menti raffinatissime", due anni dopo, di mettere a segno la strage di Capaci. Si riparte con 18 anni di ritardo, spesi nel far tornare la memoria ai tanti che l'avevano perduta. A essere sospettati sono i servizi segreti.
Non è una gran novità. La gran novità sarebbe dimostrare che le stragi furono volute dai servizi e da poteri forti e deviati, e che i mafiosi non furono altro che ragazzacci di bottega.

Sono convinto che dietro alle stragi nelle quali trovarono la morte Falcone e Borsellino, e anche nelle altre che seguirono, ci siano state numerose "convergenze parallele", per dirla alla Moro. Lei, caro Lodato, autorevole storico della mafia, certamente ricorderà - e mi pare che una volta ne abbiamo già parlato - che il pentito Giuffrè raccontò in aula come e qualmente Bernardo Provenzano, avuto sentore con grande anticipo che Riina preparava le stragi, se ne allarmò. Temeva che avessero ripercussioni negative negli ambienti "bene" coi quali la mafia era in affari. E indisse un sondaggio segretissimo presso politici, massoni e imprenditori, affidandolo a tre uomini di sua fiducia. Giuffrè dichiarò di non conoscere i risultati del sondaggio, ma di essere certo che alcuni imprenditori del nord si erano pronunziati a favore dell'eliminazione fisica dei due magistrati, che tra l'altro avevano il brutto vizio di mettere il naso nel corrotto sistema degli appalti. Quindi, a parte il fatto che sarebbe utile e sommamente educativo conoscere i nomi di questi imprenditori del nord, resta il fatto che l'eliminazione fisica di Falcone e Borsellino trovava ampi consensi anche al di fuori della mafia.

Forse il fallito attentato dell'Addaura fu una sorta di prova generale. In queste settimane è cominciata a circolare la plausibile ipotesi che gli attentati continentali (Roma, Firenze, Milano) siano stati dati in appalto alla mafia dai servizi deviati. E questa non sarebbe la prima volta che l'ombra sinistra dei servizi deviati si protende sulle stragi italiane che sono state tante, troppe, dai tempi della strategia della tensione all'Italicus e via via massacrando. E sempre, si badi bene, con una finalità politica a medio o lungo termine. Tanto che mi sorge un dubbio che le sottopongo. Se esistono i servizi deviati, dovrebbero esistere anche e soprattutto quelli non deviati. Ma siamo sicuri che questi ultimi esistano davvero? Lungi da me l'intenzione d'offendere dei fedeli servitori dello Stato.

Ma non è paradossalmente ipotizzabile che quando un'operazione dei servizi va a finire male, allora venga attribuita ai deviati? Dei quali deviati infatti non vengono mai fuori i nomi e non si sa neppure se sono stati estromessi dal servizio o se sono stati promossi ai gradi superiori. E se per disgrazia qualcuno viene identificato e si tenta di processarlo, allora d'autorità viene tirato in ballo il segreto di Stato, un provvidenziale tappo che non lascia trapelare cattivi odori. A proposito, quanto ci scommette che del "signore con la faccia da mostro", l'ubiquo uomo dei servizi che si trovava sempre nel momento sbagliato e nel posto sbagliato, a breve non sentiremo più parlare?

19 luglio 2010
http://www.unita.it/news/italia/101393/il_sospetto_di_camilleri
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