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Autore Discussione: L'economia non ce la fa. Torna lo Stato  (Letto 1957 volte)
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« inserito:: Agosto 23, 2008, 11:43:53 pm »

23/8/2008 (8:11) - L'ANALISI

L'economia non ce la fa

Torna lo Stato
 
L'Europa deve rivedere il patto di stabilità e dire sì a un aumento moderato del deficit

MARIO DEAGLIO


In una recente intervista a Le Monde, Jacques Attali, economista e pensatore francese, ha paragonato la crisi economica americana a uno tsunami: il terremoto finanziario iniziato un anno fa ha infatti scatenato una grande ondata recessiva che sta lentamente girando per il mondo.

Nessuno è oggi in grado di dire esattamente quale Paese sarà colpito, quando, con quale intensità e per quanto tempo, ma i primi grandi spruzzi hanno cominciato ad arrivare sull’Europa e soprattutto sulla Gran Bretagna, generalmente ritenuta una felicissima isola, destinata a una crescita perpetua, immunizzata contro la recessione dalla cura liberista di Margaret Thatcher e dal decennio del liberismo appena un po’ attenuato di Tony Blair.

La crescita zero nel secondo trimestre 2008, annunciata ieri dall’ufficio statistico britannico, interrompe quindici anni, ossia ben sessanta trimestri, di crescita ininterrotta e corregge una prima valutazione debolmente positiva, effettuata dall’Eurostat la settimana scorsa. Anche la Gran Bretagna, insomma, mostra alcuni sintomi analoghi a quelli dell’Italia, un Paese economicamente assai meno brillante, ossia produzione industriale in caduta marcata e consumi delle famiglie in ritirata. A questi sintomi occorre aggiungere altri indicatori preoccupanti che in Italia non si sono, almeno per ora, manifestati, come la disoccupazione in forte salita e il prezzo delle abitazioni in forte discesa.

Può darsi che in tutto il vecchio continente i bilanci famigliari ricevano un po’ d’ossigeno dalla caduta del prezzo del petrolio (che si è già tradotta in una modesta ritirata del prezzo della benzina) e dai raccolti record di cereali che si stanno registrando in Russia e in buona parte dell’Europa Orientale e che, per conseguenza, la ripresa autunnale si presenti meno brutta di quanto molti oggi temono. Il sollievo sembra però momentaneo e a Londra, così come a Roma, Parigi, Berlino e Madrid, governi di diverso colore e animati da diversi principi politici devono fare i conti con il medesimo problema.

Si tratta di evitare che lo tsunami faccia troppi danni, di contrastare la crescita d’inflazione e disoccupazione, di rimettere l’economia sul sentiero della crescita sul quale non è in grado di tornare con i propri mezzi.

Come fare? Se l’economia non ce la fa da sola, è necessario tornare all’intervento pubblico. Un intervento diverso da quelli «pesanti» del passato, basato più sugli incentivi e sulle regole e meno sull’ingerenza del giorno per giorno, ma pur sempre un intervento pubblico. All’intervento pubblico sono inevitabilmente obbligati anche Paesi profondamente liberisti, come la stessa Gran Bretagna, dove un governo riluttante è stato costretto a nazionalizzare la Northern Rock, ottava banca del Paese, e gli Stati Uniti, dove la Banca centrale ha orchestrato salvataggi bancari e ci si appresta a spendere somme incredibili per evitare il collasso delle due centrali del credito fondiario.

La via maestra per un efficace sostegno pubblico all’economia non può passare né attraverso queste azioni d’emergenza, che riguardano singole imprese, né attraverso il protezionismo doganale, utilizzabile solo in maniera moderata senza distruggere le basi stesse della crescita mondiale. Per contrastare lo tsunami in arrivo sarebbe molto meglio per l’Europa consentire un moderato e ben indirizzato aumento dei deficit pubblici, come auspicato già a febbraio dal direttore del Fondo Monetario Internazionale, Dominique Strauss-Kahn, il quale invitava i governi ad «aprire l’ombrello quando piove».

Stanno arrivando le prime gocce di pioggia e non c’è tempo da perdere. L’Unione Europea, e in particolare l’area dell’euro, dovrebbe prepararsi a interpretare in maniera flessibile il patto di stabilità; un aumento del deficit pubblico nell’ordine dello 0,5-0,7 per cento del Pil sarebbe sufficiente a tener lontana la recessione senza suscitare particolari stimoli inflazionistici.

Una parte almeno dell’aumento dovrebbe derivare da una detassazione che sostenga le categorie con bassi redditi. Si tratta sicuramente di un’azione dal risultato incerto, che richiede quindi coraggio, ma il coraggio è un ingrediente fondamentale della politica economica. Se così non fosse, invece dei ministri dell’Economia basterebbero i manuali di economia e l’ondata dello tsunami ci colpirebbe in pieno.


da lastampa.it
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