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1  Forum Pubblico / LA CULTURA, I GIOVANI, La SOCIETA', L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA, IL MONDO del LAVORO. / Azioni e bond, le 5 lezioni dal passato per costruire il portafoglio del futuro inserito:: Oggi alle 07:31:29 pm
Azioni e bond, le 5 lezioni dal passato per costruire il portafoglio del futuro
di Francesca Gerosa


I settori protagonisti sui mercati cambiano in fretta. Fare market timing non sempre è la cosa giusta. Ecco quale può essere l’asset allocation ideale tra bond e azioni per ogni ciclo di mercato sulla base delle dinamiche del passato. I consigli dei gestori | Azioni, ecco i 28 titoli che beneficeranno maggiormente dei tagli dei tassi in arrivo

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Dal 1989 a oggi i mercati globali hanno subito innumerevoli trasformazioni e si sono visti eventi di ogni tipo, di cui la maggior parte anche difficilmente immaginabili. Tuttavia, al netto dell’imprevedibilità degli eventi, secondo Alberto Foà, presidente di AcomeA Sgr, una costante ha sempre pagato: comprare sugli eccessi di ribasso. «Il mercato è pieno di esempi che hanno portato grandi soddisfazioni a chi avesse, con un approccio saldo e diversificato, incrementato sugli eccessi di ribasso: 1987 (Black Monday, lunedì nero, ndr), 1998 (la crisi finanziaria russa e asiatica, ndr), la Grande crisi del 2008, la pandemia di Covid del 2020 e tante altre fasi intermedie che si sono intervallate nei mercati», ricorda Foà.

Leggi anche: I 35 anni che hanno cambiato il mondo dell’economia e della finanza | Il longform

Due lezioni di base per chi investe in azioni

Ciò che non è mai davvero cambiato è la capacità dei mercati azionari globali di recuperare il terreno perso nei momenti di maggior volatilità (si veda il grafico pubblicato in pagina). Ed è per questo motivo che Cosmo Schinaia, Country Head per l’Italia di Fidelity International, ritiene che l’azionario rimanga l’asset class da cui non si può prescindere per la costruzione di un portafoglio diversificato, nonché l’unico vero hedge all’inflazione nel lungo periodo. «A mio avviso sono due le lezioni importanti da trarre dalla storia economica degli ultimi 30 anni. La prima è che la chiave per rimanere sui mercati è la pazienza, anche quando i mercati registrano una volatilità elevata e i prezzi delle aziende fluttuano in modo repentino. D’altra parte, quando le cose vanno molto bene, è facile farsi trascinare dall’euforia e dalle mode del momento, e questa è la seconda lezione: è fondamentale rimanere razionali», indica Schinaia. Guardando al futuro, «penso che l’azionario rimarrà uno degli elementi costitutivi dei portafogli diversificati bilanciati, unito a un’elevata gestione del rischio».

Quando si pensa, in effetti, ai periodi passati di euforia e crisi dei mercati è sempre fondamentale collocare la loro performance nel contesto di lungo periodo. «Nel corso del tempo i mercati azionari sono cresciuti in media del 4%-6% all'anno in termini reali. Ci sono stati anni di rendimenti negativi, ma questi sono sempre stati più che compensati da rendimenti positivi», nota Nicholas Bratt di Lazard Asset Management. Perché? Il motore a lungo termine della performance del mercato azionario, spiega Bratt, è la creazione di ricchezza da parte delle società quotate grazie al successo delle loro attività e alla generazione di profitti. Il pil globale è stato creato in gran parte da aziende di successo e questo si è riflesso nell'aumento dei prezzi delle azioni.

Leggi anche: Azioni, chi entra e chi esce dal portafoglio best pick di Equita. I settori più cari e quelli più a sconto in Europa

Meglio non fare market timing
Si è tentati di credere di poter approfittare di questi estremi, vendendo ai massimi e comprando ai minimi di mercato. «La storia, tuttavia, ci dice che si tratta di un approccio poco saggio. Non è possibile prevedere su base costante quali siano i momenti migliori e peggiori per investire. Questo fenomeno si ripete in tutta la storia dei mercati azionari, anche se le specificità variano, compreso il tempo necessario per recuperare le perdite. Il messaggio rimane lo stesso: non cercate di fare market timing sull'entrata e sull'uscita dal mercato azionario, anche se potreste prendere profitti parziali quando i mercati sembrano fortemente sopravvalutati e aggiungere posizioni quando gli investitori sono in preda alla disperazione», consiglia Bratt, individuando quattro dinamiche del passato da tenere in considerazione: il ritmo del cambiamento, soprattutto nel mondo della tecnologia e della farmaceutica, si è accelerato; il numero di mercati azionari nel mondo è aumentato con lo sviluppo dei mercati emergenti, ampliando il ventaglio di opportunità; l'investimento passivo è cresciuto di importanza relativa, mettendo sotto pressione le commissioni di gestione; la psicologia del mercato rimane la stessa: «la follia delle folle, la speculazione e la paura».

Inoltre, sin negli anni ‘70 gli investitori erano restii a operare a livello globale. Si chiedevano: perché dovrei investire in tutto il mondo se le migliori società si trovano tutte negli Stati Uniti? Oggi, osserva Rob Lovelace, gestore di portafoglio azionario di Capital Group, si percepisce un sentiment analogo. «Il concetto di investire a livello globale non era ampiamente accettato come oggi, ma ci sono stati alcuni fattori che hanno contribuito a renderlo più credibile», indica Lovelace.

L’importanza degli indici globali
A svolgere un ruolo importante in tal senso furono gli sforzi compiuti da Capital International per creare indici globali (Capital International corrisponde alle lettere C e I di quella che è oggi nota come Msci) e statistiche a sostegno di tali indici. Sebbene all’epoca ci fossero solo tre variabili (ovvero il rapporto prezzo/utili, prezzo/flusso di cassa e prezzo/valore contabile), l’analisi statistica fornì validità agli investimenti in Europa e Asia, contribuendo a far sì che gli investitori si sentissero più a loro agio a operare al di fuori del proprio mercato di riferimento. Il fatto che questi dati venissero pubblicati solo due volte all’anno, con uno sfasamento temporale di un anno, dava inoltre agli investitori fondamentali un enorme vantaggio informativo. Ecco perché «la storia di lungo periodo e la memoria contano davvero», dichiara Lovelace.

Leggi anche: Azioni, 15 titoli da mettere in portafoglio per cavalcare la volatilità fra guerre e banche centrali
La leadership può cambiare
Arrivando ai giorni nostri, a una prima analisi si potrebbe dedurre che, dopo il 2020, i mercati siano andati generalmente bene. Una considerazione che va, però, approfondita in quanto il mercato è molto polarizzato a livello globale, afferma Foà. «Dagli Stati Uniti con i suoi magnifici 7, al mercato europeo con le banche, abbiamo un mercato che guarda a pochi titoli concentrati, dimenticando tutto il resto, tendenza amplificata dalla rapida diffusione del fenomeno degli Etf», chiarisce il presidente di AcomeA Sgr, notando anche che sui mercati globali non è mai stato così ampio il divario di valutazione tra le large cap e le mid e small cap.

Leggi anche: Azioni, i gestori europei iniziano a ruotare il portafoglio per giocare in difesa. Ecco i settori preferiti
«Con ogni giro di mercato cambiano i market leader, che ad oggi sono le magnifiche 7 statunitensi o le banche in Europa. Posizione di leadership e di concentrazione esasperata dai flussi dei gestori passivi, che come già detto, sono sempre più determinanti sui mercati. Tuttavia, come visto in tutti questi anni, la leadership può cambiare e anche molto in fretta. I vincitori del momento che hanno attirato tanta attenzione e tanta performance», avverte Foà, «potrebbero lasciare il posto ad altri attori».

I settori che prenderanno il posto del comparto tecnologico
Un’area che sta entrando in un periodo entusiasmante per Lovelace è quella del settore farmaceutico e sanitario: «non so se soppianterà il settore tecnologico a livello di predominio del mercato azionario, ma l’impressione è che ci troviamo all’inizio di un’era in cui si stanno presentando tutti insieme i benefici delle attività di ricerca e sviluppo svolte nell’ultimo decennio. Il comparto tecnologico», sostiene il gestore di Capital Group, «ha ancora molto da offrire e con ogni probabilità ci attendono interessanti sviluppi. L’informatica quantistica, ad esempio, sta portando con sé una gamma di opportunità totalmente nuova in grado di sovvertire lo status quo». Non solo.

Leggi anche: Investire a lungo termine, azioni o bond? Chi vince la sfida da qui al 2034. Un basket di titoli su cui puntare
In un contesto di trasformazioni tecnologiche, forte concentrazione di alcuni indici, aspettative di cambiamento dei tassi e l'incertezza geopolitica, «una lezione del passato che è sicuramente di attualità sta nel fatto che decidere sin dall’inizio chi sono i vincitori di una rivoluzione tecnologica ancora agli esordi può essere prematuro; per questo motivo sul settore tecnologico e in particolare sul tema dell’intelligenza artificiale suggeriamo un approccio diversificato», dichiara Ilaria Romagnoli, ceo di Symphonia sgr e responsabile dell’asset management del gruppo Banca Investis.

Come costruire un portafoglio bilanciato facendo tesoro delle lezioni passate
Per costruire un portafoglio bilanciato facendo tesoro di queste lezioni del passato, per quanto riguarda l’esposizione azionaria, Romagnoli vede con favore un sostanziale equilibrio fra azioni statunitensi e quelle degli altri paesi, in virtù delle elevate valutazioni raggiunte dal mercato americano, che rappresenta quasi il 70% degli indici di mercato globali. «Con l’indice S&P 500 in rialzo di quasi il 50% dai minimi di ottobre 2022, riteniamo che prendere qualche profitto su un’esposizione eccessiva alle grandi capitalizzazioni Usa possa essere prudente, sottopesare eccessivamente le allocazioni al mercato che stanno guidando la rivoluzione tecnologica di questo decennio potrebbe essere un errore», precisa il ceo di Symphonia Sgr. Per quanto riguarda la componente obbligazionaria (il 50% del portafoglio) «riteniamo che un’allocazione del 25% a titoli governativi a breve termine, 10% alla componente governativa a medio lungo termine e 15% ai subordinati finanziari possa essere adeguata alle attuali condizioni di mercato. Ora che il pricing di tagli accelerati è stato rimosso, la parte breve delle curve offre rendimenti elevati e attraenti. Nel credito, gli spread investment grade sono ormai molto compressi e anche se i rendimenti sono storicamente elevati, l’appeal rispetto ai governativi è ridotto. I bond subordinati finanziari sono la nostra asset class di credito preferita, in particolare gli AT1. La parte lunga delle curve potrebbe avere nuovamente un ruolo come bene rifugio per le strategie bilanciate, dopo la debacle del 2022».

L’asset allocation per un investitore con una media propensione al rischio
Il suggerimento di Foà per un portafoglio di un investitore con una media propensione al rischio nel contesto attuale prevede una quota azionaria massima del 40%, una componente obbligazionaria del 50% e una parte di liquidità remunerata al risk free del 10%. Per quanto riguarda le azioni, più che una scelta di area geografica, dove sovrappesare la sola area emergente rimasta molto indietro in relativo, il consiglio di Foà è quello di investire sulle sulle medie e piccole capitalizzazioni fortemente penalizzate dalla grossa concentrazione su pochi e mega titoli e quindi su valutazioni ai minimi storici, con un differenziale valutativo molto accentuato.

Bond, il cocktail migliore
«Sulle obbligazioni un buon mix tra governativi e corporate senza eccedere nella duration di portafoglio sembra essere sensato, con la presenza di alcuni paesi emergenti anche in local currency per avere un maggior rendimento. La presenza di liquidità», conclude Foà, «è utile per cogliere le eventuali opportunità di correzione dei mercati che dopo aver corso parecchio potrebbero rifiatare». A proposito di liquidità, avverte Bratt, cresce lentamente e spesso i tassi d'interesse sono in ritardo rispetto all'inflazione, per cui nel tempo la liquidità perde il suo valore reale. Al contempo le obbligazioni, spesso considerate investimenti sicuri e difensivi, possono essere molto volatili quando i tassi di interesse non sono stabili. Poi in quanto prestiti, non crescono di valore e quando vengono rimborsate il loro valore adeguato all'inflazione è tipicamente inferiore al prezzo di emissione originale.

Leggi anche: Bond, perché la strategia Barbell è vincente: 20 obbligazioni ad alto e basso rischio
«Un immobile ben scelto può essere un ottimo investimento a lungo termine, ma soffre di una liquidità limitata. Mentre l'oro è l'investimento più antico della storia dell'uomo. Nel corso del tempo si è rivelato un efficace elemento di diversificazione, poiché», conclude Bratt, «spesso è inversamente correlato all'andamento del mercato azionario. Ha inoltre una caratteristica unica come strumento finanziario: non rappresenta una passività di un'altra entità». (riproduzione riservata)

MF - Numero pag. 59 del 22/04/2024
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2  Forum Pubblico / ESTERO dopo il 19 agosto 2022. MONDO DIVISO IN OCCIDENTE, ORIENTE E ALTRE REALTA'. / La cultura che ignora la Palestina è solo posizionamento sociale», c’era scritto inserito:: Oggi alle 07:25:45 pm
L’avvelenata
Guia Soncini

14 Maggio 2024
Salvateli Le celebrità engagé e i giovani che non distinguono tra imperativo morale e posizionamento sociale

L’appello di cantanti, attrici e icone gay a Jill Biden sulla Palestina ricorda, ventidue anni dopo, uno storico Jovanotti contro la guerra. Ma lo fanno solo per fotogenia, come le giovani scrittrici pro Pal al Salone di Torino
https://www.linkiesta.it/2024/05/palestina-guerra-giovani-cantanti-posizionamento/Alberto Gandolfo / LaPresse

Era ventidue anni fa, che per certe cose son ventidue secoli e per altre son ventidue minuti. Non c’erano i social, per dire. Io scrivevo per il femminile del Corriere, che vendeva vagonate di copie (a raccontarlo oggi, non sembra neanche vero).
Siccome le pagine chiudevano in tipografia dieci giorni prima dell’uscita, se volevi coprire l’attualità dovevi farti venire un’idea. Farsi venire un’idea era esercizio che davamo tutti per scontato di dover fare: è la grande differenza tra i giornali di allora e i giornali di oggi, le canzoni di allora e le canzoni di oggi, i programmi di allora e i programmi di oggi.
L’idea di Lorenzo Jovanotti era stata quella di lanciare il suo nuovo disco con una canzone contro la guerra, “Salvami”, che avrebbe cantato in qualunque programma televisivo fosse stato disposto a ospitarlo. La mia idea era stata: lo seguo e racconto una settimana di studi televisivi in cui portare una canzone che parla del G8 e della Fallaci.
Avevo 29 anni, Lorenzo ne aveva 35: eravamo due bambini, in quella pericolosissima fase in cui i bambini si percepiscono adulti. Questo non perché servano giustificazioni per allora, ma per dare una linea-guida a chi parla dei trentenni di oggi come fossero, appunto, adulti.
Il testo di “Salvami” era il testo d’una canzone: le canzoni vivono in un loro universo d’incantesimi in cui la semplificazione è un diritto e un dovere, e infatti la più famosa delle canzoni pacifiste è “Imagine”, il cui testo ha la complessità psicologica del compito in classe d’una terza elementare.
«Le otto principesse e i settecento nani, le armi, gli scudi, i diritti umani. I corvi che gracchiano “Rivoluzione!”, però non c’è pietà e non c’è compassione: il sangue si coagula sul pavimento, s’inceppa l’articolazione del movimento, la voce che balbetta, la speranza che inciampa, la capra che crepa, la capra che campa».
Anni dopo avrei chiesto a Lorenzo di fare un paragone tra “Salvami” e la «grande chiesa» di “Penso positivo”, e lui mi avrebbe detto che quella di “Penso positivo” era una frase più precisa; ma aveva torto (gli autori non capiscono mica mai niente delle loro opere). “Salvami” era precisissima; se all’autore l’avevano tirata in faccia come una canzone inaccettabile, mentre “Penso positivo” era diventata un classico, era per quell’incognita che regola gli esiti delle cose umane: la capra che crepa, la capra che campa.
Comunque. A un certo punto, in una settimana di esibizioni in tutta la tv possibile, da Guardì in su e in giù, “Salvami” arriva da Bruno Vespa, che era Bruno Vespa ventidue anni fa e lo sarà tra ventidue anni.
Una redattrice di Vespa alla quale sono gratissima mi portò via d’imperio da dove stavo di solito a seguire queste registrazioni – con Lorenzo e il suo staff – e mi disse che il mio posto era in sala stampa, cioè dove stavano i giornalisti politici che seguivano le registrazioni di Vespa. Senza quella redattrice non avrei mai visto il dettaglio importante.
Il dettaglio importante non era Vespa che metteva a sedere Lorenzo e gli diceva ma dicci, caro, cosa pensi tu della guerra, e lui che rispondeva (vado a memoria) che la guerra è male e la pace è bene, il che allora lo faceva sembrare uno che non sa distinguere tra la realtà e le canzoni, e oggi lo renderebbe indistinguibile da un qualunque militante ventenne o trentennne intervistato e preso sul serio mentre dice banalità a una telecamera.
Il dettaglio importante era che, prima ancora che quello cantasse, in sala stampa speravano che Vespa facesse «una domanda a Jovanotti sull’ipotesi Fini agli esteri». Avevo ventinove anni e non sapevo trovarmi il culo con le mani, ma se mi è rimasto così impresso significa che persino allora mi colpì; significa che persino io ero meno ubriaca d’una classe giornalistica adulta che riteneva rilevante il commento d’un cantante su un incarico governativo.
All’epoca l’equivoco – forse il parere delle persone famose sulle buone cause conta qualcosa, influenza qualcuno, ha senso venga espresso pubblicamente – era più giustificabile: eravamo quasi vergini. Il discorso esasperato di Nanni Moretti a piazza Navona sarà un mese dopo Lorenzo da Vespa, i girotondi devono ancora arrivare, Michael Moore deve ancora vincere l’Oscar. La stagione delle celebrità engagé è solo all’inizio.
E poi venivamo dai gloriosi anni Ottanta in cui i cantanti s’erano incaricati di risolvere la fame nel mondo (senza riuscirci, ma fornendoci preziosi ritornelli). Certo, c’è il dettaglio che la fame nel mondo non era una causa controversa, non c’era il solito dualismo, stai con Togliatti o con Vittorini, con Coppi o con Bartali, con la Callas o con la Tebaldi, coi bambini con la pancia gonfia o con chi li affama.
Per le guerre è sempre un po’ più complicato, lo era persino quando il mondo non era un gigantesco palcoscenico e di secondo mestiere non facevamo tutti gli opinionisti. Per Lorenzo da Vespa s’irritarono gli opinionisti di destra (che facevano obiezioni che oggi sarebbero di sinistra: quel verso sulla Fallaci è maschilistaaaaa) e il Codacons, ma non s’indignò Vongola75. Chissà che delirio decuplicato sarebbe stato, a social aperti.
«Siamo madri e figlie e nonne e sorelle e sostenitrici della giustizia e semplici esseri umani, e se ci rivolgiamo a lei è perché sappiamo che anche lei è tutte queste cose». L’altro giorno su Instagram è comparso un video in cui signore famose di mezza età, cantanti, attrici, icone gay, Christine Baranski e Annie Lennox, Cynthia Nixon e Marcia Cross, chiedono a Jill Biden di attuare (in qualità di moglie?) un cessate il fuoco permanente.
È un video in cui si dicono cose ovvie e di buonsenso, come in generale sono sempre questi appelli che sembrano scritti dal Max Catalano di “Quelli della notte”: bisogna smettere di ammazzare la gente, non bisogna bombardare i civili, bisogna liberare gli ostaggi, non bisogna ammazzare i bambini palestinesi. Però queste cose ovvie e di buonsenso le dicono tizie famose in un settore professionale fatto di lustrini, e io resto basita che, dopo vent’anni di insuccessi nel perorare cause politiche, attori e cantanti ancora non abbiano capito che la loro adesione alle buone cause non solo non le risolve, ma ne peggiora la popolarità.
«Sappiamo che le immagini dei bambini affamati la staranno devastando», dice a un certo punto Cynthia Nixon, ed è un dettaglio interessante e secondo me indispensabile per capire chi in queste settimane ritiene di dover dire la sua: dobbiamo fare qualcosa per proprio questa tragedia qui perché proprio di questa tragedia qui ci arrivano le immagini sul telefono e ciò ci mette di malumore.
È un video lunare in ogni sua scelta. Quella di parlare da donna a donna, come fossero gli anni Cinquanta e certe cose si risolvessero tra mogli: sì, lo sappiamo che formalmente comanda tuo marito, però.
Ma soprattutto quella di pensare che Jill Biden possa non sapere cosa sta succedendo, possa aver bisogno che glielo dicano le attrici e le cantanti. Sarebbe una gran commedia: la moglie del presidente degli Stati Uniti che va in tv e dice «ma io non sapevo niente, se non me lo diceva Annie Lennox, canticchiavo sempre “Sweet Dreams” e quindi quando m’hanno detto che aveva una buona causa alla quale sensibilizzarmi ho prestato attenzione, fino ad allora m’era proprio sfuggita».
Certo, vale in generale per tutti, non solo per la gente famosa. Le giovani scrittrici che al Salone di Torino scandiscono slogan sulla Palestina libera mica saranno così sceme da pensare che i loro cinque minuti di fotogenia servano a liberare la Palestina. Servono al massimo a posizionarle tra i buoni. Some of them want to use you, some of them want to get used by you.
«La cultura che ignora la Palestina è solo posizionamento sociale», c’era scritto su un cartello torinese, e io cerco di non usare mai la categoria della malafede perché non mi sembra utile, ma l’alternativa all’intenzione manipolatoria è che chi l’ha scritto non si renda conto che non c’è più immediato posizionamento sociale, in questi mesi, che parlare di Palestina e Israele, un trending topic a lunga conservazione.
L’alternativa è che non capiate il mondo. D’altra parte siete – voi di Torino: Annie Lennox non ha neanche quella scusa lì – giovani: perché mai dovreste rendervi conto che quello che vi sembra imperativo morale è solo posizionamento sociale? Virtue signalings are made of this: who am I to disagree?

Da - https://www.linkiesta.it/2024/05/palestina-guerra-giovani-cantanti-posizionamento/
3  Forum Pubblico / SIAMO DIFFERENTI e DIVERSI, UGUALI nei DIRITTI e DOVERI, ma DIVISI in CATEGORIE SOCIALI. / Azioni e bond, le 5 lezioni dal passato per costruire il portafoglio del futuro inserito:: Maggio 14, 2024, 06:36:29 pm
Azioni e bond, le 5 lezioni dal passato per costruire il portafoglio del futuro
di Francesca Gerosa

 tempo di lettura 7 min
I settori protagonisti sui mercati cambiano in fretta. Fare market timing non sempre è la cosa giusta. Ecco quale può essere l’asset allocation ideale tra bond e azioni per ogni ciclo di mercato sulla base delle dinamiche del passato. I consigli dei gestori | Azioni, ecco i 28 titoli che beneficeranno maggiormente dei tagli dei tassi in arrivo

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Dal 1989 a oggi i mercati globali hanno subito innumerevoli trasformazioni e si sono visti eventi di ogni tipo, di cui la maggior parte anche difficilmente immaginabili. Tuttavia, al netto dell’imprevedibilità degli eventi, secondo Alberto Foà, presidente di AcomeA Sgr, una costante ha sempre pagato: comprare sugli eccessi di ribasso. «Il mercato è pieno di esempi che hanno portato grandi soddisfazioni a chi avesse, con un approccio saldo e diversificato, incrementato sugli eccessi di ribasso: 1987 (Black Monday, lunedì nero, ndr), 1998 (la crisi finanziaria russa e asiatica, ndr), la Grande crisi del 2008, la pandemia di Covid del 2020 e tante altre fasi intermedie che si sono intervallate nei mercati», ricorda Foà.
Leggi anche: I 35 anni che hanno cambiato il mondo dell’economia e della finanza | Il longform
Due lezioni di base per chi investe in azioni
Ciò che non è mai davvero cambiato è la capacità dei mercati azionari globali di recuperare il terreno perso nei momenti di maggior volatilità (si veda il grafico pubblicato in pagina). Ed è per questo motivo che Cosmo Schinaia, Country Head per l’Italia di Fidelity International, ritiene che l’azionario rimanga l’asset class da cui non si può prescindere per la costruzione di un portafoglio diversificato, nonché l’unico vero hedge all’inflazione nel lungo periodo. «A mio avviso sono due le lezioni importanti da trarre dalla storia economica degli ultimi 30 anni. La prima è che la chiave per rimanere sui mercati è la pazienza, anche quando i mercati registrano una volatilità elevata e i prezzi delle aziende fluttuano in modo repentino. D’altra parte, quando le cose vanno molto bene, è facile farsi trascinare dall’euforia e dalle mode del momento, e questa è la seconda lezione: è fondamentale rimanere razionali», indica Schinaia. Guardando al futuro, «penso che l’azionario rimarrà uno degli elementi costitutivi dei portafogli diversificati bilanciati, unito a un’elevata gestione del rischio».

Quando si pensa, in effetti, ai periodi passati di euforia e crisi dei mercati è sempre fondamentale collocare la loro performance nel contesto di lungo periodo. «Nel corso del tempo i mercati azionari sono cresciuti in media del 4%-6% all'anno in termini reali. Ci sono stati anni di rendimenti negativi, ma questi sono sempre stati più che compensati da rendimenti positivi», nota Nicholas Bratt di Lazard Asset Management. Perché? Il motore a lungo termine della performance del mercato azionario, spiega Bratt, è la creazione di ricchezza da parte delle società quotate grazie al successo delle loro attività e alla generazione di profitti. Il pil globale è stato creato in gran parte da aziende di successo e questo si è riflesso nell'aumento dei prezzi delle azioni.

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Meglio non fare market timing
Si è tentati di credere di poter approfittare di questi estremi, vendendo ai massimi e comprando ai minimi di mercato. «La storia, tuttavia, ci dice che si tratta di un approccio poco saggio. Non è possibile prevedere su base costante quali siano i momenti migliori e peggiori per investire. Questo fenomeno si ripete in tutta la storia dei mercati azionari, anche se le specificità variano, compreso il tempo necessario per recuperare le perdite. Il messaggio rimane lo stesso: non cercate di fare market timing sull'entrata e sull'uscita dal mercato azionario, anche se potreste prendere profitti parziali quando i mercati sembrano fortemente sopravvalutati e aggiungere posizioni quando gli investitori sono in preda alla disperazione», consiglia Bratt, individuando quattro dinamiche del passato da tenere in considerazione: il ritmo del cambiamento, soprattutto nel mondo della tecnologia e della farmaceutica, si è accelerato; il numero di mercati azionari nel mondo è aumentato con lo sviluppo dei mercati emergenti, ampliando il ventaglio di opportunità; l'investimento passivo è cresciuto di importanza relativa, mettendo sotto pressione le commissioni di gestione; la psicologia del mercato rimane la stessa: «la follia delle folle, la speculazione e la paura».

Inoltre, sin negli anni ‘70 gli investitori erano restii a operare a livello globale. Si chiedevano: perché dovrei investire in tutto il mondo se le migliori società si trovano tutte negli Stati Uniti? Oggi, osserva Rob Lovelace, gestore di portafoglio azionario di Capital Group, si percepisce un sentiment analogo. «Il concetto di investire a livello globale non era ampiamente accettato come oggi, ma ci sono stati alcuni fattori che hanno contribuito a renderlo più credibile», indica Lovelace.

L’importanza degli indici globali
A svolgere un ruolo importante in tal senso furono gli sforzi compiuti da Capital International per creare indici globali (Capital International corrisponde alle lettere C e I di quella che è oggi nota come Msci) e statistiche a sostegno di tali indici. Sebbene all’epoca ci fossero solo tre variabili (ovvero il rapporto prezzo/utili, prezzo/flusso di cassa e prezzo/valore contabile), l’analisi statistica fornì validità agli investimenti in Europa e Asia, contribuendo a far sì che gli investitori si sentissero più a loro agio a operare al di fuori del proprio mercato di riferimento. Il fatto che questi dati venissero pubblicati solo due volte all’anno, con uno sfasamento temporale di un anno, dava inoltre agli investitori fondamentali un enorme vantaggio informativo. Ecco perché «la storia di lungo periodo e la memoria contano davvero», dichiara Lovelace.

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La leadership può cambiare
Arrivando ai giorni nostri, a una prima analisi si potrebbe dedurre che, dopo il 2020, i mercati siano andati generalmente bene. Una considerazione che va, però, approfondita in quanto il mercato è molto polarizzato a livello globale, afferma Foà. «Dagli Stati Uniti con i suoi magnifici 7, al mercato europeo con le banche, abbiamo un mercato che guarda a pochi titoli concentrati, dimenticando tutto il resto, tendenza amplificata dalla rapida diffusione del fenomeno degli Etf», chiarisce il presidente di AcomeA Sgr, notando anche che sui mercati globali non è mai stato così ampio il divario di valutazione tra le large cap e le mid e small cap.

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«Con ogni giro di mercato cambiano i market leader, che ad oggi sono le magnifiche 7 statunitensi o le banche in Europa. Posizione di leadership e di concentrazione esasperata dai flussi dei gestori passivi, che come già detto, sono sempre più determinanti sui mercati. Tuttavia, come visto in tutti questi anni, la leadership può cambiare e anche molto in fretta. I vincitori del momento che hanno attirato tanta attenzione e tanta performance», avverte Foà, «potrebbero lasciare il posto ad altri attori».

I settori che prenderanno il posto del comparto tecnologico
Un’area che sta entrando in un periodo entusiasmante per Lovelace è quella del settore farmaceutico e sanitario: «non so se soppianterà il settore tecnologico a livello di predominio del mercato azionario, ma l’impressione è che ci troviamo all’inizio di un’era in cui si stanno presentando tutti insieme i benefici delle attività di ricerca e sviluppo svolte nell’ultimo decennio. Il comparto tecnologico», sostiene il gestore di Capital Group, «ha ancora molto da offrire e con ogni probabilità ci attendono interessanti sviluppi. L’informatica quantistica, ad esempio, sta portando con sé una gamma di opportunità totalmente nuova in grado di sovvertire lo status quo». Non solo.

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In un contesto di trasformazioni tecnologiche, forte concentrazione di alcuni indici, aspettative di cambiamento dei tassi e l'incertezza geopolitica, «una lezione del passato che è sicuramente di attualità sta nel fatto che decidere sin dall’inizio chi sono i vincitori di una rivoluzione tecnologica ancora agli esordi può essere prematuro; per questo motivo sul settore tecnologico e in particolare sul tema dell’intelligenza artificiale suggeriamo un approccio diversificato», dichiara Ilaria Romagnoli, ceo di Symphonia sgr e responsabile dell’asset management del gruppo Banca Investis.

Come costruire un portafoglio bilanciato facendo tesoro delle lezioni passate
Per costruire un portafoglio bilanciato facendo tesoro di queste lezioni del passato, per quanto riguarda l’esposizione azionaria, Romagnoli vede con favore un sostanziale equilibrio fra azioni statunitensi e quelle degli altri paesi, in virtù delle elevate valutazioni raggiunte dal mercato americano, che rappresenta quasi il 70% degli indici di mercato globali. «Con l’indice S&P 500 in rialzo di quasi il 50% dai minimi di ottobre 2022, riteniamo che prendere qualche profitto su un’esposizione eccessiva alle grandi capitalizzazioni Usa possa essere prudente, sottopesare eccessivamente le allocazioni al mercato che stanno guidando la rivoluzione tecnologica di questo decennio potrebbe essere un errore», precisa il ceo di Symphonia Sgr. Per quanto riguarda la componente obbligazionaria (il 50% del portafoglio) «riteniamo che un’allocazione del 25% a titoli governativi a breve termine, 10% alla componente governativa a medio lungo termine e 15% ai subordinati finanziari possa essere adeguata alle attuali condizioni di mercato. Ora che il pricing di tagli accelerati è stato rimosso, la parte breve delle curve offre rendimenti elevati e attraenti. Nel credito, gli spread investment grade sono ormai molto compressi e anche se i rendimenti sono storicamente elevati, l’appeal rispetto ai governativi è ridotto. I bond subordinati finanziari sono la nostra asset class di credito preferita, in particolare gli AT1. La parte lunga delle curve potrebbe avere nuovamente un ruolo come bene rifugio per le strategie bilanciate, dopo la debacle del 2022».

L’asset allocation per un investitore con una media propensione al rischio
Il suggerimento di Foà per un portafoglio di un investitore con una media propensione al rischio nel contesto attuale prevede una quota azionaria massima del 40%, una componente obbligazionaria del 50% e una parte di liquidità remunerata al risk free del 10%. Per quanto riguarda le azioni, più che una scelta di area geografica, dove sovrappesare la sola area emergente rimasta molto indietro in relativo, il consiglio di Foà è quello di investire sulle sulle medie e piccole capitalizzazioni fortemente penalizzate dalla grossa concentrazione su pochi e mega titoli e quindi su valutazioni ai minimi storici, con un differenziale valutativo molto accentuato.

Bond, il cocktail migliore
«Sulle obbligazioni un buon mix tra governativi e corporate senza eccedere nella duration di portafoglio sembra essere sensato, con la presenza di alcuni paesi emergenti anche in local currency per avere un maggior rendimento. La presenza di liquidità», conclude Foà, «è utile per cogliere le eventuali opportunità di correzione dei mercati che dopo aver corso parecchio potrebbero rifiatare». A proposito di liquidità, avverte Bratt, cresce lentamente e spesso i tassi d'interesse sono in ritardo rispetto all'inflazione, per cui nel tempo la liquidità perde il suo valore reale. Al contempo le obbligazioni, spesso considerate investimenti sicuri e difensivi, possono essere molto volatili quando i tassi di interesse non sono stabili. Poi in quanto prestiti, non crescono di valore e quando vengono rimborsate il loro valore adeguato all'inflazione è tipicamente inferiore al prezzo di emissione originale.

Leggi anche: Bond, perché la strategia Barbell è vincente: 20 obbligazioni ad alto e basso rischio
«Un immobile ben scelto può essere un ottimo investimento a lungo termine, ma soffre di una liquidità limitata. Mentre l'oro è l'investimento più antico della storia dell'uomo. Nel corso del tempo si è rivelato un efficace elemento di diversificazione, poiché», conclude Bratt, «spesso è inversamente correlato all'andamento del mercato azionario. Ha inoltre una caratteristica unica come strumento finanziario: non rappresenta una passività di un'altra entità». (riproduzione riservata)

MF - Numero pag. 59 del 22/04/2024


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4  Forum Pubblico / ESTERO dopo il 19 agosto 2022. MONDO DIVISO IN OCCIDENTE, ORIENTE E ALTRE REALTA'. / I tredici giorni di Columbia. Breve storia del nuovo ’68 americano, dalle ... inserito:: Maggio 14, 2024, 06:30:26 pm
I tredici giorni di Columbia. Breve storia del nuovo ’68 americano, dalle tende a Hind’s Hall

di Gioacchino Orsenigo
 
Descrivere quanto accaduto a Columbia e più in generale nelle università degli Sati Uniti non è facile, soprattutto per me, che mi ci sono ritrovato coinvolto un po’ per caso, per via di alcune ricerche accademiche che mi hanno portato a New York, in quella che sarebbe diventata il cuore della protesta. Il lavoro perde d’importanza quando la storia ti capita così improvvisamente tra i piedi e provare a ricostruire quello che ho vissuto in questi giorni è un grande onore.
Rimando anche all’intervista che ho fatto ad Aidan, attivista queer e una delle voci della rivolta, per Napoli Monitor e Radio Onda d’Urto, e che ha ispirato questo articolo (disponibile qui e qui).
La notte tra il 30 aprile e il primo maggio, abbiamo assistito a una brutale prova di forza da parte delle autorità di Columbia e della polizia di New York. Almeno un migliaio di agenti ha fatto incursione all’interno del Campus, istituendo una zona rossa che militarizzava di fatto tutto l’Upper West Side. Sono state arrestate circa 170 persone, tra occupanti e solidali. Immagini di studenti trascinati e scaraventati giù dalle scale sono state diffuse sui social dagli stessi studenti presenti perché l’accesso al Campus era stato in parte limitato anche ai giornalisti e agli osservatori legali. Nel frattempo, veniva sgomberato anche l’accampamento di CCNY – City College of New York – mentre a UCLA, in California, l’accampamento degli studenti veniva attaccato da manifestanti pro-israele con lanci di fuochi d’artificio, mattoni e spranghe. Quanto accaduto quella notte è stato l’evento culminate di giorni di grande tensione e l’ultimo atto della politica di zero tolleranza promossa dalle autorità della Columbia.
La spettacolarizzazione dello sgombero e l’impiego massiccio e sproporzionato della polizia è stato il chiaro tentativo delle autorità universitarie, cittadine e nazionali, di mostrare la loro fermezza e una prova di forza di fronte a un movimento che stava diventando sempre più grande e incontrollabile. Per capire come si è arrivati a questo punto, è giusto fare un passo indietro.
Fin dal mio arrivo, a gennaio, il campus era attraversato ogni due o tre giorni da qualche manifestazione per la Palestina. Il 17 Aprile, la presidente di Columbia Minouche Shafik era attesa alla Camera del Congresso per rendere conto di come l’amministrazione universitaria stesse gestendo le protesta all’interno del campus, accusate di antisemitismo. Prima di lei, a dicembre 2023, altre tre presidenti di importanti università – MIT, Pennsylvania University e Harvard – erano state sottoposte alle medesime procedure, conclusesi con le dimissioni di due loro. Questo è già particolarmente eloquente circa le modalità, anche piuttosto plateali, in cui la politica americana è in grado di intromettersi nella gestione delle università americane. Bisogna poi considerare il ruolo, decisivo, dei finanziatori che, con la minaccia di ritirare i fondi, possono direzionare drasticamente la gestione delle università americane, specie quelle Ivy League. Con il trumpismo e l’acuirsi della frattura cultura e sociale che attraversa il paese, il tentativo delle destre americane di intromettersi nell’educazione pubblica è diventato sempre più minaccioso e riguarda tanto le università pubbliche quanto quelle private. In Florida, per esempio, il governatore De Santis già dall’anno scorso ha bloccato i programmi “DEI – Diversity, Equity, Inclusion” in tutte le università pubbliche in nome della battaglia alla “dittatura woke”, cancellando corsi vicini alle “identity politics” e “divisivi” o basati “sulle teorie del razzismo, del sessismo e dell’oppressione sistemici”. In modalità diverse, università pubbliche e private sono facilmente influenzabili dalla politica e da interessi ideologici ed economici e il clima è quello di un rinnovato maccartismo, spinto dalla destra ma sostenuto anche da una parte dei democratici. Oggi la destra americana sfrutta l’antisemitismo – da sempre galoppante nelle loro fila – per attaccare i movimenti di protesta e le minoranze. È fondamentale tenere a mente questa strumentalizzazione e trasformazione delle Università in campi di battaglia politica e culturale, in atto da ben prima delle proteste contro il genocidio a Gaza, per comprendere il clima di tensione e caccia alle streghe che si vive oggi.
Minouche Shafik ha dimostrato di aver appreso la lezione inferta alle altre rettrici, chiarendo la sua netta condanna all’“antisemitismo” e destreggiandosi bene tra le domande, compresa quella del deputato repubblicano Rick Allen il quale, ricordando il passo della Genesi che afferma che chiunque maledica il popolo ebraico sarà a sua volta maledetto da Dio, le chiede: “Do you want Columbia University to be cursed by God?” “Definitely not”, la laconica risposta. La Presidente aveva già avuto modo di provare il suo posizionamento, fondando, alcuni giorni dopo l’attacco del 7 ottobre, una taskforce sull’antisemitismo all’interno dell’università, che tuttavia non dava una chiara definizione del concetto e lo faceva di fatto corrispondere a qualsiasi tipo di critica verso il sionismo e lo stato di Israele. Nello stesso periodo, ha anche modificato regole dell’università sulla gestione delle proteste, scavalcando il Senato accademico, e concentrando sull’amministrazione il potere di intervenire a propria discrezione. Poco dopo, Shafik ha fatto chiudere le due associazioni che più si stavano impegnando nel campus in supporto della causa palestinese, Students for Justice in Palestine e Jewish Voices for Peace, con l’accusa di violare le regole sulle proteste e di antisemitismo, impedendo così anche alcuni incontri di discussione sul tema all’interno dell’Università. Conseguentemente, gli attivisti hanno dato vita al Columbia University Aparthaid Divest, una rivitalizzazione del collettivo istituito contro l’aparthaid sudafricana. Il 3 aprile, sono stati sospesi tre studenti per aver deciso di non collaborare con le indagini dell’università. Il 10 aprile compare sul Columbia Spectator, giornale dell’università, una lettera di alcuni professori ebrei che denunciavano l’uso strumentale dell’antisemitismo e la narrazione distorta di quanto stava avvenendo all’interno del campus. Il clima, fuori e all’interno di Columbia, era quindi comprensibilmente molto teso già prima delle occupazioni.
Lo stesso giorno in cui Shafik si presentava alla Camera, veniva occupato l’east lawn, il prato est di fronte alla Butler Library, la biblioteca centrale di Columbia, con una trentina o quarantina di tende. Gli occupanti chiedevano trasparenza finanziaria degli investimenti dell’Università e la cessazione degli accordi di investimento verso e da Israele e l’amnistia verso gli studenti sospesi. Il giorno dopo, con un gesto ostentato e arrogante, per dar prova del pugno di ferro annunciato il giorno prima, Shafik ha risposto militarmente, acconsentendo all’entrata della polizia all’interno del campus che avrebbe portato allo sgombero coatto dell’accampamento e all’arresto di più di 100 persone e alla loro sospensione dal campus. Gli studenti sospesi sono stati privati dell’accesso ai buoni pasto e alle cure mediche e sfrattati dalle loro abitazioni. Gli studenti non americani che hanno solo un visto temporaneo sono quelli che rischiano più di tutti, per loro la minaccia più grande è l’espulsione dal paese. Nel frattempo, un buon numero di solidali si radunava intorno al prato picchettandolo per difenderlo dall’imminente sgombero. Le immagini delle decine e decine di poliziotti che trascinano via gli studenti e distruggono le tende sono state tristi e penose – sembrava il peggio a cui si potesse pensare, invece non erano nulla a confronto di quelle del 30 aprile. Fin da subito l’arrivo della polizia ha scatenato la rabbia degli studenti venuti in supporto, ormai parecchie centinaia, al punto che alcuni di loro, senza pianificazione, hanno deciso di saltare la piccola siepe che circonda il prato ovest, occupandolo mentre lo sgombero dell’altro era ancora in corso e dando così vita al secondo accampamento, che il giorno dopo sarebbe stato ben più grande e organizzato del primo. Anche buona parte del corpo docente si è espressa contro la scelta della Presidente, e molti professori hanno manifestato sulle gradinate sotto la statua della Minerva con in mano cartelli con la scritta “Hands off our students”, “giù le mani dai nostri studenti”. Nei giorni seguenti, molti di loro hanno dato supporto all’accampamento, pattugliando il perimetro e assicurandosi che non entrassero provocatori o infiltrati. Moltissime sono state anche le lettere di condanna a Shafik: ho trovato significativa la lettera scritta dai professori “untenured”, ovvero senza contratto determinato perché molti dei firmatari hanno aderito in modo anonimo: per timore di rappresaglie da parte dell’amministrazione, indicano solo il grado accademico e il dipartimento.
È nato così l’accampamento di Columbia, il primo di moltissimi altri che sarebbero sorti in giro per gli Stati Uniti. I 14 giorni di accampamento resteranno nella Storia e saranno un ricordo prezioso nella memoria collettiva di chi vi ha partecipato. Centinaia di studenti lo hanno attraversato tra dibattiti, incontri e momenti di festa. A ogni ora era possibile trovare da mangiare, grazie alle provviste fornite dagli studenti ma anche dagli abitanti e dai negozi del quartiere. Una delle tende era diventata la biblioteca dell’accampamento, un’altra dava assistenza sanitaria e psicologica. I professori tenevano lezioni e discussioni. L’aria che si respirava era di grande entusiasmo, desiderio e combattività, in netto contrasto con l’aura austera ed elitaria che aleggia spesso intorno ai grandi college americani. Uno degli aspetti più interessanti da sollevare è quello della composizione sociale e culturale di chi protesta dentro e fuori dai campus. La maggior parte, e soprattutto coloro che più si sono esposti, fanno parte di minoranze black, brown e queer, nonché arabe e musulmane, che già da tempo negli USA come altrove sono diventati i nuovi protagonisti delle lotte sociali. Ovviamente, Columbia fa i conti con il suo essere una scuola di élite e la differenza di classe è talvolta percepibile, tuttavia la stessa composizione è riscontrabile anche negli altri college dove la protesta è esplosa e anche al di fuori delle università. Va però anche sottolineato che molti ricevono borse di studio mentre per altri le famiglie sono disposte a indebitarsi perché i figli abbiano accesso all’istruzione di alto livello che è l’unica forma di ascensore sociale negli USA. Questa differenza è ben percepibile quando si osservano le contro-proteste dei sostenitori di Israele, generalmente bianche e spesso piene di fondamentalisti cristiani e gruppi neofascisti, spesso molto violenti. Un altro aspetto da notare è l’ampissima partecipazione di studenti ebrei, fin da subito in prima fila nelle proteste. Come dicevo, a Columbia, una delle associazioni che più si è esposta è stata Jewish Voices for peace, chiusa a novembre. E molti studenti ebrei sono stati sospesi, amara ironia, con l’accusa di antisemitismo. Nei giorni di Pesach, nell’accampamento gli studenti ebrei hanno festeggiato il Seder insieme agli altri manifestanti mentre a New York si teneva una grossa manifestazione di soli ebrei contro il genocidio. Grande supporto è stato espresso anche dagli ebrei ultraortodossi Neturei Karta, che si oppongono allo stato di Israele e hanno manifestato fuori dal campus in sostegno all’occupazione.
Nel frattempo, le occupazioni si diffondevano prima a New York e dintorni – NYU, Yale, CUNI ecc. – e poi in tutti gli Stati Uniti, da una costa all’altra, spesso represse con la stessa logica violenta e securitaria da parte delle amministrazioni. La polizia ha spezzato il cordone di professori che difendeva gli studenti accampati a NYU, arrestandone alcuni. Particolarmente forti sono state le immagini arrivate dalla Emory University di Atlanta, dove la polizia ha brutalmente picchiato studenti, soprattutto neri, e professori. Lì la tensione è particolarmente alta a causa dell’opposizione da parte di attivisti/e e cittadine/i all’Atlanta Public Safety Training Center, meglio nota come Cop City, un enorme campo di addestramento della polizia in costruzione in una foresta fuori città. Un giovane attivista è stato ucciso l’anno scorso dalla polizia durante degli scontri.
La scelta di campo dell’amministrazione di Columbia, caduta completamente nella trappola della destra repubblicana, è stata tanto chiara da aver permesso allo speaker repubblicano Mike Johnson di tenere un comizio sui gradini centrali sotto la Low Memorial Library, di fronte all’accampamento, accusando gli attivisti di antisemitismo e invocando l’invio della Guardia Nazionale. Lo stesso giorno, nonostante già alcuni giorni prima dell’inizio dell’accampamento l’accesso al campus fosse stato ristretto solo a chi era dotato di identificativo della Columbia, a provocare gli studenti c’era anche Gavin McInnes, fondatore dei Proud Boys, organizzazione neofascista militante vicina all’ex presidente Donald Trump. È interessante poi notare che dietro la gestione eufemisticamente intransigente della protesta a Columbia c’è, tra gli altri, Cas Halloway, nominato “chief operating officer” a gennaio 2024 per gestire la “tensione” nel campus. Cas Halloway è stato deputy mayor durante l’amministrazione Bloomberg della città nel 2011 e responsabile della repressione delle proteste di Zuccotti Park durante Occupy Wall Street. Mentre alcune università, come University of Minnesota e Brown, hanno effettivamente accettato di intavolare una seria negoziazione, accettando per esempio di rendere pubblici gli investimenti e, nel caso della Brown, di mettere ai voti la proposta di disinvestimento, alla Columbia il tavolo di trattative non ha portato a nulla. Il 29 aprile, dopo più di dieci giorni di accampamento, la rettrice ha dichiarato concluse, con un nulla di fatto, le negoziazioni intraprese con gli studenti in protesta e ha annunciato l’ultimatum delle 2 del pomeriggio per abbandonare l’accampamento. A quel punto è stato distribuito da parte delle autorità universitarie un modulo che gli/le occupanti sarebbero stati tenuti a firmare, autodenunciandosi, per evitare la sospensione. I cestini del campus si sono improvvisamente riempiti di carta stracciata mentre sopraggiungevano altri studenti e le studentesse a difendere l’accampamento.
In almeno un migliaio si sono radunati e hanno marciato intorno all’area centrale del Campus di Columbia in sostegno agli occupanti. Questi non si sono consegnati e alle 10 di sera l’amministrazione ha annunciato i procedimenti di sospensione. A mezzanotte e mezza circa, i manifestanti hanno occupato uno degli edifici della Columbia, Hamilton Hall, rinominato “Hind’s Hall”, in onore a Hind Rajab, bambina di 5 anni uccisa dall’esercito israeliano. La scelta dell’edificio non è casuale: quello stesso edificio fu occupato e sgomberato durante le storiche proteste di Columbia contro la guerra in Vietnam e contro il razzismo, che fecero scoppiare il ‘68 americano.
La linea dura di Shafik, sebbene sia il tentativo, goffo e sgraziato, di mantenersi al proprio posto, ha anche avuto un effetto positivo. Come mi ha fatto notare Elizabeth Povinelli, Franz Boas Professor di Antropologia e Studi di Genere e fra coloro che si sono attivati in sostegno degli studenti, non solo la rettrice ha compattato studenti e professori, compresi quelli più restii a esporsi, ma ha fatto esplodere un movimento nazionale e internazionale riunito intorno a un nuovo simbolo, quello di una tenda. Simbolo che, con l’invio della polizia e lo sgombero, lei stessa ha contribuito a creare. Mentre, infatti, gli accampamenti vengono sgomberati negli Stati Uniti, tanti altri si diffondono in Canada, Spagna, Francia, Inghilterra… Inoltre, richiamandosi alla storica occupazione di Columbia del’68, gli studenti hanno ritessuto un filo che li lega alle lotte passate, dandogli forza, e contribuito a sentirsi figli e parte di un immaginario e di una storia collettiva. Per quanto dolorose siano state le immagini dello sgombero e di quelli che stanno avvenendo via via anche negli altri campus, sono giornate che passeranno alla Storia, repressione o meno, e uno spartiacque si è creato, qui, come anche nel resto del mondo. È presto per dire cosa avverrà dopo questa ondata repressiva ma sicuramente qualcosa è cambiato nella società americana contribuendo a definire sempre più chiaramente i termini dello scontro politico culturale e sociale degli ultimi anni, come già aveva fatto Black Lives Metter, tra una destra che ha gettato via la maschera e mostrato il suo volto sempre più conservatore, suprematista e razzista e il movimento variegato delle diverse minoranze che compongono il paese e che hanno trovato nella lotta contro il genocidio a Gaza un punto di unione e identificazione.
Da - https://www.sinistrainrete.info/politica/28074-gioacchino-orsenigo-i-tredici-giorni-di-columbia-breve-storia-del-nuovo-68-americano-dalle-tende-a-hind-s-halldi.html
5  Forum Pubblico / ESTERO dopo il 19 agosto 2022. MONDO DIVISO IN OCCIDENTE, ORIENTE E ALTRE REALTA'. / L’ambigua influenza della Cina sull’energia latino-americana. inserito:: Maggio 14, 2024, 12:14:10 pm

Lontano dagli occhi (di Washington) L’ambigua influenza della Cina sull’energia latino-americana
Marco Dell’Aguzzo

Pechino domina il mercato sudamericano di pannelli solari, veicoli elettrici e batterie: in due anni le esportazioni cinesi sono quasi raddoppiate di valore. Un fenomeno che Joe Biden, dalla Casa Bianca, sta osservando con grande inquietudine
Un impianto industriale che produce carbonato di litio per la fabbricazione di batterie, in Bolivia (AP Photo/LaPresse, ph. Juan Karita)

Qualche settimana fa Reuters ha raccontato come l’amministrazione di Joe Biden abbia pressato il governo messicano affinché non offrisse agevolazioni alle case automobilistiche cinesi interessate ad aprire degli stabilimenti nel Paese. La notizia non stava tanto nel successo di quelle sollecitazioni – del resto il Messico è economicamente dipendente dagli Stati Uniti –, quanto nelle paure che avevano portato Washington a intervenire negli affari del vicino: la Casa Bianca, cioè, temeva che la Cina si mettesse ad assemblare in Messico veicoli elettrici da esportare in territorio statunitense, approfittando del libero scambio. Uno scenario del genere avrebbe rappresentato un rischio politico per Biden, che ha dedicato la sua presidenza alla reindustrializzazione green degli Stati Uniti proprio per contrastare la concorrenza cinese, disincentivandola e tenendola lontana.
Se gli occhi e le parole degli Stati Uniti sono forti in Messico, Paese nordamericano ma anche punto d’inizio dell’America Latina, nel resto del continente lo sguardo e la voce della Casa Bianca fanno più fatica ad arrivare. E dato che la competizione con la Cina riguarda anche le tecnologie pulite, tra i politici e gli analisti a Washington si guarda con una certa preoccupazione alla presenza fortissima di Pechino nei mercati sudamericani delle clean tech e dell’energia a emissioni zero. Dal 2021 al 2023 le esportazioni cinesi di pannelli solari, batterie al litio e veicoli elettrici in America Latina sono quasi raddoppiate di valore, superando i nove miliardi di dollari. L’inquietudine statunitense è amplificata dal fatto che la Cina investe parecchio sia nel settore delle materie prime (i maggiori depositi al mondo di litio si trovano tra Cile, Argentina e Bolivia), sia in quello della trasmissione di elettricità.
Il think tank Atlantic Council ha scritto che «l’influenza cinese sull’energia latinoamericana è grande, impattante, ambigua e potenzialmente rischiosa in determinati contesti». Ma qual è, esattamente, il rischio di utilizzare un pannello fotovoltaico o un’auto elettrica cinesi? Gli Stati Uniti pensano che queste automobili potrebbero raccogliere dati sensibili sugli spostamenti delle persone o sulle strutture militari; mentre gli inverter dei pannelli solari (dispositivi che convertono la corrente prima dell’immissione in rete) potrebbero contenere delle backdoor per l’accesso e la disattivazione da remoto. È difficile valutare quanto siano fondati questi timori, ai quali comunque si aggiunge – secondo Washington – un rischio di natura politica: la Cina potrebbe sfruttare la sua dominanza economica per ottenere concessioni di varia natura dai governi sudamericani, dalle condizioni commerciali favorevoli al sostegno nelle sedi internazionali sulle dispute territoriali.
L’Economist ha riassunto bene la situazione. Nel 2023 il novantanove per cento dei pannelli solari e il settanta per cento dei veicoli elettrici importati dai Paesi latinoamericani erano stati prodotti in Cina.
Oltre il novanta per cento delle batterie introdotte sul mercato sudamericano era cinese. Ci sono più autobus cinesi a Santiago, in Cile, che in qualsiasi altra città al di fuori della Cina. È un bene o un male? Da un lato, infatti, i dispositivi cinesi sono economici e possono ridurre i costi della decarbonizzazione, permettendo al Sudamerica di sfruttare il suo potenziale rinnovabile e ridurre gli acquisti di combustibili fossili dall’estero. Dall’altro lato, l’affidamento eccessivo alle importazioni dalla Cina, oltre ai rischi già visti, potrebbe impedire alla regione di ritagliarsi degli spazi nella filiera delle clean tech.
Ma in alcuni settori, come quello dell’assemblaggio di automobili e dell’estrazione di minerali critici, le società cinesi stanno investendo direttamente. BYD Auto, per esempio, sta costruendo uno stabilimento in Brasile che sarà il più grande al di fuori dell’Asia – con una capacità iniziale di centocinquantamila veicoli l’anno –, scommettendo sull’elettrificazione della mobilità in un mercato vasto ma ancora poco sviluppato. Attraverso MMG Limited, la Cina controlla la miniera di Las Bambas in Perù, che vale da sola il due per cento dell’offerta globale di rame. Tianqi e Ganfeng operano in Cile e in Argentina, rispettivamente al secondo e al quarto posto nella classifica dei Paesi produttori di litio. Il colosso CATL spenderà 1,4 miliardi di dollari nell’estrazione del litio in Bolivia.
Nella supply chain delle batterie, però, il vero valore aggiunto non si trova nella fase di prelievo delle materie grezze ma in quella di lavorazione: per questo è stata notevole – e infatti la annunciò il presidente Gabriel Boric in persona – la decisione di Tsingshan di investire duecentotrentatré milioni nella produzione di composti per le batterie al litio-ferro-fosfato in Cile. In Argentina, Zijin ha in programma un impianto di carbonato di litio dal valore di trecentottanta milioni.
Oltre alle miniere, che le permettono di proiettare influenza sui mercati globali delle commodities, la Cina in Sudamerica è parecchio inserita in un altro settore sensibile: quello della trasmissione dell’energia elettrica.
Ad esempio, il gruppo statale State Grid ha acquisito due dei principali distributori di elettricità in Cile e adesso controlla la metà del mercato nel paese; in Perù, similmente, dopo una serie di acquisizioni di aziende locali, le società statali cinesi dominano nella distribuzione di elettricità a Lima. Il rischio sistemico in questo caso è molto alto perché si tratta di infrastrutture critiche che consegnano a Pechino il potere di sospendere il flusso degli elettroni; rischio che cresce ulteriormente se le compagnie cinesi hanno il controllo anche sugli impianti di generazione.
La presenza della Cina nel settore eolico sudamericano è invece significativa ma non assoluta come nel caso del fotovoltaico. Pechino potrebbe anche inserirsi nel comparto della produzione e del trasporto marittimo di idrogeno verde – magari in forma di ammoniaca, come si sta pensando di fare a Punta Arenas, all’estremità meridionale del Cile –, ma si tratta di una filiera ancora tutta da sviluppare.

da - https://www.linkiesta.it/2024/05/cina-batterie-auto-elettriche-materie-prime-america-latina/
6  Forum Pubblico / ESTERO dopo il 19 agosto 2022. MONDO DIVISO IN OCCIDENTE, ORIENTE E ALTRE REALTA'. / L’imperialismo russo stringe le maglie, ma il mondo libero pensa ad altro, ... inserito:: Maggio 14, 2024, 12:00:02 am
Il sonno dell’Europa La Georgia, l’Ucraina e la fuga degli intellettuali

Quello che succede oggi a Tbilisi è la replica di quanto successo dieci anni fa nella piazza principale, Maidan, di Kyjiv. L’imperialismo russo stringe le maglie, ma il mondo libero pensa ad altro, e i giornali tacciono

Le straordinarie immagini della folla pacifica ed europea di Tbilisi, in Georgia, incredibilmente ignorate dalle televisioni e dai grandi giornali, sono la prova drammatica dell’ennesimo svarione morale che l’Europa e il mondo libero continuano a commettere, non riuscendo mai a imparare dal recente e tragico passato.
L’errore ricorrente è quello di trascurare il desiderio vitale dei popoli delle ex repubbliche sovietiche e dei paesi del defunto Patto di Varsavia di liberarsi dal giogo imperialista di Mosca, e di avvicinarsi ai valori europei fondati sulla democrazia liberale e sullo stato di diritto. Eppure questa che scende in piazza Tbilisi e resiste a Kyjiv è l’Europa in purezza, la definizione esatta di Occidente libero. Sarebbe sufficiente leggere i classici della letteratura ucraina, almeno quella sopravvissuta al genocidio culturale operato dai russi, dal cantico di Lesja Ukrajnka alle riflessioni del filosofo di Volodymyr Yermolenko, all’opera di Victoria Amelina. E sul perché i georgiani vogliono liberarsi dai russi basterebbe leggere la formidabile saga storica sul secolo rosso raccontata dalla scrittrice Nino Haratischwili in L’Ottava vita, un romanzo di oltre 1200 pagine edito da Marsilio.
E invece niente, il silenzio, anzi la fuga degli intellettuali dalla battaglia di idee più importante della nostra epoca. Neanche il precedente dell’invasione dell’Ucraina ha destato le coscienze europee.
Quello che sta succedendo oggi in Georgia è la replica, per il momento ancora senza vittime, ma temo ancora per poco, di quanto successo tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014 nella piazza principale, Maidan, di Kyjiv. Allora gli ucraini scesero in piazza, sventolando le bandiere europee, per protestare contro il presidente Yanukovych, un fantoccio del Cremlino, che aveva rinunciato a firmare, su ordine di Mosca, gli Accordi di associazione dell’Ucraina con l’Unione europea.
Oggi, a Tbilisi, i georgiani riempiono le strade della capitale per protestare contro la cosiddetta “legge russa” imposta dal partito di governo, il cui nome orwelliano è “Sogno georgiano” mentre quello reale è “Incubo russo”, che reprimerà il dissenso interno e limiterà il raggio d’azione dell’opposizione. Putin ha ordinato il passaggio di questa legge non solo per reprimere la libertà di espressione, ma soprattutto perché sa benissimo che, adottando questa legge liberticida, la Georgia non potrà entrare in Europa, per ragioni evidenti di violazione dei diritti politici in una società democratica, da qui le proteste della popolazione civile che da settimane riempie le piazze della capitale senza riuscire a fare notizia in un’Europa che non vuole parlare di altri potenziali conflitti a un mese dal rinnovo del Parlamento europeo.
A Maidan, gli ucraini riuscirono a far dimettere il presidente fantoccio di Putin, al costo di decine e decine di vittime civili, e il Cremlino rispose occupando illegalmente la Crimea e due regioni dell’est ucraino nell’indifferenza generale del mondo libero, che poi otto anni dopo, il 24 febbraio 2022, si è stupito che la concessione territoriale alla Russia non avesse saziato gli appetiti imperialisti di Mosca.
Che tutto ciò non sia sulle prime pagine dei giornali né argomento principale della campagna elettorale europea è incredibile, ma c’è un’altra questione che su Linkiesta, da soli, abbiamo più volte sottolineato: l’assoluta apatia della popolazione russa, l’assenza di una collera di massa dei cittadini russi, limitatasi a cinque minuti di proteste contro la guerra e a mezza giornata di omaggio alla salma di Navalny.
E non raccontiamoci che fare opposizione in Russia è pericoloso, intanto perché le proteste russe non si vedono nemmeno tra la diaspora russa in Occidente (con eccezioni che si contano sulle dita di una mano, come la “russa libera” Maria Mikaelyan, che però è di origine armena, oggi candidata alle Europee con Renzi e Bonino nel nord-ovest).
Il governo georgiano non è così repressivo come quello russo, d’accordo, ma solo perché i georgiani sono sempre scesi in piazza a difendere la libertà e non hanno permesso a nessun governo di trasformarsi in quello che oggi è il Cremlino, esattamente come è successo in Ucraina con le proteste civili di Maidan. Al contrario, la passività russa ha permesso a Putin di diventare un dittatore sanguinario.
Andate a raccontare ai resistenti ucraini il pericolo che si corre a opporsi alla violenza russa, o ai commoventi georgiani che coraggiosamente sfilano per le vie di Tbilisi.

Da – l’Inchiesta

7  Forum Pubblico / NOI VECCHI, MAESTRI DI SERENITA'! / Sinestesie letterarie - Roberto Daprà inserito:: Maggio 13, 2024, 11:56:45 pm
Sinestesie letterarie  ·

Roberto Daprà  · sonSpdeorta9a1 ra298u rmte:4410l05m91zt7g2h8m7lha o81o a4afe  ·

“Un tempo sarebbe stato facile amarmi. Ero dolce. Credevo nelle promesse, nelle parole. Giustificavo tutto, anche il male che sentivo e non ammettevo. Mi prendevo la colpa, anche se non la capivo. Pur di non perdere chi amavo, sopportavo ogni mancanza, anche quando mancavo io e non sapevo più ritrovarmi. Abbracciavo senza chiedere nulla in cambio. Ero indifesa. Da proteggere. Da distruggere. Oggi è difficile amarmi, restarmi accanto. Rispettare i miei spazi, comprendere i miei silenzi, la mia indipendenza, il mio bisogno di vivere e di costruire usando solo le mie forze. Io che del mio equilibrio cercato, sofferto e trovato ne faccio un vanto da gridare al presente ogni giorno. Io che credo nell’Amore molto più di ieri. Amore che non ha nulla a che fare con le briciole, con l’arroganza, con l’assenza, con l’infedeltà. Oggi è difficile amare la donna che sono diventata. Dopo i sogni sfumati, le ali spezzate, le labbra spaccate. Sicura delle mani da stringere che vorrei e degli occhi che non vorrò più incrociare. È difficile. Forse è impossibile. Sicuramente è raro incontrare un’anima che ci ami oltre noi stessi, dove fingiamo di essere forti mentre imploriamo gli abbracci di chi possa amarci sapendoci fragili e imperfetti. Io dell’amore non so molto, forse. Non posso insegnarlo. Ma so che ha a che fare con il rispetto. E con le scelte che non s’impongono, ma si costruiscono. Insieme. Quando si diventa l’unica scelta e mai un’opzione tra tante. Alla persona che sono stata devo tanto, soprattutto scuse. Alla persona che sono, un promemoria: ricordati delle tue ali, ricordati di te.”

Gabriel Garcià Marquéz
 da “L’amore ai tempi del colera”
ph web

DA FB 8 APRILE 2024
8  Forum Pubblico / SOCIALESIMO. STUDIO PREPARATORIO ALLA DEMOCRAZIA, OCCIDENTALE, EUROPEA e MEDITERRANEA. / LIBERI OLTRE incoraggia e favorisce la costituzione di gruppi locali inserito:: Maggio 13, 2024, 04:53:16 pm
Liberi Oltre incoraggia e favorisce la costituzione di gruppi locali (capitoli) al fine di diffondere i principi dell’associazione, di sviluppare il dibattito intellettuale, di promuovere il metodo scientifico e tutti gli altri scopi sanciti dallo Statuto.

REGOLAMENTO DEI CAPITOLI
     I capitoli sono organizzati su base spontanea per iniziativa di uno o più iscritti all’Associazione e la partecipazione agli incontri organizzati è libera a tutti. Possono essere creati su base regionale, provinciale o cittadina. È consentita, oltre che raccomandata, la creazione di capitoli su base interzonale
    Perché un capitolo possa essere riconosciuto è previsto che
    i) Sia composto da almeno dieci iscritti a LO
    ii) Si doti dello statuto rilasciato dall’Associazione; eventuali modifiche devono essere approvate da direttivo
    iii) Indichi un referente locale
    iv) Il referente locale indicato dal Capitolo deve essere comunicato ed approvato dal Consiglio Direttivo dell’Associazione
    v) Rinnovi le cariche con cadenza almeno pari a quella prevista per gli organi direttivi di LO
     Il Capitolo può utilizzare per la comunicazione con gli iscritti e i simpatizzanti qualunque piattaforma social; tuttavia, la raccomandazione è quella di uniformarsi alle prassi seguite dai capitolo principali per numero di iscritti e dai canali ufficiali utilizzati dall’associazione (es. Telegram)
     Il Capitolo può organizzare eventi locali, dibattiti culturali, incontri sia formali che informali. Per gli incontri formali è raccomandato che riporti le decisioni al Direttivo dell’Associazione in modo che si possa, qualora ce ne siano le possibilità, coinvolgere esponenti del direttivo stesso o esperti individuati di comune accordo
     È consentita la raccolta di fondi. I fondi raccolti per mezzo di eventi vanno versati su un conto corrente e devono essere rendicontati al tesoriere dell’Associazione. Non è consentita la raccolta di contanti né attività di commerciale. In caso di organizzazione di eventi dove è prevista la raccolta di fondi e donazioni, il capitolo è tenuto ad informare il direttivo e a versare quanto raccolto in un conto corrente
     Su richiesta del referente, il Capitolo può far ospitare sulla newsletter di LO e sul sito la pubblicità dell’evento organizzato.
     È fatto divieto di utilizzare il marchio Liberi Oltre se non sono rispettati i punti 2. e 5. L’utilizzo del marchio può essere revocato con decisione del direttivo presa a maggioranza semplice dei componenti qualora il capitolo metta in atto comportamenti non conformi ai principi elencati nello statuto, qualora intenda partecipare a competizioni politiche, qualora determini un danno reputazionale per l’associazione
     La partecipazione agli eventi in qualità di ospiti di politici locali e nazionali va concordata con il Direttivo dell’associazione. Il Direttivo è obbligato ad esprimere un parere motivato in caso di diniego dell’autorizzazione
     
    I referenti locali eletti o nominati possono far richiesta di partecipazione alle riunioni di direttivo se all’ordine del giorno c’è la discussione sulle iniziative intraprese dal capitolo, o possono chiedere al presidente dell’associazione la convocazione di un consiglio direttivo straordinario per questioni che riguardino il Capitolo stesso
   Il referente del capitolo può chiedere che venga fornito l’elenco degli iscritti alla regione o alla zona per cui è competente. Può altresì organizzare la comunicazione agli iscritti della relativa zona dandone preavviso al Direttivo o all’organo da questi designato e può fare inviti all’iscrizione e alla partecipazione al capitolo di zona. Non è consentita l’iscrizione al capitolo di zona a titolo oneroso.
    È fatto divieto al referente locale di presentarsi a cariche elettive politiche; qualora intenda candidarsi a cariche politiche decade dalla carica di referente e il capitolo elegge o nomina un nuovo referente

GRUPPI TELEGRAM GIA’ COSTITUITI
Liberi Oltre - Canale Ufficiale   Liberi Oltre (link gruppi)
Liberi Oltre - Estero   Liberi Oltre - Piemonte
Liberi Oltre - Lazio   Liberi Oltre - Bergamo
Liberi Oltre - Campania   Liberi Oltre - Abruzzo
Liberi Oltre - Basilicata   Liberi Oltre - Puglia
Liberi Oltre - Emilia Romagna   Liberi Oltre - Calabria
Liberi Oltre - Friuli Venezia Giulia   Liberi Oltre - Liguria
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Liberi Oltre - Umbria   Liberi Oltre - Valle d’Aosta
Liberi Oltre - Marche   Liberi Oltre - Molise

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da - https://www.liberioltreleillusioni.it/chi-siamo/gruppi-locali
9  Forum Pubblico / NOI VECCHI, MAESTRI DI SERENITA'! / Opinióne pùbblica Giudizio e modo di pensare collettivo della maggioranza dei... inserito:: Maggio 13, 2024, 04:45:18 pm
Opinióne pùbblica  Enciclopedia on line

Opinióne pùbblica Giudizio e modo di pensare collettivo della maggioranza dei cittadini, o anche questa maggioranza stessa. Il concetto di opinione pubblica, intesa anche come sistema di credenze sulla cosa pubblica, nasce con l'idea moderna di democrazia rappresentativa, definita da J. Locke come governo dell'opinione. L'opinione pubblica è tale non solo perché del pubblico (diffusa fra i molti o fra i più), ma anche perché tendenzialmente indirizzata al pubblico: in quanto, cioè, costituisce un’intelaiatura di valori, un sistema di credenze sulla cosa pubblica. A partire dall’inizio del Novecento fiorì tutta una serie di studi sui rapporti fra opinone pubblica e società di massa in campo specialmente sociologico e psicologico (G. Le Bon, G. Tarde, F. Tonnies, C.H. Cooley, W. Lipmann), che diedero impulso a una grande varietà di ricerche empiriche e di programmi applicativi basati sulle tecniche della propaganda, del sondaggio e del marketing, intese ad analizzare o a manipolare gli stati dell’opinone pubblica nelle diverse arene, economiche o politiche, in cui si manifestano. Con lo sviluppo degli strumenti di comunicazione di massa, il problema dell’opinone pubblica diventa essenzialmente quello di capire le modalità (critiche o passive, cognitive o emotive) attraverso cui i diversi ‘pubblici specializzati’ interagiscono con i flussi d’informazione, nonché gli esiti di questa interazione sulla struttura della società.

Approfondimento di Luciana Giacheri Fossati
Il concetto di opinione pubblica può essere utilizzato sia per indicare l'insieme delle idee che un determinato agglomerato umano (città, nazione, gruppo di nazioni) ritiene giusto e vero in un determinato momento, sia l'insieme delle persone che costituiscono la collettività che giudica, in base ai riferimenti culturali, sociali, religiosi ed economici, i fatti che accadono. Si tratta di un'espressione che si riferisce, dunque, a un concetto complesso e ambivalente che, a seconda dei contesti, può variare e assumere significato e senso diverso.

LA FORMAZIONE DEL CONCETTO
Il concetto di opinione pubblica cominciò a prendere forma in Europa in seguito alla crisi dei regimi assoluti e alla formazione dei moderni Stati nazionali (tra il 17° e il 18° sec.), dotati di strutture centralizzate, di solidi apparati burocratici, amministrativi e militari. La formazione dell'opinione pubblica è infatti strettamente collegata all'organizzazione di una società moderna, complessa e articolata nella quale gli individui possano esprimere, in quanto collettività, giudizi sia sulla politica del governo che su tutti gli altri temi culturali, religiosi e sociali. Il processo si è sviluppato nel tempo in seguito alle profonde trasformazioni economiche e sociali, all'aumento dell'alfabetizzazione, alla formazione di circoli politici e culturali e alla diffusione della stampa, con modalità e tempi diversi nei vari paesi. Con l'affermazione della borghesia, all'inizio del Settecento, si era aperto un dibattito teorico sui limiti dei poteri dello Stato e sui diritti degli individui. Il tema del rapporto tra sfera pubblica e privata, con tutte le sue implicazioni come il nodo del rapporto tra morale e politica, comincia da quel momento ad assumere un ruolo centrale. Una delle prime riflessioni risale al filosofo inglese J. Locke che, nel Saggio sulla intelligenza umana, attribuì all'opinione pubblica una funzione di controllo nella società, stabilendo una distinzione precisa tra la legge morale, espressa appunto dall'opinione pubblica, e la legge civile, emanazione del potere politico, distinzione poi ripresa da I. Kant, che pose l'accento sull'"uso pubblico della ragione in tutti i campi". Si cominciava ad affermare l'importanza della 'pubblicità', cioè del coinvolgimento politico e della funzione di controllo dei cittadini nei confronti del potere costituito. Questo tema fu poi ripreso e approfondito nei primi decenni dell'Ottocento dalle correnti liberali inglese e francese, con i filosofi E. Burke, J. Bentham, B. Constant e F.-P.-G. Guizot attenti a sottolineare il rapporto tra opinione pubblica e potere costituito, tra informazione e libertà di stampa. Nella seconda metà dell'Ottocento il pensiero liberale cominciò a evidenziare come l'opinione pubblica, conseguenza dello sviluppo dello Stato democratico, potesse avere anche risvolti negativi. Già studiosi, come A. de Tocqueville nella Democrazia in America o J.S. Mill nel saggio Sulla libertà, avevano notato come l'opinione pubblica potesse condizionare il grado di autonomia degli individui.

 L'EVOLUZIONE NEL NOVECENTO
Nel corso del Novecento il concetto di opinione pubblica si è evoluto e modificato in rapporto alle trasformazioni economiche e politiche, ai conflitti bellici che hanno coinvolto tutti i paesi imponendo la partecipazione delle masse, nonché all'influenza sempre più organica e massiccia dei mezzi di comunicazione sulla società. Nel 1922 il sociologo americano W. Lippmann pubblicò il saggio L'opinione pubblica, in cui esaminava il rapporto stabilitosi nelle società avanzate tra un pubblico diventato sempre più diversificato e i mezzi di comunicazione. A questo proposito egli osservava che necessariamente "ciò che l'individuo fa si fonda non su una conoscenza diretta e certa, ma su immagini che egli forma o che gli vengono date". I mezzi di comunicazione - all'epoca soprattutto i giornali - potevano svolgere un ruolo preponderante nella formazione ma anche nella manipolazione della collettività. Emergeva qui chiaramente la consapevolezza del ruolo preminente che i mezzi di comunicazione, in quanto emanazioni di forze economiche, politiche, religiose ecc., erano in grado di esercitare all'interno della società di massa.
Lo studio pionieristico di Lippmann fu poi ripreso negli anni Sessanta, in un contesto fortemente caratterizzato dalla concorrenza sempre più dinamica tra i mezzi di comunicazione, dal filosofo tedesco J. Habermas, esponente della scuola di Francoforte. Nella sua opera Storia e critica dell'opinione pubblica (1962), Habermas analizza la trasformazione della sfera pubblica, dal punto di vista dello Stato sociale e dei mutamenti delle strutture della comunicazione, sotto l'influenza dei media (stampa, radio, cinema e televisione). Secondo Habermas nelle società industriali avanzate il confine tra sfera pubblica e privata tende sempre più ad assottigliarsi, e l'opinione pubblica perde in misura crescente il suo valore democratico a causa della martellante influenza dei mezzi di comunicazione.

IL MONDO 'IN RETE'
La rivoluzione telematica all'inizio del 21° sec. ha impresso una svolta nel mondo della comunicazione e nel rapporto con il pubblico. Un processo complesso, non privo di forti squilibri e di contraddizioni, nel quale l'antagonismo sempre più frenetico tra i media va di pari passo con il formarsi continuo di canali paralleli e con la rapidità eccezionale dei mezzi informatici. Le analisi sul mondo giovanile, per es., evidenziano una disaffezione sempre più marcata nei confronti dell'informazione giornalistica ufficiale e una crescita esponenziale della ricerca individuale di aggiornamento in tempo 'reale' in ambiti diversificati. Internet può rappresentare un importante percorso alternativo nel mondo della comunicazione offrendo ai lettori nuove opportunità di controllo nei confronti dei media. In questa fase il richiamo all'opinione pubblica tende a essere utilizzato a fini più pratici e mirati, come nei sondaggi politici, sociali e pubblicitari.
10  Forum Pubblico / SOCIALESIMO Prolegomeni della DEMOCRAZIA prima del SOCIALISMO. 20/02/2022 / Si è sempre abituati a vedere marxismo, comunismo, socialismo da una parte... inserito:: Maggio 13, 2024, 04:38:26 pm

Centro Casa Severino - Associazione Studi Emanuele Severino
Si è sempre abituati a vedere marxismo, comunismo, socialismo da una parte e, dall’altra, il capitalismo.
Severino, però, sia ne “La tendenza fondamentale del nostro tempo”, che ne "Gli abitatori del tempo”, ma anche in altre opere come “Téchne. Le radici della violenza” (1979) dimostra come entrambe le parti non siano poi così diverse.
La contraddittorietà del marxismo non è solamente la sua incapacità di critica radicale al capitalismo, perché, in fondo, condividono gli stessi presupposti (entrambi sono espressioni del nichilismo occidentale), ma è anche il fatto che nasca in un orizzonte in cui viene meno la possibilità di un epistéme. Il marxismo si pone come scienza, e, in quanto tale, è ipotetico, ma, allo stesso tempo, pretende che la propria analisi della società sia vera, volendo porla, quindi, come una verità indiscutibile. L’oscillazione del marxismo tra sapere filosofico e sapere scientifico implica un’altra contraddizione: da un lato rifiuta qualsiasi immutabile o verità assoluta ma, al contempo, si edifica proprio su un immutabile, cioè l’esistenza della lotta tra capitale e proletariato. Se il terreno in cui cammina il marxismo è la caduta dell’idea di un sapere epistemico, questo comporta un ulteriore problema: se non si ha un punto fermo a cui far riferimento, come è possibile distinguere la verità dall’errore? Come può la filosofia giudicare la nostra società? E, soprattutto, la filosofia si deve porre necessariamente o dalla parte della borghesia o da quella del proletariato? Il marxismo è solo una delle forme del nichilismo occidentale, la fede che l’ente è niente, e che quindi appartiene a quello che Severino chiama “terra isolata", cioè la terra isolata dal destino della verità.
Ma non per questo la filosofia deve tacere, anzi, per Severino l’ultima parola spetta proprio alla filosofia stessa testimoniando il destino: la filosofia che, smascherando la follia del divenir altro e della volontà di potenza, indica quel contenuto (l’incontrovertibile destino della necessità) che, mantenendosi al di fuori della terra isolata, circondandola, si mantiene al di fuori della volontà di potenza e quindi anche dell’opposizione marxismo-capitalismo.

Da -  Fb del 30 aprile 2024
11  Forum Pubblico / ARLECCHINO EURISTICO, Nickname che "INVITA ALLA PARTECIPAZIONE", Attraverso gli Scritti. / note di dialogo da FB inserito:: Maggio 13, 2024, 04:07:55 pm
Ruth Eismann
Verissimo. Lo penso e ci rifletto da un po'. Non possiamo sentirci in colpa di tutto e per tutto, l' Europa si sta sentendo in colpa per ogni cosa. Non andiamo da nessuna parte
12  Forum Pubblico / O.P.O.N. - OPINIONE PUBBLICA ORGANIZZATA NAZIONALE. (Dopo 11 maggio 2024). / L'Opinione Pubblica é un universo di pensieri, di pareri, di opinioni campate... inserito:: Maggio 13, 2024, 03:58:06 pm
L'Opinione Pubblica é un universo di pensieri, di pareri, di opinioni campate per aria e altri troppo piantati, con i piedi per terra.
Confusione e Caos?


No, la realtà di una NON comunità di Diversi e Differenti che coabitano in apparente libertà e che chiamano Democrazia.

In questa realtà di Democrazia illusoria la Partitocrazia, figliastra degenere del rapporto tra Partiti e la cosiddetta Politica, ha fatto il brutto tempo in mille modi come faceva loro comodo.
Costosissima illusione, delusa, per gli Italiani.
Ho pensato ad un Progetto con radici antiche (l'Olivo Policonico e l'Opinione Pubblica Organizzata Nazionale OPON) che tracci un percorso decennale di sviluppo compatibile, e crei un contraltare allo Sfasciare l'esistente in questa Democrazia "bucherellata", prima minacciato da cominci ben sistemati e rivoluzionari in "scarp de tennis", adesso approvato dal Governo: il Premierato.
E se non ci svegliamo non é finita qui.
ciaooo

seguirà Seconda Parte.
OPON - OPINIONE PUBBLICA ORGANIZZATA NAZIONALE.
Perché? - - A chi giova?
13  Forum Pubblico / ARLECCHINO EURISTICO, Nickname che "INVITA ALLA PARTECIPAZIONE", Attraverso gli Scritti. / Ognuno ha addosso da solo la responsabilità di un futuro possibilmente migliore. inserito:: Maggio 12, 2024, 07:18:20 pm
M. grazie.

Io sono convinto che Ognuno di Noi "ha addosso da solo la responsabilità di un futuro possibilmente migliore".
Il problema é che spesso neppure tra i "tanti noi", vogliamo o possiamo ipotizzarlo con "altri noi".
O non ti ascoltano, o non abbiamo noi voglia di parlarne, o siamo occupati a fare altro "tra noi" di più piacevole.


Oppure come accaduto a me, parti con il culo per terra e ti devi impegnare a sollevarti da una posizione che non ti va di mantenere oltre i tuoi 14/15 anni.
Allora ti alzi, guardi più lontano quello che ti lasciano vedere, vai all’oratorio, servi messa da chierichetto, scopri che non sopporti le regole, le disobbedisci come imposizioni da catechismo.
Ti allontani in silenzio, senza rompere nulla e dopo aver cantato al meglio di sempre e a voce alta nella messa per il funerale di Ezio, un amico morto di non sai cosa a scuola, forse perché era sempre pallido.
E te ne vai, salutando i preti.
Passi al Circolo/Sezione comunista.
È di fronte a casa ma non ci sei mai andato prima.
Incontri o rivedi tre quattro ragazzi, fai gruppo con loro, si beve la Spuma, si gioca al calcio balilla o a boccette senza stecche per non fare danni, si guardano i nonni che giocano a bocce oppure a carte, fumano sigari non sigarette.
Verso sera si chiudono in una stanza, con la porta a vetri, che si riempie del loro discutere, ma mai con toni alti e capisci da fuori che c’è chi parla e chi ascolta soltanto.
Poi arriva il 56 (1956) dopo i fatti d’Ungheria mi compro una spilla, distintivo dell’Ungheria Libera, la metto in bella vista sul petto della camicia e continuo ad andare al circolo comunista.
Non mi succede nulla!
Soltanto, una sera E. un gigante nemmeno tanto buono, mi ferma e mi “consiglia” di toglierla, quella spilla.
Gli rispondo di NO!
Ne parlo con il gestore del bar ma senza farne un problema, … continuo a frequentarlo quel Circolo/sezione e a non succedermi più nulla.
Dopo, però, l’Ungheria non fu più libera, messa sotto dai carri armati russi.
Qualcosa cambiò nell’animo di molti di noi.
Bisognava cercare un altro impegno, ben OLTRE IL COMUNISMO FEDIFRAGO.
ggg
14  Forum Pubblico / OLIVO POLICONICO. PROSPEZIONE SOCIOLOGICA sui FUTURI POSSIBILI per il TERRITORIO. (Dopo 11 maggio 2024). / Cybersicurezza, il voto europeo è sotto attacco? inserito:: Maggio 12, 2024, 07:14:23 pm
Cybersicurezza, il voto europeo è sotto attacco?
    
di Paolo Decrestina
    
Fakenews, deepfake, AI. A un mese esatto dal voto europeo si alza il livello di attenzione della cybersicurezza. L’ultimo attacco  oggi stesso: nel mirino degli hacker filorussi Noname057(16) sono finite di nuovo le istituzioni italiane. Colpiti il sito personale della premier Giorgia Meloni, quello del ministero delle Infrastrutture guidato da Matteo Salvini  e quello dello Sviluppo economico di Adolfo Urso. L’agenzia per la cybersicurezza nazionale è intervenuta immediatamente tamponando i disservizi e bloccando il pericolo.
Ma quanto sono a rischio influenze e “contaminazioni” le prossime elezioni? Che impatto possono avere azioni di questo tipo in vista di una campagna in cui la parte “digitale” giocherà il ruolo di protagonista assoluto?
Secondo gli analisti, il pericolo è concreto e le istituzioni dovranno difendersi da attacchi diversificati e multidirezionali. L’ultimo report di Mandiant, il colosso americano della sicurezza informatica, sussidiaria di Google, rivela che il rischio più grave per questa campagna sono le attività informatiche portate avanti da gruppi legati ai governi del continente. La minaccia arriverà da Mosca e Teheran. In particolare, secondo l’analista Jamie Collier,  le operazioni russe si svolgeranno “in tutta Europa e tenteranno di minare il sostegno all’Ucraina, alla Nato e all’Ue”.
La tensione, come detto, resta altissima. E proprio la gestione della strategia contro cyberattacchi ha messo in crisi sistema di difesa di  Bruxelles. Nel mirino delle istituzioni europee è finito il Chief Information Security Officer del Parlamento a Strasburgo, Pascal Paridans, sottoposto a incessanti critiche da parte dell’assemblea per le scelte in materia di cybersicurezza.
Un mese di campagna e sarà voto. Il sistema di protezione dovrà reggere l’urto.
 
    
ALTRE NOTIZIE DI POLITICA (da approfondire a parte).
 
Jobs act, a furia di svolte il Pd è sempre lo stesso: solo gli elettori sono molti meno di allora
Arresto di Toti, le reazioni. Lollobrigida e Rocca: «Tre anni di indagini chiuse a 25 giorni dalle Europee, perché?». Sansa: «Il governatore si deve dimettere»
Corruzione, arrestato Toti, governatore della Liguria: «74mila euro in cambio di favori». Sequestrati 570 mila euro a imprenditori
Mattarella: «La libertà di stampa è un valore che preserva la democrazia»
Hamas accetta il cessate il fuoco. Israele: un piano mai visto
   
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15  Forum Pubblico / OLIVO POLICONICO. PROSPEZIONE SOCIOLOGICA sui FUTURI POSSIBILI per il TERRITORIO. (Dopo 11 maggio 2024). / Massimiliano Bondanini e Lorenzo Zunino SUPERBONUS, SUPERDEBITO E SUPERMARIO. inserito:: Maggio 12, 2024, 07:09:33 pm
Post della sezione Notizie
Massimiliano Bondanini
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Lorenzo Zunino
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SUPERBONUS, SUPERDEBITO E SUPERMARIO

Per Mario Draghi Bonino, Renzi, tutta la lista SUE – e Zunino - auspicano un ruolo di vertice nel futuro dell’Unione Europea. Con l’occasione oggi facciamo un breve ripasso su Mario Draghi e il superbonus, dedicato a quegli elettori che pensano di votare Movimento 5 Stelle e Conte, perché quello sì che fa l’interesse del popolo.
Non so se è chiaro a tutti che, per i conti pubblici – tradotto: per i debiti che stiamo facendo in giro -, gli effetti negativi del superbonus attualmente superano, e di parecchio, la montagna di soldi riversatasi sull’Italia col PNRR. Inoltre, non so se è chiaro a tutti che tali effetti negativi il Governo italiano - e con esso la Commissione Europea, il Fondo Monetario Internazionale e tutte le istituzioni pubbliche e private del mondo – li scopre man mano che si manifestano. Al momento le previsioni fatte solo alcuni mesi fa dalla Ragioneria Generale dello Stato e Ministero dell’Economia risultano sbagliate di – appena - il 500 % (cinquecento percento)
All’inizio di luglio del 2022 Mario Draghi, al tempo Presidente del Consiglio, stava per dimettersi, ma ancora non lo sapeva. Il Movimento 5 Stelle aveva posto sul tavolo tre condizioni “irrinunciabili”: due di queste erano: mantenere il reddito di cittadinanza e non fare l’inceneritore a Roma; ricorderete poi che Conte e compagni si mettevano regolarmente di traverso rispetto all’invio di armi all’Ucraina (sostenuti naturalmente da tutta la combriccola del Fatto Quotidiano e da Sua Eminenza il papista Marco Tarquinio, che ora i poverini del Partito Democratico dovranno pure votarselo). Qual era la terza condizione irrinunciabile dei pentastellati ? Maddai, è facile ! Avanti tutta col superbonus !
Quando Mario Draghi disse del superbonus: “Una legge scritta male, fatta per avere pochi controlli” Conte e i suoi si offesero, mortalmente. Dopo poco, il 21 luglio, Movimento 5 Stelle, Forza Italia e Lega – ripetete insieme a me: Movimento 5 Stelle, Forza Italia e Lega – sfiduciarono tutti insieme Mario Draghi, spalancando le porte al Governo Meloni-Lollobrigida.
Non so se è chiaro, a quelli che “Conte fa l’interesse del popolo”, come questa gran pensata del superbonus, la pervicacia nel difenderlo e a occhio pure l’ottusità nel non capirlo tanto bene, falcidia, sottrae, deruba, amputa, recide, mozza, prosciuga, assorbe risorse che, sia pure nelle sbrodolose mani del Governo Meloni, sarebbero potuto essere assai meglio investite, persino nella difesa dei deboli.
Infine, non so se è chiaro a tutti che un Paese superindebitato come l’Italia, il cui Governo sovranistissimo sbaglia, dall’autunno alla primavera, di 40 o 50 miliardi i conti sulle proprie entrate, di essere dentro l’Unione Europea e di essere dentro l’Euro deve ringraziare tutti i giorni, a pranzo, cena e alzata per la pipì notturna

Da FB del 24 aprile 2024
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