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Autore Discussione: ERNESTO FERRERO. Tabucchi, tra amore e disincanto acerrimo amico della vita  (Letto 2748 volte)
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« inserito:: Marzo 26, 2012, 06:31:44 pm »

26/3/2012 - L'UOMO

Tabucchi, tra amore e disincanto acerrimo amico della vita

ERNESTO FERRERO


Nel 1970 fa il suo ingresso in Via Biancamano un giovane non ancora trentenne che può vantare una presentazione della grande Luciana Stegagno Picchio, sua maestra di letteratura portoghese a Pisa. Occhiali tondi, un accenno di calvizie, timido e rispettoso, ma fermo, convinto. Propone nientemeno che una antologia di poeti surrealisti portoghesi, quando la stella di Fernando Pessoa doveva ancora sorgere all’orizzonte (proprio per mano sua), José Saramago era alle prime prove e del Portogallo si sapeva soltanto che gemeva sotto la dittatura di Salazar. Oggi che il marketing ha surrogato le direzioni editoriali gli avrebbero riso in faccia. Da Einaudi lo inseriscono tra i primi numeri di una collana di punta, «Letteratura», che incrociava generi e discipline, tra Mandel’stam, Il Fotodinamismo Futurista di Bragaglia, Céline, Fausto Melotti e Cortázar.

Ci avrebbe messo ancora dieci anni a diventare Antonio Tabucchi, il giovane studioso di Vecchiano che aveva trovato la sua vera patria a Lisbona, quel teatrino vecchiotto e un po’ fané di sogni, fantasmi, ombre, apparizioni, ambiguità, in cui si aggirava con il lieto stupore di una misteriosa consanguineità. Come l’amato Pessoa, era difficile incontrarlo fuori dei libri. Nell’età del presenzialismo, si sottraeva, si negava gentilmente. Non amava i discorsi, le occasioni pubbliche; non gli piaceva indossare la maschera dello scrittore che parla di se stesso. Preferiva il raccoglimento, il silenzio della scrittura.

Dei tanti inviti al Salone del libro ne ha accolto uno soltanto, nel 2004, perché vi si presentava un libro della Stegagno Picchio, «la persona cui devo tutto», proprio su Pessoa. Disse che Pessoa l’aveva forse scoperto da solo, casualmente, in un libretto trovato alla Gare de Lyon prima di un viaggio, ma era lei che glielo aveva insegnato. Da lei aveva imparato che la filologia è una scienza seria, non solo un metodo di indagine ma una visione del mondo; e che lo studio deve essere fatto di fatica, pazienza e rigore. Siamo due «acerrimi amici», diceva sorridendo lei che all’allievo aveva insegnato anche a criticare duramente il maestro.

Acerrimo amico della vita è stato Tabucchi, tra amore e disincanto, irritazione e fascinazione, inquietudine e visionarietà. Da lui, viaggiatore che vuole essere sempre altrove, abbiamo anche imparato che un solo Paese e una sola identità non bastano, e che solo sdoppiandoci in una moltitudine di personaggi possiamo davvero capire chi siamo.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9927
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« Risposta #1 inserito:: Novembre 01, 2013, 06:06:04 pm »

Lettere al direttore
26/10/2013

La storia dell’Einaudi
Raccontata da Ernesto Ferrero


Ho 46 anni e di mestiere faccio il Libraio. Mi sono sempre chiesto se è possibile cambiare il mondo con i libri. Non so, ma so di certo che è possibile sognare e provare a cambiarlo anche utilizzando i libri! Anni fa ne ho letto uno bellissimo scritto da Ernesto Ferrero, I migliori anni della nostra vita edito da Feltrinelli che di certo ha cambiato la mia, di vita.

Racconta la storia di un gruppo di persone speciali che cercarono di realizzare questo sogno grazie a una forte passione intellettuale e civile, un libro sulla casa editrice Einaudi e sulle persone che resero questo editore il più importante nel dopoguerra del nostro paese, un testo intenso che mi ha entusiasmato dalla prima all’ultima pagina e di tutti gli spunti forniti dalla sua lettura vorrei condividere con voi una lettera.

Vi chiedo prima di tutto di considerare il difficile e tragico contesto storico vissuto dai protagonisti e poi di leggere attentamente ogni singola parola, sono poche frasi scritte più di sessant’anni fa da un padre ad un figlio: sentite il valore, il peso e purtroppo anche la nostalgia per un linguaggio oggi non più utilizzato ma di cui si sente urgente e disperata necessità!

Siamo nel settembre 1943 e temendo di finire come ostaggio nelle mani della Repubblica di Salò il settantenne Luigi Einaudi, futuro Primo presidente della Repubblica Italiana, decide di riparare in Svizzera e valica a dorso di mulo il Gran San Bernardo. Rimarrà a Losanna con la famiglia fino al dicembre 1944 ma, quando nell’agosto dello stesso anno il figlio Giulio, fondatore nel 1933 con un gruppo di amici (Leone Ginzburg, Massimo Mila, Norberto Bobbio, Cesare Pavese) della casa editrice Einaudi, decide di rientrare in Italia, volle fargli avere un messaggio di viatico e incoraggiamento. La partenza temuta stava per avvenire ma il padre Luigi mandava la sua benedizione «al figlio che si allontana per compiere quello che egli crede essere il suo dovere».

Luigi aveva creato «un’impresa rustica» solo per i figli, sorretto dalla speranza della continuità famigliare. Giulio aveva creato «un’impresa che vale assai più della mia, che è stata e sarà ancora una fiaccola luminosa nella vita spirituale italiana». Suo merito era di non essersi «inchinato ai potenti del giorno e aver seguito la via della verità. Nessuno sa quale sia la verità vera; sappiamo solo che essa non è quella che è comandata».

Dunque Luigi invitava il figlio a battersi sempre per preservare «il bene supremo della libertà di negare la verità ufficiale».

 

Concludeva: «Tu sei stato qualcuno e lo sarai di nuovo; sarai, non so se il più grande economicamente, che non conta nulla, il capo spirituale nel tuo ramo, se continuerai a tenerti fermo al principio che ti ha tratto in alto dal gregge: cercare dappertutto la parola di verità, la parola di chi scrive come pensa, anche se quella parola è diversa e opposta a quella di chi comanda, anche se è diversa dalla tua. Sii sempre quel che fosti in passato».

Che parole.

Conservo gelosamente questo libro, pieno di sottolineature e appunti, ogni tanto lo riprendo in mano e mi meraviglia ancora pensare all’effetto che mi fece quando lo lessi nel 2006, ai mondi che si schiudevano ai miei occhi in ogni pagina e che l’autore descrive così bene nelle pagine iniziali «...sembrava l’incarnazione del modello cosmologico che prevede un’espansione impetuosa e continua, un Big Bang che non raffredda mai l’esplosione iniziale».

Angelo Monte Bracchio di Mergozzo (VB)

DA - http://lastampa.it/2013/10/26/cultura/opinioni/lettere-al-direttore/la-storia-delleinaudi-raccontata-da-ernesto-ferrero-3DoH9N8aJkFl0w9eDHNWqK/pagina.html
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