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Autore Discussione: Per PIZZI la giustizia è una donna che corre. (Di CHIARA BERIE DI ARGENTINE)  (Letto 2295 volte)
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« inserito:: Ottobre 03, 2009, 02:37:40 pm »

3/10/2009

Per Pizzi la giustizia è una donna che corre
   
CHIARA BERIE DI ARGENTINE


Era fine aprile, a Bari. Antonio Pizzi alla cerimonia per il suo insediamento a procuratore generale della corte d’appello (il plenum del Csm l’aveva nominato a marzo; 16 voti contro 10) si presentò con queste parole: «Credo molto nel dialogo e nella collaborazione, anche perché mi rendo conto dell’impegno gravoso al quale sono chiamato. Che Dio ci aiuti a portare avanti questo difficile mestiere di magistrato».

Nessuna profezia, per carità, di un magistrato tanto sobrio quanto tosto, parole dettate solo dall’esperienza. Promosso alla superpoltrona di Bari (in realtà lui, dal 2005 capo della procura di Monza, sempre più estraneo alle correnti dell’Anm, aveva fatto domanda per uno dei due posti vacanti di pg, Firenze o Bari; ma il Csm per Firenze gli aveva preferito un altro), Antonio Pizzi si è ritrovato così ancora una volta nella sua lunga e per molti versi straordinaria carriera di magistrato nell’epicentro di un ciclone giudiziario bipartisan. Affaire Tarantini: malasanità, escort and coca. A Palazzo di Giustizia di Bari inizia la più torrida delle estati. Scoop, telecamere. Ma Sua Eccellenza Pizzi - folta barba, occhi azzurri - che a Bari vive in una caserma della Guardia di Finanza in tutti questi mesi non è mai apparso: non una sola intervista, tantomeno un’esternazione in tv. Profilo basso da toga di tempi meno sguaiati (infatti Pizzi è poco conosciuto dalle folle catodiche e Grillesche); da magistrato non certo uso a farsi intimidire dai potenti ma ben consapevole che il riserbo è un dovere soprattutto per chi ha la maggior responsabilità, come «organo di controllo», dei vari filoni dell’inchiesta e del lavoro dei pm.

Nato a Torino il 23 febbraio 1941 - il padre poliziotto di Petrella Tifernina (Molise), la madre un’insegnante veneta - Pizzi, laureato in Legge alla Statale di Milano, a 26 anni entra in magistratura. «Della giustizia ho sempre presente l’immagine tradizionale con la bilancia, simbolo dell’equità: il sogno di tutti», ha detto in una delle sue rare interviste. «Ma c’è anche un’altra immagine meno nota che ho visto in un tribunale svizzero: una donna che corre con la gonna alzata. Non è una cosa piccante. Vuol dire che la giustizia deve essere equa ma anche rapida». Equa e lenta solo per colpa di magistrati politicizzati o «fannulloni»? Rewind a Milano, Anni 80. Con Renato Bricchetti, Pizzi è il giudice istruttore del crack del Banco Ambrosiano. Calvi, Gelli, il presidente dello Ior Paul Marcinkus, la loggia P2, la mafia, la banda della Magliana: altro che Dan Brown! Per 13 volte Pizzi va in Nord e Sud America alla ricerca di prove; il rinvio a giudizio è di 2 mila pagine: tutte le ipotesi iniziali dei due giudici (anche su Carlo De Benedetti) vengono confermate fino alla Cassazione.

Quasi 20 anni dopo la Suprema Corte nell’inchiesta sulle onde elettromagnetiche di Radio Vaticano stabilisce che non c’è un fossato invalicabile tra lo Stato italiano e Oltre Tevere; peccato che nell’87 proprio la Cassazione e nell’89 persino la Corte Costituzionale avevano sancìto l’esatto contrario. E, così, il mandato di cattura di Marcinkus, firmato da P&B, era stato annullato. Sparito con i suoi segreti l’alto prelato, Pizzi non getta la toga né si butta in politica. Sposato con una figlia, va a fare il capo della procura a Busto Arsizio. Nel 2004, partendo dall’omicidio di Mariangela Pezzotta, una ragazza uccisa a vangate, con il pm Tiziano Masini scopre le tante atrocità commesse dalle «Bestie di Satana». Giovani sepolti vivi, giovani all’ergastolo: è la più drammatica indagine della sua vita.

Infine, la procura di Monza, dove coordina inchieste sulla ‘ndrangheta (operazione Sunrise, 31 arresti per spaccio e traffico di rifiuti tossici) e quella clamorosa nei paradisi fiscali del pm Walter Mappelli a caccia del tesoro nascosto dei Rovelli. Nelle casse di IntesaSanPaolo, «erede giuridica» dell’Imi, rientrano così 134 milioni di euro.

da lastampa.it
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