LA-U dell'OLIVO
Maggio 14, 2024, 07:45:36 pm *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
  Home Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
  Visualizza messaggi
Pagine: 1 ... 276 277 [278] 279 280 ... 529
4156  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / JACOPO IACOBONI. - Il candidato M5S in Sicilia arrestato per estorsione che... inserito:: Novembre 20, 2017, 05:51:47 pm
Il candidato M5S in Sicilia arrestato per estorsione che diceva: “Da una parte gli onesti, noi, dall'altra tutti i partiti”
Fabrizio La Gaipa, imprenditore, aveva corso con i grillini nella lista di Cancelleri
Pubblicato il 14/11/2017 - Ultima modifica il 14/11/2017 alle ore 15:59

JACOPO IACOBONI
Fabrizio La Gaipa, 42 anni, imprenditore alberghiero di Agrigento, candidato alle scorse regionali con il M5S nella lista di Giancarlo Cancelleri, è stato arrestato per tentata estorsione ai danni di alcuni suoi dipendenti, e è ora agli arresti domiciliari. Secondo l’inchiesta - che nasce da sei esposti in Procura e, fanno sapere gli inquirenti, ha trovato riscontri solidi - avrebbe costretto alcuni dipendenti a firmare false buste paga, e in più avrebbe commesso seri illeciti nelle dichiarazioni al fisco. Non male, per un uomo del partito che gridava «onestà onestà» e vantava una sorta di presunta diversità morale.

Ma chi è La Gaipa? Il personaggio merita di essere raccontato meglio, amante di Pirandello e dei film di George Clooney, tutto dedito all’arte, al turismo colto e alla promozione della Sicilia «e del bello», proprietario di un albergo agrigentino di lusso, il “Costazzurra Museum&Spa”, dove facevano massaggi con antichi strumenti in terracotta, già presidente del Consorzio turistico Valle dei Templi. La Gaipa deve aver intrattenuto un buon rapporto con Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista, ritratti in foto - ci viene in aiuto il profilo Facebook (attenti, a queste foto su Facebook) di La Gaipa - sorridenti e abbronzatissimi accanto a lui e a Giancarlo Cancelleri. La foto è stata pubblicata nell’ottobre scorso, quando i big del Movimento si sono felicemente fermati a chiacchierare con lui e a immortalarsi, a margine di un buffet, segno di una certa vicinanza di La Gaipa al gruppetto leader del Movimento, quello di Di Maio e Cancelleri, che ha ottenuto un buonissimo risultato in termini di voti in Sicilia ma non è riuscito a portare Cancelleri alla presidenza della Regione.
 Meloni commenta l’arresto di La Gaipa: “Del M5S i più impresentabili”

La notizia del suo arresto, con gravissime accuse, stride un po’ - va detto - col quadretto di La Gaipa che tendevano a consegnarci le sue patinate e pensose interviste pubbliche. Prendiamone una rilasciata ad “Agrigento Oggi”, di neanche un mese fa. La Gaipa vi appariva come l’imprenditore in camicia bianca tutto dedito a creare posti di lavoro «per il bene dei nostri figli»: «Assistiamo - diceva - a un gravissimo impoverimento sociale causato dalla fortissima emigrazione. Ormai praticamente ogni famiglia ha uno o più figli che sono dovuti andare a cercare una prospettiva migliore lontano da questa terra. Dobbiamo tornare a dare opportunità ai nostri figli. Bisogna creare posti di lavoro ed oggi l’unica opportunità è offerta dalle aziende, specie quelle piccole e medie che rappresentano la spina dorsale dell’economia dell’Isola». La Procura ritiene però che i metodi da lui usati non fossero il massimo bene dei nostri figli. La Gaipa si scagliava contro «decenni di malgoverno» che hanno costretto «tutta la Sicilia si trova a vivere una condizione di profonda crisi». Arringava contro «il totale abbandono» della provincia agrigentina. Sosteneva che solo il programma M5S, e il suo in particolare, avrebbero potuto risollevarla: si rinasce solo «ridando dignità ai cittadini dell’agrigentino attraverso il completamento delle opere pubbliche e il ritorno ad una cultura del bello. Solo in questa maniera si creeranno i presupposti per una rinascita sociale ed economica vera e duratura».
 
Ma è negli slogan finali, che La Gaipa si superava, mettendo da una parte gli onesti, lui e il M5S, dall’altra tutti gli altri: «Mi pare evidente che in queste elezioni si combatta una battaglia in cui da una parte ci sono i cittadini e dall’altra la vecchia politica che ci ha portato alla situazione insostenibile in cui siamo». Concludeva che «l’unico alleato del Movimento 5 Stelle sono i cittadini onesti e liberi». Parole onestamente profetiche.

 Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2017/11/14/italia/politica/candidato-ms-in-sicilia-arrestato-per-estorsione-y3l2YnPt07JNMar2pTvBBJ/pagina.html
4157  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / FRANCESCA SCHIANCHI. Renzi cambia e apre alle alleanze a sinistra Il segretario inserito:: Novembre 20, 2017, 05:50:12 pm
Renzi cambia e apre alle alleanze a sinistra
Il segretario unisce il Pd: «Forse c’è stato l’uomo solo al comando, ma non è più così». Poi lancia la palla ai bersaniani: «Chi si tira indietro si assume una pesante responsabilità»

Pubblicato il 14/11/2017

FRANCESCA SCHIANCHI
ROMA

«Chi si tira indietro dall'invito all'unità del centrosinistra si assume una pesante responsabilità». Nella frase con cui ieri sera il segretario Matteo Renzi ha chiuso la direzione del Pd c’è il senso di tutto il suo discorso. Atteso come l’oracolo, preceduto da caldi inviti della minoranza ad aprire a un’alleanza con le altre forze di sinistra, si è risolto in un appello agli ex compagni di strada di Mdp, Possibile e alla Sinistra italiana di Fratoianni, senza però accennare nessun passo indietro sui contenuti, dal Jobs Act alla politica sui migranti: quanto basta per poter dire che «chi vorrà rompere lo dovrà fare in modo trasparente perché da noi non troverà alcuna sponda». 
 
Una nuova chiamata a una «coalizione più larga possibile», considerato che con gli scissionisti di D’Alema e Bersani già si governa «in 14 Regioni» e «con le persone da cui siamo stati divisi da discussioni e polemiche c’è più sintonia che con gli avversari storici», ma partendo dalla rivendicazione delle politiche di questi anni di governo («Chi si esercita in richieste di abiura non si rende conto di dove eravamo tre anni fa», dice): abbastanza per compattare il partito su un documento unitario (resta scettico solo Orlando: insieme ai 15 della sua corrente si astiene), ma non per convincere Bersani e compagni: «Le chiacchiere stanno a zero».
 
Per cercare di dare impulso e sostanza alle dichiarazioni di buona volontà, per tentare di passare agli «atti concreti» che ieri ha evocato anche il solitamente taciturno Enrico Letta («positivi gli appelli all’unità, ma auspico che il Pd faccia anche proposte concrete»), Renzi incarica Piero Fassino «di darmi una grande mano con il mondo della sinistra»: sarà l’ultimo segretario dei Ds, che con D’Alema e gli altri ha condiviso un bel pezzo di strada, ad avere il ruolo di pontiere. Lui ieri ha cominciato dai Radicali di Magi, Emma Bonino e Benedetto Della Vedova, incontrati prima della direzione con il delegato alle trattative con le forze di centro, Lorenzo Guerini: «Credo sia cruciale che venga coinvolta l’area moderata così come i Verdi, Idv e i Radicali, con i quali c’è una discussione non scontata né chiusa». Una coalizione da lì a Campo progressista, e anche oltre, se si potesse, anche se, da Fratoianni a Civati, le premesse non sono incoraggianti. «Dentro Mdp si aprirà una discussione, vedrete. Ma nulla si muoverà prima della loro assemblea del 2 dicembre», prevedono ai vertici del Pd.
 
«Sulla rivendicazione del passato non faremo alcun passo indietro», garantisce il segretario dem - rinnegarlo «sarebbe assurdo, illogico e inspiegabile» - ma «il futuro è una pagina totalmente bianca da scrivere: o la scriviamo noi o la destra», avverte, convinto che «il M5S è ampiamente sovrastimato nei sondaggi». Un appello a tutti quelli che stanno fuori dal Pd a stare insieme se non per amore, almeno per fermare l’avanzata delle destre. Sgomberando il campo dal tema dei diritti («non è che facciamo lo Ius soli per fare l’accordo con Mdp, ma perché è un diritto: cercheremo di farlo senza creare difficoltà alla chiusura ordinata della legislatura»), e condendo la richiesta con una timida autocritica, consapevole di essere per gli scissionisti dem il vero ostacolo a un’alleanza: «Non c’è un uomo solo al comando: forse c’è stato in passato, forse, ma adesso c’è una pagina bianca da scrivere insieme», ripete. «Sono tre anni che mi dicono che ho fatto l’accordo con Berlusconi: i fatti dicono il contrario, non credo di essere esattamente la persona che gli sta più simpatica. Adesso dobbiamo agire in maniera unitaria e coesa» per essere «il primo gruppo parlamentare della prossima legislatura».
 
«Bravo segretario, mi hai convinto», interviene dalla minoranza Michele Emiliano. Soddisfatta anche la prodiana Sandra Zampa, come il ministro Dario Franceschini. Resta perplesso il leader della corrente più corposa di minoranza, Orlando: «Siamo in un vicolo cieco: abbiamo approvato una legge che prevede le coalizioni e al momento le coalizioni non le abbiamo», predica, chiedendo di smetterla con la riproposizione del passato («non mi interessa cosa pensa Speranza o Bersani, ma quelle 3-400 mila persone che non sono convinte che abbiamo fatto tutto bene») e chiedendo passi certi per costruire la coalizione. Per questo, pur non presentando ordini del giorno alternativi, lui e i suoi si astengono sul documento finale. Dove si legge di voler aprire un confronto su temi come lavoro, scuola e lotta alla precarietà, e si prende l’impegno a migliorare la legge di bilancio: 164 sì, nessun voto contrario. 

 Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2017/11/14/italia/politica/renzi-cambia-e-apre-alle-alleanze-a-sinistra-UAfEPJD1ZKtbwY0EWtBtQK/pagina.html
4158  Forum Pubblico / ITALIA VALORI e DISVALORI / Alex Corlazzoli. Alicudi, la scuola più piccola d’Europa: 3 alunni, 357 gradini inserito:: Novembre 20, 2017, 05:48:31 pm
Alicudi, la scuola più piccola d’Europa: 3 alunni, 357 gradini e nessuna campanella.
E la maestra di matematica rinuncia

SCUOLA

Internet per fare video-lezioni a distanza, una scalinata come palestra. Ecco la microscuola delle Eolie, dove è il meteo a decidere se aprire o meno. E la classe guarda il mare

Di Alex Corlazzoli | 17 novembre 2017

Per arrivare nella scuola più piccola d’Europa ci sono 357 scalini da fare ogni giorno ma l’unica maestra che c’è e i suoi tre alunni li fanno senza lamentarsi e soprattutto senza l’assillo della campanella perché la scuola di Alicudi, una delle isole dell’arcipelago delle Eolie, non ha un bidello che la suona. Fa tutto l’insegnante.

E’ difficile immaginare questa scuola perché non ha aule né sezioni: è una tipica casa dell’isola affacciata sul mare, tra i colori di una vegetazione che è già una lezione di scienze. Beatrice Zullo, 57 anni, quattro figli e due nipoti, lì ha trascorso più di un anno. Poi è diventata di ruolo e quest’anno al posto del blu e del giallo del sole è finita a vedere il grigio della pianura modenese dove insegna. Non si lamenta ma il suo sogno è tornare nella scuola più piccola d’Europa. Nonostante fosse costretta a fare le pulizie, a percorrere ogni giorno quei gradini, a prendere un aliscafo per andare al collegio docenti a Lipari o a Salina, vorrebbe tornare sull’isola dove non si è mai sentita fuori dal mondo: “Mi sento più sola qui piuttosto che sull’isola di Alicudi”.

Quest’anno nella casa-scuola ci sono tre alunni, due di quarta e una che si prepara all’esame della secondaria di primo grado. Quando lì insegnava Beatrice i ragazzi erano solo due delle elementari. Ogni anno non è facile “salvarsi”. Mirella Fanti, dirigente scolastico dell’Istituto “Lipari 1” da cui dipende il plesso di Alicudi, ce l’ha fatta grazie alla buona volontà delle istituzioni e delle famiglie che hanno accolto le sollecitazioni a non abbandonare il proprio territorio. E in effetti Alicudi senza la scuola sarebbe ancora più isolata, perché tra un insegnamento e l’altro nelle ore pomeridiane si praticano anche tante attività rivolte a tutte la comunità.

Essere maestri nella più piccola scuola d’Europa è diverso da ogni altra realtà: “Si inizia alle otto, un’alunna veniva con me, l’altra arrivava con la mamma. Una faceva la prima, l’altra la terza. Facevo tutte le materie a parte inglese per il quale veniva una ragazza esperta a fare lezione. Così anche per religione. Non c’è la campanella, nemmeno la bidella. Si sistema la classe tutti insieme. Le pulizie le facevo io aiutata dalle mamme”. Sull’isola senza auto, dove per muoversi esistono solo i muli, c’è la Rete: “E’ una realtà all’avanguardia da quel punto di vista. Si fanno video-lezioni con altri istituti. Con una scuola secondaria di secondo grado di Bergamo abbiamo fatto un lavoro online sulla Costituzione”.

Quando si chiede alla maestra Zullo della palestra sorride: “Non bastano i 357 gradini?”. Ad Alicudi anche la vita dei bambini è diversa: “Il pomeriggio vanno sulla spiaggia, raccolgono le conchiglie, vivono con i pescatori. Hanno un grande senso di comunità e sono innamorati della loro isola”. Tutto dipende dal mare, è lui il vero “dirigente” della scuola: “Andare ad una riunione o meno dipende dal clima così come raggiungere la scuola. Ero io a dover decidere che fare in caso di maltempo”. Una realtà, quella della scuola di Alicudi, tanto particolare e suggestiva da aver ispirato “L’ultimo giorno”, un documentario prodotto da ZaLab e dal Museo del Cinema di Stromboli. L’autore e regista, Alberto Bougleux, ha dedicato il film alla scuola di Alicudi, pur parlando a tutte le realtà scolastiche italiane: “Un film documentario dedicato a tutti i maestri e le maestre che si battono quotidianamente per difendere il diritto dei bambini a una scuola moderna, creativa e democratica, reso possibile da un rapporto unico di collaborazione e fiducia con l’istituto Scolastico Lipari 1”.

La vita alla scuola di Alicudi non è per nulla facile. Soprattutto in quest’anno scolastico che stenta a partire per l’assenza di insegnanti. Secondo Eolie News l’ultima maestra arrivata dopo appena un giorno sull’isola, ha comunicato di stare male e che sarebbe andata via con la nave di linea. Sarebbe dovuta rimanere sino a metà dicembre. La dirigenza scolastica del Comprensivo Lipari 1 sta facendo tutto il possibile per dare ai due scolari una adeguata istruzione ma si trova di fronte a continue rinunce. E anche per l’unica alunna del CPE (Corso di preparazione esami) scuola media andare a scuola diventa un’impresa: per ora fa solo delle lezioni d’italiano, impartite da una insegnante del luogo, nominata dalla dirigente scolastica. “La docente di matematica nominata nei giorni scorsi ha dovuto rinunciare in quanto il percorso fino alla scuola, con 350 scalini, le è risultato estremamente pesante” ha detto Bartolo Pavone, vicepreside della scuola elementare di Lipari, da cui dipende Alicudi. Le lezioni, quindi, continuano a non seguire un calendario preciso, per questo i genitori degli alunni protestano.

“Nel Centro preparazioni esami – ha spiegato Pavone – è stato dato incarico alla docente residente già insegnante di ruolo per una preparazione mirata alle materie letterarie, in vista dell’esame di fine anno, sempre come integrazione alla frequenza delle lezioni tenute in comune con gli alunni di primaria. La segreteria sta lavorando a ritmo serrato per individuare la nuova docente della primaria e un’altra docente di matematica per il Cpe. Per la scuola di Filicudi – ha continuato – sono state integrate le lezioni impartite per tutti gli alunni della primaria dalla docente di ruolo con lezioni di scuola secondaria”. “Riteniamo – ha concluso – che l’unica soluzione per risolvere anche i problemi scolastici nelle isole minori potrebbe essere una legge che dia la precedenza per l’insegnamento nelle isole dei docenti eoliani. Il paradosso è che una decina di insegnanti eoliani sono costretti a lavorare nel Nord Italia e pur avendo fatto richiesta anche per gravi motivi di malattia e di famiglia, non sono state autorizzati a rientrare nelle loro isole “.

Di Alex Corlazzoli | 17 novembre 2017

Da - https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/11/17/alicudi-la-scuola-piu-piccola-deuropa-3-alunni-357-gradini-e-nessuna-campanella-e-la-maestra-di-matematica-rinuncia/3948151/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=newsletter-2017-11-17
4159  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / MONICA RUBINO. Da Renzi a Bersani, da Pisapia a Fratoianni il risiko delle liste inserito:: Novembre 20, 2017, 05:46:16 pm
Chi sta con chi nel centrosinistra: le coalizioni e l'inizio della trattativa

Da Renzi a Bersani, da Pisapia a Fratoianni il risiko delle liste e dei partiti

Di MONICA RUBINO
20 novembre 2017

ROMA - Tentativi di dialogo, passi avanti e secchi rifiuti. La trattativa nel campo del centrosinistra in vista delle prossime elezioni si è rimessa in moto vorticosamente. Ecco, in  questa sintesi, lo stato delle possibili coalizioni.

• LA COALIZIONE DEL PD
La prima gamba è appunto il Pd renziano. La seconda sono i centristi: Pier Ferdinando Casini sta cercando di compattare un gruppo composto da Idv, ex Scelta civica e probabilmente anche da Angelino Alfano. La terza è una lista frutto dell'unione dei prodiani con Campo Progressista di Giuliano Pisapia. La quarta gamba, per l'appunto, dovrebbe essere rappresentata dai Radicali italiani di Emma Bonino e Riccardo Magi e gli europeisti di Benedetto Della Vedova, che potrebbero fondersi in un unico cartello anche con Verdi e socialisti. Una lista che, secondo il coordinatore nazionale dei Verdi Angelo Bonelli, potrebbe chiamarsi "Europa, ecologia e diritti". Ma Bonino ai microfoni di Radio Capital per ora sconfessa l'esistenza di accordi con il Pd: "Siamo distanti su molti temi, dalla giustizia ai migranti".

• LA SINISTRA
Roberto Speranza, Pippo Civati e Nicola Fratoianni, leader rispettivamente di Mdp, Possibile e Sinistra italiana, hanno convocato per il 3 dicembre la grande assemblea dei delegati con lo scopo di definire la lista unitaria e il simbolo con cui correre alle elezioni a sinistra del Pd. Dalla coalizione, per il momento, si tirano fuori i civici del Brancaccio, il movimento di Tomaso Montanari e Anna Falcone in disaccordo con i metodi di spartizione delle quote nelle liste.

I tentativi di dialogo del "pontiere" dem Piero Fassino sono stati respinti dai demoprogressisti. Ieri a "in mezz'ora in più", Pier Luigi Bersani ha ribadito il no degli scissionisti all'offerta di un'alleanza larga di centrosinistra: "Con il Pd si parla dopo il voto". E l'assemblea di Mdp si è conclusa con l'approvazione all'unanimità della relazione del coordinatore Speranza, con cui si chiede di continuare il percorso con Si e Possibile.

• I RISCHI DELLA DIVISIONE
Il centrosinistra si presenterà così diviso alle elezioni, come accadde già nel 2001 (Ulivo da un lato e Rifondazione dall'altra) e nel 2008 (Pd e sinistra arcobaleno), rischiando di regalare a destra e M5s ben 40 collegi uninominali, corrispondenti ad altrettanti seggi, secondo la simulazione di Youtrend.
 
© Riproduzione riservata 20 novembre 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/11/20/news/bonino_centrosinistra_scheda_alleanze-181593987/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P3-S2.4-T1
4160  Forum Pubblico / LA CULTURA, I GIOVANI, La SOCIETA', L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA, IL MONDO del LAVORO. / FERDINANDO CAMON Quel passato che non è mai passato inserito:: Novembre 20, 2017, 05:43:38 pm
Quel passato che non è mai passato

Pubblicato il 14/11/2017 - Ultima modifica il 14/11/2017 alle ore 08:11

FERDINANDO CAMON

Ha soltanto 23 anni, è poco più che un ragazzo, deve aver capito da poco tempo che da piccolo veniva abusato da un adulto, ma non ha perso tempo: è corso a casa dell’uomo, in piena notte, e l’ha accoltellato. Chiudendo una litigata, che dalle parole è passata subito ai fatti. Per la verità a suo tempo c’era stata una denuncia contro l’adulto, per abusi sessuali, ma presentata dalla madre. Lui raccontava a lei cosa il medico gli faceva, e lei ha subito sospettato. 
 
C’era un processo in corso, ma subito fermato e poi ripartito. Non c’è ancora una sentenza, e il medico nega le colpe. Nel frattempo il bambino è diventato ragazzo e ora è uomo. Probabilmente adesso ha capito tutto quel che da piccolo non capiva, e non ha perso tempo. Colpito dalle sue coltellate, il medico è stato operato d’urgenza due volte, e adesso sta fra la vita e la morte. Si dice: «La vendetta va servita fredda». Ma ci sono oltraggi che bruciano, e l’abuso sessuale è fra questi. Di solito sentiamo di abusi sessuali che vengono vendicati dopo tanto tempo. E c’è una differenza tra la vendetta tardiva e quella rapida. Se un uomo, diventato grande, si vendica di abusi sessuali che ha patito da minorenne, accoltellando l’abusatore, noi siamo portati a interpretare il suo gesto come una vendetta che ha questo messaggio: «Mi hai rovinato la vita. Ti punisco perché mi hai fatto del male, mi vendico oggi per il male che mi hai fatto ieri». Ma la vendetta compiuta domenica a Pordenone ha un altro significato, perché colui che si vendica è ancora molto giovane. Con la sua coltellata non dice che l’abuso gli ha rovinato la vita, ma che gliela sta rovinando adesso. Un abuso sessuale «guasta» la sessualità di colui che lo patisce. Perché, appena può ragionare, si domanda se la colpa sia anche sua, se ci sia qualcosa di sbagliato in lui, se la sua sessualità, ancora in formazione, si stia formando in modo sbagliato. Se lui sia diverso dai suoi amici. Questo 23enne non ha passato le conseguenze dell’abuso che ha patito, ma le sta passando adesso. Se ha una ragazza, entra in crisi con lei. L’abuso non è per lui un tormentoso ricordo, è una bruciante attualità. È adesso che la sua personalità si forma. Da piccolo, non sapeva cosa gli capitava, subiva le attenzioni moleste (come pare) dell’adulto senza capirle, perché non sapeva cos’è la sessualità. Adesso lo sa. Adesso capisce. E adesso si vendica.
 
Quando un bambino vien abusato da un adulto, patisce un inganno, perché l’adulto sa tutto e lui non sa niente. Il bambino «si rimette» alla volontà dell’adulto, che considera buona, perché l’adulto è un parente, un patrigno (a volte addirittura un padre), un prete, un amico di famiglia… Uno legato da un rapporto di amore. Quando scopre, anni dopo, di essere stato abusato, il bambino diventato adulto si sente «tradito» nell’amore. La coltellata, o le coltellate, inflitte da questo 23enne al medico 48enne sono la punizione per il tradimento. Il piccolo che si rimette a un grande è come un figlio che si rimette a un padre: da lui non si aspetta che il bene. Questo medico aveva preso in casa propria questo ragazzo, dunque vivevano insieme, era proprio un rapporto tra padre e figlio: abusandolo il padre ha tradito il figlio, accoltellandolo il figlio ha punito il padre. Non sappiamo quanti anni fa sia avvenuto l’abuso, supponiamo pochi, visto che il ragazzo ha appena 23 anni. Dunque la vendetta è scattata presto. Ma prima o poi doveva scattare, la memoria degli abusi è difficile da liquidare o tenere a bada, resta nel cervello e fermenta.
 
fercamon@alice.it 

 Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2017/11/14/cultura/opinioni/editoriali/quel-passato-che-non-mai-passato-Q2RV0Q83vp10OsmmpqeyFP/pagina.html
4161  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Alessandro DE ANGELIS Cronaca di una direzione annunciata: divisi e immobili inserito:: Novembre 20, 2017, 05:40:49 pm
Cronaca di una direzione annunciata: divisi e immobili
Il discorso di Renzi non sposta nulla. E a sinistra si cristallizzano le divisioni verso una sconfitta annunciata

13/11/2017 21:46 CET | Aggiornato 14 ore fa

Alessandro De Angelis Vicedirettore, L'Huffpost

A metà pomeriggio, quando Renzi ha appena finito il suo discorso da pochi minuti, si consumano gli attimi finali di un prevedibile film. Pier Luigi Bersani risponde che "le chiacchiere stanno a zero" perché "c'è un pezzo di elettorato che del centrosinistra a traino Pd e del Pd a traino renziano non ne vuol sapere". Un paio d'ore dopo, la direzione approva un documento vago, per nulla vincolante su alleanze, interlocutori, programmi, calendario di incontri, senza nessun voto contrario. Lo approva, sia pur con qualche distinguo tra le minoranze con Orlando che si astiene e Michele Emiliano che invece vota a favore.

Come un vetro rotto, impossibile da rincollare, per responsabilità che a questo punto saranno giudicate dalla storia, dopo un voto, quello del prossimo anno, in cui ormai è evidente che sinistra andrà divisa, come in una grande Sicilia. Questa è la fotografia della sinistra, nel suo insieme, consegnata dall'attesa direzione di oggi. Perché il discorso di Renzi non sposta rispetto alla situazione di partenza e all'infinito ping pong di appelli, contro-appelli di queste settimane, non solo del segretario del Pd, rivolti con lo spirito di vuole addossare agli altri la responsabilità della rottura. Con una novità, per nulla irrilevante. E cioè che dopo un voto formale del partito su parole e documenti – su una linea, si sarebbe detto una volta - la spaccatura diventa irreversibile.

Dalla vocazione maggioritaria alla vocazione al suicidio, ultimo atto di una vicenda cristallizzata da tutte le parti in questa sorta di infinito quattro dicembre lungo un anno e anche più. Il Pd è Renzi, che lo riconquistato in modo plebiscitario al congresso superando il referendum, e lo ha ripreso col voto della direzione di oggi dopo la disfatta siciliana. Eternamente uguale a se stesso, intollerante alle "abiure" (leggi qui discorso di oggi) ma anche alle critiche, oggi di fatto ha incassato una sorta di rielezione, dopo che per mesi gli oppositori interni avevano atteso questo 5 novembre come l'Apocalisse. Fuori una sinistra, che ha trovato in Pietro Grasso il leader per un nuovo inizio, ma psicologicamente e politicamente ancora incapace di elaborare il lutto dell'uscita dal Pd, la grande casa che parecchi dei suoi leader hanno contribuito a fondare. Sinistra che gravita ancora in un universo Renzi-centrico, sia pur in forma di contrapposizione, con scarsa autocritica su questi anni di responsabilità comunque comuni. Richieste di discontinuità, abolizione di superticket, patrimoniali dietro le quali si cela la richiesta vera: il passo indietro del leader del leader del Pd, nel tentativo di ricomporre un centrosinistra nuovo, orizzonte nel quale tutti si sono formati. Perché in verità solo con un passo indietro si riaprirebbe davvero un dialogo. Frase che però nessuno pronuncia, come nessuno invoca, in mezzo a tante richieste, quelle primarie di coalizione che pure, in altri tempi, furono utilizzate proprio da Bersani con Renzi per accelerare il processo di rinnovamento rispetto alla vecchia guardia.

Diceva Antonio Gramsci che l'egemonia è la capacità di comprendere quel nucleo di verità presente delle teorie dell'avversario. Ed questa incapacità, nel suo insieme, di comprensione e "iniziativa", la prima ragione di quella che a sinistra, su questi presupposti, appare una sconfitta annunciata. Parecchi dirigenti, all'uscita della direzione del Pd, facevano questo ragionamento: "Ci sono sconfitte dopo le quali riparti, come ad esempio nel 2001 e sconfitte che ti distruggono. Ci avviamo verso questa seconda strada". Perché a questo punto il processo politico in atto conta più delle parole. Da un lato una coalizione bonsai: il Pd che cerca di costruire una gamba di centro (leggi qui) per contendere qualche voto moderato a Berlusconi, e una gamba a sinistra con Pisapia, eterno Godot atteso prima a sinistra, ora da Renzi. Dall'altro la sinistra, i cui confini sono ancora in definizione, dopo mesi estenuanti di dibattito. C'è Mpd, Fratoianni, Civati, la Boldrini, più la complessa posizione della cosiddetta sinistra del Brancaccio di Montanari e Falcone, che ha annullato la sua assemblea di sabato perché in difficoltà a reggere l'operazione Grasso e, diciamo le cose come stanno, la fusione con chi è stato in questi anni nel Pd votando i principali provvedimenti dei famosi "mille giorni". Un altro segnale che, in questa parte del campo, nessuno è baricentrico rispetto agli altri, capace di una iniziativa nuova, che muti lo schema di un immobilismo identitario e distruttivo, in cui il vicino diventa il principale avversario. Come nella guerra civile di Carlo Marx, che si concluse con la comune rovina delle parti in causa.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2017/11/13/cronaca-di-una-direzione-annunciata-divisi-e-immobili_a_23275915/?utm_hp_ref=it-homepage
4162  Forum Pubblico / AMBIENTE & NATURA / PAOLO MAGLIOCCO. Quanti terremoti ci sono stati in Italia quest’anno? inserito:: Novembre 20, 2017, 05:38:41 pm
Quanti terremoti ci sono stati in Italia quest’anno?
Le scosse superiori a due gradi Richter sono state più di dieci al giorno. Nel 2016 erano il doppio
Pubblicato il 20/11/2017 - Ultima modifica il 20/11/2017 alle ore 10:38

PAOLO MAGLIOCCO

Le scosse che hanno colpito la zona di Fornovo di Taro sabato 19 novembre sono state solo le ultime di una lunghissima serie. L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia offre un elenco, e una mappa, aggiornati in tempo reale, dove si legge che il totale degli eventi sismici con una magnitudo superiore a 2 gradi della scala Richter sono stati da gennaio a oggi ben 4410. Più di dieci al giorno. Nella lista, viene registrata ogni scossa separata dalle altre e ci sono anche sismi su faglie collegate alle nostre benché fuori dai confini nazionali, come il terremoto in Svizzera del luglio scorso. Se vi sembrano tanti, tenete presente che l’anno scorso, il 2016, l’anno dei disastri di Amatrice e delle Marche, i terremoti furono più del doppio: addirittura 10725. Due anni fa, nel 2015, si scende invece a meno di 2500 eventi. I terremoti con una forza superiore ai 4 gradi, come la scossa di Fornovo, sono molti di meno: quest’anno 25, di cui 6 fuori dai confini nazionali. Più o meno due al mese. E però l’unica scossa a fare morti, quella di Ischia del 22 agosto, non soltanto è stata una scossa isolata, ma aveva una magnitudo più bassa, 3,6 gradi Richter.

 Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2017/11/20/societa/quanti-terremoti-ci-sono-stati-in-italia-questanno-x40JrVa25BYsyrpOeEAJaL/pagina.html
4163  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / CONCHITA SANNINO e DARIO DEL PORTO Operazione contro clan Lo Russo: ... inserito:: Novembre 20, 2017, 05:37:02 pm
Operazione contro clan Lo Russo: colpo al traffico di droga a nord di Napoli
Sono 43 in tutto, i provvedimenti emessi dal Gip a carico dei soggetti ritenuti responsabili di associazione di tipo mafioso

Di DARIO DEL PORTO e CONCHITA SANNINO
20 novembre 2017

L'organigramma delle piazze di spaccio, con i rispettivi 'capi', cassieri e vedette. I fronti del riciclaggio. La suddivisione dei traffici - droga su tutti - comune per comune, o quartiere per quartiere. L'elenco delle armi e delle munizioni. C'è il racconto della più recente vita criminale del clan Lo Russo nell'ordinanza di custodia cautelare eseguita all'alba da carabinieri e polizia. E in cui sono finiti i racconti dell'ultimo e più "mondano" pentito dei narcos napoletani: Antonio Lo Russo, rampollo del papà boss Salvatore, il "ragazzo" che amava la Costa Azzurra e le belle donne, il camorrista che giocava a Playstation con il campione del Napoli, Lavezzi.

Finiscono in carcere - tra arresti e notifiche in cella - trafficanti e spacciatori dell'area a nord di Napoli: sono tutti 'assoldati a quel cartello di camorra che da decenni controlla il territorio, incassa milioni, investe in vari settori il fiume di denaro della droga. Sono 43, in tutto, i provvedimenti emessi dal Gip di Napoli a carico dei soggetti ritenuti responsabili - a vario titolo -di associazione di tipo mafioso, traffico di droga, armi da guerra e altri reati aggravati dall'art. 7 (che punisce il vantaggio dato ai clan). 
 
Camorra, blitz contro il clan Lo Russo: 43 arresti
L'operazione è stata coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia partenopea. Ad aprire l'ultimo inquietante spaccato sono state le dichiarazioni di Antonio Lo Russo, il cui pentimento si è unito a quello degli zii Mario e Carlo. "Inguaiato" dalle  accuse dei parenti, pressato dalle condizioni del carcere duro, al giovane ex viveur della camorra non è toccato che seguire le loro orme: passare dalla parte della collaborazione.
 
Identificati gli spacciatori al dettaglio di cocaina, eroina, marijuana e hashish nei quartieri di Miano, Piscinola, Marianella e Chiaiano. Sequestrato l'arsenale del clan: un mitragliatore kalashnikov, 5 fucili e 6 pistole, 3 giubbotti antiproiettile e centinaia di munizioni.

© Riproduzione riservata 20 novembre 2017

Da -  http://napoli.repubblica.it/cronaca/2017/11/20/news/operazione_contro_clan_lo_russo_colpo_al_traffico_di_droga_a_nord_di_napoli-181588866/?ref=RHPPLF-BH-I0-C4-P7-S1.4-T1
4164  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / MARIO CALABRESI. Chi dobbiamo ricordare Nel giorno in cui muore Salvatore Riina inserito:: Novembre 20, 2017, 05:35:10 pm
Chi dobbiamo ricordare

Nel giorno in cui muore Salvatore Riina, mai un segno di ravvedimento dalla ferocia, è giusto ricordare gli uomini e le donne grazie ai quali questa storia si è chiusa nel centro medico del carcere di Parma

Di MARIO CALABRESI
18 novembre 2017

Nella memoria di molti italiani, della maggior parte di noi, sono fissati indelebilmente il momento in cui abbiamo saputo che Giovanni Falcone era stato ucciso a Capaci e il dolore e la rabbia per la strage che poche settimane dopo ci tolse anche Paolo Borsellino. Più lontano nella memoria, lo sgomento per l’omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e di sua moglie Emanuela Setti Carraro, indifesi nella piccola Autobianchi A112. Tre momenti in cui lo Stato apparve perduto, incapace di fermare un’organizzazione criminale che sembrava invincibile.

Ora, nel giorno in cui muore Salvatore Riina, mai un segno di ravvedimento dalla ferocia, è giusto ricordare gli uomini e le donne grazie ai quali questa storia si è chiusa nel centro medico del carcere di Parma. I magistrati, i poliziotti, i carabinieri che si sono battuti per fermare il contagio, che hanno vinto la battaglia contro i corleonesi e hanno permesso alla Sicilia e all’Italia di tornare a vivere. Insieme a loro ci sono le vittime innocenti e la società civile, che da Palermo a Milano fu capace di mobilitarsi, di non girare più la testa dall’altra parte e di dire ad alta voce che la mafia era un’emergenza nazionale.

Penso a quegli uomini miti e silenziosi come Antonino Caponnetto, che prese il posto di Rocco Chinnici — l’ideatore del pool antimafia ucciso da un’autobomba nel 1983 — e trasferì nella lotta alla mafia le strategie utilizzate per sconfiggere il terrorismo, chiamando con sé Falcone e Borsellino. Viveva in modo monacale tra il palazzo di giustizia e la caserma della guardia di finanza che era la sua casa, i libri come unica compagnia. Una dedizione assoluta che proseguì nell’instancabile viaggio — lasciata la toga — nelle scuole italiane, per raccontare con il suo accento toscano la lotta alla mafia e per educare alla legalità.

Questa è l’Italia a cui dobbiamo guardare nel tempo in cui la ’ndrangheta la fa da padrone, in cui dilaga la corruzione e le piccole mafie proliferano a Ostia come a Modena, ricordando i molti che mai si arresero e mai si adeguarono.

L’elenco dei vivi è impossibile, quello delle vittime anche, ma ricordare alcuni nomi per tutti è doveroso. Dal dimenticato magistrato Alberto Giacomelli, assassinato — quando era già in pensione — per aver firmato anni prima il sequestro di una villetta del fratello di Riina, ai colleghi Cesare Terranova, Giangiacomo Ciccio Montalto e Antonino Scopelliti. Commissari come Boris Giuliano, Ninni Cassarà e Beppe Montana; il capitano dei carabinieri Emanuele Basile, che venne colpito mentre guardava i fuochi d’artificio insieme alla figlia di 4 anni, o il professor Paolo Giaccone, medico legale ucciso per non aver accettato di cambiare la sua perizia su un’impronta digitale che incastrava un killer mafioso.

Ci sono poi gli uomini e le donne delle scorte, da Vito Schifani a Emanuela Loi e le vittime civili delle stragi e degli attentati. Penso a Barbara Rizzo, aveva 30 anni e stava portando alla prima elementare i gemelli Salvatore e Giuseppe Asta. Vennero uccisi dalla micidiale esplosione di un’autobomba progettata per eliminare il giudice Carlo Palermo e le sue inchieste sulle raffinerie di droga.

L’Italia non è guarita e la criminalità organizzata non è stata estirpata ma la Piovra, quella che organizzava le stragi, i massacri e strangolava una città, un’isola e un Paese quella è stata sconfitta. E dobbiamo a questi uomini se Salvatore Riina è morto, il giorno dopo il suo ottantasettesimo compleanno, sconfitto e isolato in un supercarcere e non nella sua Corleone.

© Riproduzione riservata 18 novembre 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/11/18/news/chi_dobbiamo_ricordare-181398629/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S1.8-T2
4165  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / MAURIZIO MOLINARI Carlo Casalegno, l’eredità di Mazzini e l’etica del dovere... inserito:: Novembre 20, 2017, 05:33:48 pm
Carlo Casalegno, l’eredità di Mazzini e l’etica del dovere verso il “Nostro Stato”
Pubblicato il 18/11/2017 Ultima modifica il 18/11/2017 alle ore 23:35

MAURIZIO MOLINARI
QUESTO CONTENUTO È CONFORME AL SCOPRI DI CHE SI TRATTA

Caro Direttore, 
sono passati 40 anni dall’assassinio del vicedirettore de «La Stampa» Carlo Casalegno da parte delle Brigate Rosse. Su questo giornale Lei ha scritto un articolo in cui evidenzia in modo chiaro ed esaustivo l’opera dello scrittore e giornalista. Mi piace sottolineare il riferimento che ha fatto accostando l’opera di Carlo Casalegno «a quell’idea di Dio e Popolo che Giuseppe Mazzini indicò come motore ideale dello Stato unitario». Vorrei aggiungere che l’impegno di Carlo Casalegno è stato segnato da un costante richiamo al «Pensiero e Azione» di Giuseppe Mazzini che pensò e volle e creò l’Italia per l’Emancipazione dei lavoratori e l’Educazione dei cittadini basata sull’etica del Dovere».
 Danilo Ballardini, Forlì
 
 ---
 
Caro Ballardini, 
il richiamo ai valori comuni di Casalegno e Mazzini nasce proprio dall’etica del dovere ovvero dalla convinzione che essere cittadini comporta delle responsabilità nei confronti della collettività e dunque della nazione. Con «Pensiero e Azione» Mazzini mette il singolo al centro del Risorgimento perché solo con la partecipazione, personale e volontaria, l’Italia può ritrovare la propria unità. E se Casalegno aveva intitolato la sua rubrica «Il Nostro Stato» è perché voleva mettere l’accento proprio sul fatto che l’Italia era dei suoi cittadini, che dunque ne avevano la responsabilità.
Questo rapporto diretto, personale, fra singoli cittadini e lo Stato è l’anima, il segreto del successo, di ogni democrazia. Tanto più è forte, tanto più la consolida. Tale eredità, trasmessa dagli scritti di Mazzini ed interpretata da Casalegno, ha un valore cruciale, strategico, nell’attuale stagione di indebolimento dei sistemi democratici. Le nazioni dell’Occidente, in Europa come in Nord America, sono alle prese con una crescente sfiducia degli elettori nelle istituzioni rappresentative e la risposta non può essere liquidarle bensì rinsaldarle. La strada migliore per riuscirci è richiamarsi all’etica del dovere verso il «Nostro Stato».

 Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2017/11/18/cultura/opinioni/lettere-al-direttore/carlo-casalegno-leredit-di-mazzini-e-letica-del-dovere-verso-il-nostro-stato-pVQhazQdD5V1bzsOSD0OeP/pagina.html
4166  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Veltroni: "Se è regolamento di conti, a sinistra solo macerie". inserito:: Novembre 20, 2017, 05:32:21 pm
Veltroni: "Se è regolamento di conti, a sinistra solo macerie".

Bonino: "Per ora niente accordi con il Pd"

L'ex segretario del Pd invita i bersaniani a ripensarci: "Torniamo ad essere una comunità".

La leader radicale: "Distanti dai dem su giustizia e migranti". Pisapia: "Nulla è scontato, necessari segnali di discontinuità"

20 novembre 2017

ROMA - "Se il problema è regolare i conti a sinistra, resteranno solo le macerie". Il giorno dopo la rottura definitiva tra Mdp e Pd, il "padre nobile" Walter Veltroni interviene a Skytg24 con un ultimo appello: “Il Pd per la prima volta nella storia della sinistra è nato per fusione e non per scissione. La divisione è un demone della sinistra che porta al tanto peggio tanto meglio. Ma penso sia un errore".

A Pier Luigi Bersani l'ex segretario del Pd risponde: “Prendo atto, bisogna rispettare le posizioni degli altri, la risposta di ieri, dopo tanti appelli, è secca e netta. Non vedo cosa possa portare di positivo alla sinistra italiana, se per effetto di questa divisione dovesse vincere il centrodestra ci sarebbero da fare considerazioni amare. Il centrosinistra deve tornare ad essere una comunità".

E, rispetto all'opposizione di Mdp al segretario dem Matteo Renzi, considerato "un ostacolo",  afferma: "Se è solo questo, è sbagliato. È stato il segretario del loro partito fino a qualche mese fa, adesso è diventato il problema? Certo Renzi deve essere capace di includere e aprire, ma che a sinistra il nemico sia la sinistra è grave".

Intanto, sul fronte della coalizione in via di costruzione del Pd,  Emma Bonino per ora sconfessa l'ipotesi di alleanze con i dem: "Giovedì presentiamo Più Europa, il simbolo della nostra lista europeista - spiega a Circo Massimo su Radio Capital, condotto da Massimo Giannini e Jean Paul Bellotto -  ma per ora non abbiamo accordi con nessuno".
Centrosinistra, Bonino: "Non ho preclusioni, ma nessun accordo con il Pd"

La leader dei Radicali italiani precisa: "Siamo lontani sui temi della giustizia, sul tema migratorio". E aggiunge: "Noi siamo al lavoro per l'agibilità politica degli italiani. Non ho preclusioni, ma non ho accordi, puntiamo a sconfiggere l'astensione, il disamore per la politica". Poi conclude: "Allo stato attuale non c'è però neanche nessuna possibilità che si possa presentare la nostra lista alle elezioni per il problema delle firme che sarà impossibile raccogliere, visto che ne servono 900 per ognuna delle 70 circoscrizioni previste".

Anche il leader di Campo progressista Giuliano Pisapia è prudente sull'ipotesi di alleanza con i dem: "Fare un programma condiviso è importante e fondamentale, ma se guardo al futuro, al dopo elezioni, dico che bisogna prima vincerle le elezioni. E per vincere le elezioni bisogna dare un segnale immediato di discontinuità e di cambiamento, fin dalla legge di bilancio", afferma a "6 Su Radio 1". E conclude: "Nulla è scontato, ma certo che intervenire sui superticket per il diritto alla salute, sulla dignità del lavoro e sul precariato, con un maggior impegno sulle diseguaglianze, sarebbero segnali di svolta, decisivi per il futuro".
 
© Riproduzione riservata 20 novembre 2017

Da http://www.repubblica.it/politica/2017/11/20/news/centrosinistra_veltroni_bonino-181597347/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_20-11-2017
4167  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / GIORDANO STABILE. Lo sporco segreto di Raqqa: lasciati fuggire i terroristi... inserito:: Novembre 20, 2017, 05:30:09 pm
Lo sporco segreto di Raqqa: lasciati fuggire i terroristi dell’Isis
Inchiesta delle Bbc rivela i dettagli dell’accordo fra curdi e islamisti: salvi anche i foreign fighters

Pubblicato il 14/11/2017 - Ultima modifica il 14/11/2017 alle ore 15:59

GIORDANO STABILE
INVIATO A BEIRUT

L’accordo per l’evacuazione di centinaia di combattenti dello Stato islamico, con le loro famiglie, aveva gettato un’ombra sulla vittoria a Raqqa delle Forze democratiche siriane (Sdf), guidate dai guerriglieri curdi dello Ypg. Ora un’inchiesta della Bbc rivela nuovi, inquietanti, dettagli sull’intesa che ha permesso di accelerare la caduta della capitale del Califfato in Siria, un mese fa, ma ha messo in salvo almeno 250 combattenti, comprese decine di stranieri, anche europei. Terroristi che sono stati portati negli ultimi territori ancora in mano allo Stato islamico, nella provincia di Deir ez-Zour e da lì, perlomeno alcuni, hanno imboccato del vie dei trafficanti di esseri umani fra la Siria e la Turchia.
 
I CONDUCENTI NON PAGATI 
L’accordo, nei suoi dettagli, doveva rimanere segreto. Ma già fra il 12 e il 14 ottobre, erano circolate immagini di pullman verdi (quelli che di solito vengono usati per l’evacuazione di combattenti islamisti in Siria) alla periferia di Raqqa. Spezzoni di filmati da cellulari avevano anche mostrato parti del convoglio che usciva dalla città, con combattenti in piedi sui cassoni dei camion che li trasportavano, con le loro armi. Alle trattative fra capi dell’Isis e le Sdf avevano assistito anche rappresentati della Coalizione a guida americana che ha addestrato e armato i guerriglieri curdi e i loro alleati, ma «senza partecipare». I curdi, rivela ora la Bbc, avevano promesso «migliaia» di dollari ai conducenti dei pullman e dei camion perché «mantenessero il segreto». Invece gli autisti non sono mai stati pagati e ora hanno raccontato tutto all’inviato dell’emittente britannica Quentin Sommerville.
 
UNA COLONNA LUNGA CHILOMETRI 
Il convoglio era composto da 45 camion, 13 pullman e un centinaio di veicoli dell’Isis. In tutto ha trasportato almeno 250 combattenti jihadisti, la maggior parte con le loro armi, persino cinture esplosive, e 3500 famigliari. La colonna si snodava per sei chilometri e mezzo. Agli autisti non era stato anticipato né le dimensioni dell’evacuazione («Ci avevano parlato di alcuni centinaia di persone», rivela uno dei conducenti Abu Fawzi, di Tabqa) né il fatto che sarebbero dovuti entrare dentro la città assediata da soli, senza scorta, dove si sono trovati davanti ai terroristi armati fino ai denti, con le cinture esplosive addosso, che hanno «minato con l’esplosivo tutti i mezzi» per farli saltare in aria nel caso l’accordo non fosse stato rispettato.
 
I FOREIGN FIGHTERS 
Invece di un «lavoro di poche ore» gli autisti si sono imbarcati in una odissea di tre giorni, verso Sud e la zona di Al-Bukamal, al confine fra Siria e Iraq. Gli aerei della coalizione a un certo punto hanno cominciare a «volare basso e sganciare bombe illuminanti», ma non hanno attaccato il convoglio. A bordo dei mezzi c’erano anche molti combattenti stranieri, compresi francesi. Alcuni si sono mescolati al flusso di profughi che da Al-Bukamal e da tutta la provincia di Deir ez-Zour risale l’Eufrate fino alla zona di Raqqa per rifugiarsi nei campi e poi tentare di passare in Turchia con i trafficanti di uomini. Come si temeva a metà a ottobre, quando erano trapelati i primi dettagli dell’intesa, l’evacuazione ha permesso la conquista di Raqqa un mese prima del previsto, ma ha lasciato a piede libero centinaia di terroristi, decine europei.
Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2017/11/14/esteri/lo-sporco-segreto-di-raqqa-lasciati-fuggire-i-terroristi-dellisis-qXFZUyv54s7onBfIpck8iO/pagina.html
4168  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / FRANCESCA SCHIANCHI. Renzi ne parla con il sacerdote: “Vedrete, approveremo... inserito:: Novembre 20, 2017, 05:28:37 pm
Renzi ne parla con il sacerdote: “Vedrete, approveremo la legge”
Ma in soli venti giorni ci sono anche Ius soli e regolamenti

Pubblicato il 17/11/2017 - Ultima modifica il 17/11/2017 alle ore 11:18

FRANCESCA SCHIANCHI
ROMA

«Della legge sul biotestamento ho parlato con il mio don, il mio prof di religione, che è uno molto rigoroso, attento a sottolineare l’appartenenza alla dottrina: anche lui dice che, coi livelli raggiunti dalla scienza, impedire il fine vita rischia di essere anticristiano». A chi nei giorni scorsi gli ha chiesto un’opinione sul biotestamento, anche a interlocutori cattolici, il segretario del Pd Matteo Renzi ha risposto così. Ora, le parole di papa Francesco, quel richiamo a evitare cure «non proporzionali», vanno in direzione di quello di cui anche lui è convinto: «Sono d’accordo col Santo padre», ripete. Dinanzi ai tanti che – a partire dai senatori a vita - intervengono per chiedere che venga finalmente discussa la legge ferma al Senato, si dice sicuro parlando con i collaboratori: «Vedrete: la approveremo». Passato alla Camera in aprile con una strana maggioranza formata dai voti di Pd, Si, Mdp e M5S, da allora il provvedimento è fermo, arrivato nell’Aula del Senato senza mandato al relatore. «Il biotestamento è uno dei nostri obiettivi prioritari», garantisce oggi il capogruppo dem di Palazzo Madama, Luigi Zanda. Il problema sono i tempi: la legge di bilancio verrà licenziata dal Senato il 28 o 29 novembre, a quel punto ci sarà una ventina di giorni o giù di lì, durante i quali la manovra sarà alla Camera, disponibili per lavorare ad altro. Ma, oltre al testamento biologico, aspettano di essere approvati anche lo Ius soli e la modifica dei regolamenti parlamentari, per stare alle preferenze del gruppo di maggioranza, il Pd. Poco tempo per tutti quei provvedimenti. A meno che, ma questo ancora non si sa, le Camere non vengano sciolte dal Presidente della Repubblica a fine gennaio, regalando qualche altra settimana di lavoro. 

«Dobbiamo provarci – insiste però Zanda – dobbiamo tentare di approvare il testo così com’è, perché chi propone modifiche non vuole che venga approvato». A chiederle sono in primis gli alleati di governo di Ap, che non vedono nella posizione del pontefice nulla che determini un cambio di linea: «Quel testo va corretto, così non lo votiamo», insiste Maurizio Lupi; «la legge va migliorata», aggiunge la ministra Beatrice Lorenzin. Una chiusura che, ragionano nel Pd, rende difficile il ricorso alla fiducia, strumento a cui si è qualche volta pensato, panacea di tutti i mali quando bisogna superare un ostruzionismo-monstre e i tempi sono ristretti. Ma, appunto, difficile da praticare se una forza di maggioranza è contraria e, per di più, il tema è così delicato e discusso. 
 
Difficoltà oggettive che però Renzi e chi gli è più vicino sono convinti si possano superare. «Alla Camera l’abbiamo approvata con numeri enormi – sottolinea Ettore Rosato, il capogruppo che lavorò per condurla in porto, ricordando i 326 voti a favore (37 i contrari e 4 gli astenuti) – dobbiamo tornare a quei numeri: le parole del Papa sono come coltello nel burro di una opinione pubblica che da tempo chiede quella legge». Basterà la pressione della società? Oltre alla corsa contro il tempo, a preoccupare i dem è anche la maggioranza inusuale. Perché sulla tenuta dei Cinque stelle, sul fatto che ripeteranno il voto a favore anche nel secondo ramo del Parlamento, al Senato non ci giurerebbero. «Siamo sicuri che non si rimangeranno la parola?», s’interroga Zanda, dopo che già sulle unioni civili il Pd si era illuso di potere contare sui loro voti e poi la trattativa è saltata. Un rischio che considerano ancora più alto a fine legislatura, quando l’imminenza della campagna elettorale potrebbe indurre l’opposizione a prendere le distanze dal Pd. Ma il punto vero per farcela è la volontà dei dem di calendarizzare in Aula e provarci. Una ventina di giorni sono pochi, ma non è impossibile: «Vedrete - sparge ottimismo Renzi - ce la faremo».

Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2017/11/17/italia/politica/renzi-ne-parla-con-il-sacerdote-vedrete-approveremo-la-legge-d9v3l0kLyS8rM3jrpPex9M/pagina.html
4169  Forum Pubblico / SCRIPTORIUM 2017 - (SUI IURIS). / Si legge poco e i quotidiani sbagliano nel rapporto con il lettore di news ... inserito:: Novembre 19, 2017, 11:41:22 am
L'abbonamento ai quotidiani imposto in modo subdolo sul web è l'ennesima dimostrazione di quanta scarsa dignità si conceda al lettore-cliente.
Se il giornale in edicola si compra sempre meno ci sono, da tempo, diverse ragioni.

Adesso si tarpano le ali all'auspicato (e sperato) aumento dei lettori attraverso il web, eliminando stupidamente le news gratuite (che procurano pubblicità).
Ciò che interessa ai nuovi lettori, ma anche ai lettori storici, è trovare letture selezionate e approfondite degli argomenti che stanno loro a cuore, questo li aiuterebbe ad informarsi maggiormente e in minor tempo, senza dover comprare chili di carta da gettare nel cestino (differenziato). Questo salto in avanti, evolutivo per il lettore che vuole razionalizzare il suo essere informato, oggi si tenta di farlo diventare una nuova fonte di lucro, che si somma al già redditizio accumulo di pubblicità (fastidiosa).

E, come per la pubblicità, senza alcuna attenzione alla qualità dei contenuti!
È sufficiente aumentare il numero di copie vendute, che possono venire da bufale, da pettegolezzi, da scandali montati per creare nel pubblico debole una curiosità morbosa, oppure dagli schiamazzi della politica litigante e “orientata” ad arte dagli stessi quotidiani.

Chi oggi intende attingere e raccogliere notizie, sia esso Cittadino o appassionato di Rassegne Stampa (senza scopo di lucro), deve dotarsi di un capitale non piccolo per continuare ad essere un Essere Umano civile, informato e consapevole.
Sarebbe diverso se venisse chiesto un contributo a fronte di una concreta offerta di valori. Ad esempio chiedere il contributo per poter seguire la firma di un giornalista d’inchiesta o un opinionista di chiaro valore acquisito, oppure una serie interessante di temi culturali o socio-politici, o di singoli argomenti selezionati dalla testata, ecc. ecc.

Attuando questo modo di agire e di proporsi si potrebbero ottenere risorse per la stampa (o la TV), creando con il lettore un rapporto di livello socio-culturale più elevato.
Quindi qualcosa di molto diverso dall'attuale consumistico: “abbonati a tutto, poi leggi quel che ti pare”, legandoci alle testate per tempi più o meno lunghi (a tariffa).

Dobbiamo selezionare quel che ci serve (di utile al lettore) e che ci interessa, stimolando le testate a proporre meno pettegolezzi e finti scoop e a distinguersi in qualità dalla concorrenza.
Qualche testata lo sta pensando ma se non si personalizza un rapporto, onesto e professionale, con il cliente-lettore la parte migliore del “mercato” non cambierà parere.

ggiannig
4170  Forum Pubblico / LEGA VALORI e DISVALORI prima di marzo 2018 / DIBATTITO SULL'INDIPENDENTISMO Ma il popolo veneto esiste? Storici e ... inserito:: Novembre 19, 2017, 08:38:49 am
DIBATTITO SULL'INDIPENDENTISMO

Ma il popolo veneto esiste?
Storici e intellettuali a confronto


Grande Stato o piccola patria? Colpevole bluff o errore tecnico? In piena bufera sul referendum on - line di Plebiscito.eu per l’indipendenza del Veneto - 2 milioni di voti secondo i promotori, 100mila per le società che certificano i flussi web - forse l’unico interlocutore credibile si chiama Giambattista Vico (1668 - 1744). La sua teoria dei corsi e ricorsi storici, seppure secolare, è utile a diradare il caos che si è creato. In sintesi: alcuni accadimenti si ripetono con le medesime modalità anche a distanza di tanto tempo e ciò avviene non per puro caso ma in base ad un preciso disegno della divina provvidenza. Così dalla Repubblica veneta dei desideri alla Catalogna passando per il Kosovo e la Scozia sino alla Crimea, probabilmente, alla resa dei conti è una «logica superiore» che s’impone. Eppure c’è un quesito cruciale finora senza risposta: ma quello veneto è un popolo? Di più. Se sì, ha diritto all’autodeterminazione? In mezzo, le ragioni della Costituzione, della storia, della politica, dell’economia. Gianluca Busato, promotore del Comitato del Sì al referendum, il sindaco democratico di Silea Silvano Piazza e il factotum dell’indipendentismo, già leader della Liga Veneta Franco Rocchetta, ci giurano sopra, ne sono fermamente convinti: quello veneto è un popolo e ha diritto all’indipendenza».

Proprio Rocchetta non accetta i luoghi comuni e rilancia con un’analisi che affonda le radici nella storia delle autonomie: «Ho visto molti infantilismi nell’approccio all’iniziativa di Plebiscito.eu. Il Veneto è contemporaneamente un popolo, una nazione e uno stato. Il Veneto non è Italia così come il Portogallo non è Spagna, la Lituania non è Estonia. Io ad esempio ho seguito la genesi di molte Repubbliche dell’ex Europa orientale sin dai tempi della Guerra fredda. Sono storie di orgoglio e riscatto, fenomeni complessi che hanno un’incubazione di anni. Per questo, - argomenta Rocchetta - mi rendo conto che i simulacri della statualità non possono essere costruiti con la stampante 3D. Per noi, la Repubblica di Venezia è tutt’altro che finita nel 1797. Oggi non ci collochiamo né a destra né a sinistra di nessuno, non siamo un partito ma dialoghiamo con tutti. I segnali sono incoraggianti, - insiste Rocchetta - mi pare di vedere una consapevolezza nuova nei cittadini veneti. Fino all’altro ieri non si sapeva niente di storia veneta, ci parlavano sempre e solo del Risorgimento e mai di Daniele Manin e Niccolò Tommaseo, del loro modello di stato, di società, di sistema economico. Le lacune dei veneti sono grandi - riflette Rocchetta - cinquanta anni dopo la Serenissima, il 22 marzo 1848 fu proclamata ufficialmente in piazza San Marco la Repubblica Veneta, anche questo un capitolo poco noto. Recuperare quello spirito, quello slancio, quegli obiettivi, è una scommessa per il futuro del Veneto. Secondo noi, vincente». Carta che vince, carta che perde. Se quella sull’indipendenza del Veneto fosse una semplice partita, forse si potrebbe giocare alla pari. Il punto è che di mezzo c’è uno stato di diritto, una capitale (Roma), la Costituzione. Mario Bertolissi, costituzionalista, non ha pregiudizi. Riflette serenamente: «Nel discutere significato e effetti che può generare il sondaggio degli indipendentisti, è necessario considerare più di una prospettiva: quella giuridica, quella istituzionale e quella politica. La prima risponde alla seguente domanda: l’ordinamento costituzionale italiano, per come la pensa in particolare la Corte costituzionale, contempla l’istituto della secessione? La risposta è no. È una pratica suggerita anche da Niccolò Machiavelli, il quale avvertiva che ’colui il quale trascura ciò che al mondo si fa, per occuparsi invece di quel che si dovrebbe fare, apprende l’arte di andare in rovina, più che quella di salvarsi’".

Il conflitto - sostiene Bertolissi - riguarderà l’articolo 5 della Costituzione che proclama l’unità e indivisibilità della Repubblica». «La seconda prospettiva, - ragiona il costituzionalista - è quella istituzionale. Un referendum consultivo rappresenta l’espressione di una serie di valori pure essi costituzionali: democrazia diretta, libertà di manifestazione del pensiero, pluralismo sia delle persone (cittadini elettori) sia degli enti (Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni) perché la Repubblica non è costituita solo dallo Stato». Infine c’è la terza prospettiva che indica Mario Bertolissi: «È quella politica che dovrebbe guardare al futuro con visione lungimirante. Perché la politica è l’arte del possibile. Il possibile dovrebbe coincidere con ciò che corrisponde al bene della collettività rappresentata. Nel nostro caso, degli abitanti della Regione Veneto. Ora come ora sono lo Stato e le Regioni negligenti ad essere secessioniste, non il Veneto. Anche se tutto non va come dovrebbe andare, neanche in Veneto». Già, il secessionismo. Tema ricorrente nella storia del Veneto. Ciclicamente capace di coagulare consensi o creare divisioni mai sanate. Tema che da sempre appassiona un raffinato scrittore e cultore della storia della Serenissima come Alvise Zorzi. Che non usa mezzi termini: «Qualora fosse confermato l’esito del referendum organizzato da Plebiscito.eu (due milioni di votanti n.d.r.) saremmo davvero davanti ad un fenomeno inaspettato, inedito per il Veneto. Perché questa comunità - sostiene Zorzi - non è mai stata veramente ribelle. Alla fine, ha prevalso sempre la diplomazia, le ragioni del pragmatismo su quelle dell’idealismo.

Il popolo veneto esisteva una volta, non oggi. Lo stesso ricordo della Repubblica veneziana si perpetua da tanti anni. Spesso viene rilanciato ma oggi non mi pare esista una classe politica che possa recuperarne lo spirito autentico e applicarlo al Veneto moderno. No, onestamente il movimento Plebiscito.eu non riesce ad emozionarmi. Dietro la Serenissima, alle spalle di quella Venezia e di quel Veneto - ragiona lo scrittore - c’era una vera e propria potenza economica. Non mi pare che oggi gli industriali del Nordest abbiano le stesse risorse e la stessa voglia di combattere. E poi all’orizzonte, in piazza San Marco, non vedo nessun Mocenigo, nessun Foscari, nessun esponente politico in grado di raccogliere eredità illuminate di quello spessore». Del referendum on line sull’indipendenza del Veneto sorride Mario Isnenghi, per anni titolare della cattedra di Storia contemporanea a Ca’ Foscari. «Non vorrei infierire né apparire poco rispettoso, - esordisce lo storico - davanti ad un’iniziativa probabilmente ispirata da sentimenti sinceri e oneste attese. Ma devo dirglielo con franchezza: il popolo veneto non esiste. Vero anche che reagivamo con lo stesso riso nella metà degli Anni ’80 davanti alla Liga Veneta e alle spinte secessioniste. Ancora più vero che dopo la Lega ha ottimizzato il malumore di questa comunità con risultati elettorali di tutto rispetto ma la lotta politica, indipendenza inclusa, non si fa con la semantica. La stessa Lega che oggi si barcamena con esiti elettorali disastrosi e che rilancia a fini elettorali temi e metodi che una volta risultavano vincenti». Una pausa e Isnenghi riprende il suo ragionamento: «C’è un’immagine che può aiutare a capire. Eric Hobsbawn (grande storico, autore del Secolo breve n.d.r.) sostiene che le tradizioni non si inventano. Io aggiungo: non si semina il rosmarino nel deserto, non crescerà mai. E’ la politica con le ragioni del consenso che decide sempre quale pianta crescerà o no. Per carità, siamo seri. Tra l’altro, - conclude Mario Isnenghi - siamo ancora fermi alla costruzione mentale della Padania e lei pensa che un da un referendum on - line possa davvero nascere la Repubblica veneta?». Di segno opposto invece è l’analisi di Beppe Gullino, docente di Storia moderna e Storia dell’Europa moderna all’università di Padova.

Il referendum di Plebiscito.eu, per lo storico, è comunque «un tentativo da considerare e da studiare, uno fra i pochi che meriti attenzione in questo Veneto irriconoscibile». «Sì, irriconoscibile, - argomenta Gullino - dove piuttosto che leggere un libro si preferisce farsi ammazzare, dove ormai i figli si chiamano Jessica o Denis. Personalmente mi vergogno di essere italiano. Dopo ottocento giorni due fucilieri della nostra Marina militare sono ancora prigionieri in India e non facciamo nulla di concreto per riportarli a casa. Ai tempi della Serenissima - riflette amaramente lo storico - una cosa del genere non sarebbe mai accaduta. La Serenissima aveva una tradizione immensa non solo in ambito politico - economico ma anche sotto il profilo della diplomazia per non parlare del livello all’avanguardia di ordinamento dello stato. Non si dimentichi, - aggiunge Gullino - che Jean Jacques Rosseau prima di scrivere il Contratto sociale fu attaché presso l’ambasciata francese a Venezia e della città, delle sue leggi, dei suoi uomini più illuminati, assorbì tutto. Allora, - conclude lo storico - ben venga ogni iniziativa che riporti il Veneto a quel periodo d’oro». Non sappiamo quale sarà l’esito finale del referendum di Plebiscito.eu e cosa sarà dell’indipendenza del Veneto. L’unica cosa certa al momento è che di dorato in tutta questa storia, c’è poco o niente. Ma forse è irrilevante: l’oro è in crisi di tempo. Come la politica.

28 marzo 2014 (modifica il 31 marzo 2014)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Massimiliano Melilli

Da - http://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/notizie/cultura_e_tempolibero/2014/28-marzo-2014/ma-popolo-veneto-esiste-2224279868658.shtml
Pagine: 1 ... 276 277 [278] 279 280 ... 529
Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!