LA-U dell'OLIVO
Maggio 02, 2024, 06:11:17 am *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
  Home Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
  Visualizza messaggi
Pagine: 1 ... 469 470 [471] 472 473 ... 529
7051  Forum Pubblico / LA CULTURA, I GIOVANI, La SOCIETA', L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA, IL MONDO del LAVORO. / Il j'accuse di Saviano: "Napoli senza futuro, per il Pd è un buco nero e ... inserito:: Febbraio 26, 2016, 11:50:04 am

Il j'accuse di Saviano: "Napoli senza futuro, per il Pd è un buco nero e De Magistris ha fallito"
L'intervista.
A pochi mesi dalle comunali lo scrittore denuncia la mancanza di rinnovamento della politica. Compresi i 5Stelle

Di CONCHITA SANNINO
26 febbraio 2016
   
ROMA. "Lo sa il Pd nazionale come tratta i posti difficili del sud? Come buchi neri. E difatti tende a lavarsene continuamente le mani". Roberto Saviano non ha smesso di scagliare le sue analisi indigeste. "Quello che accade a Napoli e in Campania è esemplare, basta osservare l'offerta politica, l'assenza di un autentico rinnovamento, proprio quando si decide il destino di una capitale del Mezzogiorno sempre più povera, e più preda del crimine". Ma ne ha anche per gli altri. "I Cinque Stelle sono un'estensione della volontà di Casaleggio. E il sindaco de Magistris ha fallito l'unica missione che aveva". Uno sguardo non addomesticato né dalla fama, né dalla (periodica) lontananza. Lo scrittore guarda dall'America al Mezzogiorno e alla sua Napoli, una delle metropoli che a giugno va al voto amministrativo in una sfida che non si annuncia semplice per il Pd di Matteo Renzi.

Saviano, cos'è cambiato cinque anni dopo la svolta arancione che accomunò Napoli a Milano, Genova e Cagliari? Con quale animo andrebbe a votare, se fosse rimasto in città?
"Io non voto a Napoli perché da dieci anni vivo sotto scorta. Forse bisognerebbe chiederlo a chi vive in una città dove si spara quotidianamente, dove è quasi impossibile trovare lavoro, dove non si investe più. Purtroppo, ciò che opprime la vita di tanti cittadini, o li costringe ad andare via, non è cambiato".

De Magistris si ricandida: si è paragonato al Che, poi a Zapata. Cosa salva e cosa boccia della sua "rivoluzione"?
"Il sindaco aveva una missione e l'ha fallita. A fine mandato non è importante isolare cosa va salvato e cosa no, ma quale città si è ereditata e quale città si lascia. L'evoluzione delle organizzazioni criminali a Napoli non ha vita propria, ma si innesta nel tessuto cittadino e in quello politico e imprenditoriale. Se fino a qualche anno fa era quasi solo la periferia a essere dilaniata da continui agguati di camorra, ora si spara in pieno centro. E si spara per le piazze di spaccio. Non una parola sulla genesi di agguati e ferimenti. Non una parola sul mercato della droga che in città muove capitali immensi. Fare politica a Napoli e in Campania dovrebbe voler dire essere l'avanguardia della politica in Italia, avere idee, proposte, e tenersi lontani il più possibile dalle logiche delle consorterie".

Sul Pd ha detto, a Ballaró, che la "più credibile è la vecchia generazione, che con Bassolino ha clientele". Ma lui, osteggiato dai renziani, può raccontarsi come nuovo.
"Lo ripeto. Io vedo che il Pd nazionale si lava continuamente le mani della Campania e di Napoli. Buchi neri, così percepisce le realtà tanto difficili da gestire. Ecco perché non c'è nessuna proposta nuova, nessun percorso alternativo, ma tutto è lasciato ad assetti già esistenti. Cosa c'è da spiegare? È tutto evidente".

Il Movimento 5 Stelle appare ancora segnato dal caso Quarto: da 20 giorni non riesce a indicare il candidato sindaco di Napoli e a sedare malumori.
"Il Movimento 5 Stelle, che sul Sud poteva fare la differenza, sconta un vizio di forma: essere sempre meno un partito e sempre più un'estensione della volontà di Casaleggio. Così il codice d'onore, la multe e - vedi Quarto - le espulsioni assumono un profilo pericoloso perché antidemocratico: quello della cessione di sovranità attraverso la negoziazione privata. Per logica dovrebbe essere: se vengo eletto, credo di poter amministrare secondo le specificità del territorio. Ma nel M5S non è così, perché basta invece prendere una decisione in disaccordo col direttorio per essere cacciato via. Mi domando se gli iscritti al Movimento questa cosa l'abbiano compresa, se la ritengano giusta o la subiscano. La mia sensazione è che anche per loro la politica ormai sia solo comunicazione".

Cosa serve di più al futuro sindaco di Napoli?
"Attenzione costante. E progetti veri: da Roma, dall'Europa. Nessun politico, nessun partito può farcela senza un progetto nazionale e internazionale che sostenga la riforma della città. Chiunque creda di potercela fare inganna se e gli elettori".

Nella città dove i killer sono sempre più "bambini", gli intellettuali si dividono sulla temporanea esposizione a Roma d'una splendida opera del Caravaggio. Ha vinto il no. Lo chiedo a lei che ha fondato una corrente narrativa: ma Gomorra si può esportare e i capolavori d'arte no?
"Capisco la provocazione: un Caravaggio esposto a Roma avrebbe agito ottimamente da marketing per il turismo. Se poi è vero quanto ho letto, e cioè che il prestito avrebbe garantito fondi per una casa rifugio al rione Sanità per donne e bambini, allora credo che certe polemiche non solo siano sterili, ma anche dannose. Il Pio Monte della Misericordia, dove si trova il Caravaggio, è in via dei Tribunali, a due passi da Forcella, dove a Capodanno è stato ucciso un innocente. Mi viene da sorridere quando oltre al vincolo di inamovibilità si fa appello alla comprensione dell'opera solo nel contesto che in cui è inserito. Perché quel contesto è terribile e difficile per chi ci vive e per chi resiste".

© Riproduzione riservata
26 febbraio 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/02/26/news/il_j_accuse_di_saviano_napoli_senza_futuro_per_il_pd_e_un_buco_nero_e_de_magistris_ha_fallito_-134258007/?ref=HRER1-1
7052  Forum Pubblico / I GIUSTI MAESTRI / ECO un buon professore, di un “buon maestro”, come ce ne sono pochi. inserito:: Febbraio 23, 2016, 10:52:50 am
Domenica, 21 Febbraio 2016    

 ilsole24ore.com

Sapeva bene di essere il più famoso, il più importante, il più conosciuto al mondo, intellettuale italiano. E anche su questo amava fare dell'autoironia. Come si legge nelle pagine che seguono, Umberto Eco, nonostante la sua impressionante notorietà, ha mantenuto le abitudini di sempre. In primis, certo, l'amore per i libri, per i saperi che essi veicolano, ma anche per il lavoro editoriale ben fatto. Uomo di grande erudizione, e prima di questo filosofo e cultore di un pensiero critico che invitava a esercitare su ogni cosa, nel suo agire intellettuale era animato da un sano edonismo. L'importante è divertirsi. Sempre e comunque, o quasi. Ma il divertimento deve essere della più alta qualità. E orientato alla massima serietà, ispirato da una vocazione morale che miri a far sì che a divertirsi, e a imparare divertendosi, siano anche gli altri. Filosofo, semiologo, medioevista, giovanissimo autore Rai, linguista, enciclopedista, scrittore, bibliofilo, professore universitario, direttore editoriale, brillantissimo saggista e conferenziere, animatore del Gruppo '63, del Dams, delle facoltà di Scienza della comunicazione e di Libertà e Giustizia. Tante, troppe definizioni che ci depistano dal suo atteggiamento di fondo. Che è quello di un buon professore, di un “buon maestro”, come ce ne sono pochi. Di quelli che - come ebbi modo di scrivere per il suo ottantesimo compleanno - sono in grado di salvarti la vita. Mettiamo tra parentesi per un momento il Trattato di semiotica generale, la Rosa e l'Ornitorinco, e pensiamo a un libro del 1977, momento di massimo spaesamento di un'università divenuta velocemente da super elitaria a ultra massificata, intitolato Come si fa una tesi di laurea. Era pieno di arguzia e di umorismo, di letteratura e di filosofia, ma soprattutto di istruzioni per l'uso. Ecco cosa ci mancherà, caro Umberto: la tua capacità di farci sentire la tua indubbia, un po' altezzosa, superiorità intellettuale (che molti ti hanno rimproverato) unita alla sensazione che, a prenderti sul serio insieme a tutti i tuoi deliziosi giochi, tutti possiamo godere con te dei piaceri della cultura.
   
Armando Massarenti - Responsabile il Sole24 Ore - Domenica

 

@massarenti24
7053  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / "Siamo dalla stessa parte", Mario Monti risponde a Matteo Renzi inserito:: Febbraio 23, 2016, 10:49:34 am
"Siamo dalla stessa parte", Mario Monti risponde a Matteo Renzi

Corriere della sera
Pubblicato: 21/02/2016 11:04 CET Aggiornato: 21/02/2016 11:13 CET

Dopo che il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, in questi ultimi giorni ha attaccato più di una volta le politiche dell'Unione Europea e il governo tecnico guidato da Mario Monti, sulla questione prende la parola di nuovo l'ex premier e lo fa dalle colonne del Corriere della sera.

    "Voglio dare atto al presidente Renzi - scrive Monti - di essere andato, nella vibrata replica al mio intervento, dritto alla sostanza dei temi oggetto di dissenso, senza che nelle sue parole vi fosse la minima traccia di quell'alone che invece in questi casi sembra appassionare tanto i commentatori politici. Perché Monti avrà sferrato questo 'attacco' a Renzi? Che cosa ci sarà sotto e, ancor più, dietro? E i mandanti? Poiché oggi vedo pericoli di 'uso' spregiudicato dell'Europa nelle battaglie interne per il consenso, sto intervenendo nel dibattito in vari Paesi europei per fare quel poco che posso per contrastare questa tendenza. In primo luogo lo faccio, e continuerò a farlo, nel mio Paese. Credo però che il consenso tra me e il premier sia più ampio di quanto egli abbia affermato".

    "Ritengo anch'io che 'l'Europa, ad un certo punto, si è fermata e che essa oggi purtroppo 'vive di tattica più che di disegno strategico'. Una delle ragioni principali è che ai Consigli 'le priorità sembrano essere più dettate dall'urgenza di rispondere alle questioni mediatiche, che non da un disegno strategico sul futuro dell'Europa", scrive Monti.

    "Ritengo poi che, in un periodo in cui tanti invocano un pieno recupero della sovranità nazionale, il presidente Renzi e io stiamo dalla stessa parte sulla questione più profonda di tutte, quella appunto della sovranità", osserva Monti. "Vi è un altro punto di consenso tra noi, e cioè che la crisi economica europea di questi anni abbia avuto cause europee e internazionali, indipendenti dall'Italia".

    "Ci sono certo delle divergenze tra il presidente Renzi e me. Ci sono state occasioni, sempre pubbliche, per dibatterne. Altre ce ne saranno", prosegue Monti. "Ad eventuali futuri dibattiti mi accingerò con la piena consapevolezza che, pur non essendo ignaro d'Europa, non possiedo certo la verità. E mai dirò che 'non accetto lezioni'".

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/02/21/monti-scrive-corriere_n_9284056.html?1456049096&utm_hp_ref=italy
7054  Forum Pubblico / ITALIA VALORI e DISVALORI / Sanità Lombardia il direttore ciellino: Nominati dai partiti? Giusto sta a loro. inserito:: Febbraio 23, 2016, 10:44:56 am
20 febbraio 2016 | di Alessandro Madron

Sanità Lombardia, il direttore ciellino: “Nominati dai partiti? Giusto, sta a loro”

A margine dell’incontro con il governatore Roberto Maroni, che ha riunito i direttori generali di aziende sanitarie e ospedaliere dopo l’ennesimo scandalo che ha travolto la sanità lombarda (video), la voglia di parlare è poca. Nulla quella di Pasquale Pellino, direttore generale dell’ospedale di Desio e Vimercate, la struttura dalla quale è partito l’esposto che ha dato il via alle indagini chiuse con l’arresto di 21 persone, compreso il presidente della commissione sanità in Regione, il leghista Fabio Rizzi. “C’entra qualcosa il fatto che i vertici delle aziende siano tutti nominati dai partiti al governo della regione?”. Il silenzio del direttore (estraneo all’indagine) si fa tombale.

Tra i compiti della politica c’è anche la nomina dei direttori generali, è cosa nota. Ma la mappa della sanità lombarda, che descrive fedelmente il peso dei partiti al potere, non è un argomento che gli interessati amano commentare. Quella del direttore di Desio e Vimercate, ad esempio, è considerata una nomina in quota Lega Nord. A dicembre 2015, la lista dei nuovi manager sanitari voluta da Maroni ha segnato il sorpasso del Carroccio sul decennale potere di Comunione e Liberazione in salsa formigoniana.

Quattordici sarebbero infatti i dg di fiducia scelti dalla Lega, undici in quota Ncd, nove in quota Forza Italia e due in quota Fratelli d’Italia. Nessuno in quota Pd o M5S, per dire. “E’ giusto che se i cittadini danno fiducia a un partito sia questo a scegliere persone fidate da mettere alla guida delle aziende sanitarie e ospedaliere”, risponde Marco Trivelli, longevo dg dell’ospedale Niguarda di Milano. Che aggiunge: “Poi la differenza la fanno le persone”.

Trivelli, da molti considerato un super ciellino, arriva al Niguarda come direttore amministrativo nel 2006 per volere dell’allora dg Pasquale Cannatelli, altro nome in quota Cl. Ma a dire che la sanità lombarda è lottizzata non ci sta: “Se le persone sono valide e hanno a cuore il bene comune, le nomine fatte dalla politica non mi danno nessun fastidio.

Ma il popolo deve formare uomini validi e scegliere bene i politici”. Riconfermato l’anno scorso nonostante il nuovo corso maroniano, Trivelli ridimensiona la vicenda delle mazzette sui servizi odontoiatrici del gruppo Canegrati, titolare dell’appalto anche al Niguarda. “L’appalto verrà rimesso a gara, ma il servizio va mantenuto, perché così abbiamo garantito cure odontoiatriche a persone che non se le sarebbero potute permettere”. E aggiunge: “Venite pure oggi stesso a curarvi i denti al Niguarda se avete un reddito normale, la qualità del servizio è accettabile. Se avete un reddito alto andate pure da un dentista privato”

Di Franz Baraggino e Alessandro Madron

Da - http://tv.ilfattoquotidiano.it/2016/02/20/sanita-lombardia-il-direttore-ciellino-nominati-dai-partiti-giusto-sta-a-loro-scegliere/482833/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=newsletter-2016-02-20
7055  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Esportare il renzismo fuori da Palazzo Chigi. inserito:: Febbraio 23, 2016, 10:39:37 am
Esportare il renzismo fuori da Palazzo Chigi.
La mission del think tank del premier raccontata dal Foglio: creare un nuovo Aspen

Il Foglio
Pubblicato: 19/02/2016 10:55 CET Aggiornato: 30 minuti fa

Obiettivo: esportare il renzismo fuori da Palazzo Chigi e trasformarlo in "egemonia culturale". Così Il Foglio descrive l'obiettivo che il premier e i suoi si sono posti e i cui primi segnali si possono cogliere già guardando le recenti nomine Rai, uno dei veicoli per "trasformare l'Italia guidata da Renzi in qualcosa di visibile, persino di tangibile, da declinare non solo con il linguaggio legislativo ma anche con il più complesso e più efficace e penetrante linguaggio televisivo".

Lo snodo di questa mission, spiega il quotidiano guidato da Claudio Cerasa, è Volta, il think tank guidato da Giuliano da Empoli annunciato all'ultima Leopolda. Un "Aspen renziano" che, sottolinea il Foglio, ha tre facce. Innanzitutto l'advisory Board con nomi del calibro di David Miliband, l'ex primo ministro danese Helle Thorning Smith e il Ceo di Lazard e proprietario di Le Monde Matthieu Pigasse e il columnist del Financial Times Simon Kuper.

Seconda "gamba" del think tank renziano è il comitato esecutivo di cui fanno parte oltre al presidente da Empoli, Marco Carrai, Matteo Mungari - imprenditore e amico di Renzi -, il direttore di Rivista Studio Federico Sarica e Beatrice Trussardi.

    Del comitato editoriale fanno parte Paolo Barberis (Fondatore Dada, consigliere per l'innovazione di Palazzo Chigi), Astrid Barrio-Lopez (Prof.ssa Scienza Politiche, Università di Valencia) Matt Browne (fellow presso il Center for American Progress, Washington). Edoardo Camurri (scrittore e autore tv), Francesco Clementi professore diritto Costituzionale all'Università di Perugia), Valentina Gensini (direttrice del museo del Novecento, a Firenze), Simonetta Giordani (responsabile relazioni istituzionali di Autostrade spa), François Lafond (direttore Europa Nova, a Parigi), Simone Lenzi (scrittore), Marco Simoni (consigliere economico di Palazzo Chigi), Paul Vacca (scrittore e saggista).

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/02/19/esportare-il-renzismo-aspen_n_9271116.html?1455875739&utm_hp_ref=italy
7056  Forum Pubblico / CENTRO PROGRESSISTA e SINISTRA RIFORMISTA, ESSENZIALI ALL'ITALIA DEL FUTURO. / Un "NUOVO MODO DI PENSARE”. (note varie non soltanto da FB) inserito:: Febbraio 23, 2016, 10:36:31 am
Nel mondo sta accadendo qualcosa di straordinario, ma molte persone non se ne sono accorte

Pubblicato: 18/12/2015 15:38 CET Aggiornato: 18/12/2015 15:38 CET

Molti di noi non si rendono conto che sono in atto cambiamenti straordinari.

Qualche mese fa mi sono liberato dalla società "a procedura standard". Ho spezzato le catene di paura che mi tenevano imprigionato in un sistema. Da allora, vedo il mondo da un'altra prospettiva, mi sono reso conto che tutto sta cambiando e che molti di noi (la maggior parte) ne sono inconsapevoli.

Perché il mondo sta cambiando? In questo post indicherò le otto ragioni che mi inducono a crederlo.

1. C'è sempre meno tolleranza verso l'attuale modello d'impiego.

Stiamo raggiungendo il limite. Le persone che lavorano con le grandi compagnie non sopportano più il loro lavoro. La mancanza di motivazione si fa sentire come se venisse da dentro di noi, simile ad un grido di disperazione.

Le persone vogliono uscirne. Vogliono mollare tutto. Pensate a quante persone sono disposte a rischiare con un'idea imprenditoriale, a chi si concede un anno sabbatico, a quante persone sono affette da depressione o esaurimento legati al lavoro.

2. Il modello imprenditoriale sta cambiando.

Negli ultimi anni, con l'avvento delle startup, migliaia di imprenditori hanno trasformato i loro garage in uffici per dare alla luce le proprie idee da miliardi di dollari. Al centro della nuova imprenditorialità c'era la necessità di trovare un investitore. Ottenere un finanziamento era come vincere la coppa del Mondo.
Ma cosa succede dopo aver ottenuto i fondi?

Torni ad essere un dipendente. Potresti aver coinvolto persone che non condividono il tuo sogno, che non sono d'accordo con il tuo obiettivo e ben presto... tutto gira intorno ai soldi. L'interesse economico diventa la spinta principale del tuo business.

Questo mette in difficoltà diverse persone. Startup eccellenti iniziano a fallire perché il modello incentrato sulla ricerca di denaro è incessante.
C'è bisogno di un nuovo modello d'impresa. Qualcuno lo sta già realizzando.

3. Aumenta la collaborazione.

Molte persone hanno compreso che non ha senso fare tutto da soli. In tanti hanno abbandonato la mentalità "chi fa da sé, fa per tre".

Fermati, fai un passo indietro e pensa. Non è assurdo che noi, 7 miliardi di persone sul pianeta, ci siamo allontanati sempre di più gli uni dagli altri? Che senso ha voltare le spalle alle migliaia, forse milioni di persone che vivono intorno a te, nella tua città? Ogni volta che ci penso mi sento triste.

Per fortuna le cose stanno cambiando. Le teorie dell'economia collaborativa sono sempre più seguite e questo ci dischiude nuove direzioni. La direzione della collaborazione, della condivisione, del sostegno reciproco, dell'unione.

È bellissimo rendersene conto. Mi commuove.

4. Finalmente capiamo davvero cos'è Internet.

Il web è una cosa straordinaria e solo adesso, dopo anni, ne stiamo comprendendo la forza. Grazie a Internet il mondo è aperto, privo di barriere e di separazioni. Ha reso possibile la solidarietà, la collaborazione, il sostegno reciproco.

Per alcune nazioni internet è stato il principale catalizzatore di vere e proprie rivoluzioni, come nel caso della Primavera Araba. Oggi in Brasile stiamo iniziando a fare un uso migliore di questo fantastico strumento.

Internet sta sferrando duri colpi al controllo delle masse. I grandi gruppi mediatici che controllano le notizie in base al messaggio che vogliono veicolare ed a quello che vogliono farci leggere non sono più gli unici "proprietari" delle informazioni. Seguiamo quello che vogliamo. Esploriamo ciò che ci interessa.

Con l'avvento di Internet, i "piccoli" non restano in silenzio. C'è una voce. L'ignoto viene alla luce. Il mondo è più unito. E il sistema può crollare.

5. Il consumismo sfrenato è diminuito.

Per troppo tempo siamo stati manipolati per consumare il più possibile. Comprare ogni nuovo prodotto sul mercato, l'ultimo modello di automobile, di iPhone, tonnellate di vestiti e scarpe. Praticamente tutto ciò su cui potevamo mettere le mani.

Andando controcorrente molte persone hanno capito di essere sulla strada giusta. Il "lowsumerism" (basso consumismo), una vita più lenta, il ritorno allo "slow food" sono solo alcuni esempi delle iniziative intraprese che ci mostrano l'assurdità del modo in cui organizziamo le nostre vite.

Sono sempre meno le persone che utilizzano l'auto o spendono più del dovuto. Mentre invece aumenta il numero delle persone che ricorrono allo scambio di indumenti (lo swapping), comprano oggetti usati, condividono risorse, macchine, appartamenti, uffici.

Non abbiamo realmente bisogno di tutto quello che ci impongono. La consapevolezza che esiste un nuovo modello di consumo può colpire al cuore delle società che si fondano sul consumismo esagerato.

6. Alimentazione sana e biologica.

Siamo stati così folli da accettare di mangiare qualsiasi cosa! Bastava che avesse un buon sapore, per noi andava bene.

Siamo stati così incoscienti che le aziende hanno iniziato ad avvelenare il nostro cibo e noi non abbiamo detto una parola.

Ma poi qualcuno ha iniziato a svegliarsi, rendendo possibile un’alimentazione sana e fondata sul biologico.
Questo cambiamento è sempre più forte.
Cos'ha a che fare con l'economia e con il lavoro? Praticamente tutto, direi.

La produzione di cibo gioca un ruolo chiave nella nostra società. Se cambiamo il nostro approccio mentale, le nostre abitudini alimentari e i nostri consumi, le multinazionali dovranno rispondere e adattarsi al nuovo mercato.

Il piccolo produttore è di nuovo importante per l'intera catena di produzione. Le persone stanno coltivando piante e semi nelle loro abitazioni.
Questo trend può dare nuova forma all'intero sistema economico.

7. Il risveglio della spiritualità.

Quanti dei vostri amici praticano Yoga? Quanti si dedicano alla meditazione? Ora tornate a 10 anni fa, quanti conoscenti erano dediti a queste attività?

Per troppo tempo abbiamo associato la spiritualità a persone "strane", mistiche.

Per fortuna anche questo sta cambiando. Siamo arrivati al limite della ragione e della razionalità. Ci siamo resi conto che affidandoci solo alla nostra parte cosciente non possiamo capire davvero tutto quello che succede intorno a noi. C'è qualcos'altro e sono certo che volete esplorare questo mistero.

Vogliamo capire come funzionano le cose, la vita. Cosa succede dopo la morte, cos'è questa energia di cui le persone parlano così tanto, cos'è la teoria dei quanti, come i pensieri possono essere materializzati e plasmare la nostra percezione della realtà. Cosa siano le coincidenze e il sincronismo, come funziona la meditazione, com'è possibile curarsi usando solo le mani, come queste terapie alternative (non sempre approvate dalla medicina ufficiale) possono funzionare davvero.

Le aziende permettono ai dipendenti di meditare. Nelle scuole si insegnano ai ragazzi tecniche di meditazione. Pensateci.

8.  L'ascesa del cosiddetto "un-schooling" come modello d'istruzione alternativo.

Chi ha creato questo modello d'insegnamento? Chi ha stabilito le lezioni che dobbiamo seguire? Chi ha deciso le lezioni del programma di storia? Perché non ci insegnano la verità sulle altre civiltà antiche?

Perché i bambini dovrebbero seguire un determinato insieme di regole? Perché dovrebbero osservare ogni cosa in silenzio? Perché devono indossare un'uniforme? E perché dobbiamo sostenere dei test per dimostrare quello che abbiamo imparato?

Il modello che abbiamo sviluppato non fa altro che formare dei seguaci del sistema. Che trasforma le persone in esseri umani ordinari e mediocri.

Per fortuna molte persone stanno lavorando per rivedere questo modello attraverso i concetti di unschooling (letteralmente imparare senza andare a scuola), "hackschooling" e homeschooling (nuovi modelli educativi, in cui ognuno può modellare il proprio insegnamento a seconda dei propri interessi e del proprio stile di apprendimento).

Forse non ci avete mai pensato e potreste restare scioccati. Ma il cambiamento è in atto.
In silenzio le persone si stanno risvegliando, rendendosi conto di quanto sia folle vivere in questa società.

Pensate a tutte queste nuove metodologie e provate a rintracciare ancora un po' di normalità in tutto quello che ci hanno insegnato finora. Non credo la troverete.

Sta succedendo qualcosa di straordinario.

Gustavo Tanaka è un autore e imprenditore brasiliano, che sta cercando di creare un nuovo modello, un nuovo sistema, per l'avvento di una nuova economia.
Questo blog è apparso per la prima volta su Huffington Post America ed è stato tradotto da Milena Sanfilippo.

Da - http://www.huffingtonpost.it/gustavo-tanaka/nel-mondo-sta-accadendo-qualcosa-di-straordinario-ma-molte-persone-non-se-ne-sono-accorte_b_8837690.html?ncid=fcbklnkithpmg00000001
7057  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Adriana CERRETELLI Il rischio del patto tra due debolezze inserito:: Febbraio 23, 2016, 10:26:50 am
Il rischio del patto tra due debolezze

Di Adriana Cerretelli20 febbraio 2016

Sembrava, anzi alla vigilia molti lo davano per certo, che sarebbe stato tutto in discesa il vertice europeo anti-Brexit: quasi un atto notarile per apporre 28 firme in calce a un testo prenegoziato. Però, più l'appuntamento si avvicinava, più l'ottimismo facilone si dileguava, gli attriti tra Paesi membri si moltiplicavano fino alla drammatizzazione del “o la va o la spacca”, “adesso o mai più” che l'altro ieri ha aperto la riunione dei 28 leader dell'Unione. Un'altra giornata di trattative e infine ieri a tarda sera l'annuncio dell'accordo.

Che gli inglesi fossero negoziatori notoriamente coriacei lo si sapeva. L'Europa lo scoprì a sue spese ai tempi di Margaret Thatcher. E anche se forse oggi il Regno di sua Maestà non è più quello di allora, David Cameron nella partita si giocava la carriera: non poteva rientrare a Londra a mani semi-vuote e nemmeno con un'intesa troppo esile per sostenere al referendum l'urto con un un paese largamente euroscettico.

Per questo al di là del solito mantra da tutti condiviso, e tra l'altro ripescato dal laburista Tony Blair, sull'Unione meno burocratica, più semplice nelle regole e competitiva nelle politiche, Cameron voleva ben altro: un largo rimpatrio della sovranità nazionale su mercato unico, integrazione dei servizi finanziari e banche, libera circolazione dei lavoratori con benefici sociali al seguito. Pur non volendo aderire alla moneta unica, pretendeva poi di non subire la supremazia del blocco euro e ancora meno la pulsione dei partner verso «un'Unione sempre più stretta», come da Trattati Ue.

Di bizzarro in questa battaglia c'era che, tra clausole di opt-out e meccanismi Ue per le cooperazioni rafforzate, Londra da anni vive in auto-isolamento da molte politiche europee. È difficile quindi afferrare la vera sostanza delle sue attuali rivendicazioni: a meno di non credere che l'obiettivo non sia la difesa da presunte prevaricazioni altrui ma la conquista di un diritto di veto su ambizioni presenti e future dei partner. «Vogliono prendere il meglio dei due mondi senza mai pagare dazio», riassume un negoziatore europeo.

Ed è proprio questo sospetto che ha provocato la generale levata di scudi al vertice: se la Gran Bretagna voleva rimpatriare la propria sovranità, i suoi interlocutori non erano certo disposti a svendere la propria e neanche quella europea finora faticosamente costruita.
Era partito da qui un braccio di ferro interminabile, con la Francia di Hollande capofila del partito schierato a tutela degli interessi collettivi continentali, Germania e Italia comprese, non meno che di quelli nazionali : niente regali all'insularità britannica, che di mezzo ci sia la City, il codice europeo unico di regolamentazione bancaria (impossibile raddoppiarlo), l'integrità del mercato unico finanziario e non, la libertà europea di fare salti in avanti, con chi lo voglia, verso un'Unione sempre più compatta e coesa.

Meno netta invece l'opposizione alla richiesta inglese di limitare temporaneamente i benefici sociali per i lavoratori Ue. I 13 anni rivendicati da Londra ma bocciati senza appello dai Paesi dell'Est sono diventati 7. Se in questo caso Cameron ha incontrato meno resistenza in difesa del principio fondamentale della libera circolazione delle persone è perché altri Paesi, Danimarca in primis ma anche alcuni Laender tedeschi, intenderebbero copiarne il modello.

La verità è che oggi l'Europa prova a fare la voce grossa perché sa di giocarsi nel negoziato con gli inglesi la credibilità del suo progetto integrativo e un'identità esistenziale già messa a durissima prova da profonde divisioni e nazionalismi interni sempre più aggressivi. In realtà da tempo l'Europa è diventata molto più inglese di quanto non appaia a prima vista. Molto più liquida e meno governabile rispetto anche solo a dieci anni fa. Paradossalmente questa entità allo sbando e priva di collanti che accomunino, lenta nelle decisioni e scarsa di leadership ora che Angela Merkel traballa sotto il peso della politica di apertura ai profughi, dovrebbe piacere agli inglesi che dovranno decidere se uscirne o no. Invece sembra che in questo agglomerato confuso e anarcoide, che gioca a scaricabarile sui rifugiati, molti non vedano oggi l'interesse né l'utilità di restare.

Alla fine l'accordo è arrivato. Senza vincitori né vinti. Un patto tra debolezze contrapposte, comuni a chi vuole più Europa come a chi ne vuole meno. Forse non valeva la pena di spendere tanto tempo per cambiare qualcosa che non cambiasse quasi niente.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2016-02-20/il-rischio-patto-due-debolezze-103349.shtml?uuid=ACyHepYC
7058  Forum Pubblico / ECONOMIA e POLITICA, ma con PROGETTI da Realizzare. / Antonio Pitoni Governo Renzi. Rapporto Openpolis: tra fiducie, spese e poltrone inserito:: Febbraio 23, 2016, 10:25:42 am
Renzi, due anni al governo.
Rapporto Openpolis: tra fiducie, spese e poltrone
L’ultimo dossier Openpolis ha messo a confronto gli ultimi quattro esecutivi. Salgono a 6 i partiti rappresentati nella squadra del rottamatore che ha raggiunto i 63 componenti. Sorprese nell’iter normativo: quasi il 30% dei disegni di legge di iniziativa governativa viene approvato contro l’1% di quelli parlamentari. Poche risposte alle interrogazioni (35,20%). Frequente ricorso alla fiducia (31,01%). Seconda percentuale dopo Monti. E nel 2014 i costi della Presidenza del Consiglio sono tornati a salire: 3,6 miliardi contro i 3,5 del 2013 con Letta

Di Antonio Pitoni | 19 febbraio 2016

E dopo Berlusconi iniziò l’era delle larghe intese. Con tre governi che, dal 2011 in poi, si sono dati il cambio a Palazzo Chigi. Da Mario Monti a Matteo Renzi, passando per Enrico Letta, nel ruolo di presidente del Consiglio. Con due effetti evidenti sulla composizione degli esecutivi. A cominciare dalla moltiplicazione dei partiti rappresentati nelle diverse compagini ministeriali. A tenere la contabilità, l’ultimo dossier dell’Associazione Openpolis, dal titolo “Fidati di me” e dedicato ai primi due anni di attività del governo guidato dall’ex sindaco di Firenze.

RITORNO AL PASSATO – Se con l’ex Cavaliere alla guida del Paese le forze in campo si erano ridotte a soli due movimenti (Popolo delle libertà e Lega Nord), da Monti in poi è stato un continuo crescendo. “Attualmente i membri del governo Renzi appartengono a 6 movimenti politici diversi: Partito democratico, Nuovo centrodestra, Scelta civica, Partito socialista italiano, Unione di centro e Democrazia solidale”. Ma non basta. Perché il dato più sorprendente “è il numero di nomi ricorrenti negli incarichi assegnati dagli ultimi quattro premier”. Tra insediamenti e rimpasti, dal 2008 ad oggi sono stati nominati oltre 200 tra ministri, viceministri e sottosegretari. E “nel 30% di queste nomine ricorrono sempre gli stessi volti”. In particolare si contano “trenta persone che hanno svolto o svolgono un ruolo di primo piano in almeno due degli ultimi quattro governi”.

ESERCITO DI GOVERNO – Dal 22 febbraio 2013, data del giuramento del governo in carica, “vari avvicendamenti hanno variato la sua composizione”. Che oggi conta 63 componenti. “Il numero più alto da due anni a questa parte”, sottolinea il dossier. Si va dai 35 membri del Partito democratico ai 13 del Nuovo centrodestra. “Sul gradino più basso del podio, la squadra di indipendenti e tecnici che conta 7 incarichi”. Non solo: “La percentuale di donne e under 40 nel governo Renzi è costantemente in calo dal 22 febbraio ad oggi”. Nel “caricometro” degli ultimi quattro governi stilato da Openpolis spiccano 7 nomi che, dal 2008 ad oggi, hanno rivestito almeno 3 diversi incarichi. “Quattro di questi appartengono al Nuovo centrodestra (Angelino Alfano, Antonio Gentile, Luigi Casero e Simona Vicari), due al Partito democratico (Claudio De Vincenti, e Graziano Delrio) e uno a Democrazia solidale (Mario Giro)”.

CHIAMAMI FIDUCIA – Ma i numeri fotografano anche un aspetto cruciale: la centralità dell’esecutivo nella produzione legislativa del Paese. Se, infatti, “quasi il 30% dei disegni di legge proposti dal governo Renzi diventano legge”, per i parlamentari “non si arriva neanche all’1%”. Non solo. “Nella XVII legislatura le proposte dei due esecutivi che si sono succeduti (Letta e Renzi) sono state approvate mediamente in 156 giorni”, mentre “quelle dei parlamentari hanno richiesto più di un anno (392 giorni)”. Discorso analogo per gli emendamenti: 1 su 2 presentato dal governo viene approvato contro una percentuale di successo del 5,42% e dell’1,25% delle proposte di modifica presentate rispettivamente da deputati e senatori. Insomma, un governo che incide molto più del Parlamento nell’iter legislativo. Grazie anche all’arma della fiducia. Che ha determinato l’approvazione del “31,01% delle leggi” durante l’esecutivo guidato da Matteo Renzi. “La seconda percentuale più alta degli ultimi quattro governi, battuto solamente da Mario Monti (45%)”. Anche se, guardando “i numeri assoluti”, l’attuale primo ministro “supera il primato” del senatore a vita 51 a 49. Inoltre, in 5 casi, il premier in carica ha dovuto richiedere per ben 3 volte la fiducia. E’ successo, ricorda il dossier, per il decreto competitività, il Jobs Act, la riforma della pubblica amministrazione, la legge di stabilità 2015 e l’Italicum.

POCHE RISPOSTE – Poi c’è il capitolo delle interrogazioni parlamentari. “Da quando Matteo Renzi è premier” ne sono state “depositate oltre 21.000” per chiedere “al governo o a un ministro dei chiarimenti su fatti o notizie, o ottenere spiegazioni su specifici provvedimenti”. Ma ad oggi “solo il 35,20% ha ottenuto una risposta”. E alcuni ministeri, “come quello della Giustizia guidato da Andrea Orlando, si fermano al 18,61%”. Fra i più virtuosi ci sono, invece, il dicastero della Difesa (guidato da Roberta Pinotti), quello degli Affari esteri (Federica Mogherini e poi Paolo Gentiloni) e quello dei Rapporti con il Parlamento (Maria Elena Boschi) che hanno risposto rispettivamente al 65,8%, al 70,20% e al 74,29% delle interrogazioni. Mentre “il ministero che ha ricevuto più quesiti è quello dell’Infrastrutture e dei trasporti (Maurizio Lupi e poi Graziano Delrio): oltre 2.131”.

RIUNIONI LAMPO – Dal 22 febbraio 2014 al 5 febbraio 2016, Openpolis ha contato 102 riunioni del Consiglio dei ministri. “In media, poco più di 4 al mese per un totale di oltre 100 ore di lavoro”. Dai resoconti ufficiali, evidenzia il dossier, emerge spesso “la mera formalità di questi incontri, occasione più che altro di raccontare in conferenza stampa decisioni già prese altrove”. Un’affermazione che Openpolis sostanzia con i numeri: “Ben 11 incontri sono durati dai 4 agli 8 minuti, 15 dai 10 ai 20 minuti e altri 7 dai 20 ai 25 minuti. Questo vuol dire che ben 33 incontri (il 32,35%) sono durati meno di mezz’ora”. Il dossier prende in considerazione anche il tema della sovrapposizione di ruoli di parlamentare e di membro del governo. “Ad oggi il doppio incarico parlamentare-ministro riguarda 9 persone”, che in media partecipano “solo all’8,66% delle votazioni elettroniche in aula”. Quando va bene, “come nel caso della ministra (Stefania) Giannini, si arriva al 36,48% delle votazioni in aula”. Quando va male, “per esempio con il ministro Gentiloni”, ci si ferma allo “0,25% di presenze”. Risultato: “L’incompatibilità dei due ruoli è evidente”.

CARA PRESIDENZA – E per finire le spese. “La macchina di Palazzo Chigi, come tutti gli organi dello stato, ha dei costi”. E Openpolis ha preso “in esame le entrate e le uscite della Presidenza del consiglio dei ministri”, includendo “sia le attività e le funzioni del premier, sia quelle dei vari dipartimenti”. Dalle politiche antidroga, alla protezione civile, passando per le politiche europee, gli affari regionali, “sono stati analizzati i conti finanziari dal 2011 al 2014, per un volume di spesa che in totale supera i 15 miliardi di euro”, basando la ricerca sui “bilanci consuntivi, che non considerano quindi solo le previsioni di inizio anno, ma che calcolano anche le cifre effettivamente impegnate nel corso dei mesi”. Con le riforme realizzate da Mario Monti, “il budget totale è sceso sui 4 miliardi di euro annui”. Nel 2013, anno del governo Letta, “il bilancio consuntivo è stato ridotto a 3,5 miliardi”. Ed “è risalito poi con il primo anno di governo Renzi a 3,6 miliardi”.

SEGRETARIATO DI LUSSO – La voce principale di spesa riguarda sempre la protezione civile. “In media parliamo di oltre il 60% del budget” (il 62,14 contro il 69,33 del 2013). Tra i costi più pesanti ci sono anche quelli del segretariato generale. “Si tratta delle spese a supporto dei compiti della Presidenza, e all’organizzazione e alle gestione amministrativa”. Una voce che “sotto il governo Renzi” è “passata dall’11% al 20% del totale”. Un livello “record nella storia recente”, sottolinea il dossier: “Se nel 2013 parlavamo di 396 milioni, nel 2014 si sono raggiunti i 754 milioni”. In crescita, sempre rispetto al 2013 (governo Letta), anche la spesa per la gioventù (dal 4,1 al 5,85%), mentre scendono quelle per l’editoria (dal 7,61 al 6%), per gli affari regionali (dal 3,69 al 2,87%) e la funzione pubblica (dall’1,34 all’1,16%).

Twitter: @Antonio_Pitoni

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/02/19/governo-tra-fiducie-spese-e-boom-di-poltrone-i-primi-due-anni-di-matteo-renzi-a-palazzo-chigi/2478553/
7059  Forum Pubblico / I GIUSTI MAESTRI / Gay Talese: “Povera Italia, senza Eco” inserito:: Febbraio 23, 2016, 10:22:42 am
Gay Talese: “Povera Italia, senza Eco”
Lo scrittore americano: «Ha abbracciato la cultura popolare senza snobbarla, conquistando i lettori di tutto il mondo.
Per il vostro Paese la sua scomparsa è un disastro culturale»


22/02/2016
Paolo Mastrorilli
Inviato a New York

Gay Talese ha costruito la sua carriera sulle provocazioni, perciò gli viene naturale farlo anche in morte di Umberto Eco: «È stato il più alto esponente della cultura popolare in Italia, e fra i più alti al mondo. Lascia un vuoto incolmabile, soprattutto nel vostro Paese, perché dietro di lui non c’è nessuno in grado di continuare il suo lavoro fondamentale».

Talese, inventore con Tom Wolfe del «New Journalism» letterario, aveva incontrato di recente Eco: «Ho tenuto il discorso per la consegna dell’ultimo premio che aveva ricevuto a New York. Parlare con lui era sempre un’esperienza molto stimolante. È stato l’autore italiano più influente negli Stati Uniti, dai tempi di Alberto Moravia».

Non dimentica Italo Calvino? 
«No, assolutamente no. Calvino piaceva agli intellettuali raffinati e un po’ snob, alla New York Review of Books, all’Università di Harvard che lo ospitava per tenere conferenze di altissimo livello, ma non vendeva copie. Poco o niente. L’ultimo autore italiano che aveva avuto un vero grande successo di pubblico negli Stati Uniti era stato Moravia: dopo di lui, c’è stato solo Eco».

Vendere copie, successo di pubblico: non sono parametri che fanno inorridire i letterati? 
«Avere successo di pubblico significa avere successo, punto. Vuol dire essere stati capaci di comunicare e di interessare molte persone, che poi dovrebbe essere l’obiettivo di tutti gli scrittori. Se scrivi, lo fai perché pensi di avere qualcosa da dire, ed è importante che ci siano dei lettori interessati ad ascoltarti».

Perché Eco ha avuto questo successo in America? 
«Perché ha abbracciato la cultura popolare, alzandone il livello, invece di snobbarla. Questa è stata la sua vera grandezza. Intendiamoci: Eco era intelligente, colto, erudito, un intellettuale molto profondo e raffinato. Però non rifiutava la cultura popolare. Anzi, la faceva sua e la rendeva migliore. Gli altri intellettuali italiani amano scrivere cose complicate, incomprensibili, spesso illeggibili. Più sono difficili da capire, e meglio è. Così non vendono una copia. Lui invece faceva opere di grande qualità in termini di contenuto, ma anche molto belle da leggere». 

 Questo ha conquistato i lettori americani? 
«No, questo ha conquistato i lettori di tutto il mondo. C’è un aspetto fondamentale del lavoro di Eco, che bisogna sottolineare: amava raccontare, a differenza della maggior parte degli altri autori italiani, e anche europei. Questo fa una grossa differenza, quando sei uno scrittore».

Non è troppo severo? 
«No, è la verità. Eco apparteneva a una grande tradizione della cultura italiana, che includeva la letteratura e la poesia, ma anche l’arte e il cinema, da Fellini a tutti gli altri straordinari registi della stessa epoca. Erano artisti che potevano anche avere obiettivi e progetti diversi, ma possedevano tutti una grande capacità di raccontare, e quindi di comunicare quello che avevano in testa. Se il pubblico non ti segue, forse dovresti chiederti se sei tu che stai sbagliando qualcosa, invece di lamentarti delle fortune degli altri».

Però lo hanno ignorato per il Nobel. 
«Non è l’unico, purtroppo. Ma credo che il valore del suo lavoro si misuri meglio con le dimensioni innegabili del suo successo internazionale». 

Perché la sua morte lascia un vuoto incolmabile? 
«Il lavoro di Eco era fondamentale non solo per la sua qualità, ma anche per il messaggio che lanciava all’intera comunità intellettuale, sfidandola ad avere il coraggio di misurarsi con la cultura popolare, abbracciare generi diversi, cercare di comunicare con tutti. Il vuoto che lascia è incolmabile perché per svolgere un compito di questo genere servono qualità straordinarie, che non vedo in nessun altro autore dopo di lui. E questo vale soprattutto per l’Italia, dove la sua scomparsa rappresenta davvero una perdita enorme. Direi quasi un disastro culturale». 

Perché? 
«Cosa rimane, ora? L’Italia è stato il Paese dove ha avuto origine buona parte della cultura occidentale, e fino a mezzo secolo fa aveva ancora delle eccellenze internazionali, di cui Eco faceva parte. Mi riferisco alla letteratura, all’arte, alla grande e varia tradizione del cinema, dal neorealismo a Fellini, passando per tutti gli altri grandi registi che hanno lasciato un segno nell’immaginario del mondo intero. Ora cosa rimane? Avete ancora la moda, e poco altro. Eco non era importante solo per il valore della sua produzione letteraria, ma anche perché rappresentava uno stimolo, una sfida lanciata alla cultura italiana, affinché avesse il coraggio di aprirsi, sperimentare, cercare l’innovazione in tutti i settori. Per questo è una perdita enorme per il vostro Paese. La sua morte rappresenta la fine di un’era, e dietro non c’è molto altro per continuare quella tradizione di successo. L’unica speranza è che la sua scomparsa rappresenti uno stimolo, un elemento di riflessione, per spingere l’Italia rilanciare una vita culturale più intensa e coraggiosa».
Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2016/02/22/cultura/gay-talese-povera-italia-senza-eco-MriQlX6EROp4TpbsDHzeuJ/pagina.html
7060  Forum Pubblico / CENTRO PROGRESSISTA e SINISTRA RIFORMISTA, ESSENZIALI ALL'ITALIA DEL FUTURO. / ARLECCHINO scrive il 22/2/2015 su FB - "Non ci resta che la CULTURA EUROPEA" inserito:: Febbraio 23, 2016, 10:20:33 am
Sto pensando (non da oggi) che dovremmo riuscire ad avere una maggiore presenza attiva, nei Media (Stampa, Radio, TV) di uomini di cultura (di ogni pensiero e religione).
Contemporaneamente dobbiamo chiedere molto meno politica e quasi nessuna presenza di "questi" attuali uomini politici.

L'Italia ha problemi irrisolti da decenni, l'Europa politica unita non esiste, l'Europa economica se c'è, esiste come e quanto fa comodo a una sola parte d'essa. Di Stati Uniti d'Europa non se ne deve parlare per non passare da fessi.

Allora pensavo, ispirato dai Veri Maestri, come ECO, noi Europeisti abbiamo una sola possibilità, forte, per sostenere le nostre tesi, lavorare per la CULTURA EUROPEA coinvolgendo in questa "missione" i Maestri che abbiamo in abbondanza in Italia e in Europa. Perchè la Cultura Europea esiste già tra noi! Esiste da 2000 anni (vecchi, cari, barbari compresi).

Diamoci da fare cominciando ad individuare i Veri Maestri (di ogni pensiero e religione) che senza pretendere di farci cambiare le nostre idee ci ispirino, guidandoci con le loro opere, per "affinare" le nostre convinzioni.

ciaooo
7061  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Silvia De Santis, "Umberto Eco, un sole che quando splendeva oscurava le ... inserito:: Febbraio 22, 2016, 06:29:15 pm
"Umberto Eco, un sole che quando splendeva oscurava le altre stelle".

Gli anni a Bologna del semiologo nei racconti di Renato Barilli e Romano Montroni

Silvia De Santis, L'Huffington Post
Pubblicato: 20/02/2016 20:29 CET Aggiornato: 21/02/2016 02:40 CET

“Era un sole che quando splendeva oscurava le altre stelle. Piuttosto che assegnargli una cattedra, l’Università di Milano preferì abolire l’insegnamento di Estetica. Non lo vollero neppure ad Architettura a Firenze. Gli altri professori avevano capito che portarlo in casa avrebbe significato essere superati da lui e per questo lo allontanavano".

E in effetti così fu. Quando nel 1971 approdò a Bologna, chiamato dal grecista Benedetto Marzullo che due anni prima aveva fondato il Dams e per lui, su misura, creò la cattedra di Semiotica, "si verificò l’effetto temuto, divenne in breve tempo il professore più importante del Dipartimento”. A ricordare la carriera accademica, non priva di insidie, di Umberto Eco - il grande semiologo scomparso ieri notte all’età di ottantaquattro anni - è il critico letterario bolognese Renato Barilli, suo collega fin dai tempi del “Verri”, la rivista letteraria di neoavanguardia fondata da Luciano Anceschi nel 1956 cui collaborava anche Eco, insieme a Porta, Sanguineti, Balestrini, Giuliani e altri talentuosi studiosi scovati dall’occhio affilato del docente. “Da Torino partecipava con il suo ‘Diario Minimo’, in cui analizzava in chiave fenomenologica di personaggi contemporanei come Mike Bongiorno. Ma fu con “Opera Aperta” che Eco diventò punto di riferimento della Neoavanguardia. La sua fu una sorta di opera-manifesto di quel che volevamo fare a quel tempo, e Umberto fu per noi come un fratello maggiore”.

Il riferimento è all’avventura del “gruppo 63”, un movimento letterario d’avanguardia nato a Palermo nel 1963 che opponeva all’esperienza neorealista in declino una linguistica nuova, sperimentale, che fosse in grado di dialogare coi tempi mutati del boom economico. “Generazione Nettuno” l’aveva soprannominata Eco, “perché dopo l’avanguardia tellurica rappresentata da grandi fabbri quali Joyce, Proust, Svevo, Pirandello, arrivavamo noi, freddi e diffusi, più simili all’acqua che al fuoco - racconta Barilli -. Normalizzavamo quel che aveva fatto la generazione precedente alla nostra, non c’era alcun intento eversivo. Si diceva allora che fossimo quelli che viaggiavano in carrozza-letto, in realtà a Palermo, da Milano, ci arrivavamo in aereo, pagati da Giangiacomo Feltrinelli, nostro sponsor”.

E proprio la casa di Giangiacomo e Inge Feltrinelli fu la cornice di un altro incontro, tra Umberto Eco e Romano Montroni, partito come ragazzo di bottega nelle librerie dell’editore milanese, oggi libraio più famoso d’Italia, dopo essere stato per quarant’anni a capo delle Librerie Feltrinelli. “Iniziai a lavorare a Bologna nel 1963. Al tempo la libreria di piazza Ravegnana era il fulcro di personaggi di altissimo livello, tra cui anche Eco, che insegnava al Dams. Ma lui non era il classico docente universitario. Portava i suoi studenti in libreria perché vi trovassero degli stimoli e si rivolgeva sempre ai commessi più umili. Non gli interessava che fossero preparati culturalmente, bastava che avessero la curiosità e la conoscenza di quel che accadeva nel mondo dell’editoria. È sempre stato una persona intuitiva. Capiva chi aveva di fronte e non giudicava mai in base a graduatorie o categoria di appartenenza. Era libero, con lui capii che l’ironia è una forma di intelligenza”. E anche ricco di sorprese, come quella volta che organizzò un provino all’insaputa dello stesso Montroni. “Mi chiamò a fare una lezione di un’ora ai ragazzi del Master in Editoria che dirigeva a Bologna, il tema era l’organizzazione di una libreria. Con mio grande imbarazzo si mise in prima fila ad assistere alla lezione, per poi dirmi, alla fine: “Complimenti, sarai professore a contratto di questo master”. Insegnai lì per sei anni, fu un’esperienza bellissima”.

"Era come un bravo prete di campagna che porta in giro gli allievi e li rallegra con una barzelletta. “Altolà, la sai l’ultima?” chiedeva sempre quando lo si incontrava nei corridoi" ricorda ancora il professor Barilli. "Aveva lo spirito giocoso del bontempone, ricordava la goliardia ricorrente nei suoi romanzi. Ricordo una volta, ci si interrogava se all'acrostico DAMS -“Discipline dell’arte, della musica e dello spettacolo”- bisognasse aggiungere anche la "c" di comunicazione, compresa negli insegnamenti: 'Ma no, non ce n’è bisogno', disse Eco, letto in bolognese suona già come DAMSC (con la c strascicata), non è vero?”.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/02/20/umberto-eco-bologna-renato-barilli-romano-montroni_n_9281726.html
7062  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / LUCA RICOLFI - Jobs act, un bilancio. - Di Stefano De Agostini inserito:: Febbraio 22, 2016, 06:26:41 pm
Jobs act, Ricolfi: “Precariato ai massimi storici e ripresa occupazionale modesta. Renzi non capisce le statistiche”
A un anno dall'entrata in vigore dei primi decreti della riforma, il sociologo e docente di analisi dei dati traccia un bilancio.
"Sui 764mila contratti stabili in più del 2015, 578mila sono trasformazioni. Nel 2012 erano state di più. La misura più incisiva? Il decreto Poletti che ha liberalizzato le assunzioni a termine.
Ma il vero dramma è che 3 milioni di italiani lavorano senza contratto e altrettanti hanno smesso di cercare un posto"

Di Stefano De Agostini | 22 febbraio 2016

Il precariato è al massimo storico, la ripresa occupazionale è modesta, la narrazione del governo è “al servizio della conservazione del potere”. E’ questo il bilancio che Luca Ricolfi, sociologo e docente di analisi dei dati all’Università di Torino, traccia del Jobs act un anno dopo l’entrata in vigore dei primi decreti della riforma. Il capo del governo “sembra non comprendere il significato delle statistiche di cui parla”, attacca il professore mentre Matteo Renzi si appresta proprio lunedì, a 24 mesi dal suo insediamento, ad andare in visita alla Walter Tosto, azienda che produce macchinari per il settore petrolifero e “ha assunto con il Jobs Act”. Una settimana fa il premier aveva esultato per i 764mila contratti stabili in più certificati dall’Inps, ma l’interpretazione di quei dati fornita da Ricolfi è decisamente diversa.

Il governo sta celebrando i suoi due anni di mandato. Anche il ministero del Lavoro ha pubblicato una presentazione dove rivendica le “buone cose per il nostro Paese”, dal Jobs act a Garanzia giovani. Che idea si è fatto della narrazione che l’esecutivo sta facendo sui numeri del lavoro?
Questo è un governo come gli altri. Narrava Berlusconi, narrava Prodi, narrava Monti, narrava Letta. E le loro narrazioni erano implacabilmente al servizio della conservazione del potere, non certo della verità. Perché dovrebbe essere diverso sotto Renzi?

Lo slogan utilizzato dal governo per il Jobs act è: “Meno precarietà, più lavoro stabile”. Il Jobs act è stato in grado di ridurre l’occupazione precaria?
No, durante il 2015 il tasso di occupazione precaria, ossia la quota dei lavoratori dipendenti con contratti temporanei, ha raggiunto il massimo storico da quando esiste questa statistica (dal 2004), superando il 14%. Bisogna dire, tuttavia, che da settembre dell’anno scorso il tasso di occupazione precaria ha cominciato a ridursi, sia pure di pochi decimali.

Dopo gli ultimi dati Inps sui contratti, Renzi ha commentato: “+764mila contratti stabili nel primo anno di #jobsact. Amici gufi, siete ancora sicuri che non funzioni?”. L’aumento del tempo indeterminato è merito del Jobs act o degli sgravi?
Renzi sembra non comprendere il significato delle statistiche di cui parla. I 764mila posti stabili in più sono la somma fra il numero delle trasformazioni (578mila) e il saldo fra assunzioni e cessazioni (186mila). Per quanto riguarda le trasformazioni, è vero che quelle del 2015 sono state molte di più di quelle del 2013 e del 2014, ma se risaliamo anche solo al 2012 (l’anno di Monti) le trasformazioni erano state oltre 600mila, ossia un po’ di più di quelle vantate dal governo per il miracoloso 2015. E questo nonostante quello di Monti sia stato un anno di recessione. Resterebbe il saldo di 186mila contratti stabili in più. Duecentomila occupati stabili in più non sono tantissimi, ma comunque sono un progresso rispetto alle dinamiche degli anni scorsi. A che cosa sono dovuti? Per ora posso solo esprimere un’opinione: il contratto a tutele crescenti è molto meno importante della decontribuzione, e la modesta ripresa occupazionale in atto si deve innanzitutto al fatto che il Pil è tornato a crescere, più che a specifiche norme volte a favorire l’occupazione. Ma forse la misura più incisiva varata negli ultimi due anni è quella di cui nessuno parla.

Quale misura?
Il decreto Poletti del marzo 2014, che liberalizzava le assunzioni a termine, permettendo molteplici rinnovi. Questa misura va in direzione opposta a quella del Jobs Act, perché incentiva le assunzioni a tempo determinato. Quando si fa un bilancio del 2015 bisognerebbe considerare anche il saldo dei contratti precari (420mila), non solo di quelli stabili (186mila). L’aumento del tasso di occupazione precaria registrato dall’Istat si spiega con l’esplosione delle assunzioni a tempo determinato, che a sua volta potrebbe essere stato favorito dal decreto Poletti. Che poi una parte dei contratti a termine siano stati trasformati in contratti stabili non basta a modificare la dinamica profonda del mercato del lavoro. Alla formazione di posti di lavoro stabili si è affiancata una formazione di posti di lavoro precari, di cui si ha meno voglia di parlare.

Finora è valsa la pena di spendere gli 1,8 miliardi di euro della decontribuzione per raggiungere questi risultati?
No, non ne è valsa la pena, anche perché i miliardi sono almeno 12: il costo della decontribuzione è stato valutato in 5 + 5 miliardi nel biennio 2016-2017.

C’è il rischio che il mercato del lavoro sia stato drogato dagli incentivi? E che l’occupazione si sgonfi quando verranno meno?
E’ quello che temiamo tutti. Il test decisivo sarà il primo trimestre del 2016, i cui dati saranno disponibili a maggio. A quel punto si scoprirà se la modesta crescita di occupazione registrata nel corso del 2015 proseguirà, magari rafforzandosi, o si sgonfierà, perché era artificialmente sostenuta dagli incentivi. L’unica cosa che mi sento di dire, per ora, è che l’ultimo mese del 2015 ha pienamente confermato la profezia che fece Tito Boeri, e cioè che le assunzioni si sarebbero concentrate all’inizio e alla fine del 2015. Insomma, quella del 2015 potrebbe rivelarsi una piccola “bolla occupazionale”. Ma speriamo di no…

Quanto hanno influito i fattori macroeconomici (basso prezzo del petrolio, cambio euro/dollaro favorevole, quantitative easing) sul mercato del lavoro italiano?
Secondo la maggior parte degli studiosi i tre “propulsori” esogeni della nostra economia dovevano portare almeno 1 punto di crescita del Pil in più. Dato che, invece, siamo cresciuti solo dello 0,7%, vuol dire che senza quella spinta il nostro Pil avrebbe continuato a scendere anche nel 2015. Ma noi preferiamo raccontarci che “l’Italia ha svoltato”.

Quali misure servono per una ripresa strutturale del mercato del lavoro?
Una misura, il Job Italia, l’avevo proposta un paio di anni fa, come Fondazione David Hume e come La Stampa, ai tempi in cui scrivevo sul quotidiano torinese. L’idea è piuttosto semplice. Se prevediamo una decontribuzione ancora più forte di quella introdotta nel 2015, ma diamo il beneficio solo alle imprese che aumentano l’occupazione, creiamo abbastanza posti di lavoro aggiuntivi da rendere autofinanziante il provvedimento: più posti di lavoro, infatti, significano più reddito, e più reddito significa più gettito fiscale. Però l’idea del Job Italia non era “combattere il dramma dell’occupazione precaria”. Il “dramma dei precari” è una costruzione mediatico-politica, molto di moda da una decina d’anni, che è stata usata per nascondere il vero dramma di questo paese.

Quale dramma?
Il dramma dell’Italia non è che meno di 3 milioni di persone lavorino con contratti a tempo determinato, ma è che una cifra analoga se non superiore di lavoratori, spesso immigrati, lavorino completamente senza contratto, che altri 3 milioni di persone cerchino un lavoro senza trovarlo, e altri 3 milioni ancora un lavoro manco lo cerchino, perché hanno perso la speranza di trovarlo. Ho chiamato Terza società questo esercito di 10 milioni di persone di cui nessuno si occupa, e che fanno la vera differenza fra l’Italia e la maggior parte dei Paesi avanzati.

Di Stefano De Agostini | 22 febbraio 2016

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/02/22/jobs-act-ricolfi-precariato-ai-massimi-storici-e-ripresa-occupazionale-modesta-renzi-non-capisce-le-statistiche/2484646/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=newsletter-2016-02-22
7063  Forum Pubblico / PERSONE che ci hanno lasciato VALORI POSITIVI / "Vi racconto il mio amico Alex Langer” di ADRIANO SOFRI inserito:: Febbraio 22, 2016, 06:22:17 pm
"Vi racconto il mio amico Alex Langer”
Nel ventennale della morte tornano in edizione arricchita gli scritti del profeta della rivoluzione "verde" ora rilanciata dal Papa. Ecco il ricordo di chi lo conosceva bene

Di ADRIANO SOFRI
22 luglio 2015

ALEXANDER LANGER nacque nel 1946 a Vipiteno, Alto Adige, che sono i nomi italiani di Sterzing, Sud Tirolo. Sua madre era erede di una dinastia di farmacisti del paese. Suo padre un medico viennese di origine ebraica. Negli anni della persecuzione si erano rifugiati in Toscana: scamparono a un'irruzione di fascisti, e riuscirono fortunosamente a riparare in Svizzera. Alexander fu il primo di tre fratelli. Negli anni di scuola, studente brillante, si fece cattolico "autodidatta". La sua era una famiglia prestigiosa, e Alex scelse di rendersene indipendente, rinunciando alla sua eredità, ma il legame fu sempre fortissimo. Quando Alex introdusse me e Randi, la mia compagna, a sua madre, nella casa avita di Sterzing, era emozionato come per una cerimonia. Prima, nelle cartoline spedite da Vipiteno (Alex era un leggendario scrittore di cartoline illustrate) i saluti materni erano firmati "Elisabeth"; dopo, "Lilli".

Negli anni rivoluzionisti avevo avuto con lui una confidenza forte ma frettolosa. Non sapevo molto: la traversata a nuoto del Garda per festeggiare la maturità, eternata dal quotidiano locale. E la conoscenza con don Milani. A Barbiana, il curato gli aveva intimato, se davvero gli interessavano gli ultimi, di lasciare l'università. Alex si persuase che don Lorenzo fosse un santo, a suo modo, e però pensò che si è santi solo a proprio modo. Prese la sua seconda laurea, però fu lui poi a tradurre in tedesco la Lettera a una professoressa.

Insomma, i nostri rapporti si fecero più stretti dopo. Per me, lo scioglimento di LC (1976) aveva significato una dimissione brusca da un'esistenza e una responsabilità collettiva. Per lui era diverso: l'avrebbe sentita come una diserzione, era deciso a proteggere un impegno collettivo ora rianimato della rivelazione ecologista. Rifiutavamo ambedue la "riconversione" ecologica, che era come un fare finta di niente, un aggiungere al classismo un po' di femminismo e un po' di attenzione verde: il cambiamento doveva essere una metanoia, una vera "conversione". Io ci arrivavo rivendicando la nobiltà del pentimento, riscattata all'abuso che si faceva del nome di "pentiti": la sconfessione del maschilismo, la scoperta di una storia naturale dirottata dalla storia umana, il disincanto dalle sorti progressive per un disarmo ragionato -  "quel che non siamo più, quel che non vogliamo più ". Alex, della "conversione ecologica” -  quella invocata dall'enciclica di Francesco  -  fu il portabandiera, anche grazie al legame con i Gruenen, una delle sue prove di traduttore e traghettatore. Da allora, la differenza -  lui impegnato a tessere le fila di un movimento, io distante dall'impegno collettivo -  avrebbe segnato altre esperienze comuni.

Veniva a tirarmi fuori dalla mia campagna -  a pochi minuti dalla casa fiorentina di Valeria e sua -  sostenendo di aver bisogno di aiuto. Fu così nel 1987, quando una sua approvazione dell'allora cardinale Ratzinger contro le manipolazioni genetiche intitolata "Cara Rossanda, e se Ratzinger avesse qualche ragione? " sollevò uno scandalo. Ci fu un acceso dibattito a Roma, Alex volle smorzare la polemica, io gli feci da avvocato. Ricordo con nostalgia la serata e gli interlocutori: Giovanni Berlinguer, Rossana Rossanda, Ida Dominijanni, e noi due. Qualcosa di simile, su una scala avventurosa, successe nel 1982. Gheddafi aveva visitato Vienna e incontrato un gruppo di esponenti verdi. Aveva monologato di essere il vero profeta ecologista, tant'è vero che il suo manuale si intitolava "Libro verde” -  il colore dell'islam, ma Gheddafi sapeva essere duttile. Li invitò a Tripoli, qualcuno mostrò un vero entusiasmo, Alex ne fu preoccupato. Mi chiese di unirmi alla comitiva e di aiutarlo a limitare i danni. Che potevano traboccare: alcuni dei nostri arrivarono a proporsi come scudi umani contro una portaerei americana. I giorni passavano, gli agenti libici venivano a dirci: "No program today", io e Alex li avevamo ribattezzati "No pogrom today". I membri realisti della delegazione, come Otto Schily, poi ministro dell'interno con Schroeder, disperavano di esser mai più dissequestrati. Ci furono due nottate surreali di udienze con Gheddafi -  l'ho raccontato a suo tempo. Alex mi invidiava la libertà con la quale trattavo i compagni di viaggio; lui, come sempre, si sentiva più responsabile e dunque addolorato di rompere con loro.

Questa differenza continuò drammaticamente lungo la guerra ex-jugoslava. Ne fummo assidui, io non dovendo render conto a nessuno se non a me stesso, e invocando strenuamente un intervento che mettesse fine alla strage e all'infamia della comunità internazionale, a partire dall'Europa. Alex aveva percorso la Jugoslavia che andava in pezzi, prodigandosi per la conciliazione, e poi, una volta che il peggio si compì, per figurare una convivenza all'indomani del massacro. Che intanto continuava, e Alex si persuase che il rifiuto di distinguere fra aggressori e aggrediti e di rivendicare un'azione di polizia internazionale rendesse i pacifisti complici della strage. Aveva già detto che l'inerzia internazionale era colpevole, ma con parole smussate per non dare scandalo alla comunità cui voleva appartenere. La misura fu colma nel maggio 1995, quando una bomba fece strage di 71 liceali che festeggiavano il diploma in un bar di Tuzla. Tuzla era la città prediletta di Alex, la più attaccata alla convivenza, e il suo sindaco, Selim Beslagic, era diventato suo amico. Beslagic gli scrisse: "Voi state a guardare e non fate niente, mentre un nuovo fascismo ci sta bombardando: se non intervenite per fermarli, voi che potete, siete complici". Alex incontrò a Cannes Chirac, che presiedeva un vertice europeo, e gli chiese il soccorso di una forza internazionale. Chirac, dal momento che alla vita piace scherzare, gli spiegò che la pace era il bene supremo.

Pochi giorni dopo, Alex si impiccò in un frutteto sopra Firenze. Non ha senso dire che Alex si sia suicidato "per la Bosnia", o per alcuna altra ragione. Però si può dire per che cosa è vissuto. Ancora pochi giorni, e avvenne lo sterminio di Srebrenica. Alex non ha saputo. Ma pochi giorni fa mi hanno presentato ai ragazzi di Srebrenica impegnati per la convivenza come "prijatel", l'amico, di Alex. Mi hanno guardato con invidia.

Alex era molto serio, molto rigoroso. Troppo, se volete. Ma era anche spiritoso, allegro, ironico e generoso. D'estate io e Randi andavamo in Norvegia, eravamo poveri, avevamo un maggiolino Volkswagen, per risparmiare facevamo tappa a Bolzano, da Alex, e poi cercavamo di fare una sola tirata -  io non ho mai guidato. Un anno Alex decise sui due piedi di accompagnarci per alleviare l fatica.

Attraversammo l'intera Germania: guidava, e mi dava lezione di tedesco. Quando arrivammo, esausti, al nostro fiordo, Alex, che aveva come sempre un impegno urgente, proseguì per Oslo, prese un traghetto e ritornò in Germania. Prima di imbarcarsi, spedì un certo numero di cartoline illustrate dalla Norvegia.

TagsArgomenti:Protagonisti:alex langer
© Riproduzione riservata 22 luglio 2015

Da - http://www.repubblica.it/cultura/2015/07/22/news/_vi_racconto_il_mio_amico_alex_langer_-119617650/
7064  Forum Pubblico / PERSONE che ci hanno lasciato VALORI POSITIVI / In ricordo di ALEX LANGER di Emiliano Liuzzi. inserito:: Febbraio 22, 2016, 06:18:44 pm
In ricordo di Alex Langer

Di Emiliano Liuzzi | 30 luglio 2011
Giornalista

“I pesi mi sono divenuti davvero insostenibili, non ce la faccio più. Non rimane da parte mia alcuna amarezza nei confronti di coloro che hanno aggravato i miei problemi. Così me ne vado più disperato che mai, non siate tristi, continuate in ciò che era giusto”. 3 luglio 1995, Pian de’ Giullari. Firenze. Questo lasciò scritto Alexander Langer, 49 anni, cattolico autodidatta, come amava definirsi, nato a Sterzing-Vipiteno, uomo senza patria e con molte patrie, intellettuale che parlava cinque lingue e aveva cento vite, costruiva ponti, univa popoli, faceva politica da persona che con questa politica, prima di scegliere di allontanarsi volontariamente dalla vita.

Scelse un albero di albicocco, si tolse le scarpe, e ci lasciò al nostro Grande freddo, come disse Daniel Cohn Bendit a Repubblica, il giorno successivo. Ci lasciò orfani di migliaia di cartoline, appunti, riflessioni, strette di mano, viaggi. Ci lasciò molti scritti e un’eredità difficile da gestire. Quella sua. Quella di un uomo ostinato e fragile, curioso, intelligente, caparbio, fondatore di Lotta continua prima (fu l’ultimo direttore a firmare il giornale, ma all’epoca il suo lavoro vero era insegnare in un liceo lontano dalla Roma di Trastevere), poi dei Verdi, dei quali non fu leader per scelta, ma capogruppo al parlamento di Strasburgo.

Ci lasciò mentre l’Europa, lui che l’aveva già vissuta, si affannava a scegliere una via condivisa che ancora oggi stenta a trovare.

Sedici anni di assenza sono tanti per chi gli ha voluto bene e chi cercava nelle sue parole una risposta o l’illusione di averla. Verrebbe voglia di chiamarlo, a Strasburgo o a Bolzano, la città dove aveva scelto di combattere la sua battaglia più difficile, quella della convivenza etnica o nell’ex Jugoslavia ormai dimenticata.

C’erano pochi telefonini allora, ma bastava un messaggio e Alex ti avrebbe richiamato. Chiunque tu fossi o per qualsiasi cosa tu lo cercassi. Aveva un’iperattività quasi compulsiva, viaggiava e conosceva persone, ne imparava la lingua, se già non la conosceva. Scriveva cartoline, tante, con minuzia e attenzione, quasi fossero opere letterarie. E molti appunti di viaggio, discorsi. Scarabocchiava quelle che sarebbero diventate proposte di legge.

Ogni tanto lo incontravo sul treno che ci riportava a Bolzano, io da viaggi molto modesti, lui dal mondo. E ogni volta era l’illuminazione su qualcosa che non vedevo. Parlava, e dietro gli occhiali da miope nascondeva due occhi azzurri che avevano un’innata capacità: quella di farsi ascoltare.

Questo era Langer, il politico di una politica che non esiste. Il politico di professione che rendeva pubbliche le entrate e le uscite di denaro quando ancora tangentopoli era un fenomeno da film di serie B firmati da Alberto Sordi. Un uomo che in quell’ambiente era un alieno e lo sarebbe sempre stato. Perché era più intelligente di tutti gli altri. E perché costruiva per gli altri, mai per se stesso.

Difficile pensare a cosa avrebbe detto oggi, anche per me che negli ultimi anni che ha vissuto l’ho frequentato e ascoltato decine di volte. Che ho divorato i suoi appunti e le cartoline che spediva da luoghi lontani da ogni immaginazione.

Difficile sapere cosa avrebbe detto dell’Italia berlusconiana e leghista e di un’Europa sempre più bottegaia, lontana da quella che lui aveva sempre intravisto.

Se Berlusconi è arrivato che eri ancora in vita, caro Alex, il berlusconismo si è radicato negli anni a venire. Un anno e due mesi dopo da quel giorno in cui hai fatto della tua vita un cappio, Umberto Bossi (lo ricordi?) proclamò la Repubblica della Padania. Oggi vuole trasferire i ministeri non si sa bene dove, e appena ha bisogno di voti proclama la secessione. E’ lo stesso Bossi di allora, molto più potente (brutta parole per chi, come te, era convinto che nessuna utopia fosse irraggiungibile) e sempre scomodo, pericolosamente a cavallo tra la sete di potere, sua e dei suoi fedeli, e la voglia di compiacere un popolo strano, quello di Pontida, che lo venera come se fosse l’ultimo dei reali.

Tu che riuscivi a dialogare col più difficile degli avversari come il padre dell’autonomia sudtirolese-altoatesina, Silvius Magnago, che rispettavi e dal quali eri rispettato, non so se avessi fatto ancora il politico di professione dopo aver visto sfilare ministri che si sono chiamati Castelli, Calderoli, Speroni e chi più ne ha più ne metta. Quello stesso Bossi ha portato a Strasburgo un personaggio che si chiama Mario Borghezio, che non ti stiamo a descrivere per puro e semplice pudore, uomo con cui non è possibile dialogare, neppure per te che avevi fatto del dialogo una scelta di vita prima che politica. Non credo saresti rimasto un momento di più ad ascoltare, lì dai banchi di Strasburgo, le oscenità che ogni giorno riesce a propinare.

Sì, Alex, è stato difficile continuare in ciò che era giusto. L’unica cosa che, credo, possa consolarti, è che ci sono persone che ogni giorno ci provano, in tutti le maniere. Sono sicuro che in questi giorni saresti stato in Val di Susa, a manifestare contro la Tav, sciagurata scelta politica che non può che essere in conflitto con la tua idea di “più lentamente, più in profondità, con più dolcezza”, che ci avevi spiegato come radicale rovesciamento del motto olimpico “più veloce, più alto, più forte”.

C’erano migliaia di persone a gridare la loro indignazione lungo quei binari che stravolgeranno la geografia di una valle.

“Se avessi di fronte a me un uditorio di ragazze e ragazzi”, disse Adriano Sofri al parlamento europeo pochi giorni dopo la morte di Langer, “non esiterei a mostrar loro com’è stata bella, com’è stata invidiabilmente ricca di viaggi e di incontri e di conoscenze e imprese, di lingue parlate e ascoltate, di amore, la vita di Alexander. Che stampino pure il suo viso serio e gentile sulle loro magliette. Che vadano incontro agli altri col suo passo leggero, e voglia il cielo che non perdano la speranza”.

Il tuo passo c’è chi lo ha seguito, caro Alex. Ci manchi, ma l’ostinata voglia di non piegarsi e costruire ponti l’hai lasciata in eredità. Di questo, ne sono certo, saresti fiero.

Di Emiliano Liuzzi | 30 luglio 2011

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/07/30/in-ricordo-di-alex-langer/148784/
7065  Forum Pubblico / I GIUSTI MAESTRI / Umberto ECO, morto a 84 anni. inserito:: Febbraio 21, 2016, 11:26:51 pm
La morte di Umberto Eco

È stato uno dei più importanti intellettuali italiani del Novecento, oltre che l'autore di "Il nome della Rosa"
Umberto Eco, morto a 84 anni
Lo scrittore e intellettuale Umberto Eco è morto venerdì notte a Milano.
La Stampa scrive che Gianni Coscia, avvocato e vecchio amico di Eco, ha detto, commentando la sua morte: «Sapevo che Umberto era malato da due anni di tumore, ma nessuno pensava che la sua fine sarebbe stata così imminente». Coscia scrive che «era uscito di casa per l’ultima volta a metà gennaio».
Sempre La Stampa scrive che “secondo voci vicine alla famiglia” Eco verrà commemorato martedì alle 15 a Milano, con rito civile.

Umberto Eco era nato il 5 gennaio 1932 ad Alessandria, dove suo padre lavorava in una ferramenta. Quando era già importantissimo e noto in Italia per il suo lavoro di studioso e linguista diventò famoso in tutto il mondo nel 1980 grazie al romanzo Il nome della Rosa, scritto dopo avere investito con l’editore Valentino Bompiani – della cui casa editrice fu condirettore dal 1959 al 1975 – sulla possibilità che anche nella società di massa si sarebbe potuto scrivere un best-seller senza venire meno alla qualità. Nel 1988 Umberto Eco pubblicò Il pendolo di Foucault, un altro best-seller mondiale. La sua attività di intellettuale e studioso era iniziata però molto prima, già negli anni Cinquanta: Eco si era laureato in filosofia con una tesi su Tommaso d’Aquino, poi entrò alla Rai e contribuì alla fondazione del cosiddetto “Gruppo ’63”. I suoi saggi e articoli sull’influenza dei mezzi di comunicazione di massa sulla cultura risalgono ai primi anni Sessanta.

Nel 1961 Umberto Eco pubblicò Diario minimo che conteneva il saggio, poi famosissimo, “Fenomenologia di Mike Bongiorno”, in cui Eco spiegava che il motivo del successo del conduttore – e della televisione in generale – era la sua capacità di corrispondere e interpretare la medietà umana: e la capacità di affrontare seriamente e scientificamente un tema così “pop” divenne un tratto ammiratissimo della sua opera. Nel 1964 uscì Apocalittici e integrati: il titolo della raccolta fu scelto dall’editore Bompiani, mentre in un primo tempo Eco aveva scelto Forma e indeterminazione nelle poetiche contemporanee. Anche in questa raccolta di saggi, Eco analizzava il rapporto tra cultura di massa e cultura cosiddetta colta, riprendendo le teorie sulla cultura bassa, media e alta espresse da Dwight Mac Donald nel 1962 nel saggio Against the American Grain: Essays on the Effects of Mass Culture.

Nello stesso periodo Umberto Eco cominciò a interessarsi di semiotica – lo studio dei segni – materia che insegnò all’università di Bologna a partire dal 1965, anche da direttore dell’Istituto di Comunicazione e spettacolo del DAMS. All’insegnamento universitario e all’attività di studioso, Umberto Eco affiancò per molto tempo la collaborazione con i giornali, iniziata nel 1955 su L’Espresso, dove negli ultimi trent’anni ha tenuto la rubrica “La bustina di Minerva” sull’ultima pagina del giornale: la rubrica si occupava di politica, libri, cinema, fumetti con una libertà e una curiosità inizialmente insoliti per un intellettuale italiano.

Per Umberto Eco il lavoro intellettuale – ed è stato questo a renderlo unico rispetto agli altri studiosi della sua generazione – non poteva essere confinato in alcuna specializzazione. Eco voleva specializzarsi in tutte le discipline del sapere o almeno nel maggior numero possibile, non avendo paura di esprimersi sulla cultura in ogni sua forma, dalla televisione, al fumetto, dalla filosofia medievale alla letteratura contemporanea, dalle canzoni alla semiotica alla politica. Per esempio Eco firmò delle lettere aperte già sul caso Pinelli – l’anarchico morto precipitando da una finestra della questura di Milano nel 1969 – autodenunciandosi per solidarietà con il giornale Lotta Continua che accusò la polizia, mentre negli ultimi anni schierandosi su posizioni fortemente antiberlusconiane (fu tra i fondatori del movimento di intellettuali antiberlusconiani Libertà e Giustizia).

Nell’ottobre scorso Umberto Eco era stato tra i fondatori della Nave di Teseo, la casa editrice nata dall’uscita della direzione editoriale di Bompiani dopo l’acquisizione del gruppo RCS Libri da parte di Mondadori. Il nuovo libro di Umberto Eco dovrebbe essere tra i primi a uscire per la nuova casa editrice, che incomincerà a pubblicare in primavera.

Umberto Eco aveva una casa piena di libri ed era dotato di una memoria prodigiosa. Era un erudito e uno studioso, ma questo non gli ha impedito di essere divertente e curioso e di provare, sempre, a capire quello che gli succedeva intorno. Il presidente del consiglio Matteo Renzi ha scritto che Eco è stato un «Esempio straordinario di intellettuale europeo» e «univa una intelligenza unica del passato a una inesauribile capacità di anticipare il futuro». La notizia della morte sta avendo grande spazio sui principali siti d’informazione internazionali. Il Guardian ha definito Eco «uno dei più importanti nomi della letteratura internazionale» e il New York Times ne ha parlato come di «un esperto nell’arcano campo della semiotica». Daria Bignardi, la nuova direttrice di Rai 3, ha fatto sapere che questa sera ci sarà a Che tempo che fa “uno speciale ricordo” di Eco e che sarà trasmesso il film Il nome della rosa.

Da - http://www.ilpost.it/2016/02/20/umberto-eco-morto/
Pagine: 1 ... 469 470 [471] 472 473 ... 529
Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!