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Autore Discussione: La Stampa Academy alla volata finale “Vi racconto i nostri mesi tra i Big Data”  (Letto 1664 volte)
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« inserito:: Marzo 18, 2014, 12:20:27 pm »

Società
15/03/2014

La Stampa Academy alla volata finale “Vi racconto i nostri mesi tra i Big Data”
Si conclude il corso di data journalism del nostro giornale e di Google
In attesa dei vincitori, una tra i 1.100 partecipanti racconta come è andata

Barbara D’amico

Si conclude oggi la prima fase di La Stampa Academy , l’innovativa scuola di data journalism gratuita organizzata in collaborazione con Google, che ha visto la partecipazione di circa 1.100 tra giornalisti, sviluppatori, grafici, designer. Alcune decine di team con professionalità miste sono al lavoro da oggi per contendersi il premio finale: ai tre team vincenti sarà offerta la possibilità di realizzare progetti da pubblicare su La Stampa, collaborazione con la redazione. Ecco il racconto di una giornalista che ha partecipato alle lezioni online e dal vivo. 

Roba da nerd, inutile, complicata, banalizzata, una moda destinata a passare presto, un “che hai detto?”: ecco, più o meno sono queste le reazioni di amici e colleghi quando dico che ho frequentato La Stampa Academy, il corso organizzato da La Stampa insieme a Google Italia (e che si è appena concluso) per allenare giornalisti, programmatori, grafici o semplici curiosi a maneggiare e spremere per bene milioni e milioni di dati (si tratti del numero di disoccupati nel 2013 o di quanti litri di birra si bevono durante l’Oktober Fest).

Una pratica che va sotto il nome di data journalism, ostentata da molti, capita da pochi, utilizzata spesso in modo improvvido – a partire dalla sottoscritta – ma a cui le maggiori testate italiane (specie i quotidiani, ultimi arrivati sul mercato delle infografiche) si stanno interessando. Seguendo l’esempio inglese e americano, infatti, sempre più giornali provano a realizzare infografiche e visualizzazioni grafiche (qui un esempio di prodotti considerati di alto livello) per proporre notizie e informazioni in modo diverso dal solito video, dal solito pezzo o dalla solita gallery fotografica (non a caso La Stampa ha dato via al Medialab) 

Tranquilli: non attaccherò la lagna sul caso Snowden né su quanto sia bello e mainstream analizzare dati per intere settimane scavando in milioni di righe di file in .csv con gli occhi arrossati e lo sguardo perso nel vuoto. Non farò campanilismi su quanto siamo bravi noi giornalisti a cimentarci con nuovi strumenti né accenderò polemiche sull’utilità lavori sensazionali, belli eh, belli da morire... ma in cui non si capisce un’acca né di dove stia la notizia né di quale sia il messaggio da trasmettere al pubblico.   

Piuttosto cercherò di rispondere alle domande che sono sorte sia a me che a molti miei colleghi durante queste settimane di prove, lezioni online (La Stampa ha creato una community di studenti su Google+ con più di 1000 iscritti), lezioni dal vivo e simulazioni: una sorta di naja del data journalism che, come in un metateatro shakesperiano, uno dei grafici cha seguito il corso, Fabrizio Furchì, ha riassunto in 6 tavole infografiche che potete vedere in una pagina dedicata del Medialab (potete trovare qui altri lavori simili).

 

Ecco i nostri dubbi amletici:
1. E’ servito seguire un corso sull’analisi e l’elaborazione dei big data? Sì. Il team di Google e i docenti scelti da La Stampa ci hanno messo molte pulci nelle orecchie e fatto scoprire “pericolosissimi” strumenti di elaborazione dati e mappe su cui la categoria dei comunicatori passerà notti insonni (nemmeno si trattasse di un gioco di ruolo h24). Il motivo è presto spiegato: a occhio nudo e anche con tutta l’esperienza e il fiuto di un premio Pulitzer, si impiegherebbero secoli a capire che ad esempio una piccola regione italiana ha ciucciato in questi anni milioni di euro di fondi europei per progetti che ancora non ha nemmeno iniziato. Scoprendolo, forse, prima della magistratura.

2.Il data journalism aiuta a produrre un giornalismo di qualità? Dipende. Quello che abbiamo capito è che tutti, anche il Guardian, sceglie in modo quasi random i dati da cui partire per la creazione di una infografica. L’intero corso si è basato sulla capacità di interazione tra giornalisti, grafici, analisti e programmatori informatici (questi ultimi sono stati merce rara in effetti). Ciò che è emerso nelle ore trascorse a scornarci su come organizzare il flusso di dati e con quale disegno o grafica prensentarlo meglio è questo: se vogliamo integrare il data journalism nelle ordinarie tecniche di inchiesta e approfondimento bisogna rompere lo schema del giornalista che lavora e analizza le fonti in solitaria. La mia generazione – ho 30 anni – è già abituata a lavorare in rete e in sinergia, per cui questo non dovrebbe essere un problema (spero). 

3. Perché le testate dovrebbero investire in squadre miste per creare prodotti infografici quando potrebbero appaltarle a bravi grafici o farsele fare dai propri giornalisti? Un conto è fare un grafico descrittivo (e sottolineo descrittivo) sul Pil italiano degli ultimi dieci anni, altro è studiare e scovare notizie a partire dall’analisi incrociata di dataset e settori apparentemente inconciliabili tra loro con l’aiuto di uno statistico e di un bravo disegnatore oltre che a strumenti di analisi open source: la differenza, insomma, è abissale, ma ripaga. Perché serve a creare prodotti come The Refugee Project: un lavoro che non resta notizia isolata e non invecchia dopo un giorno ma continua ad arricchirsi e a restare, quindi attuale. Tutte caratteristiche che attirano costantemente pubblico, massimizzano il lavoro editoriale e forniscono a loro volta dati e informazioni per la creazione di applicativi, app, piattaforme: insomma, prodotti (proprio come quello che alcuni allievi della Academy stanno realizzando insieme a uno dei docenti, Paolo Conti)

4. Che c’entrano i dati con le notizie mainstream? E se è vero che tutto passa cosa accadrà quanto il data journalism sarà superato? Risposta alla prima: c’entrano. E molto. Facciamo l’errore di considerare l’analisi dati come altro dal giornalismo, ma la comunicazione si è sempre basata sulla verifica di fatti, cifre, codici, definizioni...solo che è stata fatta prima con carta e penna, poi anche con l’utilizzo di Internet. Oggi abbiamo strumenti veloci e complessi di studio ed elaborazione ma bisogna imparare a usarli, anche solo quel tanto che basta per rendersi conto della presenza o meno di una notizia tra migliaia di cifre o classificazioni tutte uguali. Ecco, per quello che mi riguarda frequentare le lezioni ha aiutato ad affinare la capacità di scavo, analisi e ricerca prima ancora di creare una infografica. Risposta alla seconda: credo che pensare al data journalim come a un sistema chiuso sia un errore. Si tratta di uno strumento: una volta passato resteranno le competenze.

5. La miglior infografica è quella d’effetto e con dati aggiornatissimi? (Domande retorica). Non è detto: una notizia è tale se può interessare il pubblico, ma quando si tratta di infografiche e visualizzazioni per il giornalismo occorre mettere da parte il sensazionalismo e puntare su chiarezza, immediatezza del messaggio, eleganza della presentazione e certezza del dato (è l’analisi che deve essere attuale, non tanto o non solo il dato in sé). Tutti ingredienti che si amalgamano bene solo dopo aver sperimentato in prima persona la creazione di un progetto infografico.

6. Servono ancora i giornalisti con tutto questo fiorire di Tableau, Google Maps e altri strumenti gratuiti? Purtroppo per grafici, designer e analisti sì. Il senso della notizia, la selezione di un flusso di informazione tra le milioni di combinazioni possibili (comprese quelle frutto dello user generated content, cioè dei social media) la capacità di legare l’informazione al contesto in cui viviamo e lavoriamo richiedono tempo: lo stesso che si impiega per realizzare un disegno in illustrator o una analisi semantica e statistica approfondite. Un giorno avremo anche giornalisti/grafici e giornalisti/data analyst. Fino a quel momento, e per fortuna, dobbiamo lavorare tutti insieme.

Da - http://lastampa.it/2014/03/15/societa/la-stampa-academy-alla-volata-finale-vi-racconto-i-nostri-mesi-tra-i-big-data-2eC8aYLizMHawJJyC3FqHL/pagina.html
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