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Autore Discussione: Morto Gava c’era una volta la Dc  (Letto 2663 volte)
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« inserito:: Agosto 09, 2008, 06:13:52 pm »

Morto Gava c’era una volta la Dc


Nicola Tranfaglia


Se il napoletano Antonio Gava, sei volte parlamentare dal 1972, sette volte ministro dal 1980 al 1990, leader con Forlani della potente corrente democristiana dei dorotei, fosse morto per il forte ictus che lo colpì diciotto anni fa quando era ministro dell’Interno, televisioni e giornali ne avrebbero parlato in lungo e in largo.

Ma dopo quella malattia Gava, che era per così dire figlio d’arte essendo stato il padre Silvio (andato negli anni venti a Napoli dal Veneto come esponente del partito popolare prefascista, più volte parlamentare e a sua volta tredici volte ministro con la Democrazia Cristiana) venne colpito, quasi contemporaneamente all’onorevole Giulio Andreotti, da un avviso di garanzia per associazione mafiosa con la camorra napoletana. Il pentito Pasquale Galasso lo aveva accusato nel luglio 1993 di fronte alla commissione antimafia presieduta da Luciano Violante di avere da tempi rapporti di collusione con il boss camorrista Lorenzo Nuvoletta.

Gava venne arrestato e trasferito per alcuni giorni a Forte Braschi, quindi gli vennero concessi gli arresti domiciliari per i due anni successivi.

Il processo penale iniziato contro di lui si concluse nel 2006 in appello con l’assoluzione e Gava intentò una causa civile contro lo Stato chiedendo 38 milioni di euro per il risarcimento, tuttora in corso.

Oggi i giovani non sanno nulla di lui e i ricordi dei più anziani sbiadiscono di fronte al tempo che è passato. Ma Antonio Gava era stato nel ventennio degli anni 70-90 uno dei leader più potenti e influenti della Democrazia Cristiana, principale partito di governo negli anni della guerra fredda, del centro-sinistra e del compromesso storico ma anche dei governi succeduti negli anni 80 al fallimento di quel tentativo, alla scomparsa di Aldo Moro, alla Dc del preambolo anticomunista, del duello democristiano socialista tra De Mita e Craxi.

A Napoli e nel Mezzogiorno era tra i politici che contava di più da ogni punto di vista e fu, nei secondi anni 80, l’ispiratore e il tessitore di quello che venne chiamato il Caf, l’alleanza di ferro tra Craxi, Andreotti e Forlani che avrebbe portato nel 1992 quei leader ai vertici dello Stato e del parlamento se, in quell’anno, la strage di Capaci che uccise Giovanni Falcone, sua moglie e la scorta e quella di via D’Amelio in cui venne ucciso Paolo Borsellino e la sua scorta, non avessero creato a Roma e in tutta Italia forti emozioni che portarono alla elezione al Quirinale un grande presidente quale è stato Oscar Luigi Scalfaro. E la formazione dell’ultimo governo, il settimo, di Giulio Andreotti, quindi lo scoppio dell’inchiesta di Mani Pulite di cui fu protagonista la procura di Milano guidata da Francesco Saverio Borrelli.

Quelli furono anni terribili e torbidi caratterizzati da opposte ondate terroristiche, da crisi economiche, dall’esplodere della corruzione pubblica, ormai ripresa in grande stile nell’Italia di oggi.

La linea politica sostenuta da Antonio Gava poggiava, come quella della sua corrente, in un forte anticomunismo (che significava soprattutto l’ostilità a un Pci sempre più lontano dall’Unione Sovietica e dal mondo comunista, che nel ’89 si era sciolto dando vita al Pds) e in un’alleanza con i ceti più conservatori e vicini alla destra. Speculazione edilizia, invadenza dei partiti nelle istituzioni pubbliche, aumento della spesa pubblica, confusione tra interessi pubblici e interessi privati erano alla base di quell’alleanza e provocarono successivamente la caduta del sistema politico repubblicano e l’emergere della generalizzata corruzione politica.

Quella che, a torto dal punto di vista storico, alcuni hanno chiamato la fine della prima repubblica, invece ancora viva e vigente, visto che la costituzione repubblicana è tuttora vigore.

Quell’andamento ebbe al Sud anche la caratteristica della collusione con le associazioni mafiose, anche se il discorso non riguarda Gava, assolto dalla magistratura. Certo è che la camorra a Napoli in quegli anni godette di una indubbia vicinanza di una parte della classe politica di governo, come venne dimostrato da molti episodi di cui hanno parlato storici attendibili come Francesco Barbagallo nei suoi libri sul «Potere della camorra» e su «Napoli fine secolo», ambedue pubblicati dall’editore Einaudi.

Antonio Gava muore diciotto anni dopo il suo ictus lasciandoci un libro autobiografico «Il certo e il negato», edito da Sperling e Kupfer, in cui rivendica la sua battaglia politica e la sua innocenza giudiziaria. L’immagine che di lui resta è quella di un politico intelligente e spregiudicato, leader di una corrente capace di perseguire con grande costanza il potere e disposta ad alleanze con la destra e con la sinistra politica in parlamento.

Pubblicato il: 09.08.08
Modificato il: 09.08.08 alle ore 9.47   
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« Risposta #1 inserito:: Agosto 09, 2008, 09:52:02 pm »

POLITICA

I funerali dell'ex ministro Dc all'Eur con Andreotti, Forlani Scotti, Cirino Pomicino e Pier Ferdinando Casini

Orgoglio Dc per l'addio a Gava "Innamorato del potere ma giusto"

La cerimonia come estremo tentativo per recuperare la memoria del doroteo travolto e poi assolto da un'inchiesta giudiziaria lunga tredici anni

 

ROMA - Se qualcuno mai si fosse chiesto in questi anni dove fosse finito l'orgoglio Dc, lo ha ritrovato stamani nella chiesa dei SS.Pietro e Paolo, quartiere dell'Eur a Roma, intorno alla bara di Antonio Gava. Nonostante il caldo e le ferie d'agosto, malgrado non fosse più da tempo il Vicerè e non avesse più incarichi politici di primo piano dal 1993, quando cominciò l'inchiesta per associazione mafiosa da cui uscì, innocente, solo nel 2006 già gravemente malato.

Una cerimonia a suo modo struggente. Sono arrivati tutti, il passato e quello che resta della Dc. In prima fila la famiglia tra cui la moglie Giuliana Mason e i tre figli Angelo, Marco e Antonella. Casini siede tra Andreotti e Forlani nel terzo banco della fila al centro mentre gli altri ex dc sono in prima fila, a destra rispetto all'altare, Gerardo Bianco, Paolo Cirino Pomicino, il ministro Gianfranco Rotondi e il sottosegretario Enzo Scotti in rappresentanza del governo, l'ex ministro ed ex sindaco di Roma Clelio Darida.

Due terzi del Caf. Il trio Casini, Forlani, Andreotti attira l'attenzione perché è il giovane Pier a sedere accanto ai due anziani leader, cioè ai due terzi del celeberrimo Caf, il patto che rivoluzionò l'equilibrio interno della Dc, la guida di Palazzo Chigi e il baricentro delle alleanze di governo all'alba degli anni '90. Un patto di cui Antonio Gava fu in pratica l'azionista di maggioranza, riconfigurando il vecchio correntone doroteo nella più moderna versione del Grande centro-Azione popolare.

Momento di bilanci. I funerali sono sempre il momento dei bilanci. Se muore un personaggio pubblico e politico, diventano anche l'occasione per rimettere in fila e al posto giusto le pagine della vita. Antonio Gava è un pezzo importante della storia d'Italia: democristiano erede di una dinastia diccì di origine veneta trapiantata a Napoli, leader della corrente dorotea, cinque legislature in Parlamento a partire dal 1972, sette volte ministro (tre alle Poste, due all'Interno e altrettante alla Giustizia) e inventore del Caf. Quel modo di fare politica e di gestire il potere è finito per sempre: l'economia delle tessere, il potere come risultato di un complesso gioco di equilibri nazionali, la convinzione che in politica tutto si possa aggiustare grazie a un punto di equilibrio. In nome di un compromesso. Questa parte della storia di Gava, e della Dc, ha già trovato posto e collocazione nei libri. E' la storia della Prima Repubblica.

Innamorato del potere. Il pezzo mancante, quello che stamani doveva essere celebrato, risolto e sistemato una volta per tutte è la vicenda giudiziaria che ha travolto l'ex ministro. L'assoluzione arrivata nel 2006 dopo tredici anni di inchiesta ha fatto titolo sui giornali. Ma non tutti da prima pagina. E per uno come Gava che alla passione per il potere ha sempre affiancato quella di piacere agli altri, di essere da tutti riconosciuto al di sopra di ogni sospetto, quegli anni sono stati un vero calvario. Giudiziario e umano. Non è un caso che il vescovo di Terni, monsignor Paglia, abbia voluto cominciare proprio da qua la sua omelia.

"Proprio in una fase delicata del Paese era arrivata per Antonio la tempesta giudiziaria e della sua malattia - ha detto il monsignore - ma lui ha sempre avuto rispetto delle istituzioni ed è stato assolto".

L'ultima arringa di Forlani. L'ex segretario della Dc ha scelto di pronunciare dal pulpito della chiesa l'ultima arringa in difesa di Gava "colpito dalle ingiustizie degli uomini e della malattia. Ma la verità cammina con passo normale mentre le bugie volano". La verità è arrivata dopo tredici anni mentre le bugie arrivarono subito. Ma "Antonio è stato un compagno di lotta", impegnato "a difendere l'unità dei cattolici" anche quando questo impegno unitario è mancato. E' rimasto "fedele alle sue convinzioni" e ha cercato sempre di "richiamare le ragioni dell'unità". E' stato "un uomo di governo efficiente tra i più capaci e dotati e segnato dall'umiltà, contrariamente a quello che è stato detto e scritto di lui".

L'emozione di Andreotti. Forlani ha l'incarico ufficiale dell'orazione funebre come amico e come politico. Ma parlano tutti. Anche Andreotti: "Ho lavorato con il padre e con lui, è stata una famiglia che ha avuto un ruolo ottimo nella politica italiana. Provo una certa, profonda emozione per questa perdita". Casini riprende il discorso dal calvario giudiziario e sottolinea "la sofferenza per tredici anni di accuse che gli stessi tribunali hanno riconosciuto infondate", una dimostrazione di come "il giustizialismo è il peggior nemico della giustizia". Il sottosegretario Scotti, l'altra punta del tridente doroteo, arriva addirittura a smontare l'immagine di Gava vicerè, il potente che in nome del potere accetta tutto: "Ma quale vicerè - ha detto Scotti in un'intervista a Il Tempo - il potere che si aveva allora era nettamente inferiore a quello che hanno ora sindaci e governatori. E' un termine davvero ridicolo. E pensare che la legislazione antimafia, quella che ha condizionato la vera lotta alla mafia, ha i primi segnali proprio nel periodo in cui Gava fu ministro dell'Interno".

E' un funerale, appunto, il momento dei bilanci e in cui ognuno cerca di mettere le cose a posto. Di Gava si può dire con certezza che è stato un uomo politico la cui forza politica, soprattutto a Napoli, è stata oggettivamente enorme. E si deve ricordare come negli anni bui del terrorismo, e poco dopo la tragedia di Moro, già ministro della Repubblica, decise di gestire per conto dello stato il sequestro di un suo amico di partito e di corrente: l'assessore regionale Ciro Cirillo. Gava volle e ottenne che per Cirillo si trattasse: anche con servizi segreti e camorra.

(9 agosto 2008)
 
da repubblica.it
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