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« inserito:: Febbraio 22, 2016, 06:29:15 pm »

"Umberto Eco, un sole che quando splendeva oscurava le altre stelle".

Gli anni a Bologna del semiologo nei racconti di Renato Barilli e Romano Montroni

Silvia De Santis, L'Huffington Post
Pubblicato: 20/02/2016 20:29 CET Aggiornato: 21/02/2016 02:40 CET

“Era un sole che quando splendeva oscurava le altre stelle. Piuttosto che assegnargli una cattedra, l’Università di Milano preferì abolire l’insegnamento di Estetica. Non lo vollero neppure ad Architettura a Firenze. Gli altri professori avevano capito che portarlo in casa avrebbe significato essere superati da lui e per questo lo allontanavano".

E in effetti così fu. Quando nel 1971 approdò a Bologna, chiamato dal grecista Benedetto Marzullo che due anni prima aveva fondato il Dams e per lui, su misura, creò la cattedra di Semiotica, "si verificò l’effetto temuto, divenne in breve tempo il professore più importante del Dipartimento”. A ricordare la carriera accademica, non priva di insidie, di Umberto Eco - il grande semiologo scomparso ieri notte all’età di ottantaquattro anni - è il critico letterario bolognese Renato Barilli, suo collega fin dai tempi del “Verri”, la rivista letteraria di neoavanguardia fondata da Luciano Anceschi nel 1956 cui collaborava anche Eco, insieme a Porta, Sanguineti, Balestrini, Giuliani e altri talentuosi studiosi scovati dall’occhio affilato del docente. “Da Torino partecipava con il suo ‘Diario Minimo’, in cui analizzava in chiave fenomenologica di personaggi contemporanei come Mike Bongiorno. Ma fu con “Opera Aperta” che Eco diventò punto di riferimento della Neoavanguardia. La sua fu una sorta di opera-manifesto di quel che volevamo fare a quel tempo, e Umberto fu per noi come un fratello maggiore”.

Il riferimento è all’avventura del “gruppo 63”, un movimento letterario d’avanguardia nato a Palermo nel 1963 che opponeva all’esperienza neorealista in declino una linguistica nuova, sperimentale, che fosse in grado di dialogare coi tempi mutati del boom economico. “Generazione Nettuno” l’aveva soprannominata Eco, “perché dopo l’avanguardia tellurica rappresentata da grandi fabbri quali Joyce, Proust, Svevo, Pirandello, arrivavamo noi, freddi e diffusi, più simili all’acqua che al fuoco - racconta Barilli -. Normalizzavamo quel che aveva fatto la generazione precedente alla nostra, non c’era alcun intento eversivo. Si diceva allora che fossimo quelli che viaggiavano in carrozza-letto, in realtà a Palermo, da Milano, ci arrivavamo in aereo, pagati da Giangiacomo Feltrinelli, nostro sponsor”.

E proprio la casa di Giangiacomo e Inge Feltrinelli fu la cornice di un altro incontro, tra Umberto Eco e Romano Montroni, partito come ragazzo di bottega nelle librerie dell’editore milanese, oggi libraio più famoso d’Italia, dopo essere stato per quarant’anni a capo delle Librerie Feltrinelli. “Iniziai a lavorare a Bologna nel 1963. Al tempo la libreria di piazza Ravegnana era il fulcro di personaggi di altissimo livello, tra cui anche Eco, che insegnava al Dams. Ma lui non era il classico docente universitario. Portava i suoi studenti in libreria perché vi trovassero degli stimoli e si rivolgeva sempre ai commessi più umili. Non gli interessava che fossero preparati culturalmente, bastava che avessero la curiosità e la conoscenza di quel che accadeva nel mondo dell’editoria. È sempre stato una persona intuitiva. Capiva chi aveva di fronte e non giudicava mai in base a graduatorie o categoria di appartenenza. Era libero, con lui capii che l’ironia è una forma di intelligenza”. E anche ricco di sorprese, come quella volta che organizzò un provino all’insaputa dello stesso Montroni. “Mi chiamò a fare una lezione di un’ora ai ragazzi del Master in Editoria che dirigeva a Bologna, il tema era l’organizzazione di una libreria. Con mio grande imbarazzo si mise in prima fila ad assistere alla lezione, per poi dirmi, alla fine: “Complimenti, sarai professore a contratto di questo master”. Insegnai lì per sei anni, fu un’esperienza bellissima”.

"Era come un bravo prete di campagna che porta in giro gli allievi e li rallegra con una barzelletta. “Altolà, la sai l’ultima?” chiedeva sempre quando lo si incontrava nei corridoi" ricorda ancora il professor Barilli. "Aveva lo spirito giocoso del bontempone, ricordava la goliardia ricorrente nei suoi romanzi. Ricordo una volta, ci si interrogava se all'acrostico DAMS -“Discipline dell’arte, della musica e dello spettacolo”- bisognasse aggiungere anche la "c" di comunicazione, compresa negli insegnamenti: 'Ma no, non ce n’è bisogno', disse Eco, letto in bolognese suona già come DAMSC (con la c strascicata), non è vero?”.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/02/20/umberto-eco-bologna-renato-barilli-romano-montroni_n_9281726.html
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